"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

207 | dicembre 2023

97888948401

Strategie del dettaglio

Ragioni critiche del disegno di architettura

Guido Morpurgo

English abstract

1 | Guido Morpurgo, Struttura e forma. Esercizio maieutico per una Tesi di Laurea, IUAV 2023.

Da un certo punto in là non vi è più ritorno.
Questo è il punto da raggiungere
Franz Kafka

“Evenements de rencontres du Cone avec un Plan”. Disegno e progetto nel realismo provvisorio dei dettagli

Il disegno è il tratto distintivo della conoscenza progettuale, costituisce l’atto di sintesi di ogni idea che presiede alla messa in forma di un’architettura, ed è quindi la quintessenza disciplinare di ogni ricerca morfologica nel suo ricongiungere le necessità d’uso concrete e simboliche con le condizioni di uno specifico contesto storico-culturale. Disegno e progetto sono in tal senso i due termini del medesimo processo di rappresentazione interpretativa che si sovrappongono nel sistema di segni apparentemente eterogenei che dà forma a un artificio necessario, sia esso edificio, interno o allestimento, frammento urbano o paesaggio antropogeografico. Essi si riflettono incessantemente l’uno nell’altro senza una netta distinzione, in una processualità finalizzata a imprimere forma e misura umana a uno spazio abitabile o a un ambiente costruito. Al contempo convergono in quel frammento di un intero che chiamiamo dettaglio, trama di segni e unità morfologica che a livello micrologico registra visivamente l’essenza stessa di un tema architettonico, ne restituisce la sostanza mediante uno specifico linguaggio di traduzione more geometrico.

L’anticipazione sistematica insita nell’atto del disegnare presuppone innanzitutto la definizione di uno spazio di scrittura critica, a partire dall’elezione dei propri riferimenti depositati nella memoria disciplinare come materiali culturali e fisici dell’architettura, antichi o contemporanei, come tentativi di riconciliazione con la tradizione costruttiva.

È in base alla selezione elettiva dei riferimenti che il disegno come strumento del progetto può ogni volta tracciare i contorni di una nuova forma che traduce la distanza critica necessaria nell’interpretare una condizione di realtà, ne propone un’alternativa che può anche essere in contraddizione o in opposizione rispetto alle sue stesse condizioni di riferimento. Disegnare è pertanto un esercizio di memoria e di pensiero proiettivo, ma anche di rinnovamento segnico, perché è attraverso di esso che ogni qualvolta si affronta un tema di progetto, si riorganizza un frammento della sostanza tettonica della disciplina. Disegnare dovrebbe quindi essere il processo con cui infondere forma e senso nuovi all’insieme dei caratteri che definiscono l’identità di un artificio architettonico, ovvero conferire un valore intenzionale che si compie attraverso uno sviluppo morfologico dimostrativo di un uso che ne rispecchia la sua stessa necessità.

Per queste ragioni il disegno è la scrittura prima del progetto, lo strumento di ricerca progettuale per eccellenza della disciplina architettonica, spazio astratto di contenuti concreti. È un processo che si compie ad ogni scala a partire dalla rappresentazione ‘al vero’ che è propria dei dettagli, sistema ordinato di segni che traduce in forma operante il costruire idee reinterpretando i materiali fisici e culturali dell’architettura. Il disegno dei dettagli rende pertanto concreto il processo mentale che mediante legami associativi traspone in forme spaziali l’esperienza intellettuale del progettare. Nella tensione morfologica e visiva tra disegno e progetto la rappresentazione grafica dei dettagli costituisce uno strumento di prefigurazione flessibile, che agisce attraverso l’indagine razionale necessaria a descrivere le relazioni tra le parti e l’insieme di un’opera, a studiarne l’interna organizzazione muovendo dalle singole unità morfologiche che ne riflettono l’intrinseca totalità. 

La strategia del dettaglio in quanto metodo di trasferimento della parte nel tutto si basa sull’esercizio intransigente della precisione e sul rigore della misura, sulla specificità visiva della scala virtualmente prossima o coincidente con l’echelle grandeur (Gubler 2008), sull’efficacia del modo in cui è organizzato l’insieme dei segni che ne definiscono il linguaggio di rappresentazione. Il disegno dei dettagli non può pertanto prescindere da una specifica regola geometrica che è sempre strumento e mai fine: le doppie proiezioni ortogonali, pianta e sezione. L’esattezza bidimensionale di queste rappresentazioni garantisce la trasferibilità di un disegno sul piano costruttivo, concreto. Ad esse si accompagna la descrizione tridimensionale tramite le proiezioni isometriche di matrice ottocentesca (Farish 1820).

Questa cultura della rappresentazione attraverso la scrittura del disegno affonda le proprie radici nella tradizione culturale europea, ambito di codificazione visiva, linguistica e scientifica che dall’auctoritas del pitagorismo antico – centrato sull’idea che la sostanza di ogni cosa concreta e la sua interna armonia siano il risultato di rapporti matematici – converge come noto nelle leggi analitiche della prospettiva rinascimentale, in particolare con De prospectiva pingendi (Piero della Francesca [1472-75] 2016). La declinazione delle leggi del disegno in proiezione ortogonale e in prospettiva in ambito disciplinare corrisponde alla scelta e allo sviluppo della strumentazione necessaria alla rappresentazione dei principi esposti nella trattatistica, a partire dalla rifondazione stessa della teoria dell’architettura da parte di Leon Battista Alberti che per primo fissa il tema della distinzione tra disegno e costruzione, fino ai teatrali ‘sfondamenti ottici’ descritti nelle 225 tavole raccolte nei due volumi che illustrano il trattato di Andrea Pozzo (Pozzo 1700-1702).

È sulla base di questi principi della rappresentazione che si articola lo sviluppo delle ortografie del disegno che si susseguono a partire dal Cinquecento, ad esempio attraverso il doppio registro proposto dal Vignola grazie alla sua intrinseca “dogmaticità catechistica e chiarezza didattica” (Portoghesi 1969), utilizzando le proiezioni ortogonali per illustrare la “Regola delli cinque ordini dell’Architettura” (1562) e formulando un metodo di disegno prospettico particolarmente avanzato con “Le due regole della prospettiva pratica” in cui anticipa le viste dal basso come “modo di dipignere le prospettive nelle volte” (Vignola 1538).

