"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

161 | dicembre 2018

9788894840568

Lost in translation

Alice nel Paese delle traduzioni (italiane)

Elisa Bastianello

English abstract

Chi porrà mente alle circostanze differenti che rendono differente il modo di concepire le idee e verrà investigando le origini delle varie lingue e letterature, troverà che i popoli, anche per questo lato, hanno tra di loro de’ gradi maggiori o minori di parentela. Da ciò deriverà al traduttore tanto lume che basti per metter lui sulla buona via, ov’egli abbia intenzione conforme all’obbligo che gli corre, quella cioè di darci a conoscere il testo, non di regalarcene egli uno del suo (Berchet 1816, 10).

Prendo a prestito le parole che Giovanni Berchet mette in bocca a Grisostomo per introdurre la questione – molto frequentata e dibattuta, sul fronte teorico come sul fronte della pratica ermeneutica – della traduzione da una lingua a un’altra, ovvero da una cultura all’altra. Nel caso di Grisostomo, la discussione verte principalmente sull’opportunità di usare versi per tradurre testi in versi, piuttosto che renderli in prosa, sottolineando come nel primo caso si rischi di scostarsi eccessivamente dai contenuti originali, e che invece usando la prosa, fuori dai vincoli formali – spesso locali – della poesia, si possa restare più fedeli ai contenuti. Il problema si pone, per altre ragioni, quando il testo originale presenta molteplici livelli di lettura, con giochi di parole, allitterazioni, riferimenti a modi di dire che perdono il loro significato nella traduzione letterale. Esemplare, a questo proposito, il caso di Alice e delle sue traduzioni in lingua italiana, che sono più di cinquanta – un caso ampiamente studiato per le rese diversissime operate dai traduttori (sullo stato attuale vd. Regattin 2008 e Berrani 2017 con bibliografia). In questa breve nota, pertanto, e per non perdersi nella foresta di infinite sub/para/traduzioni che vedremo, mi limiterò a confrontare alcune traduzioni e adattamenti, evidenziandone i passaggi particolarmente interessanti e le implicazioni per il lettore. Sono sedici le edizioni qui analizzate, scelte seguendo alcuni dettami: per importanza storica (Pietrocola 1872, Cagli 1808, Spaventa 1913); per autorevolezza e diffusione con e senza apparati critici e testi a fronte (Bossi 1945, Valente 1962, D’Amico 1971, Busi 1988, Ceni 2003); infine, senza entrare nel merito della qualità, per dare conto delle variazioni nel tempo con altri esempi coevi a quelle già citate (Giglio 1950, Ziliotto 1969, Graffi 1989, Angelini 1992, Battistutta 1995, Faini 1995, Serpieri 1995 e Laboratorio 2003).

La prima edizione inglese Macmillan (1865/1866) a confronto con la prima edizione italiana della stessa casa editrice (1872).

La prima decisione, la più appariscente, riguarda il titolo. Quello originale, Alice’s Adventures in Wonderland, risulta rispettato nelle prima storica traduzione di Teodorico Pietrocola-Rossetti, italiano espatriato in Inghilterra a seguito dei moti risorgimentali. Ospite tra il 1851 e il 1857 nella casa londinese dello zio, il poeta Gabriele Pasquale Giuseppe Rossetti, di cui prenderà anche il cognome aggiungendolo al proprio, il Pietrocola entra a contatto con il circolo letterario e artistico di casa Rossetti e conosce personalmente Charles Lutwidge Dodgson, più noto con lo pseudonimo Lewis Carroll, amico del cugino, il pittore Dante Gabriele Rossetti. Le sue Le Avventure d’Alice nel Paese delle meraviglie, che escono a Londra nel 1872 presso la stessa casa editrice – Macmillan – e con lo stesso formato, copertina e illustrazioni di John (Giovanni) Tenniel (nome italianizzato come d’uso al tempo) della prima edizione inglese del 1865/1866, sono l’unica traduzione personalmente approvata dall’autore. Il volume esce in contemporanea, con una tiratura limitata, anche in Italia, a Torino, presso la casa editrice Loescher.

