"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Gilles Deleuze
I misteri di Arianna secondo Nietzsche 

a cura di Michela Maguolo

English abstract

Bien plus : il n’y a pas de ‘chose’, mais seulement
des interprétations, et la pluralité de sens.
Gilles Deleuze, Conclusions sur la volonté de puissance. 

Nel 1963 Gilles Deleuze dedica un saggio alla figura di Arianna quale emerge dagli scritti di Friedrich Nietzsche. Come il titolo Mystère d’Ariane selon Nietzsche suggerisce, si tratta del disvelamento del senso profondo, dell’ermeneutica nascosta della figura del mito secondo Nietzsche, del suo essere ‘doppia conversione’ dalla negazione all’affermazione, e non tanto del tema teoretico assoluto della trasmutazione del nichilismo. Avverte infatti Deleuze:

Notre objet n’est pas d’analyser cette transmutation du nihilisme, cette double conversion, mais de chercher seulement comment le mythe d’Ariane l’exprime (Deleuze [1963] 1993).

Si ripropone qui il saggio in una nuova traduzione in cui si è voluto dare evidenza alla lettura deleuziana di alcuni passi di Nietzsche. Al saggio del 1963, accostiamo poi un altro scritto di Deleuze su Arianna: un paragrafo del volume dedicato a Nietzsche nel 1962 (Deleuze 1962), in cui è invece approfondito il tema della trasmutazione e della doppia affermazione, proprio nel rapporto Arianna-Dioniso.

Mystère d’Ariane selon Nietzsche esce nel 1963 nel “Bulletin de la Société Française d’études nietzschéennes”, a un anno di distanza da Nietzsche et la Philosophie, l’opera con cui ha inizio il percorso esplorativo di Deleuze nel pensiero nietzschiano (preceduta da un breve saggio, Sens et valeur, nella rivista “Arguments” nel 1959 in cui è affrontato il tema della pluralità dei sensi e delle interpretazioni), un percorso che avrà come tappe il convegno di Royaumont del 1964 (VIIe Colloque philosophique international de Royaumont: “Nietzsche”, 4-8 luglio 1964: Deleuze 1967), il volumetto Nietzsche : sa vie, son œuvre, avec un exposé de sa philosophie (Paris 1965), la curatela, con Michel Foucault, della nuova edizione francese dell’opera omnia di Nietzsche, basata sulle trascrizioni e il riordino dei manoscritti di Nietzsche da parte di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, che esce a partire dal 1967 per i tipi di Gallimard, in contemporanea con l’edizione tedesca di Gruyter, mentre l’edizione italiana aveva già prodotto nel 1964 la pubblicazione di Aurora e Frammenti postumi 1879-81. Questo percorso culminerà in Différence et répétition (Paris 1968), “il teatro meraviglioso”, lo definirà Michel Foucault, “dove si muovono, sempre nuove, le differenze che noi siamo, che mettiamo in atto, fra le quali ci muoviamo” (Foucault [1969, 1994] 2018). Un percorso che insieme a quello intrapreso da altri pensatori e autori francesi, Pierre Klossowski in testa, dà vita in Francia, nel corso degli anni Sessanta del Novecento, al “ritorno a Nietzsche”.

Molto acceso è il dibattito intorno a Nietzsche in Francia, già a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento tanto da divenire oggetto di studio  fin dal 1929, quando la germanista Geneviéve Bianquis pubblica Nietzsche en France. L’influence de Nietzsche sur la pensée française (Bianquis 1929). Il complesso rapporto del pensiero e della cultura francese con Nietzsche è stato oggetto di analisi sistematica da parte di Jacques Le Rider che nel 1999 ricostruisce il denso tessuto di fili filosofici e letterari che nel corso di un secolo si sono intrecciati in Francia intorno alla figura di Nietzsche, fra traduzioni e interpretazioni, letture e citazioni (Le Rider 1999). A questo sono seguiti ulteriori studi (fra i tanti, Schober 2000, Verbaere 2003) che hanno indagato forme e modi della recezione di Nietzsche in Francia. 

L’interesse verso Nietzsche tuttavia non ha seguito in Francia una curva uniforme, ma ha registrato fasi di maggiore e minore vivacità. Fra gli ultimi anni del XIX secolo e i primi del XX, una prima edizione dell’opera completa di Nietzsche appare nella traduzione di Henri Albert per la casa editrice Mercure de France (traduzione che rimarrà il riferimento in lingua francese fino all’edizione Gallimard) e la figura di Nietzsche sarà al centro della “Nouvelle Revue Française” di André Gide. Fra gli anni Trenta e Quaranta la stessa Bianquis traduce Der Wille zur Macht (Volonté de Puissance, Paris, 1935; 1937), Henri Lefebvre pubblica Nietzsche (1939), e Georges Bataille Sur Nietzsche (1944). Negli anni Sessanta e Settanta, la figura di Nietzsche torna al centro dell’attenzione con gli scritti di Deleuze, la nuova edizione dell’opera completa, il convegno di Royaumont a cui partecipano fra gli altri Karl Löwith, Colli e Montinari, Foucault, Gianni Vattimo e Pierre Klossowski, la pubblicazione da parte di quest’ultimo, nel 1969, di Nietzsche et le cercle vicieux. Arriviamo infine ai primi anni Settanta quando, in parziale polemica con le posizioni precedenti, Jacques Derrida nel 1972 pronuncia il discorso Éperons (Derrida 1978). 

In un’intervista del 1967, Deleuze riconduce il “ritorno a Nietzsche”, che in qualche modo egli stesso ha contribuito a promuovere, a un’esigenza di pensiero non storico, non dialettico, alla riscoperta dell’inattuale, l’intempestif, ovvero di una dimensione che è insieme nel tempo e contro il tempo, fuori sia dalla storia, intesa anche dialetticamente, che dall’eternità, a cui la vita come interpretazione attinge:

La raison du ‘retour à Nietzsche’, c’est peut-être la redécouverte de cet intempestif, de cette dimension distincte, à la fois, de la philosophie classique dans son entreprise ‘éternitaire’ et de la philosophie dialectique dans sa comprénsion de l’histoire: un élément singulier de trouble (Deleuze [1967] 2002, 180).

Le Surhomme. Contre la dialectique” è il titolo del capitolo con cui si chiude Nietzsche et la philosophie, nel quale Deleuze affronta il tema della doppia figura di Arianna e Dioniso, spiegando che “A la dualité métaphysique de l’apparence et de l’essence, et aussi à la relation scientifique de l’effet et de la cause, Nietzsche substitue la corrélation du phénomène et du sens” (Deleuze [1962] I, 2). E a questa correlazione, che muta continuamente, perché ogni fenomeno muta di senso a seconda delle forze che se ne impadroniscono, corrisponde la coppia Dioniso-Arianna: la relazione, il nesso, la complementarietà, il fenomeno e il senso, la doppia affermazione. Scrive Deleuze:

A l’antithèse Dionysos-Apollon, dieux qui se réconcilient pour résoudre la douleur, se substitue la complémentarité plus mystérieuse Dionysos-Ariane; car une femme, une fiancée, sont nécessaires quand il s’agit d’affirmer la vie (Deleuze 1962, I, 6).