È forse utile a questo proposito richiamare alcuni altri contributi, in particolare l’uso che Albrecht Dürer fa delle proiezioni ortogonali nel disegno di un bastione – Enliche Underricht zu Befestingung der Stett Schlosz und Flecken (incisione su legno, 1527) – che rappresenta simultaneamente, forse per la prima volta, in pianta, alzato e sezione, metodo quest’ultimo poi utilizzato anche da Francesco de’ Marchi per rappresentare alcune delle sue complicate fortezze d’invenzione centripete, che affollano le pagine del suo trattato di “Architettura militare” (de’ Marchi [c. 1599] 1810).

Le ortografie del disegno seguono nuovi percorsi con gli sviluppi seicenteschi, come nella geometria proiettiva che Girard Desargues (1593-1662) argomenta nel suo Brouillon project d'une atteinte aux evenemens des rencontres du Cone avec un Plan (Desargues 1639) e nelle successive estensioni sviluppate con Abraham Bosse (Desargues, Bosse 1643), fino a raggiungere livelli di definizione particolarmente avanzati grazie all’autorevolezza scientifica e didattica delle doppie proiezioni ortogonali dimostrate nella Géométrie descriptive di Gaspard Monge (Monge 1798).

Lo sviluppo della dottrina dell’esattezza geometrica nella prospettiva trova ulteriori sviluppi tra Settecento e Ottocento grazie ad una serie di contributi finalizzati a trasmetterne le regole agli architetti anche in base alle intersezioni con le leggi dell’ottica, come nel caso delle note lezioni di Friedrich Gilly (Rietdorf 1940) o del Nouveau traité élémentaire de perspective di Jean Baptiste Cloquet (Cloquet 1823). In questo specifico ambito di contributi, speciale interesse è rappresentato dalla cosiddetta geometria derivata dal “cabinet oblique” la cui applicazione sistematica è già presente nell’uso che ne fa Denis Diderot per illustrare quelle parti dell’Encyclopédie, laddove ritiene necessario riprodurre descrizioni tridimensionali, in particolare laterali, di alcuni oggetti per facilitarne la comprensione.

Alcuni autori hanno evidenziato che questo patrimonio di studi e di applicazioni scientifiche del disegno costituisce una delle premesse alle formulazioni del pensiero morfologico moderno (Pedretti 2004) che si sviluppa attraverso i contributi fondativi che da Johann Wolfgang von Goethe e Alexander von Humboldt si succedono fino a definire l’“efficienza meccanica” nel comportamento di alcuni organismi naturali (Thompson 1917) per poi trasmigrare e declinarsi nelle ricerche dell’architettura moderna. Ciò è particolarmente evidente nei caratteri del disegno all’interno della problematica artistica e culturale delle avanguardie del Novecento, caratterizzata dalla complessità della rappresentazione dell’inquieta dimensione spazio-temporale della forma e dall’ansia di garantirne una riconoscibilità storica. Ne sono esempi emblematici le indagini sull’arte della rappresentazione grafica condotta dagli architetti costruttivisti, che riutilizzano il principio del doppio registro della rappresentazione geometrica, facendo ricorso sistematico sia alla prospettiva come nel caso di Jakov Georgievič Černichov, sia alle proiezioni ortogonali e isometriche come nell’opera di Ivan II’ič Leonidov, e in quella di El Lissitsky. Rispetto a quest’ultimo può essere utile richiamare il caso particolare rappresentato dal disegno assonometrico della Prounenraum ideata per la Grosse Berliner Kunstausstellung del 1923 e pubblicata nel luglio dello stesso anno nella rivista “G - Material zur elementaren Gestaltung”, quale ambiente emblematicamente decisivo – nella sua ambiguità figurale – dei metodi con cui le avanguardie rappresentavano la tensione immaginativa dell’architettura nell’inseguire soluzioni efficaci per la traduzione grafica dei nuovi spazi-manifesto per il XX secolo.

Come nota Baxandall (Baxandall [1985] 2000) questa genealogia della rappresentazione attraverso le due principali modalità di declinare le pratiche del disegno architettonico pone in evidenza la differenza fondamentale tra la tensione visiva e figurale della “sensazione” prodotta dall’immagine ottica di un’opera attraverso la prospettiva, e la rappresentazione oggettiva o “della sostanza” ottenuta mediante l’utilizzo sistematico delle doppie proiezioni ortogonali. Come sappiamo, il disegno dei dettagli quale espressione di una sorta di “realismo provvisorio” (Gregotti 2014) può comprendere il ricorso alla descrizione tridimensionale isometrica, utilizzata ad esempio da Franco Albini nel rappresentare l’intreccio tra storia, tradizione e razionalità nell’interpretazione del principio dei collegamenti delle pareti a “Rascard” attraverso il disegno dei particolari costruttivi dell’albergo-rifugio Pirovano a Cervinia (1946-48 – tavola 61/77). Tuttavia, il disegno dei particolari privilegia la rappresentazione bidimensionale basata sulla descrizione intrinsecamente ‘totale’ di un oggetto plastico permessa dalle doppie proiezioni. È infatti l’astrazione geometrica del disegno ortogonale ad avere il vantaggio di salvaguardare la forma di ogni frammento di un’architettura, ne garantisce l’equilibrio compositivo interno attraverso l’esattezza dimensionale e ne stabilizza la condizione di “sostanza” misurabile nell’insieme di un’opera.

Il disegno geometrico essenzialmente bidimensionale del dettaglio è pertanto esso stesso contenuto finalistico, in quanto è alla base di ogni metodo di trasferimento dell’idea di forma dell’utile” nella cosa concreta attraverso le proiezioni ortogonali. Queste ultime non sono quindi solo una pura tecnica geometrica di rappresentazione, ma costituiscono una chiave di lettura delle strategie del dettaglio, la loro intrinseca qualità nella dimensione della precisione. Esse rispecchiano l’appartenenza alla cultura visiva della modernità che non si risolve sul piano della pura figurazione, ma pone le regole di una componente dimostrativa ‘cartesiana’ basata sulla geometria descrittiva. È questa l’intrinseca condizione di misura che pone attraverso il disegno dei dettagli una specifica “Frage der Darstellung” (Benjamin 1926) in vista di un’intenzione di riproducibilità tecnica, ovvero di una finalità costruttiva concreta.