Confronto tra copertine e frontespizi delle edizioni Heinemann (1907) e Istituto italiano di arti grafiche (1908) e uno dei disegni di Arthur Rackham.

Tutte le altre traduzioni vengono realizzate dopo che, nel 1907, cessarono i diritti d’autore per l’opera. Non a caso la traduzione storica più nota, presentata come prima traduzione italiana a causa della scarsa circolazione della precedente (vengono citate le versioni francesi e tedesca del 1869, ma ignorata quella del Pietrocola), è quella pubblicata nel 1908 dall’Istituto italiano di arti grafiche col titolo Nel Paese delle meraviglie. La traduzione è di Emma Cagli e le illustrazioni di Arthur (Arturo) Rackham, le stesse presenti nell’edizione del 1907 della casa editrice Heinemann. In questo caso, il titolo è ridotto all’osso: scomparso il nome della protagonista, scomparso il riferimento alle avventure, rimane solo il riferimento alla localizzazione. Come osserva Caterina Sinibaldi, nel 1908 il nome ‘Alice’ non era affatto comune in Italia e la scelta di ometterlo dal titolo serve a ridurre gli elementi estranei al lettore (Sinibaldi 2008, 187). Lo stesso frontespizio chiosa che il testo è “fatto italiano, chiarendo l’intenzione di addomesticarlo per renderlo adatto a un pubblico italiano e infantile: nella nota iniziale la Cagli sottolinea la necessità di “sostituire” i giochi di parole intraducibili, come anche nel testo alle “poesie del repertorio infantile inglese, che Alice, nel sogno, recita sbagliandole, fanno riscontro nella traduzione altre poesie che i bambini italiani facilmente riconosceranno”. Ed ecco che al posto della parodia di Against Idleness and mischief di Isaac Watts (“How doth the little crocodile”) nel secondo capitolo Alice recita una sconclusionata versione de La farfalletta di Luigi Salier (“La vispa Teresa”). Scompare il poema iniziale, sostituito da un componimento moralistico di mano della traduttrice con riferimenti ad altri classici dell’infanzia “Giannetto, Pinocchio e Ciondolino” (Vagliani 1998, 67-68). Vediamo già in queste prime due versioni i due poli fra cui le redazioni italiane si muovono: quella della traduzione filologica, che spesso necessita di note per spiegare i riferimenti non immediatamente intellegibili per il lettore straniero; e quella dell’adattamento, con ampia libertà che il traduttore si concede nell’introdurre nuovi giochi di parole e proverbi senza alcuna correlazione diretta con l’originale inglese, adottati con l’intenzione evidente di rendere il testo ammiccante e più familiare per il lettore – un’opzione che fra tutte le possibili interpretazioni offerte dall’originale sceglie il registro del libro per bambini e si interessa solo di mantenerlo fruibile e godibile per quel pubblico specifico.

Le due varianti di copertina per l’edizione dell’Istituto editoriale italiano, volume 5 della collana “La Biblioteca dei Ragazzi”, antiporta e pagina del titolo con grafica di Duilio Cambellotti e una delle immagini di Riccardo Salvadori.

