"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

205 | settembre 2023

97888948401

Persona, “Per la prima e ultima volta”

Il Capodanno del 1994 al Cocoricò con la Socìetas Raffaello Sanzio

Filippo Perfetti

English abstract

Quando entro in una macelleria
mi meraviglio sempre di non esserci io
appeso lì, al posto dell’animale.
Francis Bacon, La brutalità delle cose

I. Introduzione

Una radio privata locale. Fine dicembre 1993, sulla Riviera romagnola. Stacco pubblicitario, un promo, inizialmente solo una base musicale: la chitarra di Robert Fripp in Heroes di David Bowie, poi lo speaker: “Dogs Blood Rising/ Cocoricò/ Capodanno/ In esclusiva unica ed assoluta per l’Italia David Morales/ guest stars: i Raffaello Sanzio/ I prestigiosi D.J.s del Cocoricò: Ricci, Cirillo, Lenny Dee/ Titilla safe club privé: Ralf, Marcellino, Ricky Morrison/ for further informations: 0541 60 51 83/ Cocoricò/ Riccione”. Trenta secondi di spot pubblicitario di una discoteca (Cfr. Cocoricò 1993b). Tra i vari, tanti, nomi elencati chi sa qualcosa ha capito il tenore della serata, chi sa poco ha capito solo il dove, il quando e che ci saranno garanzie artistiche che il locale sempre garantisce. Per noi oggi occorre come riavvolgere il nastro e riascoltare: tra i tanti che potrebbero essere Dj, ecco che sono annunciati “i Raffaello Sanzio” – un nome che evoca un gusto ancora po’ New Wave italiana anni ’80. “I Raffaello Sanzio” non sono altri che la Socìetas Raffaello Sanzio, la compagnia teatrale che dai primi anni Ottanta fino alla separazione delle carriere artistiche dei suoi componenti nel 2006 ha ricoperto il ruolo di testa d’ariete dell’avanguardia teatrale italiana, ovvero romagnola, del cosiddetto teatro di ricerca. Di quella notte annunciata alla radio è rimasto poco, qualche ricordo o un rarefatto sentito dire.

Quel ricordo, sì diffuso e sempre vago, non ha trovato una forma scritta, una narrazione precisa, più o meno dettagliata, più o meno conforme a quanto successo o meno. Eppure i presupposti affinché questa storia possa trovare modo e motivo di essere riportata esistono. Esistono i testimoni, a migliaia, esistono gli ideatori e produttori, persone che poi hanno proseguito nello stesso ambito e affermandosi, esiste la possibilità di un accesso a fonti e racconti. Esiste una performance di una compagnia teatrale allora in ascesa, non ancora celebre, ma che poi troverà estimatori a livello mondiale affermandosi come emblema di un modo di intendere, e di volere, il teatro. Esiste una performance che, seppur diversa e lontana rispetto ai luoghi e modi abituali, non è stata una rappresentazione clandestina o di élite, ma un evento pubblicizzato e con larga partecipazione di pubblico. Ma, sebbene l’evento sia riportato nella teatrografia della Socìetas, ad oggi non esiste alcun tipo di ricostruzione o di documentazione accessibile. In questo articolo si tenta di ricostruire lo spettacolo intitolato Persona della Socìetas Raffaello Sanzio, e con questo il contesto in cui è avvenuto: l’ultima notte dell’anno 1993, la prima dell’anno 1994, alla da lì in poi famosissima e cardinale discoteca della musica techno, il Cocoricò.

II. Luogo

Innanzitutto qualche precisazione sul luogo. Il Cocoricò è il luogo in cui la musica techno diviene il fenomeno che è stato e i motivi sono molteplici, uno su tutti il contesto romagnolo e riccionese dove nasce il fenomeno che per molti motivi non sarebbe potuto essere altrove. Il Cocoricò non è solo musica o un luogo privilegiato e culla di un fenomeno musicale, la techno, connotato da pratiche di fruizione man mano consolidate tra i suoi appassionati (l’ambientazione notturna; il volume del suono a limite del sopportabile; un preciso e quasi rigido schema compositivo della musica; l’uso di droghe spesso derivate da sintesi chimica che accompagnano l’ascolto assordante e il ballo incessante). Il Cocoricò è stato la più importante discoteca italiana nell’ultimo decennio degli anni ’90, il periodo che qui interessa, per una strategia imprenditoriale che ha scelto una precisa direzione e si è affidata a persone che l’hanno saputa realizzare in toto. La scelta è stata quella di una discoteca che dettasse il limite e la moda, che facesse della provocazione, dell’eccesso e dell’oltre il tentabile e tentato il trait d’union di ogni sua parte. Per questa scelta si è affidata alla direzione di Loris Riccardi. Una direzione artistica che ha significato il formarsi di uno stile. E questo accade fin dall’inizio della direzione Riccardi, che comincia nell’estate del 1993 – il Cocoricò apre nel 1989, sul finire dell’estate, per poi trovare un’apertura stabile pochi mesi dopo, quando fu completata la copertura in vetro trasparente del tetto a piramide che ne è poi diventato l’emblema. Una piramide di cristallo, un Louvre in collina che avrebbe ospitato i maestri della consolle ma non soltanto. Anche se il luogo è tutt’altro che un museo, la scelta di Riccardi nel momento in cui può organizzare e pensare per la prima volta una stagione, quella invernale del 1993, è segnata da una continua ricerca estetica applicata tramite quell’inventiva guidata da innovazione intraprendente e provocatoria che già aveva caratterizzato le sue precedenti esperienze in cui aveva avuto occasione di allestire, plasmare, altri locali e discoteche (Aleph, Insomnia, Barcelona, White Elephant, Cfr. Pacoda 2012 64, 81, 121; Riccardi 2023). Al Cocoricò, che poteva contare sui mezzi economici e la mentalità da grandeur della proprietà di Bruno Palazzi, Riccardi esprime in pieno questa sua tensione e lo fa nel segno della ricerca dell’eccesso e della provocazione (in molti sensi, provocante), ibridando riferimenti tratti da diverse forme d’arte: letteratura, teatro d’avanguardia, arte contemporanea. Da tutte queste forme sceglie quelle che si intonano con il suo spirito e quelle che fanno al caso per il titolo, il tema, che segnano una particolare stagione della discoteca. Ogni anno la programmazione è articolata in due cicli: estate e inverno. La stagione migliore, la più riuscita per questo connubio tra le diverse arti e la sua capacità di segnare un immaginario, è questa prima invernale del 1993. Il titolo è “M. / A Tribute to Yukio Mishima”. La stagione si inaugura sabato 13 novembre del 1993 e vede citazioni, rimandi, riprese e furti dalla da poco conclusa Biennale d’arte di quell’anno diretta da Achille Bonito Oliva. Così l’allestimento bellicista e militare (non del tutto inedito per i locali della Riviera, si pensi all’Aleph nella prima metà degli anni Ottanta; Pacoda 2012, 20) riprende sculture temi e installazioni già viste ai Giardini di Venezia e in generale temi, estetiche e forme da diversi artisti della Biennale arte (Cfr. Perfetti 2023). E quella notte, al servizio dell’estetica cercata da Riccardi, appare al Cocoricò per la prima volta un tableau vivant, sintesi tra lo scenografico e il performativo, pensato dalla danzatrice Monica Francia con in scena, tra gli altri, Gerardo Lamattina. Si tratta di un esordio di quello che poi sarà negli anni a venire, rinnovato tutte le settimane, un appuntamento tipico nell’offerta artistica della discoteca, e queste performance, spesso appunto dei tableaux vivants, saranno poi un’impresa a loro volta, come una compagnia teatrale, sotto il nome di Teddy Bear Company – la TBC (Lamattina FLQ!). Allora, in quell’apertura di stagione erano l’inventiva di Monica Francia e di chi poi avrebbe continuato, assieme ad altri, tra tutti Luigi De Angelis e Gerardo Lamattina. Oltre alle rappresentazioni dissacranti e alle scenografie del locale, occorreva in quel momento al Cocoricò un episodio che nella sua singolarità imprimesse una riconoscibilità da lì in poi indelebile alla direzione pensata da Riccardi.

L’opportunità è data dal calendario, la notte di Capodanno che diviene, per il richiamo di pubblico che di per sé riesce ad avere, l’occasione migliore. Una notte che segna la mèta della via tracciata dal tema della stagione ma è anche esempio delle modalità di costruzione degli eventi al Cocoricò e di come si sia formato quel connubio tra certe forme d’arte e il locale riccionese.

