"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

207 | dicembre 2023

97888948401

Il tempo del disegno digitale

Potenzialità e limiti di uno strumento troppo giovane per essere già vecchio

Alberto Calderoni

English abstract

1 | Cini Boeri, Casa Bunker, Abbatoggia, La Maddalena, Sassari, Italia, 1966-67 (elaborazione di Brunella Formicola).

Dire disegno, così come dire immagine o modello, è sintetizzare troppe questioni in un solo lemma. Che maniera, modo e tecnica del disegnare interessa chi insegna progettazione architettonica? Tutte o soltanto qualcuna? Disegnare a mano (schizzi, disegni interpretativi dalla scala del territorio a quella architettonica, disegni tecnici di particolari costruttivi), farlo al computer (utilizzando sistemi vettoriali o per oggetti), disegnare assemblando elementi già disponibili (collage fisici e corporei oppure virtuali): le maniere di agire per porre in essere un originale documento significante, sono numerose e ognuna rappresenta in sé un insieme, vasto ed eterogeneo al proprio interno. Tutte modalità assolutamente legittime di disegnare e forse utili all’insegnamento e apprendimento del progetto.

La pratica del disegno, per come oggi lo conosciamo riferendoci a quell’esercizio allo stesso tempo fisico e intellettuale teso alla costruzione di un’opera di architettura, nelle sue molteplici forme che lo caratterizzano, sopravviverà alla spinta tecnocratica che, come uno tsunami, investirà il mondo delle scuole di architettura (lì dove ancora non si è infranta)? E soprattutto, otterrà qualche risultato l’opporre resistenza attraverso argomenti fondati su modelli culturali che, autonomamente, si proclamano come esaustivi e per questo capaci di sopravvivere alla prova del tempo? Pochi architetti, agli inizi degli anni ’80, erano consapevoli che gli spazi fisici dei loro uffici si sarebbero da lì a poco radicalmente modificati (e così il loro modo di pensare il progetto), liberandosi dei voluminosi tavoli da disegno e tecnigrafi per far spazio a computer e plotter. Eppure, ciò è avvenuto, assorbito nelle vite di tutti. Così come, pian piano, si è ritagliato sempre più spazio il telefono cellulare, che dal 1983 a oggi, da oggetto di lusso per pochi è diventato un dispositivo indispensabile alla sopravvivenza quotidiana davvero per molti. Oggi ci troviamo a vivere una nuova, differente e meno evidente, rivoluzione del pensiero: le intelligenze artificiali stanno affinando le proprie strutture e innervandosi nelle nostre azioni quotidiane. Seppure non sia ancora chiaro come questi applicativi digitali impatteranno sul mondo dell’insegnamento dell’architettura, è invece già chiaro che si ritaglieranno un significativo spazio nelle vite di ognuno di noi.

Lo strumento non è di per sé portatore di senso o di significato senza chi sia pronto ad abitarlo e a renderlo vivo. Tuttavia, come il linguaggio – parlato e scritto – forma e conforma il nostro pensare, così il mezzo – il computer nel nostro caso – influenza notevolmente la maniera di stare al mondo e, soprattutto nel campo dell’insegnamento del progetto, il modo di riflettere, ovvero immaginare – prefigurando – lo spazio. La maniera di disegnare virtualmente condiziona non soltanto chi progetta ma anche chi insegna a progettare, molto più di quanto si voglia ammettere.