Se i dettagli come dei segni del fare sono portatori di un contenuto di verità insito nella sostanza di un’opera di architettura derivante dalle interpretazioni dello sterminato corollario di figure morfologiche depositate nella memoria disciplinare, allora per essere rappresentati essi necessitano di un linguaggio di traduzione ‘certo’ e immediatamente traducibile nell’attività pratica del fare: innanzitutto sezioni orizzontali e verticali. Esiste pertanto una sorta di ‘precondizione ortogonale’ nel progettare all’echelle grandeur, sintetizzata dal sistema organizzato di segni grafici sulla cui base si dà forma a un dettaglio, ovvero “la dimensione informativa del disegno [che] una volta auto-verificato, dovrà poi essere interpretato da altri, di conseguenza la sua codificazione è garanzia di intelligibilità” (Riva 1997, 12).

“Der Geist der Architektur”: il dettaglio come “coscienza riflessiva” del progetto

Materials offer a variety of silences, a variety of resistances.
Louise Bourgeois

2 | Guido Morpurgo, Tempo e forma. Esercizio maieutico per una Tesi di Laurea, IUAV 2022.

Questo contributo – che non ha alcuna pretesa di sistematicità o di completezza teorica – rappresenta un tentativo di restituire per frammenti il senso di un’esperienza di ricerca operante che riguarda un aspetto peculiare della relazione tra costruzione mentale di un’idea di architettura e il gesto che caratterizza il disegno a mano, senza intermediazioni meccaniche o deleghe digitali. Lo schizzo e il disegno geometrico ‘a mano’ sono infatti, nella loro immediatezza corporea, strumenti ostensivi di investigazione e di rappresentazione architettonica irrinunciabili e insostituibili. È possibile allora tentare di definire provvisoriamente ‘strategia del dettaglio’ il processo che registra visivamente la sostanza di un tema architettonico e rappresenta così la “coscienza riflessiva” del progetto, la pratica interna del “re-enactment” (Collingwood 1946) dell’essenza profonda, tettonica – morfologica, linguistica ed espressiva – dei materiali disciplinari. La strategia del dettaglio corrisponde al modo di organizzare un corollario morfologico, un atlante visivo di micro-eventi plastici trasponibile in ogni nuova architettura progettata, secondo un principio di rapporto equilibrato tra tecnica e finalità.

Lo studio di un dettaglio attraverso il disegno costituisce un ‘incarico’ architettonico che, presentando un interesse visivo intenzionale, esprime sempre una posizione idiografica, determinata da scopi, azioni e finalità, in cui l’intenzione è sempre relazione dell’oggetto con un contesto specifico. Per un architetto la strategia del dettaglio significa allora sintetizzare i caratteri di un’opera, il Geist der Baukunst (Schumacher 1938) attraverso un’esperienza intellettuale che integra aspetti mnemonici e associativi – morfologici e spaziali – facendoli convergere in una rappresentazione mentale, astrazione che in quanto traccia immateriale di un pensiero morfologico e di un’intenzione progettuale non può mai essere il ritratto di una realtà immaginata, una sua ricostruzione descrittiva. L’azione di continua messa a punto, di ‘scavo’ all’interno della forma di un dettaglio, muove dall’idea che la parte e il tutto siano vicendevoli riferimenti l’una dell’altro, condizioni reciproche che si rincorrono in un processo metamorfico che sempre si rinnova: attraverso il disegno del dettaglio, progetto e storia confluiscono l’uno nell’altra, rigenerando le forme architettoniche e assegnando ad esse nuovi significati. Per questa ragione il dettaglio non è mai solo una risposta a un problema tecnico, ma è sempre un segno del fare che si fa evento plastico, fatto formale. È rielaborazione sintetica di un’eredità fenomenica trascritta entro un nuovo codice figurativo e simbolico, interpretativo e proiettivo che si invera per metonimia attraverso ibridazioni, integrazioni, trasfigurazioni e rimontaggi di frammenti e di memorie.

Questa ‘legge delle metamorfosi’ che preside alle strategie del dettaglio coincide con la specificità della ricerca incessante che identifica ogni autentico progetto di architettura: la dimensione dell’‘interminabile’, qualcosa di inconfondibile e inafferrabile che è indagine sulla forma aperta che procede per approssimazioni e, in quanto tale, è soggetta a successive rielaborazioni, variazioni e precisazioni. È la proiezione di una pratica artistica ostinata e peculiare di interpretazione critica del reale, basata sulla ricerca di coerenza morfologica attraverso la definizione di un linguaggio che trova nel disegno del dettaglio la sua interna sintesi metodologica, il suo irrinunciabile fondamento e la sua ragione essenziale: è il “punto in là [da cui] non vi è più ritorno […] il punto da raggiungere” (Kafka 1917-18).

Echelle grandeur metafora di costruzione

Mais est-il possible de maîtriser l'architecture a l'échelle grandeur?
Cette exigence extrême se place hors de toute atteinte.
Jacques Gubler

3 | Guido Morpurgo, Le forme del vuoto. Esercizi maieutici per WAVE, Arsenale Terese, scala 1:50, IUAV 2022.

L’esercizio del dettaglio come forma di scrittura critica del testo architettonico e ‘fatto spaziale’ depositario di valori plastici è sempre il risultato di una processualità paziente, lenta e meticolosa così come della capacità di riordinare e riorganizzare i dati dell’esperienza. Rappresenta il risultato della sovrapposizione di tentativi e approssimazioni, di un pensiero circolare privo di confini predefiniti, di una ricerca morfologica di assemblaggio dell’insieme di segni che origina da un’“impressione” tendenzialmente infinita. È il donner à voir dell’essenza linguistica di un’architettura, appassionata invenzione con cui si invera il sogno di una forma che si compie come astrazione orientata della realtà costruttiva di un’opera. Essa rappresenta il modo di costruire idee, essendo il frammento di una organicità morfologica complessiva. Basata su un principio di coerenza – Scarpa ce lo ricorda in ogni angolo, in ogni risalto, in ogni pausa, in ogni ritmo, in ogni silenzio che misura lo spazio di un’opera – questa unità è da ritrovare nell’attrazione per la poetica del giunto, nella trama di relazioni da istituire tra le pieghe delle superfici e tra le diverse profondità dei materiali. In tal modo questi ultimi possono ricongiungersi in una forma organica in cui “riconoscere quella sapienza che è propria di un’architettura fatta bene, quei particolari trattati con mestiere ma soprattutto con amore che fanno sì che l’architettura ti venga incontro, che le cose parlino” (Ridolfi 1979).