III. Tempo

Introduzione alla notte del Capodanno del Cocoricò, lo strumento capace di fare da mappa nel locale e nel programma di ciò che è stato, è la brochure allestita per quella sera [Fig. 1]. Si tratta di un pieghevole spillato, circa della dimensione di un foglio A5. La copertina segna il tema e l’impronta visiva: fondo nero lucido e il profilo del gargoyle di pietra preso – assieme al titolo delle serata – dall’album del gruppo britannico, contraddistinto da un gusto neo-gotico, Current 93. In più nel contesto funziona che – il loro nome, Current 93 – suonasse anche come un facile richiamo allo scadere dell’anno 1993. Anche il titolo dell’album “Dogs Blood Rising” concorre al clima cupo e macabro della stagione invernale 1993, portato all’acme in quella notte. La grafica della brochure, come riportato nella quarta dello spillato (al pari di tutto il vasto repertorio del materiale grafico della discoteca in quell’anno, e poi in quelli successivi) è opera del grafico e artista Marco Mussoni. Mussoni arriva al Cocoricò con Riccardi: i due condividono una lunga e profonda amicizia che rifluisce in una collaborazione artistica affiatata e che porterà a quei risultati nella grafica e nella comunicazione visiva del locale che segneranno parte della fortuna della discoteca. Sempre di Mussoni, per citare un unico esempio, è l’elaborazione del logo, ancora oggi simbolo della discoteca, adottato da quella stagione in poi dal Cocoricò (Mussoni 2023). In fondo alla copertina la data dell’evento: dal 31 dicembre 1993 alle prime ore del nuovo anno.

Nelle pagine interne, per coppie, ciascuna delle quali meriterebbe una digressione e una lettura del contenuto, si elenca l’intero programma della notte e i nomi che ne faranno parte, compresi quelli di tutto il personale della discoteca. E in queste coppie, oltre ai Dj nelle diverse sale della discoteca, appaiono quelli che formano l’offerta delle performance. In una pagina su fondo bianco è presentata quella di Gabriella Rusticali, storica interprete per la cesenate Valdoca. Il titolo della sua esibizione “...E il cielo può sempre cadere sulla nostra testa…” è una citazione da Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud. La citazione estesa segna il dramma e la missione del teatro: “Noi non siamo liberi. E il cielo può sempre cadere sulla nostra testa. Insegnarci questo è il primo scopo del teatro” (Artaud [1938] 2000, 196). A fianco, la pagina dedicata alla performance di Monica Francia, intitolata, quasi con provocazione verso gli avventori della discoteca (un disprezzo da gioco masochiano segna molta della comunicazione e dello spirito della direzione Riccardi): “Maledetta umanità di passanti” [Fig. 2]. È bene soffermarsi sulla qualità della presenza di Monica Francia perché rende evidente alcune dinamiche di funzionamento dell’arruolamento degli artisti e di come è arrivato uno spaccato del teatro d’avanguardia romagnolo al Cocoricò. Francia è una danzatrice e coreografa di danza contemporanea, romagnola di Ravenna; una “danzautrice” – come si definisce lei stessa – che associa ai suoi spettacoli corsi di formazione per la danza che insegnano codici e pratiche corporee. Proprio da quei corsi di formazione verrà fuori una buona parte dei performers che si esibiranno al Cocoricò con lei e poi con la TBC. È Francia, dunque, che viene chiamata ad allestire le azioni teatrali nel locale, e non già direttamente da Riccardi  ma da chi in quel periodo lo affianca, più o meno informalmente e ufficiosamente, nella scelta di alcuni artisti o per gli ‘inquinamenti in chiave artistica delle attività del locale, Nicoletta Magalotti (in arte NicoNote). Da poco tornata in Riviera, dopo anni in area fiorentina, Magalotti riprende la sua sperimentazione artistica nel contesto del clubbing notturno, dove già nella prima metà degli anni ’80 ideava le prime forme di spettacoli per locali, con sconfinamenti tra le arti e il contesto del divertimento notturno, con un piglio “tra il camp e il punk”, come a lei stessa piace sottolineare (vedi Pacoda 2012, 49-51; Magalotti 2023). È Magalotti, dunque, a contattare per Riccardi Monica Francia, che era stata vista esibirsi a Riccione il 15 ottobre del 1993 in occasione di FAXS (Festival d’autunno per Sarajevo), organizzato da Fabio Biondi che nella Sala centrale del teatro di Riccione presentava l’esibizione (Nannini 1993, 10). In quell’occasione porta in scena una coreografia in solo che Magalotti riconosce subito come perfetta per quello che si sarebbe voluto portare nell’offerta del Cocoricò, e propone a Francia una collaborazione.

Monica Francia accetta, anche perché si era già spesa in locali da ballo in esibizioni che oggi, forse, qualcuno potrebbe definire come performance:

Lavoravo al Vidia, un locale famoso più per il rock, che è vicino a Cesena, a San Vittore di Cesena. Poi al Tai, in zona Milano Marittima, e in quello dove ho avuto maggiore possibilità di frequentare Stefano Cortesi, era il ’91, ed era il Crudelia de Mon, un disco drink che è stato aperto per un anno a Ravenna. Mi hanno chiamato a lavorare da performer, ma allora non non si chiamava performer. Io avevo carta bianca, potevo improvvisare danzando in ogni angolo, pertugio, spazio... Non in pista. Con il Crudelia anche sul bancone del bar, abbiamo fatto questa sperimentazione interessante. Non ho segnato nel calendario delle cose specifiche, o comunque nelle mie date di spettacolo, perché erano esperienze utili a raccogliere ispirazioni creative. E performative: di come sta un performer in mezzo alla gente che beve, che mangia, che ti guarda come se fossi pazza. A stretto contatto. Era quello che volevo sperimentare (Francia 2023).

Francia inizia dalla prima serata di quella stagione invernale a inventare performance accomunate da una ricerca del conturbante e al limite della sopportazione per i performer, sottoposti a sforzi fisici e soprattutto esposti a un’esibizione che è quasi un’offerta del corpo alla moltitudine di persone che affolla la discoteca. Ogni settimana un tema, appuntato sulla propria agenda a mo’ di promemoria di quanto fatto. Leggendo oggi il suo quaderno si può leggere, per la data del 13 novembre “Nudi freddo Cocoricò”; per il sabato successivo, il 20 novembre “Rete”. E ancora: “Gli altri” (4 dicembre); “Barboni” (18 dicembre) oppure “Lezioni di piano” (8 gennaio 1994).

In Lezioni di piano, 8 gennaio ’94, io ero una delle teste. È il momento in cui mi ha avvicinato questo psicopatico, che mi ha guardato da lontano e ha detto “uau” e mentre passava la gente io ho come un flash di un flusso veloce e qualcosa che rallenta: lui mi guarda e si avvicina con le mani nelle tasche, come a dire “ma davvero posso fare quello che voglio di te?”. E dopo c’è una rissa, lo bloccano, e lui mi riguarda dicendo “adesso ti faccio fuori”. Insomma, mi sono sentita non tutelata (Francia 2023).

Presto, fin dalla prima notte del 13 novembre, pur riconoscendo l’ambiente della discoteca come un momento formativo e una buona possibilità di guadagno economico, Francia ritiene che è un gioco cui non è disposta a dar seguito e, pian piano, le esibizioni (che portano ancora il suo nome, riconosciuto come un attestato di qualità autoriale) sono prese in mano da Lamattina che già dall’estate dell’anno successivo inizierà a firmare le performance con il nome di Teddy Bear Company; Francia, dato lo stretto rapporto con Lamattina, proseguirà a collaborare, più o meno informalmente, o reclutando i performer, o occupandosi della preparazione degli abiti di scena.

Già dopo il 13 novembre io ho iniziato ad avere dei dubbi legati alla sicurezza dei performer. Sapevo comunque che questa poteva far fare un’esperienza interessante a ogni attore e ogni performer, ho riunito tutto il teatro di ricerca di quel periodo. Quindi c’è questo passaggio che però non avviene immediatamente. Fra me e Gerardo c’è un accordo chiaro: io non vado più a parlare con il direttore artistico, non mi occupo di niente. Perché io pensavo subito alla tutela degli artisti. Dopo aver fatto la prima esperienza pensavo se fosse fattibile non come opera, ma come cura dei performer. Quindi non era il caso che io mi stressassi così tanto. Quindi io dopo mi occupavo principalmente o di andare in scena, se era necessaria la mia presenza; oppure di raccogliere le persone che potevano essere utili in una sera, che avevamo date, eravamo in tournée quindi dovevamo trovare tutti i sabato qualcuno che potesse essere mandato lì. Gerardo ha avuto poi tutti i contatti, le sue idee si sono diciamo amplificate, ha iniziato a collaborare molto di più con gli scenografi, proprio per creare dei contesti ad hoc, con strutture da costruire per ogni serata (Francia 2023).