Mantenendo l’attenzione sulla resa del titolo, è con la terza edizione del 1913, ufficialmente anonima ma generalmente attribuita a Silvio Spaventa Filippi, curatore della collana “La Biblioteca dei Ragazzi” (di cui il nostro testo compare come quinto volume), che entra in uso anche in Italia il titolo ridotto Alice nel Paese delle meraviglie. Si tratta della prima edizione italiana che usi illustrazioni inedite, dieci tavole a colori di Riccardo Salvadori che devono molto come ispirazione a quelle di Tenniel e di Rackham. Il volume contiene, per la prima volta in italiano, anche il seguito del 1871, Through the Looking-Glass, and What Alice Found There, che essendo la vera novità viene anteposto al primo come Alice nel Paese delle specchio. Va notato che la collana dell’Istituto editoriale italiano “La Biblioteca dei Ragazzi”, lanciata proprio nel 1913, ma con i volumi privi di data, aveva varie versioni dei singoli volumi. La versione ‘lusso’ prevedeva la copertina rivestita di seta gigliata e la sovracoperta, mentre altre versioni erano solo in cartoncino. Un dato interessante è che nella collana sono presenti due versioni del libro di Carroll, identiche nel contenuto, ma diverse nella copertina e soprattutto nel titolo che sulla copertina compare: esiste infatti un’altra edizione con copertina in cartoncino verde che presenta come titolo Le Avventure di Alice, titolo presente peraltro nelle testatine dell’intero libro in entrambe le versioni, diviso nelle due sezioni “Alice nel Paese dello specchio” e “Alice nel Paese delle meraviglie”. La mia ipotesi, fondata sulla corrispondenza fra il titolo della versione verde e i titoli correnti, è che Le Avventure di Alice siano il primo titolo dato al volume, modificato in un secondo tempo in quello che diventerà canonico di Alice nel Paese delle meraviglie che però compare nella pagina del frontespizio di entrambe le edizioni, nella mirabile veste grafica curata da Duilio Cambellotti, autore dell’antiporta e dell’immagine di frontespizio comune a molti volumi della collana.

Il titolo ridotto diverrà di fatto lo standard sia per il primo racconto che per l’insieme dei due tanto in italiano che in inglese, a partire dal musical del 1886 di Henry Savile Clarke e Walter Slaughter, liberamente tratto da entrambi. Unica eccezione nel panorama italiano è quella dell’edizione di Marina Valente del 1962 che elimina il riferimento al “Paese delle meraviglie” e che intitola La meravigliosa Alice – edizione per la quale Oreste Del Buono cura gli apparati con l’edizione della corrispondenza di Carroll con alcune sue piccole amiche.

Dato che il testo originale di Lewis Carroll è di pubblico dominio sin dal 1907 e che i diritti sulle edizioni esistenti sono riservati, per le case editrici che intendono pubblicarlo in italiano è sufficiente provvedere a una nuova traduzione. Se guardiamo la progressione delle versioni, notiamo che per mezzo secolo le case editrici riversano sul mercato ondate di traduzioni diverse. A partire dagli anni Cinquanta del Novecento – e non si deve dimenticare che il film di animazione di Walt Disney è del 1951 – scorrendo rapidamente il catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale scopriamo che ci sono oltre quattrocento edizioni registrate. Questa lista, già enorme, non tiene conto degli infiniti adattamenti, come quelli all’interno di collezioni e raccolte di fiabe per bambini, quelli ricavati dalla trama dei film, le versioni ‘raccontate’, abbreviate, semplificate, che raddoppiano abbondantemente il già imponente numero delle edizioni italiane. Anche togliendo le schede duplicate, possiamo registrare che, negli ultimi sessant’anni, ogni anno sia uscita almeno una edizione di Alice, e più spesso due o tre per anno. Diventa però molto difficile individuare il traduttore, che a differenza dell’illustratore raramente trova posto nella copertina. Con la grande disponibilità di traduzioni e l’assenza di costi per i diritti sul testo originale, Alice si presta facilmente a nuove ‘traduzioni’ con la tecnica montiana del “gran traduttor dei traduttor”, collazione e adattamento di versioni precedenti, e gli editori puntano quasi sempre a distinguersi grazie a nuove illustrazioni tenendo il testo, ormai noto nella trama, quasi come un accessorio neanche troppo necessario. Fanno eccezione le versioni ‘d’autore’, come quella curata da Aldo Busi per Arnoldo Mondadori nel 1988 e poi ristampata in una dozzina di edizioni da Feltrinelli e Rizzoli, anche con testo a fronte e su cui torneremo in seguito. Nella maggioranza dei casi il nome del traduttore compare marginalmente nel colophon, al punto da non essere nemmeno riportato in OPAC e rendere quasi impossibile individuare se in una nuova edizione sia stata riadottata una traduzione ‘classica’ – come possono essere quelle di Masolino d’Amico o di Elda Bossi – o sia stata redatta una nuova versione, come accade soprattutto quando si tratta di piccoli editori indipendenti che non possiedono i diritti di traduzioni storiche, che sono appannaggio delle grandi case editrici.