La strategia del dettaglio è un processo essenzialmente autocritico, un tentativo di ricostruire ogni volta un contesto attraverso il disegno e conquistare così una libertà espressiva che è raggiungibile solo con la pura astrazione, con l’esercizio inquieto del cercare, del provare e riprovare attraverso il disegno. È l’esito intelligibile in termini architettonici – intenzionalità, uso, significato – del perenne conflitto tra le prerogative del pensiero euclideo come condizione di ogni precisione espressiva e del controllo – il più accurato possibile – delle variazioni permesse dalla geometria in quanto codice di organizzazione dei segni, in rapporto alle ragioni di una realtà costruttiva permeata dalle dimensioni dello spazio-tempo, che euclidee non sono.

L’esercizio del dettaglio quale “interesse visivo intenzionale” (Baxandall [1985] 2000, 68) e ‘officina segnica’ basata sulla rappresentazione euclidea è quindi “metafora di costruzione” (Sanguineti 1984) di figure plastiche prodotte dall’infinita rottura e ricomposizione di altre figure. È testimonianza della ricerca di durata, indagine intransigente sulla forma che si dipana dal suo stesso interno quale condensato espressivo, estensibile nella dimensione misurata dello spazio abitabile.

La ricerca operante del disegnare dettagli si sviluppa secondo una processualità che si auto-documenta attraverso “la lenta approssimazione del disegno” (Siza 1997). La stesura di un disegno di dettaglio insegue crinali spesso contraddittori, colleziona segni che testimoniano delle esplorazioni, approssimazioni e prove, ma anche dei dubbi e ripensamenti che si stratificano in una sorta di “diario degli errori” (Flaiano 1978) che lascia tracce, segni e cancellature sulla carta, permettendo di raggiungere risultati per una soluzione specifica che possono essere solo e sempre provvisori, perché soggetti a nuove soluzioni, invenzioni e varianti. Questi sistemi organizzati di segni grafici rappresentano i vettori convergenti della pura astrazione formale che si esprime attraverso la geometria e, al contempo, della necessità di plasmare attraverso l’esperienza e il mestiere forme che divengono cose concrete nel senso rinascimentale del termine, come dialogo tra gli ambiti dell’architettura e delle arti visive, ma senza confusioni tra i loro reciproci compiti disciplinari.

L’insieme delle strategie del dettaglio è per sua natura quasi una pratica artistica specifica che consiste nell’assegnare significato alla forma facendo convergere in un linguaggio unitario, quindi in una “concettualizzazione seriale” (Baxandall [1985] 2000, 24), i pezzi diversificati di un tutto, ricongiunti in un insieme organico coerente. Per questo motivo disegnare dettagli rappresenta un esercizio di ricerca ostinata, un’attività intrinsecamente maniacale che è il riflesso dell’esigenza di mettere alla prova la tenuta dei confini di un problema architettonico. Questo mettere alla prova è fondato sulla coesistenza e reciprocità di estremità scalari ‘al vero’ apparentemente incompatibili: i dettagli rendono intelligibile l’insieme di un’opera di architettura fissandone la realtà oggettiva, indagandone il livello micrologico della forma, i suoi stessi elementi costitutivi. Liberano la realtà dalla sua condizione di mutevolezza, stabilizzandola provvisoriamente, definendo la relazione tra la parte e l’insieme per ricondurle a una medesima unità costitutiva.

Il disegno del dettaglio è il modo di fissare le condizioni di utilità con rigore e precisione, condizioni che all’echelle grandeur sono imprescindibili. Ma al contempo ciò implica anche la volontà di infrangere quelle stesse regole forzando attraverso il disegno l’unità organica del pièce-unique per codificarne le componenti in elementi trasferibili nella consistenza oggettiva di una complessiva “unitè architecturale” (Le Corbusier 1928).

Disegnare dettagli ha quindi a che fare con la dimensione dell’incessante, della ricerca infinita della forma che deve però fermarsi, ad un certo punto, laddove “l’intreccio tra rigore e libertà” (Raboni 1997) ha finalmente raggiunto un assetto sufficientemente stabile per rispondere alla necessità di stabilire il contorno della sua intrinseca condizione di utilità.

La strategia del dettaglio è quindi un esercizio di precisione che presiede all’origine di ogni linguaggio delle forme, ne definisce il DNA e con esso l’essenza degli elementi costitutivi del progetto, la sua stessa ricchezza semantica. È rapporto tra singole componenti che si ricompongono in un insieme coerente; relazione percettiva simultanea tra la parte e il tutto; vocabolario di qualità visive istantanee. Ma è anche “costruzione operativa” (Gubler 2008) basata sull’esercizio del disegno in quanto strumento progettuale che traduce in forme misurabili attraverso la sublimazione della meccanica come forma di ‘orologeria costruttiva’ – non ingegneristica, ma essenzialmente architettonica – necessaria all’astrazione della pratica del raccordo e del montaggio che richiama l’idea della macchina nel suo essere ancora agente magico e meraviglioso, luogo fantastico di invenzioni e sviluppi morfologici imprevisti (Pontus Hultén, 1968).

Dettagli, memoria e prefigurazione

Bisogna far aderire il proprio mondo reale di costruttori
alla realtà delle tre dimensioni, la quale è l’espressione
tangibile dell’immanenza e non può farne a meno.
Ernesto Nathan Rogers

4 | Guido Morpurgo, Comunità Italia, sezione, disegni e modelli originali. Sezione generatrice dell’allestimento, scala 1:20, Triennale di Milano 2015.