Alla pagina del 31 dicembre della sua agenda c’è un appunto con scritto unicamente “Cocoricò”, ed è in quell’occasione che Francia riporta il solo già presentato nell’evento riccionese di ottobre. L’esibizione è un derivato dallo spettacolo presentato al Festival di Santarcangelo nel 1993 col titolo L’uomo coriandolo per la regia di Maria Martinelli. Il pezzo in solo si basa su una coreografia che ha come proprio fulcro e perno per i movimenti della danzatrice una poltrona da barbiere. La performance, in parte improvvisata, vede il piroettare della danzatrice a contatto della pelle della poltrona, anch’essa girevole, andando quindi a creare come un vorticoso avvitarsi, con il doppio moto del corpo umano e della sedia che formano un equilibrio che trova una sua stabilità solo nella dinamica che li muove e fa di loro un unico corpo rotante. Della esibizione al Cocoricò non si ha documentazione diretta, ma se ne conserva traccia grazie a un documentario dedicato alla Francia in cui è raccontata la sua carriera e le sue esibizioni del periodo 1993-1994: in un breve passaggio si vedono la coreografia proposta Cocoricò con l’utilizzo della sedia da barbiere [Fig. 3]. Si può affermare con buona dose di certezza che il luogo della discoteca che ha ospitato la performance sia stato il corridoio d’ingresso, dove venivano solitamente allestite le altre performance della Francia prima e della TBC poi.

IV. Azione

NelLa sala centrale del Cocoricò, nel perimetro coronato dalla piramide in vetro che lega il cielo notturno ai fasci di luci artificiali fino al sorgere del sole, in un rito rinnovato tutte le settimane dal popolo che abita la discoteca proveniente da ogni parte d’Italia e non solo, è dove viene allestita la performance della Socìetas Raffaello Sanzio.

L’invito alla Socìetas a realizzare una performance pensata per la discoteca avviene nello stesso modo detto per Francia: è sempre Nicoletta Magalotti a gestire il contatto tramite una conoscenza pregressa dei membri della compagnia cesenate, un rapporto che si confermerà anche in seguito quando la Socìetas chiamerà Magalotti per impersonare Cassandra nella loro Orestea. Prima di accettare, i membri della Socìetas svolgono un sopralluogo in una serata della discoteca, rimanendo impressionati per la folla e per il suo concentramento, ma da quel saggio capiscono anche le potenzialità e la corrispondenza rispetto ai propri interessi artistici (Claudia Castellucci 2023).

Per comprendere e ricostruire la performance, la migliore introduzione è il modo in cui viene presentata al pubblico [Fig. 4]. Nella brochure le sono dedicate due pagine, dove bianco su nero una dichiarazione d’intenti recita inappellabile: “per la prima e ultima volta / Societas Raffaello Sanzio (teatro d’avanguardia) / in “PERSONA” concepito per / essere visto in un capodanno qualsiasi”. Sulla pagina accanto, a sinistra, nella parte bassa, un montaggio di due immagini: una lama da rasoio affianco a un orecchio, e più piccola, a colori, una coppa in oro finemente decorata. In queste due pagine la sintesi di quanto la compagnia vuole portare per quella notte di capodanno: uno spettacolo concepito per quella notte (“un capodanno qualsiasi”, dove qualsiasi specifica l’appartenenza dello spettacolo a quella notte dell’anno), il fatto che sia una novità assoluta (“per la prima volta”) e che non avrà repliche (“e ultima volta”), e quella specificazione netta e semplice su cosa sia Socìetas (“teatro d’avanguardia”) che segna l’estraneità della compagnia, e della cosa rappresentata, dal contesto della discoteca e dal suo pubblico. È in questo inserimento di elementi alieni e provocanti che sta il gioco di Riccardi che mira a provocare e mettere la sua discoteca in un territorio diverso rispetto alle altre.

Il centro della discoteca, il centro della sala, della pista, dove si radunano migliaia di corpi (il locale è omologato per 2000 persone, saranno sempre qualche migliaio di più). In quel punto è allestito un praticabile in legno, non molto grande (probabilmente 3m x 3m), di altezza circa un metro. Non tanto un palco, ma piuttosto un ring, dove le pareti che lo circoscrivono per tutti i lati sono di carne animale, quarti di bue, quattro per lato, appesi come in un macello grazie a pali in metallo che spuntano dal perimetro della base del praticabile. All’interno della gabbia di carne un attore, ma forse non è esatto, meglio scrivere una ‘persona’. Una persona in una stanza.

Come prima fonte per ricostruire la scena abbiamo una fotografia pubblicata sul numero della rivista dedicata a musica e cultura notturna “FutureStyle”, numero 59 dell’aprile 1994 [Figg. 5-6]. Ma l’immagine, giustapposta a una fotografia dell’allestimento del locale a firma Demo Ciavatti, è leggibile solo se la si conosce, non ha alcuna didascalia e nell’articolo che la attornia, l’intervista a Loris Riccardi, c’è solo un vago riferimento impressionistico a quanto si vede: “[...] technopolis questo è il secondo nome che voglio affiancare al Cocoricò, il club in assoluto più assolutista d’Italia, dove tutto è possibile, il club dove l’idea di libertà sembra essersi materializzata, il club dove ogni esagerazione è normale creatività … anche quella di ballare a fianco di cadaveri di … animali squartati!” (Bartoccetti 1994, 30). Parole che, in pratica, mancano l’eccezionalità dell’evento nella sua fattispecie artistica, cogliendolo solo per la sua parte provocatoria, choccante o aneddotica. Ed è effettivamente questo il tratto che poi è passato nella memoria comune, tanto dell’evento del Capodanno 1994 e anche più in generale per i programmi delle notti al Cocoricò sotto la direzione Riccardi.

Questo è quanto si può cogliere dal materiale a stampa e audio predisposto per la serata al Cocoricò e dalla fotografia su “FutureStyle,” che però ha come oggetto più la discoteca nel suo complesso che specificamente la performance della Socìetas. Qualche dato utile per la ricostruzione si può ricavare dialogando con chi l’ha realizzata e se si guarda nell’archivio della Socìetas – che però non era completo dei materiali superstiti relativi all’evento. Nell’archivio della compagnia, infatti, manca la fotografia di “FutureStyle”, qui riproposta, [Figg. 5-6], e mancano anche le quattro fotografie in bianco e nero dell’allestimento qui pubblicate che sono state conservate privatamente da Claudia Castellucci. All’interno dell’archivio ci sono invece due fogli dattiloscritti gemelli, due copie su cui sono elencate le azioni della performance per come è stata immaginata da Romeo Castellucci, assieme a un altro foglio scritto a penna che fa da sinopia ai dattiloscritti. È grazie all’aver rintracciato questo materiale e al dialogo con Claudia Castellucci, e con Gilda Biasini e Cosetta Nicolini che al tempo si occupavano della produzione degli spettacoli della Socìetas, che è stato possibile ricostruire nel dettaglio tutte le parti della performance. Nella prima fotografia, sopra al camion frigorifero, si riconosce il macellaio di Forlimpopoli, Luciano, da cui è stata comprata la carne e Franco Santarelli, uno degli interpreti della performance, e assieme a loro Romeo Castellucci, mentre scaricano i quarti di bue [Fig. 7]. La seconda e la terza fotografia ritraggono ancora le fasi di scarico della carne [Fig. 8]; mentre la quarta li vede sotto la Piramide durante l’allestimento del praticabile e delle pareti di carne [Fig. 9-10].