In questo panorama, in cui le traduzioni sembrano fra loro interscambiabili, anche reperire fisicamente le varie edizioni nelle biblioteche o nelle librerie è molto difficile. Le biblioteche, infatti, tendono a non acquistare duplicati dei libri posseduti (e quindi se già possiedono una traduzione non ne acquistano una diversa) e non sempre indicano online i libri acquisiti prima dell’introduzione, negli anni Novanta del Novecento, del catalogo informatico (per cui le edizioni precedenti agli anni Trenta del Novecento sono ancora più difficili da individuare). Questo significa che delle quasi sessanta traduzioni registrate (e l’elenco non è completo) di cui esistono molteplici edizioni, solo una minima parte è rintracciabile a catalogo. Anzi, chiedendo una edizione specifica da recuperare in prestito interbibliotecario, capita spesso che venga proposta in sostituzione una delle edizioni locali, di altro traduttore. Alice inoltre non è solo un libro da libreria, ma è diventato un ‘allegato’ da giornale in edicola, quando non addirittura il premio spesa del supermercato, con una diffusione molto limitata nel tempo di particolari edizioni minori.

Ma è davvero così indifferente la traduzione? Ovviamente, come molti esperti hanno dimostrato, no. E nel caso di Alice in particolare. Di fatto quelle che potremmo reintitolare “le avventure di Alice nel Paese delle traduzioni” sono tante e diverse quante le traduzioni stesse, al punto che esse stesse sono diventate oggetto di studio. Per chiarire le oggettive difficoltà che incontra il traduttore nel lavorare con il testo, ma soprattutto con i metatesti presenti nel racconto, provo a proporre il confronto tra alcune traduzioni soltanto relativamente ai nomi di alcuni dei personaggi principali e ai titoli di alcuni dei capitoli.

Il lori, da A.E. Brehm La vita degli animali, vol. 3, Gli uccelli, Torino-Napoli 1870, 63.