Il disegno di architettura si nutre di memoria. Il dettaglio è il primo operatore del ricordare in quanto fissa il processo costitutivo dell’architettura che a partire dal grande Livre de portraiture di Villard de Honnecourt fissa le condizioni di una costruzione morfologica meticolosa, frammento e prefigurazione sintetica di un intero, che condensa nell’idea le premesse per diventare realtà spaziale compiuta proprio grazie alla dimensione del dettaglio, che - in quanto elemento-base di quello stesso intero - è dimostrativo della condizione di coerenza che garantiva l’identità linguistica e costruttiva di grandi insiemi architettonici unitari quali erano le cattedrali gotiche.

Questa idea di trasmettere attraverso il dettaglio la prefigurazione della realtà costruttiva di un’opera attraverso la forza dimostrativa di un angolo, di una cerniera o l’utilizzo combinatorio di diversi materiali resi formalmente compatibili ed essenzialmente reciproci, si invera mediante il ricorso sistematico al principio del giunto, all’uso della rappresentazione grafica ridotta all’essenza dalle proiezioni ortogonali: pianta e sezione. Esse sono le declinazioni di un unico scopo: rappresentare i temi del valore spaziale e della precisione dei dettagli che sempre sono necessari per definirne con esattezza la morfologia di un’architettura.

La dimensione del dettaglio è già presente in nuce nella superficie di uno schizzo, nel rapido tratto che presiede all’idea che verrà tradotta per successive approssimazioni dapprima nel disegno esecutivo, poi in un evento plastico, in forma concreta, architettura realizzata. La strategia del dettaglio non si limita all’echelle grandeur. La dimensione del particolare dovrebbe infatti permeare ogni rappresentazione architettonica, indipendentemente dalla scala grafica. Perché il disegno di architettura è già in sé necessariamente definito attraverso i suoi stessi dettagli. È una questione di metodo, di processo e di intenzionalità. Trasmettere il significato di una forma attraverso il disegno significa precisarla fin da subito nei suoi elementi costitutivi, dettagliarne la consistenza, ‘far parlare’ i materiali di cui sarà composta, a cominciare da quelli ambientali: territori, paesaggi e città.

Il disegno del dettaglio come contesto della forma ed esercizio critico è già in sé costruzione plastica, proprio perché affronta programmaticamente il tema dell’indagine della realtà costruttiva di una forma architettonica, coincidendo con il suo stesso fondamento tettonico. Il dettaglio è il ‘luogo’ costitutivo del progetto in cui si rappresenta la vertigine dello zoom dimensionale e della sua stessa Gestaltung: l’aforisma mitico “Vom löffel bis zur stadt” di Muthesius rapprende in sé un’idea di metodologia unitaria della progettazione e con essa la questione del rapporto tra compressioni e dilatazioni delle forme architettoniche, della loro inesauribile reciprocità e mutua necessità nella rappresentazione dell’architettura attraverso una programmatica inter-scalarità progettuale, condizione stessa della sua stessa messa alla prova, di ‘tenuta’ alle scale estreme del particolare e dell’intero.

Dettagli e descrizione

Il disegno è il linguaggio e la memoria, la forma di comunicare
con sé stesso e con gli altri, la costruzione.
Álvaro Siza

5 | Guido Morpurgo, Memoriale della Shoah di Milano, dettagli degli espositori dell’area mostre, scala al vero, 2013.

Abbiamo sottolineato che le strategie del dettaglio non rappresentano immediatamente delle ricostruzioni narrative perché sono “forme dell’intenzione” (Baxandall 2000), interpretazioni morfologiche che stabiliscono mediante il disegno relazioni tra concetti e segni in vista di una ragione d’uso specifica. Non si limitano pertanto ad essere le descrizioni di contenuti tecnici o estetici, ma sono soprattutto le figurazioni idiografiche di temi architettonici specifici attraverso quell’unicum che rapprende in sé forma e contenuto tramite il linguaggio “che diventa fisionomia, gesto, comunione di Leib und Seele” (Paci 1957). Gli aspetti descrittivi e di narrazione del disegno di un dettaglio rappresentano di conseguenza la relazione tra segni e concetti, tra forma, struttura e uso. Questa figurazione è per sua natura immateriale, astratta. Lo è tanto più, quanto più essa è forma tesa a restituire il significato di un ‘materiale’ progettuale, storico, culturale o concreto: la trama della venatura di un’essenza lignea, la profondità di un metallo e la sua intrinseca offerta di precisione, il poter essere piegato e produrre spigoli e angoli perfetti, la consapevolezza dei suoi comportamenti ed effetti derivati, come ad esempio la sensibilità alle deformazioni, la sua stessa ‘memoria’ dello stato iniziale. Analogamente partecipa di questa consapevolezza dei materiali il peso, la compattezza e la dimensione di lunga durata di un elemento lapideo e la sua possibilità di essere scavato, stondato, squadrato, sagomato. Il segno rapprende il principio della ricostruzione sintetica di una forma che però non deve mai tendere a un’immagine fotografica del reale, ma essere sempre interpretazione di quella stessa concreta realtà nei termini di un’essenza sintetica. Per questa ragione le strategie del dettaglio sono costruzioni di idee, metodi essenzialmente dimostrativi, offerte di forma che si raggiungono con il disegno attraverso scarti interpretativi, invenzioni e spostamenti di senso.

Dettaglio, linguaggio e “gradazione”: precursori

La geometrie est le seul language que nous sachions parler.
Le Corbusier

6 | Guido Morpurgo, Memoriale della Shoah di Milano. Luogo di riflessione, sezione caratteristica, scala 1:20, 2013.