In scena, come si legge nella stringata scheda che segnala la presenza della performance nella teatrografia della compagnia, sono: Romeo Castellucci, Stefano Cortesi, Febo del Zozzo, Paolo Guidi, Franco Santarelli. Non era però prevista la loro presenza in contemporanea sul praticabile-palco ma si alternavano in scena uno alla volta nel succedersi delle ore dell’esibizione. Esibizione che prevedeva una sequenza di azioni, da ripetersi schematicamente e ciclicamente, in mezzo alla pista, all’interno delle pareti di carne. La lista di azioni è riportata nei due fogli dattiloscritti conservati nell’archivio della Socìetas [Figg. 11, 12].

seduto
si veste
si siede
si alza
si pettina
si siede – sposta la sedia
si alza – si cambia le scarpe
si guarda la giacca – accende la tv
si siede sul letto
si alza
si volta di scatto
si siede sul letto – ondeggia
si alza – beve da un bicchiere
si sistema la giacca
guarda l’orologio – accende la tv
si mette la testa fra le mani
e gira in tondo
si ferma – ansima strofinandosi le mani
indietreggiando davanti al muro
si cambia scarpe
si pettina – si si sistema
si spettina
si siede
si alza – telefona
si siede
si batte il petto
si alza
si cava la giacca – se ne mette un’altra
si sistema
si sdraia sul letto – si toglie le scarpe
accende la tv
si rannicchia nel letto
si siede sul letto
si guarda una mano
spegne il tv
si mette le scarpe
si cambia la giacca
guarda l’orologio
cammina all’indietro
atteggiamenti di stanchezza
si volta di scatto
si siede
si gratta la testa
accende il tv
si copre la testa con la giacca
si alza
si siede sul letto
si cambia le scarpe
si strofina la faccia
si alza
si siede sulla sedia – ondeggia
scende in ginocchio
colpisce la sedia
(Persona 1993b)

Dell’effettivo uso di questa partitura e della presenza di questi fogli il giorno stesso della rappresentazione di Persona è prova la presenza sulle carte conservate in archivio di macchie di grasso e sangue animale, unto e segni di suole di scarpe che li hanno calpestati. Non c’è memoria di prove per la performance, e forse non erano ritenute necessarie. Il gruppo in scena è già consolidato: Paolo Guidi è tra fondatori della compagnia, Febo del Zozzo dal Gilgamesch del 1990 è presente in tutti gli spettacoli realizzati fino all’Orestea del 1995; allo stesso modo Cortesi, presente negli spettacoli della compagnia dal 1990 al 1993; mentre Santarelli lavora in quello stesso anno in tre diverse produzioni della Socìetas. Per di più le azioni sono piuttosto semplici: azioni banali, gesti della quotidianità di ciascuno che proprio per questa loro caratteristica divengono azioni ripetute nella vita da tutte le persone e che nella performance assumono una concentrazione e ripetitività ossessiva. Inoltre, leggendo le azioni, si può comprendere quali oggetti facessero parte dell’allestimento: un letto, una sedia, un televisore, un telefono, giacche, scarpe, orologio, pettine.

Ma la performance non è solo l’allestimento del ring di carne, non è soltanto le azioni predisposte e ripetute. La performance vive di tutti gli elementi presenti nella discoteca stessa, senza cui ne resterebbe menomata nella sua forza e nel suo significato. La performance per prima cosa ingloba nel suo dispositivo l’intera congerie dei ballanti della discoteca, migliaia di persone che divengono a loro volta pareti di carne danzante, nella frenesia e nelle ripetizioni dei gesti del ballo che sono repliche dei gesti della persona nei muri di carne. Vive nella scenografia delle luci della discoteca, vive del suo essere posta in quel preciso punto dell’architettura della discoteca, nel punto focale sotto il centro della piramide, e vive soprattutto della dimensione sonora della discoteca.

È al Cocoricò che si può dire nasca il fenomeno della techno, la techno nella sua dimensione più dura, che colpisce timpani e corpo, un’onda sonora gestita da un dj emessa dall’impianto audio senza soluzione di continuità e per progetto a livelli di volume altissimi. Anni dopo, rispetto agli spettacoli più recenti di Romeo Castellucci, Enrico Pitozzi scriverà: “Lo spettatore diventa un timpano, un risuanatore: l’anatomia sonora si fa incisione acustica [...] una forma di tattilità che non si esaurisce soltanto nella prossimità e nel contatto, ma si libera nella dimensione scenografica dei corpi”. Ecco, già questo era al Cocoricò, dove certo si può già dire “La penetrazione è allora compiuta: lo spettatore è posizionato all’interno del suono” (Pitozzi 2015, 125) (una registrazione di una parte della musica proposta quella notte è ancora oggi disponibile su Youtube; si veda Cocoricò 1993a). Un vortice umano danzante, un’onda sonora senza pause.

Se si somma quanto si può leggere e si può vedere nei documenti con quanto si conosce delle altre produzioni della Socìetas, specialmente di quel periodo, si possono notare alcune somiglianze nei temi e nell’allestimento. Ed è possibile così avere una migliore comprensione della performance ma anche del lavoro della compagnia. Si è nel 1993, e nel 1992 la compagnia aveva allestito uno dei primi spettacoli per cui sarà maggiormente conosciuta: Amleto. La veemente esteriorità della morte di un mollusco. Dell’inizio del 1993 è Masoch. I trionfi del teatro come potenza passiva, colpa e sconfitta e poi in quello stesso anno sarà la volta del Lucifero. Quanto più una parola è vecchia tanto più va a fondo. Oltre a una serie di altri spettacoli, tra cui quelli per bambini che sono sotto la particolare attenzione di Chiara Guidi, è da ricordare la successiva grande produzione della compagnia, l’Orestea. (Una commedia organica?), del 1995.

Per prima cosa è utile guardare l’Amleto, che vede come protagonista Paolo Tonti. Così inizia e così è quanto si trova in scena:

Questa figura [Amleto] è già in scena quando entriamo, compresa in una dimensione di resistenza contro un assedio (evidentemente quello del pubblico). Amleto/Orazio ha infatti fortificato lo spazio della sua azione, dividendolo perentoriamente dal nostro. Il confine appare segnato da una fila di batterie di auto, collegate tra loro da cavi di rame e da morsetti di piombo che, arrotolandosi in volute successive, rimandano all’immagine del filo spinato di una difesa militare o di un campo di prigionia (Sacchi 2014, 84).

Una fortificazione, un muro, una barriera che possiamo ritrovare nei muri di carne di Persona, anche se non c’è soltanto in gioco la dimensione della gabbia, ma anche il rapporto di visibilità che questa predispone. Con quelle pareti di carne l’azione che si compie all’interno non è vista, ma piuttosto è intra-vista: una schermatura della visione, una cornice del perimetro e per lo sguardo. È un diaframma che assomiglia a un’altra gabbia per la scena e per la visione realizzata dalla Socìetas, quella per il Masoch (1993). Nel Masoch tutto avviene in una stanza allestita come uno scantinato con le fattezze di una gabbia metallica, e tra la platea e il palco è posto un sottile velo di nylon con piccoli fori come quello per collant da donna – ovviamente in relazione al tema stesso del Masoch. Ma questa parziale occlusione, tanto nel Masoch, che nella gabbia dell’Amleto, e così in Persona, è in primis un dispositivo di condizionamento della visione e di inquadramento dell’oggetto inserito nella scatola di visione. Ecco che allora il rimando a Francis Bacon, che chiunque vedendo le fotografie con la carne appesa nel Cocoricò potrebbe fare [Fig. 13], non è tanto – solo – in questa carne, quanto piuttosto nella costruzione della gabbia e della sua funzione ottica:

David Sylvester | Neppure quando dipingevi teste o figure in una specie di spazio-cornice e dicevano che stavi dipingendo qualcuno imprigionato in una scatola di vetro?
Francis Bacon | La cornice mi serviva per vedere l’immagine, per nessun’altra ragione. So che l’hanno interpretata in vari modi.

DS | Come quando Eichmann era rinchiuso nella sua gabbia di vetro e si diceva che i tuoi quadri avessero anticipato quell’immagine.
FB | Le strutture rettangolari, per me, concentrano l’immagine e io le disegno per ridurre le dimensioni della tela e vedere meglio l’immagine (Bacon [1987] 1991, 23, 24).