Arianna è dunque la seconda affermazione. L’affermazione nella sua potenza, spiega Deleuze, è duplice: la prima affermazione in quanto divenire è essere solo come oggetto della seconda affermazione, e le due affermazioni insieme costituiscono la potenza affermativa. Il paragrafo dedicato ad Arianna, “La double affirmation: Ariane” esamina i passaggi attraverso cui Nietzsche costruisce la doppia affermazione e il ruolo di Arianna: “L’affirmation première est Dionysos, le devenir. L’affirmation seconde est Ariane, le miroir, la fiancée, la réflexion” (Deleuze 1962, V, 12). Arianna specchio, dunque, Arianna riflessione, e – prima e dopo di tutto – Arianna ‘sposa promessa’.

L’Arianna della doppia affermazione non è più l’immagine femminile dell’uomo, ma la potenza femminile emancipata, l’Anima. Così viene infatti descritta nel “Dictionnaire des principaux personnages de Nietzsche”, che Deleuze include nel suo Nietzsche. Sa vie, son œuvre avec un exposé de sa philosophie del 1965:

Ariane (et Thésée). — C’est l’Anima. Elle fut aimée de Thésée, et l’aima. Mais alors précisément, elle tenait le fil, elle était un peu Araignée, froide créature du ressentiment. Thésée est le Héros, une image de l’Homme supérieur. Il a toutes les infériorités de “ l’Homme supérieur ” : porter, assumer, ne pas savoir dételer, ignorer la légèreté. Tant qu’Ariane aime Thésée, et en est aimée, sa féminité reste emprisonnée, liée par le fil. Mais quand Dionysos-Taureau approche, elle apprend ce qu’est la véritable affirmation, la vraie légèreté. Elle devient l’Anima affirmative, qui dit Oui à Dionysos. A eux deux, ils sont le couple constituant de l’éternel Retour, et engendrent le Surhomme. Car : “ quand le héros a abandonné l’âme, c’est alors seulement que s’approche en rêve le surhéros ” (Deleuze 1965, 44).

In Différence et répétition, opera in cui le questioni sollevate nei saggi su Nietzsche – il ritornare dell’affermazione, il riprodursi della differenza – si ripresentano in forma più complessa e compiuta, Deleuze non indugia più che tanto sulla figura di Arianna, differenza in quanto ‘sposa promessa’ che passa da Teseo a Dioniso, dal “principio che fonda allo ‘sprofondarsi’ universale” (Deleuze [1968] 1972, 434, 438). È invece Michel Foucault che, nel recensire il volume su “Le Nouvel Observateur”, sintetizza il senso dell’opera di Deleuze facendolo precipitare nell’immagine di un’Arianna impiccata, di un corpo che gira su se stesso intorno al filo spezzato dell’identità, della conoscenza, della memoria, di un labirinto in cui Teseo, divenuto il Toro, si perde.

Lasse d’attendre que Thésée remonte du Labyrinthe, lasse de guetter son pas égal et de retrouver son visage parmi toutes les ombres qui passent, Ariane vient de se pendre. Au fil amoureusement tressé de l’identité, de la mémoire et de la reconnaissance, son corps pensif tourne sur soi. Cependant, Thésée, amarre rompue, ne revient pas. Corridors, tunnels, caves et cavernes, fourches, abîmes, éclairs sombres, tonnerres d’en dessous : il s’avance, boîte, danse, bondit. Dans la savante géométrie du Labyrinthe habilement centré? Non pas, mais tout au long du dissymétrique, du tortueux, de l’irrégulier, du montagneux et de l’à-pic. Du moins vers le terme de son épreuve, vers la victoire qui lui promet le retour ? Non plus ; il va joyeusement vers le monstre sans identité, vers le disparate sans espèce, vers celui qui n’appartient à aucun ordre animal, qui est homme et bête, qui juxtapose en soi le temps vide, répétitif, du juge infernal et la violence génitale, instantanée, du taureau. Et il va vers lui, non pour effacer de la terre cette forme insupportable, mais pour se perdre avec elle dans son extrême distorsion. Et c’est là, peut-être (non pas à Naxos), que le dieu bachique est aux aguets : Dionysos masqué, Dionysos déguisé, indéfiniment répété. Le fil célèbre a été rompu, lui qu’on pensait si solide ; Ariane a été abandonnée un temps plus tôt qu’on ne le croyait : et toute l’histoire de la pensée occidentale est à récrire (Foucault [1969] 1994, 767-768).

Filo negativo, filo del risentimento, filo morale che, afferma Deleuze, nella trasmutazione diventa il filo dell’affermazione. Ma per diventare tale, deve prima servire ad Arianna per impiccarsi, perché dovrà uccidersi affinché la trasmutazione si compia: “Ariane se pend, Ariane veut perir” (Deleuze 1963, V, 12). E, se l’impiccagione di Arianna è contemplata in alcune varianti del mito come ricorda ancora Deleuze citando il Dionysos di Jeanmaire (Paris 1951), è a Nietzsche che fa comunque riferimento, citando un passo della Volontà di Potenza:

Nous sommes particulièrement curieux d’explorer le labyrinthe, nous nous efforçons de lier connaissance avec M. le Minotaure dont on raconte des choses si terribles ; que nous importent votre chemin qui monte, votre fil qui mène dehors, qui mène au bonheur et à la vertu, qui mène vers vous, je le crains… vous pouvez nous sauver à l’aide de ce fil ? Et nous, nous vous en prions instamment, pendez-vous à ce fil ! (Nietzsche 1935 III 408, in Deleuze 1962 n. 117).

A chiusura di questa presentazione, è necessario fare almeno un cenno alla questione, ermeneutica prima che filologica, delle fonti, un tema spinoso che nell’affrontare la traduzione dei due testi di Deleuze si è manifestato in tutta la sua evidenza. Nel portare in italiano alcuni passi da Nietzsche che Deleuze cita nei suoi saggi, ci si trova davanti alla scelta se restare fedeli al testo originale, e quindi tradurre dal tedesco, o seguire la versione francese proposta da Deleuze, spesso non corrispondente all’originale. In alcuni casi, infatti, la traduzione di una citazione dal tedesco, anziché dal francese, comporta la perdita del significato che Deleuze a quel passo precisamente attribuisce.