I nomi che Lewis Carroll usa per buona parte dei suoi personaggi sono nomi comuni resi propri, antonomastici. Le differenze nella traduzione sono legate alla evoluzione della lingua italiana. Un esempio è Mouse, che nelle prime due edizioni è Sorcio, ma si stabilizza come Topo in tutte le versioni successive. Duck alterna la lezione Anitra e Anatra, con la sola eccezione, fra i testi da me consultati, della Papera messa da Paola Faini (Faini 1995). Il Dodo, che corrisponde al termine italiano, viene reso con il nome, ora meno comune, di Dronte da Pietrocola e Spaventa, mentre Valente (1962) usa Dindo – che dovrebbe però essere un tacchino – e Ziliotto (1969) propone “una specie di Piccione”. L’animale con più variazioni sembra essere il Lory, tradotto sia con il termine in uso nell’Ottocento di Lori (Pietrocola 1872, Spaventa 1913, Valente 1962, Angelini 1992, Laboratorio 2003), che con quello di Pappagallo (Cagli 1908, Giglio 1950, Ziliotto 1969, D’Amico 1971, Battistutta 1995, Faini 1995 “Pappagallino”), Pappagallo Lorichetto (Bossi 1945) o semplicemente Lorichetto (Busi 1988, Graffi 1989, Serpieri 1995, Ceni 2003). Infine Eaglet rimane sempre e comunque Aquilotto, Caterpillar è per tutti Bruco, come Hatter è sempre il Cappellaio, Dormouse sempre Ghiro e Gryphon il Grifone. Semplice e uniforme anche la traduzione di Duchessa, Regina, Fante e Re di Cuori, visto l’uso comune e continuativo dei termini in entrambe le lingue. Più problematica la situazione del White Rabbit: il Coniglio Bianco, non tanto per la traduzione del nome all’interno del libro (solo Pietrocola 1872 usa “bianco” minuscolo aggettivo) quanto perché nel IV capitolo leggiamo che c’è il suo nome nella targhetta di casa, con l’indicazione “W. Rabbit”, come se White fosse il nome proprio e Rabbit il cognome. La cosa funziona molto bene in inglese, dove gli aggettivi precedono i sostantivi come i nomi precedono i cognomi. Funziona un po’ meno bene in italiano, dove le traduzioni alternano “Coniglio B.” (Pietrocola 1872, Bossi 1945, Giglio 1950, Griffi 1989, Angelini 1992, Faini 1995), e “B. Coniglio” (Cagli 1908, Ziliotto 1969, Busi 1988, Serpieri 1995 con le varianti “G. Coniglio” in Spaventa 2013 e “W. Coniglio” in Ceni 2003), come se il nome fosse Bianco e il cognome Coniglio, invertita rispetto all’uso comune. Si scostano solo D’Amico 1971 e Laboratorio 2003 che preferiscono “C. Bianco”, dove Coniglio è il nome proprio e Bianco il cognome. Interessante infine la scelta dell’adattamento italiano della versione animata, dove si preferisce un portmanteau “Bianconiglio” (Bonelli 2007, 45), che rispetta l’ordine delle parole dell’originale inglese ed usa una tecnica particolarmente cara a Lewis Carroll. Altri personaggi hanno nomi in parte antonomastici, ovvero Cheshire Cat, March Hare e Mock Turtle, ma in questi casi il nome e l’appellativo insieme servono per richiamare nel lettore del tempo un insieme di altri significati, non palesabili nella traduzione se non con note. Significati che, in assenza della tradizione carrolliana, non sarebbero ora evidenti nemmeno al lettore inglese. Infatti la tradizione secondo cui le lepri a marzo, stagione degli amori, sarebbero folli, risale ad un tempo in cui le lepri potevano essere viste libere mentre saltellavano nei prati primaverili, visione ben rara ai nostri giorni per la persona comune. Le traduzioni sono comunque abbastanza allineate sul termine Lepre Marzolina, con minime varianti in Lepre di Marzo (Spaventa 1913) o Leprotto Marzolino (Graffi 1989, Serpieri 1995) e Lepre Marzola (Ceni 2003). Si distingue nella serie la volontà di esplicitare l’elemento della follia nella traduzione del Laboratorio di traduzione sperimentale Bokos del 2003 che inventa un Lepromatto di Marzo. Ben più complesso il problema sollevato dal termine Cheshire Cat, che faceva riferimento ad un modo di dire attestato “grin like a Cheshire cat”, ghignare come un gatto del Cheshire, usato appunto per indicare una persona che ride mostrando denti e gengive (A Classical Dictionary of the Vulgar Tongue, 1788). Dopo il tentativo di Pietrocola 1872, ripreso da Spaventa 1913, di coniare il termine Ghignagatto (una soluzione simile sarà poi usata nella traduzione Disney del film di animazione con un altro portmanteau, lo “Stregatto”), le poche soluzioni che non si limitano a lasciare “Gatto del Cheshire” sono diversissime: la Cagli 1908 propone una etimologia simil scientifica facendo dire alla Duchessa che “è un felis catus, un gatto felice”, giocando sull’assonanza tra i termini latini felis (genere dei felini) e felix (fortunato, felice); Giglio 1950 gli aggiorna la razza in Gatto Persiano, infine Busi 1988 inventa il Chiantishire, sostituendo al ‘Che’ abbreviazione di ‘Chester’, Che(ster)-shire – contea di Chester, la località italiana Chianti. Infine l’allusione alla base del nome “Mock Turtle”, spiegata poche righe dopo dalla Regina in persona “It’s the thing Mock Turtle Soup is made from” – “è la cosa di cui è fatta la zuppa surrogata di tartaruga”, crea nuovamente una serie di problemi tecnici ai traduttori perché l’ordine dei termini inglesi permette di unire “Mock Turtle” (Tartaruga surrogata) dividendo il soggetto “Turtle Soup”, cosa che con l’italiano non è immediatamente comprensibile. Rimando al saggio di Roberto Masiero in questo stesso numero per gli approfondimenti relativi alla pietanza a cui si fa allusione, e mi limito a parlare delle scelte dei traduttori. Dopo la proposta di Pietrocola 1872 (anche qui ripreso da Spaventa 1913) di Falsa-Testuggine, etimologicamente scorretta, la maggior parte dei traduttori si limita ad una Finta Tartaruga o a una Tartaruga Finta, ad eccezione di Busi 1988 che introduce la Tartaruga d’Egitto (con riferimento all’uso della locuzione ‘d’Egitto’ per indicare cose strane o improponibili), Graffi 1989 che inventa il Vitello Similtartaruga, Angelini 1992 che ha la Pseudotartaruga e il Laboratorio 2003 che crea Fintartar Ugo. Va da sé che in questo caso il lettore madrelingua attuale non gode di una maggiore familiarità con la pietanza in oggetto di quello italiano, e purtroppo il gioco di riferimenti va perso con l’evoluzione delle tradizioni culinarie.