Che sia presente una domanda sulla visione e la visibilità in Persona è ancor più evidente se si guarda all’appunto scritto in penna blu da Romeo Castellucci per stendere le note di Persona, nella parte destra del foglio le azioni poi riportate con pochissime differenze anche nella versione dattiloscritta. (l’appunto è catalogato come 43.01.01, Persona 1993a). Una differenza è in fondo al foglio, quando sul lato sinistro, al termine delle azioni, è segnata un’altra nota di regia: “uscita dei greci”. Con questa dicitura Romeo prende direttamente dal Masoch la figura dei ‘Greci’, li porta in Persona e con essi trasferisce nella performance il loro significato. Sullo spillato in folio predisposto a corredo del Masoch la spiegazione di quale sia la funzione dei Greci nello spettacolo:

Il greco. La vita e le opere di Masoch sono dominate dalla continua ed esasperata ricerca del “Greco”, così egli chiamava quella terza persona che avrebbe avuto la funzione di intromettersi nel rapporto esclusivo di lui con la donna. [...] Egli, tramite il Greco, diventa definitivamente “cosa” privata da ogni sentimento umano, diventa, quindi, occasione (SRS 1993, 9).

Il Greco è la figura che, con il suo esserci, vessa quell’uomo – in questo caso la persona di Persona. E se nella stesura definitiva di Persona pare perdersi la figura del Greco essa è in realtà sublimata nell’insieme della massa danzante attorno alla gabbia di carne appesa. La perdita del Greco nella sua realizzazione: “l’ostensione è già lapidazione di sguardi” scrive Romeo sul Masoch, e in quella lapidazione di massa non occorre alcun particolare interprete per il ruolo del Greco: è l’insieme a prenderne la funzione nel suo essere lì e condotto alla visione lapidatrice attraverso il dispositivo della gabbia, nel modo sopra descritto (SRS 2000, 79).

Il Greco, inoltre, come nel Masoch, reifica. La reificazione del soggetto avviene anche in Persona, tramite i Greci e non solo. La reificazione è data da quell’associazione prossemica tra la carne della massa danzante, le pareti di animali squartati e la persona al suo interno. Questa carne appesa, che unisce in sé il dentro al fuori, estende la condizione dell’essere appeso all’intero insieme delle parti. E in questo sollevamento della carne c’è l’esposizione del corpo nel suo essere materia, oggetto – come nel Masoch, dove nel finale l’Uomo viene sollevato da cavi in acciaio:

Con il gioco dei comandi a filo [uguali a quelli per spostare la carne in un mattatoio], ne sollevano [i quattro Greci] il corpo [dell’Uomo] fino al soffitto, poi con i comandi relativi alle tre diverse sezioni di corpo, lo portano a testa in giù, in modo che, attraverso i binari scorrevoli, venga trascinato davanti alla scena. Qui è di nuovo spostato fino a trovarsi arcuato e supino, al punto limite dell’estensione della colonna vertebrale. La giostra continua ancora finché tutta la superficie della scena è coperta dalla rete degli spostamenti dell’Uomo appeso. Uno dei Greci va all’angolo della scena e aziona un meccanismo che si rivela essere un arco voltaico (SRS 2000, 65).

E in questo un preciso significato:

I paranchi elettrici svolgono la funzione di elevare. Per reificare. L’essere o la cosa che viene sospesa raggiunge lo statuto di res, come progetto di autospoliazione. È alla sollevazione verticale meccanica che viene affidata la reificazione definitiva dell’oggetto che conquista la propria singolare cosalità proprio attraverso il suo distacco dallo spessore orizzontale del quotidiano che ne faceva l’oggetto identificato proprio per il suo mettersi in relazione alle altre cose (SRS 1993, 8-9).

La perdita di relazione non è allora nelle pareti di carne, che piuttosto proseguono quanto l’ex soggetto, oramai res, ha attorno nella moltitudine dei corpi macellati dalla techno, ma è nel suo essere con questi appeso per interposto corpo che perde la relazione col mondo, con l’altro.

Una soluzione di regia, quella dell’appendere, adoperata anche per la parte finale del Lucifero (1993) – senza dimenticare il successivo sollevamento della pecora-Agamennone nell’Orestea durante l’invocazione di Elettra e Oreste – dove il protagonista è sollevato di peso verso l’alto direttamente dalla testa. È nel Lucifero che il meccanismo di sollevamento passa dall’uomo all’animale in quanto l’uomo è riportato alla sua qualità animale. Infatti, mentre avviene il sollevamento dell’uomo sono già in scena, arrivati uno a uno trascinati da un ferro con gancio metallico dei quarti appesi a un cavo che percorre diagonalmente la sala dell’ex Istituto e Laboratorio tecnico Comandini che da quell’anno è assegnato alla Socìetas come luogo di lavoro. I quarti appesi tagliano a metà la scena, separando le due parti, e nel sollevamento l’uomo appare come la bestia. Certo è dal Lucifero che la compagnia impara alcune necessità tecniche poi utili per la performance di Riccione: il macellaio da cui prendere i pezzi di carne è il medesimo (così ricorda Gilda Biasini che si è occupata della questione in entrambe le occasioni: Biasini 2023) e nelle note tecniche per il Lucifero si legge: “Una parte della scenografia richiede un graticcio, o comunque due punti di sostegno di almeno 200 kg. ognuno” (documento archiviato col numero 41.03.05, Lucifero 1993). Un’informazione che sarà tornata certamente utile per calcolare le necessità strutturali per la struttura in acciaio allestita al centro della pista da ballo.

Per tornare sulle azioni della persona, queste paiono perfettamente inserite nel discorso sull’interprete portato avanti da Romeo Castellucci e in particolare in continuità con gli spettacoli di quel periodo. Da tenere in considerazione è la sequenza ossessiva di azioni, e soprattutto di quelle azioni in una dimensione slegata da qualsiasi motivazione. Si guardi al Masoch, dove viene seguita la strada della reiterazione:

La Donna si alza la pelliccia e compie alcuni movimenti incomprensibili. Tutti i gesti sono ripetuti due volte.
[...]
Ora il Greco ingaggia una specie di lotta impari con l’Uomo [...]. Questa lotta violenta è fatta di una serie di colpi molto precisi, distribuiti lungo una scansione di gesti, tutti esattamente ripetuti due volte e nello stesso ordine, come dovessero corrispondere a un codice. Ma non è del tutto chiaro: certi gesti paiono perfino affettuosi (SRS 2000, 61, 62-63).

Gesti ripetuti, senza che se ne capisca il senso e scanditi: la stessa cosa si potrebbe dire delle azioni previste in Persona. Ma l’opera in cui questa modalità di azione è cifra e cardine della drammaturgia è certo l’Amleto. L’Amleto della Socìetas è patologicamente autistico:

 … assoluta era la sua indifferenza nei confronti dell’umano.
Tonti disegna su questa descrizione il repertorio dei suoi gesti e la sua espressione, ottusa e all’erta, assente e insieme insistente fino all’implorazione, feroce e terrorizzata (Sacchi 2014, 88).

A fondamento dell’interpretazione di Tonti è la scelta di rendere Amleto una sorta di bambino Joey, per come lo ha descritto ne La fortezza vuota Bruno Bettelheim, libro tradotto in italiano nel 1987:

Joey è un “bambino meccanico”, si comporta come se fosse animato da comandi robotici, edifica un universo fantastico che diventa per lui l’estrema difesa rispetto a un mondo e a una famiglia che non lo amano. Dal fondo di questa prigionia autoinflitta Joey sembra far segno perché chi lo osserva decodifichi, nei suoi rituali meccanici, il nucleo scuro d’orrore che lo ha pietrificato (Sacchi 2014, 97).

Movimenti meccanici come quelli di un burattino possono essere riconosciuti nella marionetta umana dell’Uomo in Masoch quando viene sollevato da terra e le giunture degli arti mosse tramite i rispettivi cavi ad esse fissati: “Amleto, infante autistico. Amleto e Masoch. Per propaggine arrivo a Masoch. L’angoscia di Masoch è, come quella amletica, la cristallizzazione di quella infantile” (SRS 1993, 2). Allo stesso modo la figura umana in Persona è mossa da una sequenza di gesti che nella struttura anaforica della nota di regia (“si veste, si siede, si pettina, si alza …”) non fa altro che replicare schemi meccanici, sclerotici e disancorati da ogni relazione col mondo. Quando poi è scritto “si rannicchia nel letto” l’immagine riporta ancora ad Amleto: “Amleto risolve il suo problema con la possibilità della dormizione, un atto per altro continuamente recitato dai bambini autistici (Romeo Castellucci in Chinzari, Ruffini 2000, 97)”. E tutto nella scenografia della stanza-cella sembra seguire l’Amleto e l’archetipo della stanza-fortezza di Joey: “Nel libro ci sono fotografie di una potenza clamorosa. Attorno al letto di Joey ci sono valvole, lampadine, e lui usava dire ‘vomit lamp on full force’ [...]. Rubava le valvole dei televisori le tirava contro i muri”. E se l’elettricità era ampiamente presente nell’Amleto, e così anche nel Masoch e nel Lucifero, nella prima stesura a penna di Persona tra gli oggetti utili è segnato “arco volt.”, ovvero un arco voltaico, e sempre per restare aderente all’Amleto era segnata anche “una pistola a gas”, come quella usata da Tonti. Questi due elementi poi cadono ma perché non necessari, sostituti dal luogo stesso in cui la performance avviene. Scoppi e i bagliori elettrici sono già nel suono assordante e nelle esplosioni di luce e laser della discoteca.