Particolarmente significativo al riguardo è il passo da Also Spracht Zarathustra, riportato sia in Mystère che in Nietzsche et la philosophie: “Wer weiss ausser mir, was Ariadne ist”. Deleuze lo riporta in questa forma: “Qui donc sait en dehors de moi, qui est Ariane!” (Deleuze 1962, V, 12), ovvero “Qui, sauf moi, sait qui est Ariane?” (Deleuze 1963, 126), dove il tedesco was, ‘cosa’, è tradotto con qui, ‘chi’. In nessuno dei due testi, Deleuze indica l’edizione francese cui attinge per le citazioni, limitandosi a segnalare il numero di paragrafo dell’opera. Potrebbe trattarsi della traduzione di Henri Albert o di quella di Geneviève Bianquis (Paris, 1935). Tuttavia, il fatto che il passo sia riportato nei due saggi in forma leggermente diversa – “en dehors de moi”, “sauf moi” – potrebbe far pensare a una traduzione dello stesso Deleuze, che viene peraltro riproposta anche nelle successive edizioni di Mystère, fino a Critique et Clinique.

La traduzione di “was ist Ariane” con “qui est Ariane” richiama alla mente la riflessione di Deleuze sul rapporto fra ‘cosa?’ e ‘chi?’ in quello che definisce il “metodo nietzschiano”. Afferma infatti Deleuze in Nietzsche et la philosophie, che mentre la domanda Che cosa? è tipica della dialettica, “Nietzsche crée sa propre méthode: dramatique, typologique, différentielle. Il faut de la philosophie un art, l’art d’interpréter et d’évaluer. Pur toute choses il pose la question: ‘Qui?’” (Deleuze 1962, Conclusion). “La question qui? – afferma ancora Deleuze in Mystère – ne réclame pas des personnes, mais des forces et des vouloirs” (Deleuze 1963, 126).

Questo passaggio dal ‘cosa’ al ‘chi’, dalla logica all’interpretazione, è spiegato più diffusamente nell’intervento conclusivo che Deleuze tiene al VIIe Colloque Philosophique International di Royaumont:

Mais la raison la plus générale pour laquelle il y a tant de choses cachées dans Nietzsche et son oeuvre est méthodologique. Jamais une chose n’a un seul sens. Chaque chose a plusieurs sens qui expriment les forces et le devenir des forces qui agissent en elle. Bien plus : il n’y a pas de ‘ chose ’, mais seulement des interprétations, et la pluralité des sens. Des interprétations qui se cachent dans d’autres, comme des masques emboîtés, des langages inclus les uns dans les autres. M. Foucault nous l’a montré : Nietzsche invente une nouvelle conception et de nouvelles méthodes d’interpréter. D’abord en changeant l’espace où les signes se répartissent, en découvrant une nouvelle ‘profondeur’ par rapport à laquelle l’ancienne s’étale, et n’est plus rien. Mais surtout, en substituant au rapport simple du signe et du sens un complexe de sens, tel que toute interprétation est déjà celle d’une interprétation, à l’infini […]. A la logique se substituent une topologie et une typologie : il y a des interprétations qui supposent une manière basse ou vile de penser, de sentir et même d’exister, d’autres qui témoignent d’une noblesse, d’une générosité, d’une créativité…, si bien que les interprétations jugent avant tout du ‘type’ de celui qui interprète et renoncent à la question : ‘qu’est-ce que ?’ pour promouvoir la question ‘Qui ?’ (Deleuze 1967a, 277).

Chi è Arianna, dunque, per Deleuze: il senso di chi Arianna sia, cambia a seconda di chi l’avvicina: il suo divenire dipende dallo sguardo che su di lei si posa, da chi l’abbandona, da chi di lei si innamora. Non ci sono soggetti, ma solo relazioni.

Canta Dioniso:
Sii saggia Arianna!
Hai piccole orecchie, hai le mie orecchie:
Mettici una parola saggia!
Non si deve cominciare con l’odiarsi, per poi amarsi?
Io sono il tuo labirinto.
 

Come altre donne sono fra due uomini, Arianna è fra Teseo e Dioniso. Passa da Teseo a Dioniso. All’inizio odiava Dioniso-Toro. Ma, abbandonata da Teseo, che pure aveva guidato nel labirinto, è rapita da Dioniso e scopre un altro labirinto. “Chi, all’infuori di me, sa chi è Arianna?”. Cioè: Wagner-Teseo, Cosima-Arianna, Nietzsche-Dioniso? La domanda chi? non implica persone, ma potenze e volontà. Teseo sembra proprio il modello di un testo del secondo libro di Zarathustra, ‘I Sublimi’.

È l’eroe, abile a decifrare enigmi, a muoversi nel labirinto e a sopraffare il toro. Uomo sublime che prefigura la teoria dell’uomo superiore, nel libro IV. Qui è chiamato “il penitente dello spirito”, nome che più tardi sarà assegnato a uno dei frammenti sull’uomo superiore (‘Il Mago’). E i caratteri dell’uomo sublime confermano quelli dell’uomo superiore in generale: il suo spirito grave, la sua pesantezza, il suo piacere nel portare fardelli, il disprezzo per la terra, l’incapacità di ridere e giocare, l’azione vendicativa. È risaputo che per Nietzsche la teoria dell’uomo superiore è una critica che si propone di denunciare la mistificazione più profonda o pericolosa dell’umanesimo. L’uomo superiore pretende di portare l’umanità alla perfezione, al compimento, pretende di recuperare tutte le caratteristiche dell’uomo, superare le alienazioni, realizzare l’uomo totale, porre l’uomo al posto di Dio, fare dell’uomo una potenza che afferma e si afferma.

Ma l’uomo, in verità, per quanto superiore, non sa nulla di ciò che significa affermare. Dell’affermazione non è altro che una caricatura, una maschera ridicola. È convinto che affermare sia prendersi carico, sostenere, sopportare una prova, portare un peso. Valuta la positività secondo la pesantezza del suo carico, e confonde l’affermazione con lo sforzo dei muscoli tesi [1]. È reale tutto ciò che pesa, è affermativo e attivo colui che porta il peso! Così, gli animali dell’uomo superiore non sono il toro, ma l’asino e il cammello, bestie del deserto, che abitano la faccia triste della Terra e sono abituati a portare pesi. Teseo, uomo sublime e superiore, sconfigge il toro, ma gli è così inferiore da non raggiungergli la nuca.