Esistono però anche nomi propri nel testo di Lewis Carroll, oltre naturalmente a quello della protagonista Alice. Uno è quello della gatta Dinah, che mantiene il suo nome, con o senza ‘h’ finale per tutti, tranne per Busi 1988 che preferisce chiamarla semplicemente Micia. Ma sono i nomi dei due sfortunati assistenti del Coniglio Bianco, Pat e Bill, che presentano la più grossa sfida. Non tanto per il nome in sé, quanto perché il secondo viene inserito da Carroll nel gioco di parole presente nel titolo del capitolo IV “The Rabbit Sends in a Little Bill”, che si può leggere sia come “Il coniglio manda un piccolo conto/una piccola nota” o come “Il coniglio manda un piccolo Bill”, dato che Bill è sia il diminutivo del nome proprio William che il conto o la nota. La scelta di mantenere o perdere questo riferimento si riflette nella scelta di tradurre il nome. Pat e Bill diventano così Gianni e Tonio la Lucertola ne “La casettina del Coniglio” (Pietrocola 1872), Gianni e Cri-Cri il piccolo Ramarro ne “La volata di Cri-Cri” (Cagli 1908), Pietro e Guglielmo nuovamente ne “La casettina del Coniglio” (Spaventa 1913), Nane e Billy, “Billyetto cento grammi di ramarro” in “Senza Billyetto non si può entrare” per Busi 1988 che è di fatto l’unico a tentare il gioco di parole, mentre è più fedele al titolo originale Angelini 1992 che prova con Bill – Billino il lucertolino e titola “Il Coniglio manda dentro un certo Billino”. Tra le traduzioni recenti, il solo a scegliere una resa diversa per il nome di Bill è Ceni 2003 che lo chiama Mino (da Guglielmino), e cambia il titolo in “Il Coniglio inoltra un piccolo Mino”, lasciando alle note la spiegazione del gioco di parole.