Si è già scritto molto sull’incidenza delle pratiche corporee e delle esperienze fisiche sull’apprendimento e sul loro rappresentare fondamentali momenti formativi nella vita e per lo studio dell’architettura (Sennett 2008; Ingold 2019; Pallasmaa [2009] 2014; Zumthor Milano 2003). Questi argomenti hanno trovato convincente supporto, anche a livello neuroscientifico, e hanno ricevuto ampia accettazione da molte generazioni nel corso dell'ultimo secolo. Tuttavia, la questione di come queste idee influenzeranno gli studenti che inizieranno a frequentare le nostre aule in futuro è ancora da determinare. Quali ragioni e temi riusciremo a porre con serio convincimento contro l’ascesa di midjourney o di dall-e 2? Basterà barricarsi in difesa dell’autore e dell’autorialità come valore discriminante e portatore di qualità, o piuttosto dell’indispensabile presenza umana capace di interpretare bisogni e necessità per così tradurli in forme adeguate alla vita? Il fallimento del nostro mondo costruito, largamente di bassa qualità e incapace di supportare un incremento diffuso e percepito della qualità della vita, è prova sensibile dell’opposto: le città, le periferie e le infrastrutture che abitiamo sono state largamente pensate e concepite, progettate e costruite nella seconda metà del secolo scorso con strumenti analogici, esito di processi in cui gli esseri umani hanno potuto agire con pieno discernimento. È sicuramente una eccessiva semplificazione e banalizzazione di un enorme problema che, per poter essere affrontato con rigore, dovrebbe considerare e tenere insieme un numero illimitato di condizioni, sempre diverse caso per caso; ma nella retorica del contraddittorio che può essere tenuto in un’aula, evidentemente il duello analogico vs digitale anima le nuovissime generazioni native digitali. Come detto, lo strumento non è di per sé portatore di senso o di significato, e con tutta evidenza la responsabilità della condizione del nostro mondo contemporaneo non è relegabile all’uso che si fa e si è fatto di certi strumenti. Nel tentativo di rimarcare il nostro tema – il disegno come dispositivo formante il pensiero dello studente architetto –, e nella convinzione che pensieri e azioni non appartengano a campi separati dell’esperienza vissuta, ci interessa qui indagare un solo preciso aspetto legato al rapporto con gli strumenti digitali, provando a esplicitare quali possano essere i vantaggi pedagogici nell’utilizzo del computer, fuori dalle retoriche – tipicamente italiane – che ancora riconoscono nel mezzo un pericolo alla corretta e adeguata comprensione del problema architettonico.

2 | Alvar Aalto, Casa sperimentale, Muuratsalo, Muuratsalo, Finlandia, 1953 (elaborazione di Tommaso Fusco).

Disegnare al computer è una pratica irrinunciabile: l’università di massa non ha più infrastrutture fisiche e capitale umano capaci di regolare e gestire l’educazione dello studente al disegno a mano (al di fuori di alcune pratiche che, al primo anno e nel merito di circoscritti esercizi di composizione, ancora conducono lo studente all’utilizzo della matita come strumento obbligatorio) e, nella brevità del semestre e nelle poche ore dei corsi di progettazione, sarebbe impossibile portare avanti un esercizio progettuale complesso, multi-scalare, interdisciplinare, capace di essere circostanziato e realmente misurato rispetto alle difficoltà tematiche, concettuali e fisiche definite dai singoli programmi didattici. Il disegno manuale costituisce un elemento sostanziale e incorruttibile per il progettista, caratterizzato da un’assoluta autonomia e insostituibilità: seppur quindi sia generalmente riconosciuto l’apprendimento aptico come fondamentale tratto dell’esperienza formativa e che il disegno a mano sia “un processo pensante e non la proiezione di un pensiero” (Ingold 2019, 215), e quindi un insostituibile esercizio per lo studente architetto, allo stesso tempo, però, siamo costretti a riconoscere alla pratica del disegno assistito un ruolo altro – per ora – altrettanto insostituibile.

L’impiego di periferiche informatiche quali mouse, tastiera e monitor comporta l’atto di trasferire dati in una dimensione differente, in un altrove, manifestando implicitamente connessioni con l’ontologia del disegno analogico, pur effettuandone di fatto un’intrinseca trasformazione semiotica. Un medium specifico, differente, viene adoperato al fine di comunicare essenzialmente uno stesso contenuto concettuale, delineando un tratto grafico che, una volta materializzato attraverso la stampa, acquisisce una presenza tangibile nella realtà.

Il computer non è un dispositivo neutro, bensì si configura come un mezzo intrinsecamente complesso, spesso caratterizzato da gradi di difficoltà crescenti che richiedono una conoscenza approfondita di procedure operative per sbloccare potenzialità avanzate a supporto del proprio lavoro. La portata delle capacità cognitive dell’utente è direttamente proporzionale al grado di competenze applicate nell’utilizzo di software specifici. Di conseguenza, in un contesto educativo, diviene cruciale strutturare un insieme di possibilità ben definite, con meccanismi chiaramente esplicitati – socializzabili – e quindi condivisi, al fine di stabilire un linguaggio comune all’interno del quale le espressioni individuali possano trovare spazio. Per ciascuna azione di carattere concettuale, interpretativo o comunicativo, è vantaggioso stabilire un set di parametri predefiniti in grado di agevolare la comprensione delle intenzioni e delle comunicazioni. Nonostante la tecnologia offra la possibilità di ottenere risultati virtualmente illimitati, è importante riconoscere che la molteplicità non sempre si traduce in efficacia, rischiando di trasformare la comunicazione in un accumulo di dati e informazioni superflue. La progettazione e la definizione di template, con specifici parametri quali spessori e colori delle linee, blocchi e retini, incorpora una dimensione pedagogica fondamentale: essa definisce il confine tra ciò che rientra negli argini del ragionamento e ciò che ne è escluso, delimitando un ambiente formativo preciso in cui condurre le attività di apprendimento. La consapevolezza dei limiti stabiliti in tal modo promuove lo sviluppo di una capacità selettiva sia visiva che mentale, contribuendo così a creare un contesto simbolico, non necessariamente uniforme, all’interno del quale gli studenti possono riconoscersi. Sono così le idee a emergere e non le tonalità sentimentali come, problematicamente, Valerio Olgiati sottolinea quanto la carica concettuale di determinati schemi architettonici – visualizzati attraverso piante, prospetti e sezioni – riescano a essere sintesi efficaci di intenzioni e convincimenti.