Dovrebbe fare come il toro e la sua felicità dovrebbe avere l’odore della terra, non di disprezzo per la terra. Vorrei vederlo simile a un toro bianco che soffia e muggisce tirando l’aratro; e il suo muggito dovrebbe essere il canto di lode per tutto ciò che è terrestre... Stare fermi senza più tendere i muscoli e con il giogo della volontà staccato: questa è la cosa più difficile per voi, sublimi! (Zarathustra, II, ‘Dei Sublimi’)

L’uomo sublime o superiore sconfigge i mostri, pone gli enigmi ma ignora l’enigma e il mostro che sono in lui. Non sa che affermare non significa portare pesi, caricarsi sulle spalle il giogo, assumere su di sé ciò che è, ma al contrario sciogliere il giogo, liberarsi, scaricare il vivente. Non caricare la vita del peso dei valori superiori, persino eroici, ma creare dei valori nuovi che sono quelli della vita, che donano alla vita l’appellativo di leggera e affermativa. “Deve disimparare il volere eroico: voglio che si senta a suo agio sulle vette e non solo che salga in alto”. Teseo non comprende che il toro (o il rinoceronte) possiede la sola vera superiorità: prodigiosa fiera leggera, nella profondità del labirinto, ma anche a suo agio sulle vette, bestia che scioglie il giogo e dice sì alla vita.

Secondo Nietzsche, la volontà di potenza ha due tonalità: l’affermazione e la negazione. Le forze hanno due qualità: l’azione e la reazione. Quello che l’uomo superiore presenta come affermazione è senza dubbio l’essere più profondo dell’uomo; ma è anche l’estrema combinazione di negazione e reazione, di volontà negativa e forza reattiva, di nichilismo, cattiva coscienza e risentimento. Le forze del nichilismo si fanno trasportare, le forze reattive sono quelle che portano. Da qui, l’illusione di una affermazione, falsa. L’uomo superiore si appella alla conoscenza, pretende di esplorare il labirinto o la foresta della conoscenza. Ma la conoscenza non è altro che la moralità camuffata e il filo del labirinto è un filo morale. La morale a sua volta è un labirinto, travestito da ideale ascetico e religioso. Dall’ideale ascetico a quello morale, dall’ideale morale a quello della conoscenza, si tratta sempre di perseguire il medesimo obiettivo: uccidere il toro, negare la vita, schiacciarla sotto un peso, ridurla alle sue sole forze reattive.

L’uomo sublime non ha più bisogno di Dio per soggiogare l’uomo. L’uomo ha finito con il sostituire Dio con l’umanesimo, l’ideale ascetico con quello morale e della conoscenza. È l’uomo stesso ad addossarsi i pesi, a mettersi il giogo, in nome di valori eroici, di valori umani. L’uomo superiore ha molteplici volti: è l’indovino e i due re, l’uomo della sanguisuga, l’incantatore, il mendicante volontario e l’ombra. Insieme formano una teoria, una serie, una farandola. Si differenziano per il posto che occupano nella fila, per la forma dell’ideale, per il peso specifico di ognuno come agente reattivo, per la loro tonalità di negativo. Alla fine però sono tutti uguali: sono la potenza del falso, una sfilata di falsari, come se il falso rinviasse sempre a un altro falso. Anche l’uomo autentico è un falsario, perché nasconde i motivi della sua ricerca della verità: l’oscuro desiderio di condannare la vita.

Forse solo Melville è paragonabile a Nietzsche per aver dato vita a una prodigiosa catena di falsari, uomini superiori, emanazioni del ‘grande Cosmopolita’ e dunque ognuno a garantire o a denunciare la truffa dell’altro, sempre però con lo scopo di rilanciare la potenza del falso (Melville [1857] 1961). Il falso, così come la simulazione, non è in fondo già implicito nel modello, nell’uomo autentico? Finché Arianna ama Teseo, non può che partecipare all’impresa di negare la vita. Sotto la falsa apparenza dell’affermazione, Teseo, il modello, è la potenza negatrice, lo Spirito della negazione, il grande truffatore.

Arianna è l’Anima, ma è anima reattiva o forza del risentimento. La sua meravigliosa canzone resta un lamento e nello Zarathustra, dove compare per la prima volta, proviene dalle labbra dell’Incantatore, il falsario per eccellenza, l’abietto vegliardo che si nasconde dietro la maschera di una giovane fanciulla. Arianna è la sorella, ma la sorella che prova risentimento nei confronti del fratello, il toro. Tutta l’opera di Nietzsche è pervasa da un appello accorato: diffidate delle sorelle. È Arianna che tiene il filo nel labirinto, il filo della moralità. Arianna è il ragno, la tarantola. E Nietzsche lancia un altro appello: “Impiccatevi a quel filo!” (Nietzsche 1935 vol. II t. 3, par. 408). Toccherà a Arianna avverare la profezia (e infatti, secondo alcuni, Arianna abbandonata da Teseo si impiccherà) (Jeanmaire [1951] 1972, 223). Ma cosa significa: Arianna abbandonata da Teseo? Significa che la combinazione fra la volontà negativa e la forza di reazione, fra lo spirito di negazione e l’anima reattiva non è l’ultima parola del nichilismo. Arriva il momento in cui la volontà di negazione infrange l’alleanza con le forze di reazione, le abbandona e si rivolta contro di esse. Arianna s’impicca, Arianna vuole morire.

Questo è il momento fondamentale, la mezzanotte, che annuncia una doppia trasmutazione, come se il nichilismo, giunto a compimento, cedesse il passo al suo opposto. Le forze reattive, nel momento stesso in cui sono negate, diventano attive; la negazione si converte, diventa il tuono, il suono potente di un’affermazione pura, la forma polemica e ludica di una volontà che dice sì e passa al servizio di un eccesso di vita: il nichilismo, ‘da se stesso vinto’. Non è nostra intenzione analizzare qui questa trasmutazione del nichilismo, questa doppia conversione: vogliamo solo rintracciare il modo in cui essa è espressa nel mito di Arianna. Abbandonata da Teseo, Arianna sente che Dioniso si avvicina. Dioniso-toro è l’affermazione pura e multipla, il vero sì, la volontà di dire sì. Non porta carichi su di sé, e rende leggera ogni forma di vita intorno a lui. Sa fare ciò di cui l’uomo superiore non è capace: ridere, giocare, danzare, cioè affermare. È il Leggero, che non si riconosce nell’uomo, né tanto meno nell’uomo superiore o nell’uomo sublime, ma solo nel super-uomo, nel super-eroe, in ciò che è altro dall’uomo. Era necessario che Arianna fosse abbandonata da Teseo: “Questo è il segreto dell’Anima: solo quando l’eroe l’ha lasciata, le si avvicina in sogno il super-eroe” (Zarathustra, II, ‘Dei Sublimi’).