Si è cercato di delineare la connessione sottesa al rapporto che intercorre tra disegno e progetto rispetto alla ricerca intrinseca a ogni strategia del dettaglio che è innanzitutto il modo con cui studiare e rappresentare un’idea di architettura traducendola in forma costruibile. Ciò è conseguibile utilizzando le tecniche costruttive consolidate come nel caso dei dettagli eloquenti disegnati da Franco Albini per le sue architetture, allestimenti e arredi o da Mario Ridolfi che codifica la grafia e l’identità materica del suo metodo progettuale ‘al vero’ nel corollario di morfemi costruttivi che è il “Manuale dell’Architetto” elaborato nel 1946 per l’Italia della ricostruzione. Oppure, ancora, trasferendo il significato di quelle stesse tecniche nella definizione di nuovi elementi di valore plastico e fatti spaziali, come nel caso del lavoro di Carlo Scarpa, che sembra muovere sempre dal dettaglio come microcosmo morfologico in grado di ricostruire l’intero per frammenti, oppure, ancora, come Umberto Riva, attraverso il suo sperimentalismo, con cui ricerca incessantemente la forma a partire da un angolo o dalla linea spezzata di un indicatore di percorso.

Ma esiste altresì un processo alternativo a queste sperimentazioni che si è indirizzato verso la codificazione progressiva di forme di astrazione, corrispondente a metodi di riduzione degli aspetti espressivi a favore di un cambiamento di paradigma nel ruolo della tecnica, che oggi tende a diventare fine anziché mezzo, mutazione questa che rappresenta una delle ragioni alla base della crisi profonda che l’architettura ha subito a partire dalla metà degli anni ’80 del Novecento e dalla quale non sembra aver fino ai nostri giorni trovato risoluzione (Gregotti 1999 e 2002).  Per queste ragioni le strategie del dettaglio rappresentano anche gli indicatori primari delle mutazioni del linguaggio con cui l’architettura si rappresenta in rapporto a determinate circostanze storiche e culturali.

La ricerca della forma architettonica attraverso l’eloquenza del dettaglio o, al contrario, mediante la sua progressiva astrazione e ‘scomparsa’, sia come scelta minimalista oppure di astensione e rinuncia, rappresentano direzioni alternative. Ma ciò che forse condensa quel flusso continuo di esercizi di scrittura grafica in grado di sviluppare grammatiche espressive organiche, rigorose e coerenti, che tendono anche solo virtualmente alla scala ‘al vero’, risiede nell’eloquenza espressiva. Ne è un esempio estremo lo schizzo di un dettaglio che, pur essendo privo di una scala definita, è in sé portatore di misura e proporzioni grazie alla coscienza del segno, raggiungibile solo se si pensa un progetto all’echelle grandeur.

Le strategie del dettaglio si basano su metamorfosi che producono nuovi assetti, nuove forme che inseguono un’idea di permanenza a cui si tende lavorando con materiali incorruttibili e ricombinando elementi realizzati ad hoc, oppure ricorrendo al vasto campionario di semilavorati standardizzati che costituiscono i morfemi di un linguaggio tecnico estensibile e interpretabile. È questo il caso dei dettagli che si possono sviluppare sulla base di elementi metallici, utilizzando i cosiddetti ‘profilari’ che ordinano famiglie di forme-base dotate di misure unificate – profili normali, piatti, tondi ecc. – ricombinabili, ricomponibili e modificabili attraverso il principio del montaggio, del giunto e della deformazione orientata, in nuove forme e figurazioni spaziali virtualmente infinite.

Ma il disegno del dettaglio possiede anche un suo intrinseco valore espressivo e visivo, che ne definisce una propria identità segnica ed estetica che pertanto non è mai possibile separare dall’appartenenza alle pratiche artistiche di uno specifico periodo storico. In tal senso le strategie del dettaglio rappresentano dei metodi di decifrazione e riscoperta delle proprietà e delle identità stesse dei materiali in relazione a un contesto figurale e visivo specifico. Esiste pertanto una dimensione di relativa autonomia relativa dei caratteri grafici che definiscono il disegno di un dettaglio come fatto visivo, come forma di “figurazione” (de Curtis 2015) in cui il linguaggio soggettivo è espressione dell’immaginario e della memoria personale di un architetto, della sua stessa identità segnica. Come una sorta di manifesto morfologico, il disegno del dettaglio diventa allora una microstoria che in qualche misura si libera provvisoriamente dal problema della finalità, quindi dell’uso, e dell’aderenza alla risoluzione di un tema costruttivo, per farsi espressione di una poetica individuale, in qualche caso autorale, che spesso si esprime quale frammento di un contenuto utopico, di una speranza progettuale che appartiene al mondo delle idee di forma.

Ma le strategie del dettaglio che pongono la forma al centro della ricerca progettuale in architettura, definiscono innanzitutto linguaggi di traduzione delle idee in eventi plastici quali soluzioni tecniche legate a un uso specifico. Questa modalità di figurazione degli usi non può essere compresa senza un fondamento tettonico, insieme a una chiara concezione del problema della gerarchia che si deve stabilire tra le parti di un’opera come condizione fondamentale delle loro interne corrispondenze: ogni elemento è riallineato e ricongiunto alla forma complessiva secondo principi di ordinamento e subordinazione. Questa memoria della concezione albertiana della “gradazione” nel modo di risolvere dall’interno l’assetto morfologico di un’opera, ha anche un valore intrinsecamente simbolico, conseguito attraverso la specifica qualificazione delle parti mediante la loro “suddivisione” in relazione a un sistema di riferimento organico, che - risuonando nella compiutezza percettiva del fatto visivo – è al contempo sia geometrico sia ottico.

Lo sviluppo del dettaglio come disegno costruttivo e il suo ripensamento in termini morfologici, soprattutto grazie al contributo ‘per frammenti’ di Carlo Scarpa, sembra quindi rovesciare i termini di ordinamento della “gradazione” originariamente basata sulla deducibilità delle parti dal tutto. Ripartendo dal disegno dei singoli elementi, l’interpretazione del principio della “molteplicità nell’unità” individua nei dettagli i nuclei depositari della struttura prima che definisce un’opera. In particolare, ciò avviene precisando le qualità dei due termini del problema - morfologia e linguaggio - che risultano pertanto indissociabili in una relazione di muta corrispondenza, simile a quella che lega indissolubilmente disegno e progetto, come si è cercato di evidenziare all’inizio di questo contributo. Lo spostamento di significato operato all’interno della cultura del moderno può essere riconsiderato attraverso i fondamenti stessi della teoria architettonica che abbiamo individuato nelle “strategie del dettaglio” (Gregotti 1983).