Acquisita la prossimità tra l’autistico e l’interprete, al Cocoricò è allora visibile quanto sia esposta, quanto sia in causa, nello spettacolo Persona, la dimensione inquieta dell’identità che acquisisce senso nella relazione con il mondo. Già nel titolo bergmaniano espone il tema di voler fornire una maschera in cui ciascuno è compromesso, implicato: la quotidianità dei gesti che estende a tutti la sua riconoscibilità e appartenenza e poi l’esposizione della frattura tra gesto e identità, la corrispondenza logica e motivata del proprio esserci in quel luogo e in quel modo. Scrive Romeo Castellucci per l’Amleto:

Ma sempre eravamo completamente assorbiti dal problema amletico dell’essere o non essere: sapevamo che quella è la domanda che brilla, che abbaglia la condizione autistica (Romeo Castellucci, citato in Sacchi 2014, 96).

In quella stessa domanda sull’essere si fonda Persona.

Un ulteriore elemento che segna continuità con la ricerca artistica della Socìetas è offerto dalla discoteca stessa. Un aspetto ricorrente fin dalle loro prime rappresentazioni, e ora nelle attuali regie di Romeo e nelle coreografie di Claudia Castellucci, è  la ricerca di un ritmato senza spazi e pause, un ritmo continuo e netto. Un ritmo persistente, senza la presenza di fratture, fino al punto di risultare estenuante ma privo di acme o, viceversa, che mai conquista un punto di quiete. E – ricorda Claudia Castellucci – è in questa nuova declinazione della propria ricerca offerta dal Cocoricò che la Socìetas accetta di allestire lo spettacolo del Capodanno 1994. Lì, nella discoteca, la musica era una musica techno, quindi era una musica basata sull'ostinato, per ricorrere al lessico della musica classica. L’‘ostinato’ – come precisa Claudia Castellucci – ha sempre interessato moltissimo il loro lavoro, in quanto l’ostinato – ed è questa la qualità che gli interessava – era, come modo, un gemello perverso nei confronti di un apice. Lo riconoscono nel suo essere un apice che si propone senza climax, e quindi che fa della ripetitività, della ripetizione, una fusione montante tra pensiero e ballo, movimento. Laddove il pensiero si traduce tout court con il movimento, e quindi viene abolita la costruzione logocentrica (Claudia Castellucci 2023).

Non c’è dubbio perciò che il luogo della discoteca sia fondante per questo spettacolo; e in questo Persona entra nella serie di rappresentazioni brevi, o in forma di frammento, ricorrenti nella teatrografia di Romeo Castellucci. Il luogo come elemento fondativo dell’evento; un pensare per il luogo, che trova in questi giorni del settembre 2023, a Eleusi, con Ma, un ultimo e coerente esempio di uno spettacolo che serve e si serve del luogo, fuggente da un indistinto teatrale, da un neutro da teatro borghese classico, per cercare di trovare un palco che sia prima di tutto un luogo. Così, in una relazione che segue l’avvicendarsi di spettacolo in spettacolo dei nessi nella poetica della compagnia nei primi anni Novanta, Persona è un punto di accesso per rilevare il costante ripetersi di immagini nell’intero teatro di Romeo e della Socìetas; dove, costante della costante, è la ricerca di un luogo, di una cornice perché l’immagine appaia. E dove il luogo coincide con il perché, da intendersi sia in quanto motivo, sia come mezzo affinché l’evento teatrale possa avvenire.

V. Entr’acte, in forma interrogativa

Prima della conclusione, una pausa nell’argomentazione, in forma di domanda. Un luogo, già di per sé connotato dal suo essere una discoteca in un determinato periodo, ricondotto a essere ribaltamento della sua definizione. O meglio: che estende le possibilità del suo significato, di quello che può essere. Performer, danzatrici, compagnie teatrali che pongono per prima cosa in questione il loro ruolo, quello del teatro, e delle sue componenti elementari: la platea, il palco, l’attore, eccetera. Forse è qui un perché di quanto avvenuto in quella notte; è forse per questa domanda di riposizionamento rispetto alla categoria di appartenenza (teatro, discoteca) che trova una sua sintonia, in quegli anni, tutto un movimento teatrale che si coniuga a un’espressione primariamente imprenditoriale, quale è quella di una discoteca. La concomitanza cronologica e geografica non è certo casuale rispetto al fenomeno, ma ne risulta, ancor più, innervata una forma mentis comune propria del tempo. Che stia in questo la fioritura e il successo di fenomeni che hanno rispettivamente il Cocoricò e la Socìetas come principali riferimenti? L’evocazione della forma mentis e dello ‘spirito del tempo’ estende ancor più l’interrogativo oltre i confini di queste righe. Sta di fatto che dal punto di partenza teatrale la domanda era già stata imbastita con annessa risposta: “Esiste una questione Romagnola? La stampa estiva, fra politica e turismo dice sì” (Molinari 1986, 236). Senza alcun interesse nel replicare, è però lecito ricapitolare la domanda, ed estenderla anche al fenomeno delle discoteche. La questione, trova certo qui, in quella notte tra ’93 e ’94, un tema su cui coniugare in una prospettiva i due interrogativi sul perché di certe forme; e sul come del loro incontro: un incontro forse riuscito, forse presto finito o temperato in modi meno significativi.

VI. Un ballo, un rito

Ciclo: dei gesti – persona e movimento nella stanza – e così del ballo di chi attorno danza. Un corpo solo dove sparisce qualsiasi percezione di distanza per la stranezza del corpo animale squartato e appeso, in cui man mano che la notte monta nell’estenuante ritmo del ballo e della musica le carni appese vengono colpite e usate. Cosetta Nicolini ricorda che “A un certo punto i più esaltati avevano iniziato a buttarsi contro i quarti di bue facendoli oscillare pericolosamente, con il servizio d’ordine che li respingeva” (Nicolini 2023). Pareti di carne che erano corpo come tutto il resto, e in questo senso veniva a costituirsi quel particolare rapporto tra palco e platea sempre interrogato e cercato dalla Socìetas: “Il rapporto contemplativo tra spettacolo e spettatore è definitivamente turbato, poiché tra l’uno e l’altro non sussiste una distanza stabile, tutto è lì a testimoniarci che su quel palco potremmo esserci noi, esposti e vergognosi” (Sacchi 2014, 59). Così si potrebbe dire anche per Persona. Il performer tra le pareti di carne, intravisto e parte del corpo esteso dell’insieme, è doppio della platea – che per Romeo Castellucci è sempre fondante il teatro – e oltre a essere platea è al contempo palco, e viceversa per chi quella notte era in pista a compiere – nella stessa inconsapevolezza dell’attore – l’azione. Pochi mesi dopo la notte del Cocoricò, così scrive Romeo Castellucci:

L’attore non è colui che fa, ma colui che riceve. È colui che viene tolto, il cui corpo è consunto dallo sguardo ustorio degli astanti e il cui sangue auricolare è corrente, è emorragia, libagione al palco. Lo stare dell’attore sul palco è appunto uno “stare”. Un esser palco al palco. Cioè porre una domanda ancora più forte alla domanda che il palco pone ogni qualvolta lo si sale (ora in SRS 2000, 81).

Nel dettato dell’ostinato, nella stanza stretta che raccoglie l’insieme nel suo intero, nelle ore incessanti della performance lo stare, l’essere palco al palco del performer. Una libagione, sangue auricolare corrente che rende presente l’immagine scelta per la brochure di quella notte. Una immagine del tutto simile, la stessa per quella con il rasoio e l’orecchio, un’altra coppa al posto di quella dorata, era già presente nel libro del 1992 Dal teatro iconoclasta alla supericona (a pagina 26, mentre la coppa dorata si trova da sola in SRS 1993, 8), che ripercorre i primi dieci anni della compagnia. Questa immagine raccoglie in una coppia la libagione sacrificale rappresentata dalla coppa con quella del teatro come sacrificio, ed è infatti un dettaglio che proviene da una performance di Gina Pane l’altra fotografia. È la concezione di un teatro che non è rievocazione di un rito ma è forma sacrificale di per sé.