È sotto la carezza di Dioniso che l’Anima si attiva. Era così pesante con Teseo, diventa leggera con Dioniso, priva di peso, e nella sua inconsistenza sollevata fino al cielo. Impara che quanto fino ad allora credeva essere una vita attiva, altro non era che un atto di vendetta, sfiducia, controllo (il filo), reazione della cattiva coscienza e del risentimento. E, più in profondità, ciò che credeva un’affermazione, non era che un camuffamento, una manifestazione di pesantezza, un modo di credersi forti perché si portano dei pesi. Arianna capisce l’inganno in cui era stata tratta: Teseo non era nemmeno un vero Greco, ma piuttosto, ante litteram, una specie di tedesco che credeva di aver incontrato un Greco [2]. Arianna comprende l’inganno nel momento in cui non se ne cura più. Dioniso, che è un vero Greco, si avvicina, l’Anima diventa attiva nello stesso istante in cui lo Spirito rivela la vera natura dell’affermazione.

Allora, il canto di Arianna acquista tutto il suo senso. Arianna, all’avvicinarsi di Dioniso, si trasforma. Arianna è l’Anima che corrisponde ora allo Spirito che dice sì. Dioniso aggiunge un’ultima strofa al canto di Arianna, che diventa così un ditirambo. In perfetta coerenza con il metodo generale di Nietzsche, il canto cambia di natura e di senso a seconda di chi lo intona: l’incantatore sotto la maschera di Arianna, la stessa Arianna nell’orecchio di Dioniso. Perché Dioniso ha bisogno di Arianna o di essere amato? Egli canta un canto di solitudine, invoca una compagna (Zarathustra, II, ‘Il canto della notte’). Il fatto è che Dioniso è il dio dell’affermazione e ora diventa necessaria una seconda affermazione, perché la prima sia affermata. È necessario che l’affermazione si sdoppi per raddoppiarsi. Nietzsche distingue bene le due affermazioni, quando dice: “Eterna affermazione dell’essere, eternamente io sono la tua affermazione” (Ditirambi di Dioniso, ‘Gloria e eternità’). Dioniso è l’affermazione dell’Essere, ma Arianna è l’affermazione dell’affermazione, la seconda affermazione, o il divenire-attivo. Da questo punto di vista, tutti i simboli di Arianna mutano di senso quando entrano in contatto con Dioniso, mentre con Teseo la loro forma ne veniva distorta.

Non solo il canto di Arianna cessa di essere espressione di risentimento, per diventare ricerca attiva, una domanda che è già un’affermazione (“Chi sei tu?… È me che vuoi? Tutta me?”); ma il labirinto non è più il labirinto della conoscenza e della morale, non è più il cammino che intraprende, tenendosi al filo, colui che va a uccidere il toro. Il labirinto è diventato il toro bianco, Dioniso-toro: “Io sono il tuo labirinto”. Più precisamente, il labirinto è ora l’orecchio di Dioniso, l’orecchio-labirinto. Arianna deve avere le orecchie come quelle di Dioniso, per intendere l’affermazione dionisiaca, ma deve anche rispondere all’affermazione nell’orecchio di Dioniso stesso. Dioniso dice ad Arianna: “Hai piccole orecchie, hai le mie orecchie: mettici una parola saggia!”: sì. Capita a Dioniso di dire ad Arianna, per gioco: “Perché le tue orecchie non sono ancora più lunghe?” [3].

Dioniso le rammenta anche i suoi errori, quando ella amava Teseo e credeva che affermare fosse portare un peso, comportarsi come un asino. In verità, le orecchie di Arianna, con Dioniso, sono diventate piccole, piccole orecchie tonde, propizie all’eterno ritorno. Il labirinto non è più un’architettura, è fatto di suoni, è musicale. È Schopenhauer che definisce l’architettura in funzione di due forze, ciò che porta e ciò che viene portato, il supporto e il peso, anche se le due forze tendono a confondersi. Ma la musica compare dal lato opposto, quando Nietzsche si distacca sempre di più dal vecchio falsario, Wagner l’incantatore. La musica è Leggerezza, pura imponderabilità (Il Caso Wagner). L’intero triangolo amoroso di Arianna non testimonia forse una leggerezza anti-wagneriana, più prossima a Offenbach e Strauss che a Wagner stesso? Il musicante Dioniso è colui che fa danzare i tetti e ondeggiare le travi (Detienne [1986] 1987, 75-76).

Certo, c’è della musica dalla parte di Apollo e di Teseo, ma è una musica che si distingue per territorio, ambiente, attività, ethos: un canto di lavoro, di marcia, di danza, un canto per il riposo, un canto conviviale, una berceuse... quasi dei ‘ritornelli’, ciascuno con il suo peso [4]. Perché la musica si liberi, è necessario passare sull’altro versante, dove i territori tremano, le architetture collassano, gli ethos si mescolano, dove dalla Terra si sprigiona un canto potente, il grande ritornello che trasforma tutte le arie che cattura e restituisce. (v. le diverse strofe dei ‘Sette sigilli’, Zarathustra, III). Dioniso non conosce altra architettura se non quella dei percorsi e dei tragitti. Non è in fondo una caratteristica del Lied uscire dal territorio al richiamo o al soffio di vento della Terra? Ognuno degli uomini superiori lascia il suo dominio e si dirige verso la grotta di Zarathustra. Ma solo il ditirambo si stende sulla Terra e la sposa, tutta intera. Dioniso non ha un suo territorio perché sta ovunque sulla Terra [5]. Il labirinto sonoro è il canto della Terra, il ritornello, l’eterno ritorno in persona.

Ma perché contrapporre i due versanti come vero e falso? Ogni versante non possiede la stessa potenza di falso? e Dioniso non è forse un grande falsario, il più grande in verità, il Cosmopolita? L’arte non è la più elevata forma di potenza del falso? Fra sopra e sotto, un lato e l’altro, c’è una notevole differenza, una distanza che deve essere affermata. È il ragno che continuamente rifà la sua tela, è lo scorpione che non smette di pungere. Ogni uomo superiore ripete come un numero da circo la propria prodezza, cui è saldamente attaccato (ed è così che è organizzato il libro IV di Zarathustra, come un ‘Gala des Incomparables’ in Raymond Roussel, uno spettacolo di marionette o un’operetta). Ognuno di questi mimi si rifà a un modello invariabile, a una forma fissa, che può sempre essere definita vera, benché sia tanto ‘falsa’ quanto le sue riproduzioni. È come il falsario in pittura: ciò che copia dal pittore originale è una forma che può essere attribuita, altrettanto falsa delle copie; ciò che si lascia sfuggire è la metamorfosi, la trasformazione dell’originale, l’impossibilità di assegnargli una forma qualunque, insomma: la creazione. È per questo che gli uomini superiori non sono altro che il gradino più basso della volontà di potenza: “Possano gli uomini più grandi di voi passare al di là! Voi non siete che gradini” (Zarathustra, IV, ‘Il saluto’).