Come noto la dimensione del dettaglio è intimamente legata allo sviluppo della tecnica otto-novecentesca, ma come si è visto in realtà presenta radici profonde nel principio albertiano della “gradazione”, nella complessiva trama organizzativa dell’architettura che risiede nei fondamenti dell’età moderna, anche se ad un primo sguardo sembra essere programmaticamente assente nei testi fondatori dei trattati quattrocenteschi e cinquecenteschi. Solo il problema degli ordini è sviluppato, argomentato e disegnato con precisione in tutti i trattati come una sorta di ‘unico discorso’, in particolare in quelli di Serlio, Vignola (che, come abbiamo ricordato, era anche un grande conoscitore della prospettiva) e Palladio, che nei suoi “Quattro Libri” rappresenta ogni cosa architettonica ricorrendo unicamente alle proiezioni ortogonali, strumenti eletti per trasmettere con chiarezza dimostrativa l’idea umanistica che sta alla base della ricerca del “riposo della forma”. Dopo l’Alberti, questi tre autori, in particolare, anticipano in maniera esemplare il tema del rapporto tra teoria e disegno, o meglio, il reciproco rispecchiamento della teoria nel disegno e viceversa, attraverso l’esattezza geometrica delle proiezioni ortogonali e la trasferibilità dimostrativa delle proporzioni e delle misure di ogni dettaglio legato agli ordini, come nel disegno di Palladio per la voluta diagonale di un capitello ionico (Libro Primo, tav. 34).

Tuttavia, il dettaglio come fatto costruttivo è, al contrario, un argomento apparentemente assente in ogni riflessione teorica rinascimentale. Nei trattati vi sono elenchi di materiali e descrizioni, ma, salvo rari casi – i profili tracciati da Antonio da Sangallo il Giovane per realizzare le sagome in metallo con cui realizzare modanature, o i disegni del Belluzzi per le fortificazioni di terra – la dimensione del dettaglio costruttivo è esclusa dalla trattazione perché relegata alla pura dimensione tradizionale della pratica di cantiere. Ciò con tutti i limiti del caso, se si pensa ad esempio alle difficoltà che gli architetti dell’epoca dovettero affrontare per riuscire a realizzare le loro opere, mancando una manodopera capace di eseguire le forme degli elementi appartenenti ‘alla maniera antica’.

Eppure, da un’osservazione più attenta dei trattati rinascimentali e dalle notizie che ci sono pervenute, emergono alcuni indizi che fanno riemergere da un angolo inaspettato della storia dell’architettura il tema del dettaglio come argomento di definizione astratta e di codificazione teorica. Questo aspetto origina dalla difficoltà di regolare attraverso il disegno la soluzione di alcuni particolari fondamentali per la risoluzione di un’architettura, da cui deriva la pratica diffusa, dal Rinascimento in avanti, dell’affidare queste verifiche alle maquettes, che divengono i tramiti tridimensionali utilizzati per provare soluzioni specifiche difficilmente risolvibili graficamente. È questo il caso del celebre modello ligneo del cornicione di Palazzo Farnese che Michelangelo fece appositamente realizzare, ma che purtroppo, come la maggioranza di questi oggetti, si è perduto o, ancora, della maquette che rivela la struttura interna della cupola del duomo di Firenze del 1432, di cui esiste ancora una copia probabilmente seicentesca (Pacciani 1987).

Come sappiamo, il trasferimento dal disegno al modello di architettura è un principio che si è via via strutturato nel corso dei secoli successivi e che torna alla scala del dettaglio ‘al vero’ dapprima nel corso dell’Ottocento in particolare con lo sviluppo delle costruzioni in ferro, per poi trovare nuove direzioni, dapprima attraverso le sperimentazioni del moderno e successivamente in epoca contemporanea in relazione allo sviluppo dell’industrializzazione dei processi costruttivi, non solo alla scala dell’architettura come forma completa, ma soprattutto a quella del componente singolo, sia esso un giunto, uno nodo o il profilo di un elemento continuo, oltre che del prodotto industriale.

La relazione tra progetto, disegno del dettaglio e modello affonda quindi le sue radici nel Rinascimento, che si rivela, ancora una volta, un concentrato di fondamenti teorici e metodologici, di anticipazioni e precursori, come nel caso del ricorso sistematico alle proiezioni ortogonali nel richiamato caso di Palladio, che tramite il disegno in pianta, sezione e prospetto affina il codice, o meglio, la strategia di rappresentazione dei dettagli degli ordini inaugurata dal Vignola.

Il dettaglio come sineddoche: la parte per il tutto

Il n’y a pas de détail dans la construction.
Auguste Perret

7 | Guido Morpurgo, Chagall e la Bibbia. Inediti al Museo Diocesano, studi degli elementi espositivi dell'allestimento, Milano 2014.

Attraverso questo contributo si è tentato di tracciare alcuni tra i possibili contorni teorici del disegno dei dettagli a partire dal principio di coerenza e corrispondenza interna per cui ogni cosa architettonica, o meglio, ogni frammento di valore architettonico, dovrebbe poter essere riconoscibile grazie alla sua specifica identità di fatto plastico. Quindi non quale riflesso dell’insieme di un’opera, ma in quanto esso stesso essenza morfologica di quella stessa opera. È questa la condizione che si è individuata quale garanzia di coerenza e fondamento stesso del rapporto tra la forma-dettaglio e la complessiva forma architettonica.

Le strategie del dettaglio si basano quindi sul principio di organizzazione morfologica di un insieme di frammenti in un sistema ordinato, al fine di garantire l’equilibrio complessivo e la riconoscibilità di un’architettura come fatto unitario. Disegnare dettagli è necessariamente una pratica rigorosa, come si è detto, e forma intenzionale studiata per stabilire relazioni coerenti tra le parti di un tutto. È un processo mentale, quindi astratto, finalizzato alla definizione dell’identità costruttiva di un’architettura, della sua specifica qualità di forma simbolica e del suo intrinseco complesso di corrispondenze basato su di una gerarchia dei segni in funzione degli usi, che si sviluppa quindi al di là della pura gestualità, senza ricorsi ad aggiunte inutili o a scelte arbitrarie. La connessione del dettaglio con l’insieme implica che esso, in quanto microstoria morfologica, debba poter trovare corrispondenza nella forma complessiva e viceversa, in modo che il legame tra le scale dell’opera si manifesti nei termini di un vicendevole rafforzamento che si esprime attraverso l’organicità di uno specifico codice formale.