Non sono mai stato interessato ai disegni a mano. Nella mia prima esperienza come docente, mi sono reso conto che i disegni a mano sono pericolosi, tendono a spostare la discussione verso la dimensione più emotiva della rappresentazione dell’architettura: la poeticità di uno schizzo, la materialità della carta… Il mio unico interesse, invece, è quello di discutere delle idee. Idee che possono essere formulate senza alcun abbellimento (Olgiati 2023, 45).

Le ipotesi possono così essere, in maniera ermeneuticamente esplicitata fin dal principio, confrontate e discusse.

3 | Alberto Campo Baeza, Casa Gaspar, Cadiz, Spagna 1992 (elaborazione di Dario Graziuso).

Il computer si configura come un dispositivo caratterizzato da un alto grado di entropia. Le energie richieste per il suo funzionamento rimangono intrappolate all’interno dei modelli che esso genera. Questa macchina non è intrinsecamente espansiva (come potrebbe invece essere un’azione corale del disegnare a mano su uno stesso grande foglio), bensì tende a condurre a riduzioni concettuali. Nel contesto del suo utilizzo, esso impiega un processo cognitivo specifico e limitato. Tra i vari strumenti utilizzati per il controllo e lo sviluppo di disegni ed elaborazioni grafiche, è possibile individuare tre operazioni fondamentali: il layering (sovrapposizione), il copia-incolla e lo spostamento. Tre operazioni che è possibile condurre illimitatamente, senza un significativo sforzo fisico e in breve tempo. Possiamo assumere che

i comandi originali “Copy” e “Array”, nella prima versione commerciale di AutoCAD nel 1982, hanno costituito una rottura fondamentale e decisiva nel ragionamento architettonico? Una rottura in cui una serie completa di gesti ortografici incredibilmente laboriosi (ossia, intensivi in termini di tempo) è stata assorbita da una logica algoritmica che mirava ad automatizzare il pensiero architettonico? (May 2018).

Riflettere su questa rottura non significa suggerire che “la computazione sia in qualche modo meno ponderata delle tecniche ortografiche che ha sostituito, ma semplicemente riconoscere che il pensiero avviene in condizioni radicalmente diverse in ognuna di esse” (May 2018). Questi comandi/processi rappresentano i confini di una possibile sostenibilità dell’errore, i cui risvolti cognitivi sono ancora tutti da comprendere. Tre movimenti virtuali che riescono evidentemente a conformare il nostro modo di pensare il progetto. L’operazione di sovrapposizione può essere assimilata all’atto di disporre strati di carta velina su un tavolo, selezionando cosa includere ed escludere, dando luogo a un processo di crescita delle intuizioni, compiendo una serie di scarti concettuali. È vero che la traccia del tratto manuale scompare nell’utilizzo del mouse, ma ciò che resta è un tempo disponibile al pensiero, ovvero uno spazio temporale differente, che seppur privo di tracce analogiche, è a disposizione del processo di affinamento del pensiero. Il copia-incolla e lo spostamento rappresentano altrettante azioni automatizzate che semplificano il processo di progettazione, seppur riducendolo inevitabilmente. Tuttavia, tali processi sono anche funzionali nel facilitare la riconsiderazione delle scelte: ciò genera un’efficace economia di scala e una sostenibilità dell’errore, accettabile nell’ambito della progettazione assistita dal computer. È importante sottolineare che questa opportunità non deve essere confusa con una riduzione della responsabilità o una promozione della superficialità. Piuttosto, simile alla semplificazione di alcune azioni quotidiane introdotte dalla trasformazione digitale, essa amplifica le possibilità di conseguire risultati desiderati. Una mente differentemente in formazione guida la mano che disegna con mouse e tastiera, una mente abile e rapida nella selezione, che impara a scegliere velocemente:

Se il tempo di lavoro dei media tradizionali (ortografici) ha stabilito un ritardo tra la vita vissuta e la sua rappresentazione – producendo sia un registro storico che una coscienza storica, attraverso e contro cui il presente veniva compreso ed esperito – i media elettronici sembrano aver eliminato quella separazione temporale. Questa cancellazione apparente sta alla base della logica del “tempo reale”, il cui nome stesso afferma la sua equivalenza con il tempo della vita vissuta. In termini strettamente tecnici, tuttavia, è avvenuto l’opposto: ciò che all’esterno sembra essere un’eliminazione è, infatti, uno spostamento e un’intensificazione, in cui il ritardo tra il presente e il suo passato viene spostato sotto la soglia della percezione non assistita e ristabilito in un altrove virtuale, in modo che il tempo della vita possa essere composto di nuovo. Questa ricomposizione tecnica ha avuto significative implicazioni, alterando radicalmente non solo i metodi di lavoro interni dei campi del progetto (modi di pensare e fare), ma anche le condizioni culturali più ampie in cui tali pratiche vorrebbero intervenire in modo significativo (May 2018).

4 | Rudolph Olgiati, Casa Schaefer, Flims Dorf, Svizzera, 1975 (elaborazione di Francesca Marchiello).

Il computer è uno strumento di precisione. La produzione di materiali digitali richiede una gestione attenta della risoluzione, che è cruciale sia per la visualizzazione di immagini sia per la stampa fisica. Affinché un’immagine risulti comprensibile e nitida, è necessario un elevato numero di punti per pollice (DPI). La forma visibile, in questo caso, è portatrice di molti significati accessori su cui difficilmente si tende a riflettere. Il disegno prodotto, simbolo di una ipotesi di realtà progettata, incorpora nel suo essere fisico la cifra interpretativa delle idee e delle intenzioni. Mentre le immagini che permeano la nostra vita quotidiana sono in bassa risoluzione, spesso create con dispositivi mobili e diffuse senza restrizioni, assuefacendo lo sguardo comune a uno scadere della qualità del mondo visivo che ci circonda, la progettazione assistita da computer richiede il massimo dettaglio possibile. Immagini a bassa risoluzione generano sensazioni negative e limitano le possibilità comunicative del segno. Disegni sgranati, in cui è possibile percepire la trama di pixel dai bordi irregolari, simboli e tratteggi incapaci di riempire compostamente i limiti loro assegnati con esattezza, immediatamente fanno precipitare chi osserva in una dimensione anestetizzante del pensiero: l’alta risoluzione è un requisito indispensabile affinché il pensiero riesca a evadere dalla forma rappresentata e attraversi lo sguardo, con precisione. Mentre un disegno fatto a mano è un paesaggio di ripensamenti, incidenti, inesattezze, tentativi che diventano decisioni, in cui l’indugiare con lo sguardo sul tratto, soffermandosi su dettagli, è un piacere cognitivo, all’inverso, l’errore compiuto per mezzo della macchina non è altro che testimonianza di un’assenza di consapevolezza nel suo utilizzo. Lo strumento, quindi, prevale sull’utente divenendone la sua forzata rappresentazione.

Le questioni relative alla performatività del disegno vettoriale, alle sue inferenze e influenze sulla forma del pensiero dello studente architetto, sono molteplici e spesso anche controverse. Per esempio, la rapidità con cui si può attraversare con il comando “Pan” lo spazio del foglio, e navigare sul piano da disegno illimitato, è sicuramente un “incidente” cognitivo che rende difficile la comprensione della scala dell’oggetto architettonico che si sta manipolando, operazione invece facilmente ottenibile confrontando cioè che è disegnato alle dimensioni di un oggetto fisico conosciuto (come lo sono i fogli in formato UNI). E anche potersi muovere verticalmente attraversando le scale della rappresentazione, zooming in e zooming out, supportati dalla facilità d’uso dello scroll del mouse, destabilizza sicuramente lo sguardo. Lo studente potrebbe quindi non riuscire a tarare con rigore l’ordine di problemi da dover affrontare, ponendo in essere una indifferenziata intensità sulle scelte da compiere; se la scala del disegno rappresenta anche l’apertura e l’accuratezza che lo sguardo di chi progetta deve assumere, lo scroll è la principale causa dell’assenza di un gerarchia nell’affrontare i problemi evidenziati attraverso il progetto, schiacciando tutto su uno stesso piano fluido, evidentemente problematico, che corre dal dettaglio al territorio in un istante. O, ancora, la disponibilità illimitata di sample e biblioteche di blocchi pronti all’uso.