Con loro, la volontà di potenza è solo un voler ingannare, un voler prendere, un voler dominare, una vita malata ormai esausta che non può brandire che delle protesi. Loro stessi sono delle protesi per stare in piedi. Solo Dioniso, l’artista creatore, raggiunge la potenza delle metamorfosi grazie alle quali egli diviene, a testimonianza di una vita che sgorga. Egli porta la potenza del falso a un grado tale da essere raggiungibile non più nella forma ma nella trasformazione: ‘virtù che dona’ o creazione di possibilità di vita e quindi trasmutazione. La volontà di potenza è come l’energia, ed è nobile colui che è in grado di trasformarsi. Bassi e vili sono coloro che non sanno fare altro che camuffarsi, travestirsi, e cioè prendere una forma e attenersi sempre alla stessa forma. Passare da Teseo a Dioniso è per Arianna una questione clinica, di salute, di guarigione. E lo stesso vale per Dioniso. Dioniso ha bisogno di Arianna. Dioniso è l’affermazione pura: Arianna è l’Anima, l’affermazione sdoppiata, il ‘sì’ che risponde al ‘sì’. Ma, una volta sdoppiata, l’affermazione ritorna a Dioniso come affermazione che raddoppia.

È proprio in questo senso che l’Eterno ritorno è il prodotto dell’unione di Dioniso e Arianna. Fintanto che Dioniso è solo, non se la sente di pensare all’Eterno ritorno perché teme che riporterà le forze reattive, l’impresa di negare la vita, l’uomo meschino (che sia superiore o sublime). Ma quando l’affermazione dionisiaca trova in Arianna il suo complemento, Dioniso apprende a sua volta qualcosa di nuovo. Diviene consapevole che l’Eterno ritorno è consolante e, nello stesso tempo, è selettivo.

L’Eterno ritorno è il prodotto di una doppia affermazione, che riporta ciò che si afferma e porta solo ciò che è attivo. Né le forze reattive né la volontà di negazione ritorneranno: esse infatti vengono eliminate dalla trasmutazione, dall’Eterno ritorno selettivo. Arianna ha dimenticato Teseo, egli non è più nemmeno un cattivo ricordo. Teseo non tornerà mai più. L’Eterno ritorno è attivo e affermativo: è l’unione di Dioniso e Arianna. Per questo Nietzsche paragona l’Eterno ritorno non solo all’orecchio circolare, ma all’anello nuziale. Ecco che il labirinto è diventato l’anello, l’orecchio, lo stesso Eterno ritorno attivo e affermativo. Il labirinto non è più il percorso lungo il quale ci si perde, ma il percorso che ritorna. Il labirinto non è più quello della conoscenza e della morale, ma quello della vita e dell’Essere come vivente. Dall’unione di Dioniso e Arianna nasce il super-uomo, il super-eroe, che è l’opposto dell’uomo superiore. Il super-uomo è la creatura vivente delle caverne e delle vette, l’unico figlio che si fa orecchio, il figlio di Arianna e del Toro.

*Gilles Deleuze, Mystère d’Ariane selon Nietzsche, “Bulletin de la Société français d’études nietzschéennes” (Mars 1963), 12-15, ristampato in “Philosophie” 17 (hiver 1987), 67-72, e in forma rivista e aggiornata, in “Magazine littéraire” 298 (Avril 1992), 21-24, infine nella raccolta Critique et Clinique, Paris 1993, 126-134.

1. v. Zarathustra, III, ‘Dello spirito di gravità’; Al di là del bene e del male, 213: “‘Pensare’ e ‘prendere sul serio’ una cosa, ‘soppesarla gravemente’ - questo per loro è tutt’uno: soltanto in tal modo hanno ‘vissuto’”.

2. Frammento di una prefazione per Umano troppo umano, 10. V. anche l’intervento di Arianna in Nietzsche 1935, vol. 1, t. 2, par. 226.

3. Crepuscolo degli idoli, ‘Quello che i Tedeschi stanno per perdere’.

4. Ai suoi animali, Zarathustra dice: l’Eterno ritorno, “voi ne avete già fatto una canzone da organetto”, III ‘Il convalescente’.

5. Sulla questione del ‘Santuario’ cioè del territorio di Dio, v. Jeanmaire, [1951] 1972, 194: “Dioniso lo si incontra dovunque e [...] tuttavia, in nessun luogo egli è a casa sua [...]. Più che imporsi, egli si insinuò”.

Che cos’è l’affermazione in tutta la sua potenza? Nietzsche non abolisce il concetto di essere: ne propone invece una nuova concezione. L’affermazione è l’essere. L’essere non è l’oggetto dell’affermazione, né, tanto meno, un elemento che si attribuisce all’affermazione. L’affermazione non è la potenza dell’essere. L’affermazione è l’essere e l’essere non è altro che l’affermazione in tutta la sua potenza. Non dobbiamo dunque meravigliarci se in Nietzsche non c’è né analisi dell’essere in sé, né analisi del nulla in sé. Sarebbe sbagliato credere che Nietzsche non abbia, a questo riguardo, espresso fino in fondo il proprio pensiero. L’essere e il nulla non sono altro che l’espressione astratta dell’affermazione e della negazione come qualità (qualia) della volontà di potenza [1].

Il problema a questo punto è: in quale senso l’affermazione è essa stessa l’essere? L’affermazione non ha altro oggetto che se stessa; ma, proprio per questo, essa è l’essere, in quanto è oggetto di se stessa. L’affermazione come oggetto dell’affermazione: questo è l’essere. In sé, e come prima affermazione, essa è divenire. Ma essa è l’essere in quanto è l’oggetto di un’altra affermazione che innalza il divenire all’essere, ovvero deriva l’essere dal divenire. Per questo, l’affermazione in tutta la sua potenza è duplice: si afferma l’affermazione. La prima affermazione (il divenire) è l’essere, ma lo è solo come oggetto della seconda affermazione. Le due affermazioni costituiscono la potenza affermativa nel suo insieme. Che questa potenza sia necessariamente duplice, è spiegato da Nietzsche in testi di grande portata simbolica.

1. I due animali di Zarathustra, l’aquila e il serpente. L’aquila, interpretata dal punto di vista dell’eterno ritorno, è il simbolo del grande anno, del tempo cosmico, il serpente è il simbolo del destino individuale all’interno di questo tempo. Ma questa interpretazione, pur esatta, è nondimeno insufficiente, poiché presuppone l’eterno ritorno e non dice nulla sulle condizioni da cui questo dipende. L’aquila volteggia in larghi cerchi, con un serpente avvolto intorno al collo, “non simile a una preda, ma come un amico” (Zarathustra, ‘Prefazione’, 10): si intravede qui la necessità, per la più orgogliosa affermazione, di essere accompagnata e raddoppiata da una seconda affermazione che l’assume come oggetto.