Tra le possibili strategie del dettaglio si afferma in tal senso la possibilità di rielaborare la lezione di Scarpa, senza valersi di citazioni didattiche o di ricorsi stilistici, ma come metodo di ricerca sperimentale che corrisponde a un andersdenken, un “pensare altrimenti” (Rella 1982) la forma architettonica a partire dai suoi interni frammenti, dalla loro intrinseca elasticità semantica. In quanto dimostrativi del principio albertiano della “molteplicità nell’unità”, i dettagli interpolano e sintetizzano al loro interno la condizione empirica della materia di un’opera, mediante la tensione che si determina tra le qualità della “gradazione”, della suddivisione, del proporzionamento e del linguaggio. L’integrazione di queste categorie di origine albertiana può essere ripensata per il tramite della dialettica che intercorre tra tradizione del moderno e dimensione rinascimentale dell’invenzione, in modo che entrambe queste dimensioni del pensiero architettonico possano essere re-interpretate come vettori convergenti di una ricerca progettuale che origina dai frammenti di costruzione depositati nella memoria disciplinare.

È stato evidenziato che i dettagli quali strumenti disciplinari di interrogazione delle proprietà della forma si rappresentano primariamente attraverso la geometria proiettiva delle piante e delle sezioni generatrici, ovvero mediante la traduzione dell’idea attraverso il disegno in cui le sujet ne sera pas modifié par sa représentation (Evans 1989). È questo un metodo di disegno che salvaguarda l’integrità delle forme architettoniche, le loro misure e proporzioni, metodo la cui qualità dimostrativa è immediatamente trasferibile attraverso i principi del montaggio nella dimensione costruttiva dell’officina, prima ancora che in quella del cantiere.

Le strategie del dettaglio ci ricordano infine che l’architettura nasce sempre dalla necessità, che la qualità non presenta una relazione diretta con la quantità o la grandezza e che è sempre indispensabile produrre un rinnovamento rigoroso del materiale linguistico attraverso il principio della “varietà” che è complementare a quello dell’unità organica. Di conseguenza le strategie del dettaglio dovrebbero sempre rispecchiare un impegno intellettuale basato su metodi progettuali fondati sulla precisione e la costanza nella definizione morfologica. Una ricerca, questa, che deve essere focalizzata sulla coincidenza tra struttura e forma, tra tempo, materia e memoria, ovvero sui materiali disciplinari fondamentali che, insieme, ricongiungono indissolubilmente il ricordare e il proiettare, cultura del progetto e nuove architetture, storia delle forme e nuove forme di interpretazione e spiegazione del reale, che non esprimano valori assoluti, ma relazionali.

È sulla base di queste ragioni che attraverso l’esercizio del rigore e della meticolosa attenzione alla centralità della forma, le strategie del dettaglio possono ancora offrire percorsi di ricerca morfologica e rappresentare così una speranza di durata, una risposta pratico-teorica al problema della transitorietà che contraddistingue la trama del nostro tempo, muovendo dall’idea che la definizione di un’opera di architettura “riposi interamente nel disegno stesso” (Alberti [c. 1450] 1966).

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English abstract

Drawing is the writing before the project, the design research tool par excellence of the architectural discipline, an abstract space of concrete contents. It is a process that takes place at every scale starting from the representation in actual scale that is characteristic of details, an ordered system of signs that translates into operative form the construction of ideas by reinterpreting the physical and cultural materials of architecture. The drawing of details therefore makes concrete the mental process that transposes the intellectual experience of designing into spatial forms through associative links.

The ‘detail strategy’ as a method of transferring the part into the whole is based on the uncompromising exercise of precision and the rigour of measurement, on the visual specificity of the scale virtually close to or coinciding with the echelle grandeur, on the efficacy of the way in which the set of signs defining the language of representation is organised. The drawing of details cannot therefore disregard a specific geometric rule that is always a tool and never an end: the double orthogonal projections, plan and section. The two-dimensional accuracy of these representations guarantees the transferability of a drawing to the constructive, concrete plane.

It is then possible to tentatively attempt to define ‘detail strategy’ the process that visually records the substance of an architectural theme and thus represents the ‘reflexive consciousness’ of the project, the profound, tectonic essence – morphological, linguistic and expressive – of the disciplinary materials. The ‘detail strategy’ corresponds to the way of organising a morphological corollary, a visual atlas of plastic micro-events transposable in every new architecture, according to a principle of balanced relationship between technique and purpose.
The ‘law of metamorphosis’ that presides over the ‘detail strategies’ coincides with the specificity of the incessant research that identifies every authentic architectural project: the dimension of the 'interminable', something unmistakable and ungraspable that is an investigation of the open form that proceeds by approximations and, as such, is subject to successive re-elaborations, variations and clarifications. It is the projection of a stubborn and peculiar artistic practice of critical interpretation of reality, based on the search for morphological coherence through the definition of a language that finds in the design of detail its internal methodological synthesis, its inalienable foundation and its essential reason. A research, this one, that must be focused on the coincidence between structure and form, between time, matter and memory, that is, on the fundamental disciplinary materials that, together, indissolubly reunite remembering and projecting, design culture and new architectures, history of forms and new forms of interpretation and explanation of the real, that do not express absolute values, but relational ones.
It is on the basis of these reasons that through the exercise of rigour and meticulous attention to the centrality of form, the strategies of detailing can still offer paths of morphological research and thus represent a hope of duration, a practical-theoretical response to the problem of transitoriness that characterises the texture of our time, moving from the idea that the definition of a work of architecture “rests entirely in the design itself” (L.B. Alberti).

keywords | Hand-drawing; Detail; Measurement; Form; Metamorphosis of architectural shapes.

Per citare questo articolo / To cite this article: Guido Morpurgo, Strategie del dettaglio. Ragioni critiche del disegno di architettura, “La Rivista di Engramma” n. 207, dicembre 2023, pp. 23-48. | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2023.207.0011