Libagione, scacco al logocentrismo a favore di estasi e invasamento. A rivedere così la fotografia del Cocoricò, con la teoria delle diverse carni e il cubo stante al centro, appare l’immagine di una ka’ba profana attorno cui ruotano astanti di un rito cruento e moderno. Sembra inverare l’immagine mancante ma quasi auspicata lasciata nelle pagine di “Documents” da Georges Bataille che così nota:

Il mattatoio è legato alla religione in quanto i templi delle epoche passate (senza parlare ai nostri giorni di quelli degli indù) erano a doppio uso, servendo nello stesso tempo alle suppliche e alle uccisioni. Ne risultava senza dubbio (si può averne un’idea dall’aspetto di caos dei mattatoi attuali) una coincidenza sconvolgente fra i misteri mitologici e la grandezza lugubre caratteristica dei luoghi ove cola il sangue. È curioso vedere esprimersi in America un rimpianto lancinante: W.B. Seabrook constatando che la vita orgiastica esiste ancora, ma che il sangue di sacrifici non è mischiato ai cocktails, trova insipidi i costumi attuali. Ciò nonostante ai nostri giorni il mattatoio è maledetto e messo in quarantena come un battello che porta il colera. Ora, vittime di questa maledizione non sono i macellai, o gli animali, ma proprio la brava gente, che è arrivata al punto da non sopportare che la propria bruttura, bruttura che risponde in pratica a un malsano bisogno di pulizia, di piccineria biliosa e di noia: la maledizione (che non terrorizza se non coloro che la proferiscono) li porta a vegetare quanto più lontano possibile dai mattatoi, a esiliarsi per correttezza in un mondo amorfo, dove non c’è più niente d’orribile e dove, subendo l’ossessione indelebile dell’ignominia, sono ridotti a mangiare formaggio (Bataille [1929] 1974, 173-174).

Al Cocoricò, in quella notte tra il 1993 e il 1994, è ristabilita l’unità tra mattatoio e tempio: il mattatoio è sciolto dalla maledizione, e la gente – brava o meno che sia – vi torna, non fuggendo l’orrido ma prendendone parte assieme alle proprie brutture, abbandona il proprio sciapo esilio. Sconfessa Seabrook. Almeno quella notte, al Cocoricò, il sangue sacrificale è stato mischiato ai cocktail.
 

Appendice I | Galleria iconografica

Le immagini 7-12 qui riprodotte fanno parte dell’Archivio storico della Socìetas Raffaello Sanzio, digitalizzato con il sostegno del Progetto di ricerca A.R.C.H

1 | Dogs Blood Rising, dettaglio della copertina e della quarta della brochure con il programma del 31 dicembre 1993 al Cocoricò, Riccione.

2 | Dogs Blood Rising, dettaglio della pagina dedicata a Gabriella Rusticali e quella dedicata a Monica Francia, 31 dicembre 1993, Cocoricò, Riccione.

3 | Monica Francia in Maledetta umanità di passanti (ricostruzione tramite un estratto da L’uomo coriandolo, regia di Maria Martinelli), 1993.

4 | Dogs Blood Rising, dettaglio delle pagine dedicate alla Socìetas Raffaello Sanzio, 31 dicembre 1993, Cocoricò, Riccione.

5 | “Future Style” a. IX n. 59 (aprile 1994), 30-31. 

6 | “Future Style” a. IX n. 59 (aprile 1994), 31 (dettaglio). 

7 | Preparativi per allestimento della per la performance della Socìetas Raffaello Sanzio Persona, fotografia conservata da Claudia Castellucci. Fasi di scarico dei quarti di bue dalla camion del macellaio, con ritratti membri della Socìetas Raffaello Sanzio.

8 | Preparativi per allestimento della per la performance della Socìetas Raffaello Sanzio Persona, fotografia conservata da Claudia Castellucci. Fasi di scarico dei quarti di bue dalla camion del macellaio, con ritratti membri della Socìetas Raffaello Sanzio.

9 | Preparativi per allestimento della per la performance della Socìetas Raffaello Sanzio Persona, fotografia conservata da Claudia Castellucci. Fasi di scarico dei quarti di bue dalla camion del macellaio, con ritratti membri della Socìetas Raffaello Sanzio.

10 | Preparativi per allestimento della per la performance della Socìetas Raffaello Sanzio Persona, fotografia conservata da Claudia Castellucci. Al centro della Piramide in vetro del Cocoricò durante l’allestimento della gabbia con appesa la carne animale.


11, 12| Romeo Castellucci, dattiloscritto in due copie con le azioni previste per la performance Persona, messa in scena per la prima e ultima volta il 31 dicembre 1993-1 gennaio 1994 al Cocoricò, Riccione. Cesena, Archivio Storico SRS 43.01.02. 

13 | Francis Bacon, Carcass of Meat and Bird of Prey, 1980, Musée des Beaux-Arts de Lyon, Lyon. 

*Un sentito grazie a Cristina Ventrucci per il prezioso e costante aiuto in questa ricerca.

Appendice II | Antonio Bartoccetti, Trasgression in Cocoricò. Loris Riccardi/Emozioni pericolose 

“Future Style” a. IX n. 59 (aprile 1994), 30-31

Quando lo incontri, ci parli, l’osservi, lo studi, comprendi perché Loris sa arrivare dritto all’ego dei ragazzi di tendenza, dei ragazzi trasgressivi che hanno scelto il club da lui diretto per scaricarsi dal negativo settimanale e caricarsi con l’energia positiva di “technopolis” … [sic] si technopolis questo è il secondo nome che voglio affiancare al Cocoricò, il club in assoluto più assolutista d’Italia, dove tutto è possibile. Il club dove l’idea di libertà sembra essersi materializzata, il club dove ogni esagerazione è normale creatività… anche quella di ballare a fianco di cadaveri di… animali squartati! Loris sorride luminoso con le labbra e con gli occhi, quando argomenta sul mito del club o sul fatto che esistono almeno 5 tipi di techno music: da quella vergognosa, fallita a quella demenziale per dare un tono alle canzonette maranza da classifica a quella vera capace di emanare “emozioni pericolose”… pericolose perché frutto di creatività ed energia allo stato puro. È questa la vera techno del Cocoricò, quella che non finirà mai, quella che assumerà le forme ipnotiche della trance o gli aspetti altamente musicali del progressive o la virtualità del cyber... ma sempre con aggressività perché chi ha 20 anni e vuole vivere la sua età avrà sempre bisogno di emozioni violente.
E così, con queste idee e con Cocoricò da lui diretto, che ogni sabato fa il tutto esaurito con gente proveniente da ogni parte d’Italia, con artisti solo eccezionali, Loris Riccardi è diventato il profeta del suo tempo, perché impersona la tendenza, la sfrontatezza, l’egocentrismo, l’estetica, la libertà e le manie del nuovo universo giovanile. Loris è l’amante del sogno e la musica da lui proposta è proprio l’ultima locanda indicata dal libro.

L’intervista esclusiva.

AB | Nel club da te diretto veli di oscurità pendono dalle pareti annerite, ma il fato arriva e parla con le parole antiche… questo ti diverte?

LR | Questo mi diverte molto perché è una vera emanazione di “emozioni pericolose” intese come risultato delle percezioni che abbiamo del panorama mondiale degli eventi: violenze, sopraffazioni, ingiustizie, strumenti di guerra… il nero che cala dalle pareti del Cocoricò ha un significato molto simbolico e profondo e ha lo scopo di manifestare visivamente la violenza esterna in contrapposizione alla totale libertà di cui può godere chi frequenta il club.

AB | Fino a che punto ti riempie l’osservazione attraverso le fenditure del metodo con cui la musica è trasmessa?

LR | Mi riempie totalmente osservare come il sound trasgressivo del Cocoricò diventi senza forzature una perfetta simbiosi con le istanze musicali dei giovani. Noi proponiamo la tendenza, loro percepiscono che questo è il soundtrack della loro esistenza con il risultato di una sinergia assoluta.

AB | Quali sono le prigioni da cui nessuno esce uomo?

LR | È esattamente il nostro pianeta… penso purtroppo che non ci sia una via di scampo. Il pianeta terra non finirà nel 2000, ma è scontato che ogni decennio che passa la battaglia sarà più dura. Questo l’hanno voluto i signori della guerra, i padroni della chimica ed i falsi profeti.