2. La coppia divina, Dioniso - Arianna. “Chi, dunque, a parte me, sa chi è Arianna!” (Ecce Homo, III, ‘Così parlò Zarathustra’, 8). E indubbiamente il mistero di Arianna contiene una pluralità di sensi. Arianna ama Teseo. Teseo è una rappresentazione dell’uomo superiore, dell’uomo sublime ed eroico, colui che si fa carico dei fardelli e soggioga i mostri. Ma gli manca, per l’appunto, la virtù del toro, ossia il senso della terra, quando è sotto il giogo, come anche la capacità di sottrarsi al giogo, di respingere i fardelli [2]. Finché la donna ama l’uomo, finché ella è madre, sorella, sposa, fosse anche dell’uomo superiore, essa non è altro che l’immagine femminile dell’uomo: la potenza femminile rimane incatenata nella donna (Zarathustra III, ‘Della virtù che rende meschini’). Madri terribili, sorelle e spose terribili, la femminilità rappresenta qui lo spirito di vendetta e il risentimento da cui l’uomo stesso è animato. Ma Arianna abbandonata da Teseo sente sopraggiungere una trasmutazione che le è propria: la potenza femminile emancipata, divenuta benefica e affermativa, l’Anima. “Il riflesso di una stella splenda sul vostro amore! La vostra speranza sia: possa io dare alla luce il super-uomo!” (Zarathustra I, ‘Delle femmine, vecchie e giovani’). Di più: in rapporto a Dioniso, Arianna-Anima è come una seconda affermazione. L’affermazione dionisiaca richiede una seconda affermazione che l’assuma come oggetto. Il divenire dionisiaco è l’essere, l’eternità, ma solo quando l’affermazione corrispondente è essa stessa affermata: “Eterna affermazione dell’essere, io sono in eterno la tua affermazione” (Ditirambi di Dioniso, ‘Gloria e eternità’). L’eterno ritorno “avvicina al massimo” divenire ed essere, afferma l’uno dell’altro (Volontà di Potenza II, 170): una seconda affermazione è necessaria perché l’avvicinamento si avveri. Per questo l’eterno ritorno è un anello nuziale (Zarathustra, III, ‘I sette sigilli’). Per questo l’universo dionisiaco, il ciclo eterno, è un anello nuziale, uno specchio nuziale in attesa dell’anima che vi si specchi e, specchiandosi, lo rifletta [3]. Per questo Dioniso desidera una compagna: “È me che vuoi? Tutta me?” (Ditirambi di Dioniso, ‘Lamento di Arianna’). (Anche qui si può osservare che, a seconda del punto di vista, le nozze cambiano senso e sposi. Perché, secondo l’eterno ritorno una volta costituito, Zarathustra appare lui Stesso come il promesso sposo, e l’eternità come la donna amata. Ma in base a ciò che costituisce l’eterno ritorno, Dioniso è la prima affermazione, il divenire e l’essere, ma, appunto, il divenire che è l’essere soltanto come oggetto di una seconda affermazione: Arianna è questa seconda affermazione, Arianna è la sposa promessa, la potenza femminile che ama).

3. Il labirinto o le orecchie. Il labirinto è un’immagine frequente in Nietzsche. Sta ad indicare innanzitutto l’inconscio, il sé; soltanto l’Anima è in grado di riconciliarci con l’inconscio, di offrirci un filo conduttore per esplorarlo. Secondariamente, il labirinto sta ad indicare l’eterno ritorno, che è circolare, non il cammino perduto, bensì il cammino che ci riconduce al medesimo punto, al medesimo istante che è, che è stato e che sarà. Ma, in un senso più profondo, il labirinto, dal punto di vista di ciò che costituisce l’eterno ritorno, è il divenire, l’affermazione del divenire. Ora, l’essere deriva dal divenire, s’afferma dal divenire, nella misura in cui l’affermazione del divenire è l’oggetto di un’altra affermazione (il filo d’Arianna). Finché Arianna si accompagnava a Teseo, il labirinto era percorso in senso inverso, si apriva verso valori superiori, il filo era il filo del negativo e del risentimento, il filo morale [4]. Ma Dioniso rivela ad Arianna il suo segreto: il vero labirinto è Dioniso stesso, il vero filo è il filo dell’affermazione. “Io sono il tuo labirinto” (Ditirambi di Dioniso, ‘Lamento di Arianna’) [5]. Dioniso è il labirinto e il toro, il divenire e l’essere, ma il divenire che è l’essere solo in quanto la sua affermazione è essa stessa affermata. Dioniso non si limita a chiedere ad Arianna di ascoltare, ma anche di affermare l’affermazione: “Hai piccole orecchie, hai le mie orecchie: mettici una parola saggia”. L’orecchio è labirintico, l’orecchio è il labirinto del divenire o il dedalo dell’affermazione. Il labirinto ci conduce all’essere, non c’è essere che del divenire, non c’è essere che del labirinto stesso. Ma Arianna ha le orecchie di Dioniso: l’affermazione deve essere essa stessa affermata, perché sia, appunto, affermazione dell’essere. Arianna mette una parola saggia nelle orecchie di Dioniso. Ossia: ascoltata l’affermazione dionisiaca, ella ne fa l’oggetto di una seconda affermazione che Dioniso a sua volta ascolta.

Se consideriamo affermazione e negazione come qualità della volontà di potenza, constatiamo che esse non hanno un rapporto univoco. La negazione si oppone all’affermazione, ma questa differisce dalla negazione. Non si può pensare che l’affermazione “si opponga” per conto proprio alla negazione: sarebbe come introdurre in essa il negativo. L’opposizione non è soltanto la relazione della negazione con l’affermazione, bensì l’essenza del negativo in quanto tale. Mentre l’essenza dell’affermativo in quanto tale sta nella differenza. L’affermazione è godimento e giuoco della propria differenza, così come la negazione è dolore e travaglio dell’opposizione che le è propria.

Ma qual è il giuoco della differenza nell’affermazione? L’affermazione è posta una prima volta come il molteplice, il divenire, la casualità. Infatti, il molteplice è la differenza dell’uno e dell’altro, il divenire è la differenza con sé, il caso è la differenza ‘tra tutti’, ovvero distributiva. Successivamente, l’affermazione si sdoppia, la differenza viene riflessa nell’affermazione dell’affermazione: momento della riflessione in cui una seconda affermazione prende la prima per oggetto.