Questi appunti, utili forse per tratteggiare una possibile semantica del disegno digitale in ambito pedagogico, sono tesi all’indagine delle trame strutturali del rapporto discente-computer-docente, nella consapevolezza che disegnare vettorialmente in CAD è probabilmente già parte di un passato informatico (interessante  solo per una certa parte di accademia), mentre il mondo professionale è già invece potentemente proiettato alla modellazione per elementi in ambiente BIM, e alle sue successive possibili integrazioni con sistemi di intelligenza artificiale. Un tentativo, quindi, per cercare di riportare l’attenzione su un fenomeno – il disegno vettoriale – ancora forse troppo giovane per poter essere relegato in un segmento della archeologia tecnologica.

5 | Fernando Tavora, Casa vacanze, Ofir,Portogallo, 1957-58 (elaborazione di Luca Molinaro).

I disegni sono stati elaborati dagli studenti del corso “Teoria e Tecnica della Progettazione Architettonica” tenuto da Marianna Ascolese – integrato del Laboratorio di Progettazione 1 tenuto da Alberto Calderoni, CdS Scienze dell’Architettura, Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II – tratte dal volume: Ascolese M., Calderoni A., (a cura di), Tout court. Prima immersione nel progetto, Thymos Books, Napoli 2019; ISBN: 978-88-32072-05-1 (e-book).

Riferimenti bibliografici
  • Ingold 2019
    T. Ingold, Making. Antropologia archeologia arte e architettura, trad. it. G. Busacca, Milano 2019.
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    A. Lepik, T. Fankhänel, The Architecture Machine, Basel 2020.
  • Lynn 2013
    G. Lynn (a cura di), Archaeology of the Digital, Montreal-Berlin 2013.
  • May 2018
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  • Olgiati 2023
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  • Pallasmaa [2009] 2014
    J. Pallasmaa, The Thinking Hand: Existential and Embodied Wisdom in Architecture, Hoboken (NJ) 2009; trad. it. M. Zambelli, La mano che pensa, Pordenone 2014.
  • Sennett 2008
    R. Sennett, L’uomo artigiano, Milano 2008.
  • Calderoni, Gandolfi, Leveratto, Nitti 2021
    A. Calderoni, C. Gandolfi, J. Leveratto, A. Nitti (a cura di), “Stoà. Disegni”, Anno I, 2/2, Napoli 2021.
  • Calderoni, Leveratto, Nitti 2023
    A. Calderoni, J. Leveratto, A. Nitti (a cura di), “Stoà. Riferimenti”, Anno III, 2/3, Napoli 2023.
  • Zumthor 2003
    P. Zumthor, Pensare architettura, Milano 2003.
English abstract

To say drawing, as well as saying image or model, is to synthesize too many issues into a single word. What manner, method, and technique of drawing are of interest to those teaching architectural design? Drawing by hand, doing it with the computer, drawing by assembling pre-existing elements: the ways of acting to bring about an original document are numerous, and each represents within itself a vast and heterogeneous set. All of these are legitimate ways of drawing and perhaps useful in the teaching and learning of architectural design. Digital drawing is an indispensable practice: mass university no longer has the physical infrastructure and human capital required to manage student education in hand drawing. In the short semester and the few hours of design studio courses, it would be impossible to carry out a complex, multi-scale, interdisciplinary design exercise that is capable of being contextualized and truly measured against the thematic, conceptual, and physical difficulties defined by individual educational programs. These notes, perhaps useful for outlining a possible semantics of digital drawing in the pedagogical field, are aimed at investigating the structural framework of the student-computer-teacher relationship, beyond rhetoric, and aware that vector drawing in CAD is probably already part of the digital past. An attempt, therefore, to try to bring attention back to a phenomenon – vector drawing – still perhaps too young to be relegated to a segment of technological archaeology.

keywords | Architectural drawings; Digital drawings; Architectural pedagogies.

Per citare questo articolo / To cite this article: Alberto Calderoni, Il tempo del disegno digitale. Potenzialità e limiti di uno strumento troppo giovane per essere già vecchio, “La Rivista di Engramma” n. 207, dicembre 2023, pp. 49-57. | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.207.0004