AB | Quando è possibile che la regina nera non canti?

LR | Quando i giovani sono attenti a 360 gradi e questo si ottiene primariamente amando alla follia se stessi. La classica “bontà” oggi è diventato un lusso pericoloso… gli approfittatori sono ad ogni angolo ed è fin troppo facile scivolare nelle sabbie mobili delle illusioni che dall’oggi al domani trasformano la vita in un abisso senza ritorno.

AB | Qual è il vero ruolo di un art director?

LR | Il direttore artistico è un personaggio che, volente o nolente, lancia dei messaggi… che poi siano recepiti o meno è un’altra storia. Nel mio caso penso che parte dell’oro che brilla al Cocoricò sia realmente tale e non un’illusione ottica.

AB | È mai successo che pioggia o vento sferzassero sul tuo viso?

LR | Questo succede a chiunque svolga una professione come la mia. Io mi ritengo un artista e come tale i miei stati d’animo sono delle autentiche onde sinusoidali. A volte ci sono solitudine e tristezza, ma proprio per il dualismo male-bene arrivano sempre soddisfazione e voglia di grandi cose.

AB | Loris, questa notte ti vedo come la neve… scendi senza fare male. Per te la soluzione sta nell’essere o nell’avere?

LR | Sono un estremista, ma in questo caso opto per un dualismo essere-avere molto complementare in cui comunque domini l’essere. Ad esempio il sapere di non sapere è una condizione derivante dall’avere conoscenze limitate tipiche degli umani e quindi entra in gioco la teoria della relatività.

AB | Progetti a medio e lungo termine.

LR | Sto ultimando insieme a veri musicisti d’avanguardia e a DJ di assoluta tendenza la produzione della compilation COCORICÒ 2 che avrà lo scopo di diffondere in tutto il mondo la techno trance trasgressiva del nostro club. Ci tengo a sottolineare comunque che l’opera COCORICÒ 2 conterrà anche brani non techno, poiché il club è sempre proiettato nel futuro ed in tal senso sappiamo benissimo cosa vogliono “in più” i nostri ragazzi: noi glielo daremo! Oltre ciò sto collaborando da mesi con una grande musicista elettronica per la realizzazione del mio album... sarà una cosa unica da accettare o da rifiutare in blocco.

AB | Scoop?

LR | Incrementare le emozioni pericolose, rafforzare il messaggio basato su concetti evidenzianti il risultato della violenza del mondo (concetti positivi da non fraintendere) e una tendenza al misticismo orientale che di gran lunga prediligo a quello occidentale. Come scoop concreto la creazione di un ulteriore spazio particolarissimo sempre all’interno del club che si chiamerà MORPHINE (cura per il dolore) dove si proporrà solo la musica ambient supportata da proiezioni altamente psichedeliche.

Bibliografia 

Fonti 

Documenti d’archivio

  • Cocoricò 1993a
    Cocoricò, live DJ Lenny Dee 31 12 1993, https://www.youtube.com/watch?v=E-LJGFg_djU, ultima consultazione 24 luglio 2023.
  • Cocoricò 1993b
    Cocoricò pubblicità radio. Capodanno 31 dicembre 1993, https://www.youtube.com/watch?v=E-LJGFg_djU, ultima consultazione 24 luglio 2023.
  • Lucifero 1993
    Lucifero, dattiloscritto di presentazione con note tecniche, Archivio Storico SRS 41.03.05.
  • Persona 1993a
    Persona [senza titolo], scritto a penna di Romeo Castellucci con regia e materiale di scena, Archivio Storico SRS 43.01.01.
  • Persona 1993b
    Persona [titolo aggiunto a penna], dattiloscritto in due fogli con azioni della performance, Archivio Storico SRS 43.01.02

Interviste

  • Biasini 2023
    Intervista a Gilda Biasini, raccolta dall’autore il 28 febbraio 2023.
  • Claudia Castellucci 2023
    Intervista a Claudia Castellucci raccolta dall’autore il 28 febbraio 2023.
  • Francia 2023
    Intervista a Monica Francia raccolta dall’autore il 30 marzo 2023.
  • Magalotti 2023
    Intervista a Nicoletta Magalotti raccolta dall’autore il 4 aprile 2023.
  • Mussoni 2023
    Intervista a Marco Mussoni raccolta dall’autore il 4 aprile 2023.
  • Nicolini 2023
    Intervista a Cosetta Nicolini raccolta dall’autore il 12 febbraio 2023.
  • Riccardi 2023
    Intervista a Loris Riccardi raccolta dall’autore il 9 febbraio 2023.

Riferimenti bibliografici

  • Artaud [1938] 2000
    A. Artaud, Il teatro e il suo doppio [Le Théâtre et son Double, Paris 1938], trad. it. di E. Capriolo, G. Marchi, Torino 2000.
  • Bacon [1987] 1991
    F. Bacon, La brutalità delle cose. Conversazioni con David Sylvester [The Brutality of Fact. Interviews with Francis Bacon, London 1987], trad. it. di N. Fusini, Roma 1991.
  • Bartoccetti 1994
    A. Bartocetti, Trasgression in Cocoricò. Loris Riccardi/Emozioni pericolose, “Future Style” a. IX n. 59 (aprile 1994), 30-31.
  • Bataille [1929] 1974
    G. Bataille, Documents [Documents 1929], trad. it. di S. Finzi, Bari 1974.
  • Castellucci 2003
    R. Castellucci, Epitaph, Socìetas Raffaello Sanzio (a cura di), Milano 2003.
  • Chinzari, Ruffini 2000
    A. Chinzari, P. Ruffini, Nuova scena italiana. Il teatro dell’ultima generazione, Roma 2000.
  • Lamattina FLQ!
    G. Lamattina, Fanculo la quiete!, Ravenna (in corso di pubblicazione).
  • Molinari 1986
    R. Molinari, R. Romagna, “Il Patalogo”, n. 9 (1986), 236-238.
  • Nannini 1993
    B. Nannini, Sulla scena per Sarajevo, “Il resto del Carlino (edizione Rimini)” (10 ottobre 1993), 10.
  • Pacoda 2012
    P. Pacoda, Riviera club culture. La scena dance nella metropoli balneare d’Europa, Coriano 2012.
  • Perfetti 2023
    F. Perfetti, Inverno e guerra al Cocoricò del 1993. È Riccione o Venezia?, “La Rivista di Engramma” n. 200 (marzo 2023), 159-168.
  • Pitozzi 2015
    E. Pitozzi, Estendere il visibile. La logica del suono e del colore, in Toccare il realeL’arte di Romeo Castellucci, P. Di Matteo (a cura di), Napoli 2015, 115-126.
  • Sacchi 2014
    A. Sacchi, Shakespeare per la Socìetas Raffaello Sanzio, Pisa 2014.
  • SRS 1992
    Socìetas Raffaello Sanzio, Il teatro della Socìetas Raffaello Sanzio. Dal teatro iconoclasta alla supericona, Milano 1992.
  • SRS 1993
    Socìetas Raffaello Sanzio, Masoch. I trionfi del teatro come potenza passiva, colpa e sconfitta, Cesena 1993.
  • SRS 2001
    Socìetas Raffaello Sanzio, Epopea della polvere. Il teatro della Socìetas Raffaello Sanzio 1992-1999, Milano 2001.
English abstract

This contribution reconstructs the performance Persona by the theatre company Socìetas Raffaello Sanzio. Thanks to unpublished testimonies and sources, the performance is described and read for the first time in its poetics and in its relation to the other productions of the company. The peculiarity of the performance is that it took place at the Cocoricò discotheque in Riccione, during the New Year's Eve party of 1994. The importance of the venue is recounted in order to show its close relationship with the performance and to describe the special relationship between the Cocoricò discotheque, avant-garde theatre and contemporary art in the 1990s.

keywords | Socìetas Raffaello Sanzio; Cocoricò; Riccione; Performance Persona; New Year’s Eve ‘94.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)

The Editorial Board of Engramma is grateful to the colleagues – friends and scholars – who have double-blind peer reviewed this essay.
(cf. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: F. Perfetti, Persona, “Per la prima volta e ultima volta”. Il Capodanno del 1994 al Cocoricò con la Socìetas Raffaello Sanzio, “La Rivista di Engramma” n. 205, settembre 2023, pp. 85-117 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.205.0004