Ma così l’affermazione raddoppia: come oggetto della seconda affermazione essa è l’affermazione affermata, l’affermazione raddoppiata, la differenza elevata alla sua potenza più alta. Il divenire è l’essere, il molteplice è l’uno, il caso è la necessità. L’affermazione del divenire è l’affermazione dell’essere, eccetera, ma in quanto essa è l’oggetto della seconda affermazione che la innalza a questa nuova potenza. L’essere si dice del divenire, l’uno del molteplice, la necessità del caso, ma in quanto il divenire, il molteplice e il caso si riflettono nella seconda affermazione che li assume come oggetti. Così, è caratteristico dell’affermazione ritornare, o della differenza riprodursi. Ritornare è l’essere del divenire, l’uno del molteplice, la necessità del caso: l’essere della differenza in quanto tale o l’eterno ritorno. Se consideriamo l’affermazione nel suo insieme, non dobbiamo confondere, salvo che per comodità di espressione, l’esistenza di due potenze affermative con l’esistenza di due affermazioni distinte. Il divenire e l’essere sono una medesima affermazione, che passa solamente da una potenza all’altra in quanto oggetto di una seconda affermazione. La prima affermazione è Dioniso, il divenire. La seconda affermazione è Arianna, lo specchio, la sposa promessa, la riflessione. Ma la seconda potenza della prima affermazione è l’eterno ritorno o l’essere del divenire. La volontà di potenza come elemento differenziale produce e sviluppa la differenza nell’affermazione, riflette la differenza nell’affermazione dell’affermazione, la fa ritornare nella stessa affermazione affermata.

Dioniso sviluppato, riflesso, elevato alla potenza più alta: questi sono i caratteri del volere dionisiaco che costituisce il principio dell’eterno ritorno.

*Gilles Deleuze, Nietzsche et la philosophie, Paris 1962, V, 12. [Indice analitico: L’affermazione dell’affermazione (doppia affermazione) - Il mistero di Arianna, il labirinto - L’affermazione affermata (la seconda potenza) - Differenza, affermazione ed eterno ritorno - Il senso di Dioniso].

1. Zarathoustra II, ‘Dei sublimi’: “Stare fermi senza più tendere i muscoli e con il giogo della volontà staccato: questa è la cosa più difficile per voi, sublimi!”.

2. Volonté de puissance II, 51: altro sviluppo dell’immagine del fidanzamento e dell’anello nuziale.

3. Volonté de puissance III, 408; “Siamo particolarmente curiosi di esplorare il labirinto, e ci sforziamo di fare la conoscenza del Minotauro, di cui si dicono cose terribili. Che c’importa del vostro sentiero che sale, del vostro filo che conduce all’uscita, alla felicità e alla virtù, che conduce fino a voi, temo… Voi pensate di poterci salvare con quel filo? E allora noi immediatamente vi preghiamo di impiccarvi con quel filo!”.

4. “Sii prudente. Arianna. Hai piccole orecchie. Hai le mie orecchie: mettici una parola saggia. Non bisogna, forse, innanzitutto odiarsi se ci si deve amare?... Io sono il tuo labirinto...”(Dithyrambes dionysiaques, “Lamento di Arianna”).

Bibliografia
Opere citate da Gilles Deleuze
  • Detienne [1986] 1987
    M. Detienne, Dioniso a cielo aperto [Dyonise à ciel ouvert, Paris 1986], tr. it. M. Garin, Bari 1987.
  • Jeanmaire [1951] 1972
    H. Jeanmaire, Dioniso. Religione e cultura in Grecia [Dionysos. Histoire du culte du Bacchus, Paris 1951], appendice e aggiornamento bibliografico di F. Jesi, tr. it. G. Glaesser, Torino 1972.
  • Melville [1857] 1961
    H. Melville, L’uomo di fiducia. Una mascherata [The Confidence Man. His Masquerade, New York 1857], tr. it. S. Perosa, Venezia 1961.
  • Nietzsche 1935
    F. Nietzsche, Volonté de puissance, traduit par G. Bianquis, Paris 1935.
Edizioni francesi delle opere di Nietzsche citate da Deleuze
  • Nietzsche 1899 
    F. Nietzsche, Le Crépuscule des idoles, Le Cas Wagner, Nietzsche contra Wagner, L’Antechrist, traduit par H. Albert, Société du Mercure de France, Paris 1899.
  • Nietzsche 1901 
    F. Nietzsche, Ainsi parlait Zarathoustra : un livre pour tous et pour personne, traduit par H. Albert, Société du Mercure de France, Paris 1901 (Œuvres complètes de Frédéric Nietzsche, collection d’auteurs étrangers).
  • Nietzsche 1903
    F. Nietzsche, Par delà le Bien et le Mal : prélude d’une philosophie de l’avenir, traduit par H. Albert, Société du Mercure de France, Paris 1903 (Œuvres complètes de Frédéric Nietzsche, collection d’auteurs étrangers).
  • Nietzsche 1909
    F. Nietzsche, Ecce homo. Suivi des Poésies, traduits par H. Albert, Société du Mercure de France, Paris 1909 (Œuvres complètes de Frédéric Nietzsche, collection d’auteurs étrangers).
  • Nietzsche 1935
    F. Nietzsche, Volonté de puissance, traduit par G. Bianquis, Gallimard, Paris 1935.
Riferimenti bibliografici
  • Bianquis 1929
    G. Bianquis, Nietzsche en France. L’influence de Nietzsche sur la pensée française, Paris, 1929. 
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    J. Le Rider, Nietzsche en France de la fin du XXe siècle au temps present, Paris 1999.
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English Abstract

In 1963 Gilles Deleuze dedicates an essay to the figure of Ariadne as it emerges from Friedrich Nietzsche's writings (G. Deleuze, Mystère d’Ariane selon Nietzsche, “Bulletin de la Société français d'études nietzschéennes” (Mars 1963), 12-15, now in Critique et clinique, Paris 1993, pp. 126-134). While in this text the French philosopher analyzes the “double conversion” as it is expressed in the myth of Ariadne, in a chapter of the book on Nietzsche, published one year before (G. Deleuze, Nietzsche et la philosophie, Paris 1963), he explores the problem of the transmutation and double affirmation as part of Nietzsche's method. The new translation of both texts, that we propose in this issue of the Journal, is an attempt to register the way Deleuze interprets Nietzsche's words, according to his observation that “there is not a ‘thing’, but only interpretations, and a plurality of sense”.

keywords | Ariadne, Dionysus; Gilles Deleuze; Friedrich Nietzsche; double affirmation.

Per citare questo articolo: Michela Maguolo (a cura di), Gilles Deleuze. I misteri di Arianna secondo Nietzsche, “La Rivista di engramma” n. 173, maggio-giugno 2020, pp. 143-166 | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2020.173.0019