Concludo la mia rapida carrellata sulle traduzioni italiane a ritroso, analizzando il titolo del primo capitolo, “Down the Rabbit-Hole”. Se escludiamo la traduzione di Pietrocola del 1872 “Giù nella Conigliera” mutuata anche da Spaventa 1913, benché il termine sia più riferibile ad animali allevati che non alle tane nel terreno, la maggior parte delle traduzioni riportano “(Giù) Nella tana del Coniglio”, “Dentro la tana del Coniglio”, questo nonostante il titolo parli di “rabbit-hole” e non di “rabbit burrows”. La distinzione è, per la lingua inglese, abbastanza precisa e, curiosamente, possiamo trovare una sentenza quasi coeva all’opera di Lewis Carroll dove si discute sul fatto che “rabbit-hole” non sia necessariamente sinonimo di “rabbit burrow”, termine che indica le tane dei conigli scavate nella terra, in quanto può indicare anche buche non necessariamente abitate da conigli. E, in effetti, non di una tana in sé, ma dell’accesso ad un intero mondo all’interno del quale lo stesso coniglio ha la sua tana/casetta. Non a caso, nella lingua inglese corrente, il termine Rabbit-Hole ha perso qualsiasi connessione con le tane dei conigli per diventare la metafora di qualsiasi passaggio verso un mondo alternativo.

“Segui il coniglio bianco”: fotogramma da The Matrix, 1999.

Traduzioni consultate
  • Pietrocola 1872
    Le avventure d'Alice nel Paese delle meraviglie di Lewis Carroll, tr. T. Pietrocola-Rossetti, London/Torino 1872.
  • Cagli 1908
    L. Carroll, Nel Paese delle meraviglie, tr. E.C. Cagli, Bergamo 1908.
  • Spaventa 1913
    Alice nel Paese delle meraviglie di Lewis Carroll, tr. anonima [sed S. Spaventa Filippi], Milano s.d. [sed 1913].
  • Bossi 1945
    L. Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie, tr. E. Bossi, Firenze 1945.
  • Giglio 1950
    L. Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie, tr. T. Giglio, Torino 1950.
  • Valente 1962
    L. Carroll, La meravigliosa Alice, tr. M. Valente, Milano 1962.
  • Ziliotto 1969
    L. Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie, tr. D. Ziliotto, Firenze 1969.
  • D'Amico 1971
    L. Carroll, Alice: Le avventure di Alice nel Paese delle meraviglie & Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò, tr. M. D'Amico, Milano 1971.
  • Busi 1988
    L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, tr. A. Busi, Milano 1988.
  • Graffi 1989
    L. Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie; Attraverso lo specchio, tr. M. Graffi, Milano 1989.
  • Angelini 1992
    L. Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie, tr. L. Angelini, Trieste 1992.
  • Battistutta 1995
    L. Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie, tr. L. Battistutta, Pordenone 1995.
  • Faini 1995
    L. Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio, tr. P. Faini, Roma 1995.
  • Serpieri 1995
    L. Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle meraviglie, tr. A. Serpieri, Firenze 1995.
  • Ceni 2003
    L. Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle meraviglie e Al di là dello specchio, tr. A. Ceni, Torino 2003.
  • Laboratorio 2003
    L. Carroll, Alice nel Paese delle meraviglie, tr. Laboratorio di traduzione sperimentale Bokos, Novara 2003.
Bibliografia critica
English abstract

Translating a text into a different language is never simple. But when the text is a masterpiece filled with double meanings, puns and references to rhymes or common saying like Lewis Carroll’s Alice’s adventures in wonderland, translators struggle to find the balance between making the book enjoyable even to young readers, and be true to the words. This small note tries to point out some of the difficulties in translating the names of the characters through more than a century of Italian translations, underlying that not even the simplest names, Pat and Bill, can be translated as they are without a great loss for the Italian readers.

keywords | Alice’s Adventures  in Wonderland, translation. 

Per citare questo articolo: Elisa Bastianello, Lost in translation. Alice nel Paese delle traduzioni (italiane), “La Rivista di Engramma” n. 161, dicembre 2018, pp. 215-227. | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2019.161.0009