"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

210 | marzo 2024

97888948401

Canzoni, preghiere, danze. Psicofenomenologia dei CCCP

Editoriale di Engramma 210

Filippo Perfetti e Giulia Zanon

Sì, tutto ciò che è stato con noi, è stato
e ciò che è, è qui con noi
CCCP, Roco Roço Rosso

Muore tutto
l’unica cosa che vive sei tu
muore tutto, vivi solo tu
solo tu!
Solo tu!
CCCP, Allarme

Vi dobbiamo delle spiegazioni. È forse questo un possibile inizio per il numero 210 di Engramma. Spiegazioni nei confronti della redazione e di quanti – studiosi e intellettuali – la frequentano e con, intorno a, Engramma fanno costellazione. Spiegazioni verso il lettore – abituato ad altri temi ma che dovrebbe conoscere lo spirito erratico della Rivista. E una spiegazione va data anche all’oggetto stesso del numero: i CCCP – Fedeli alla linea, per dichiarare che non di un omaggio si tratta, e tanto meno di un conformistico allineamento su un tema che gode in questi mesi di una improvvisa e imprevista –  effimera o duratura che sia – fiammata di fama. Si tratta invece di un serio itinerario di studio e di analisi. Per chi non conosce i CCCP più che tentare qui una definizione possiamo rimandare alla lettura del numero stesso, in cui si cerca di darne un quadro il più possibile completo e sfaccettato. Piuttosto è del perché, del motivo, di come è nato questo numero che qui dobbiamo dare conto.

A Reggio Emilia, nel complesso dei Chiostri di San Pietro, si è appena conclusa una mostra dal portato (ci vogliamo sbilanciare) potenzialmente epocale. Oltre quarantacinquemila visitatori hanno raggiunto una città forse mai visitata prima, sfidando piccole complessità logistiche da novelli pellegrini e hanno varcato la soglia dell’imponente spazio espositivo. Una soglia che è stretta tra una edicola mariana – la fattura è quella sommessa, provinciale ma dignitosa, marca di un urbano credo spontaneo, di come se ne trovano dovunque – e una caserma militare – le bandiere istituzionali, l’insegna dai caratteri novecenteschi – la caserma Taddei, sede delle associazioni d’arma della città. 

Facile suggestione è pensare agli striscioni rossi che segnalano la mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” come una proiezione dei due elementi scenografici che silenziosamente ne vigilano l’ingresso: dalla caserma sembrano farsi strada marciando i tre marziali figuranti di Ortodossia (il primo EP del gruppo, uscito nel 1984), mentre il rosso che li tinge con la cifra del comunismo filosovietico è lo stesso rosso della cornice che, poco più in là, recita “Quem genuit adoravit”.

La scelta della copertina di Engramma 210 è guidata da questa suggestione, che consideriamo la summa più efficace dell’anima dei CCCP – Fedeli alla linea, da definizione dello stesso Giovanni Lindo Ferretti “uno stato della mente e una disciplina della carne”. Una fotografia che, grazie all’immediato potere dell’immagine, evoca in modo spregiudicato, istintivo e romantico, l’amore per la contraddizione del gruppo di “punk filosovietico” e “musica melodica emiliana”. Una concidentia oppositorum che va al di là del conciliare gli opposti e si instaura sulla inevitabile molteplicità di sentimenti e sullo spirito multipolare proprio di ogni soggetto complesso e vivente. In questo vuole anche essere una fotografia che parla di Engramma: della sua complessità, della vivacità polemica e contraddittoria che la anima e la conduce a esplorare campi del sapere spesso al di là di quanto preventivabile e di quanto si addice a una rivista che pratica con passione libera e sovversiva ricerca e impegno nella vita activa ma, nel contempo, è necessariamente collegata al mondo accademico che – per cause più sue che esterne – appare sempre più incapace di entrare nella carne degli eventi, nel vissuto contemporaneo fatto anche – e soprattutto – di temi e istanze non sempre rintracciabili nei manuali, nelle monografie, nei contributi già scritti. Come nel caso di questo numero.

Per tornare all’immagine di copertina, la fotografia è un ritratto di un circolo di Rifondazione Comunista a Venezia, sede del Circolo culturale “3 agosto”, che appaia i segni dell’ideologia comunista a un tipico capitello veneziano con l’effige di Gesù Cristo – restaurato da un paio d’anni e modernizzato secondo un’iconografia che ha suscitato polemiche per la svolta stilistica da Seicento iberico. Il muro con l’intonaco scrostato, la palette di colori, i particolari quali la tovaglietta di pizzo sotto il vaso con i fiori che danno segno di una devozione ancora in corso, e altri dettagli dal gusto decadente la fanno apparire come uno scenario perfetto per una fotografia di Luigi Ghirri. Tra i redattori della Rivista – già prima di immaginare questo numero – in modo faceto la si ipotizzava come possibile copertina ucronica di un disco dei CCCP. Il numero è stato l’occasione anche per raccogliere questa involontaria rappresentazione del tema così com’era, già pronta.

Il titolo di Engramma 210 è Canzoni, Preghiere, Danze. Psicofenomenologia dei CCCP e mutua la sua prima parte dall’album del 1989 Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa. A questo punto è necessario soffermarsi sull’uso del termine “psicofenomenologia” perché questo ci permette di fare una più estesa riflessione metodologica, sviluppatasi nel rispondere alla più che lecita domanda: perché un numero di Engramma sui CCCP? Viene in aiuto il nostro maestro di metodo, la cui lezione raccogliamo e cerchiamo di condurre ancora oggi – Aby Warburg che, nell’ultimo anno della sua vita, appunta: 

Talvolta mi sovviene che cerco di dedurre come uno psicostorico la schizofrenia del mondo occidentale dal figurativo nel riflesso autobiografico (A. Warburg, G. Bing, Diario romano, a cura di M. Ghelardi, Torino 2004, 91). 

Definendosi “psicostorico”, Warburg fa riferimento al suo personale approccio allo studio dell’espressione, che va interpretata non (solo) nella sua propria valenza artistica ma come la formulazione più immediata, e talvolta inconscia, delle istanze di una società. Sono gli scostamenti di sensibilità più impercettibili, da scorgere nel dettaglio o nelle arti minori, a essere la spia più significativa per telluriche rivoluzioni della cultura. È una lezione che Warburg impara dal suo maestro Jacob Burckhardt e che Gertrud Bing, nell’introduzione alla prima edizione italiana degli scritti di Warburg, riassume così:

Lo storico non deve considerare alcuna sfera d’esistenza tanto bassa, tanto oscura o tanto effimera da non poter fornire testimonianze. I resti privi di vita che sono l’unico materiale di lavoro dello storico, dovrebbero essere interpretati come residui di reazioni umane, cioè reazioni di uomini e di donne vivi a quella realtà mutevole ed evanescente. Questo approccio diretto e intimo costituisce parte del fascino che emana dal modo del Warburg di presentare uomini e cose: e costituisce anche il punto nel quale la sua strada diverge da quella di coloro che praticano la storia delle idee e la Geistesgeschichte (G. Bing, Introduzione, in A. Warburg, La rinascita del paganesimo antico, a cura di G. Bing, trad. di E. Cantimori, Firenze 1966, XVIII).

La Geistesgeschichte, la storia del pensiero deve essere praticata senza gerarchizzare le proprie fonti: ogni opera d’arte, dal capolavoro riconosciuto all’oggetto più oscuro e minuto, è per Warburg il “sintomo” di un’epoca. L’uso di un termine afferente alla sfera patologica non è ovviamente da far passare in secondo piano. Ben si lega, ovviamente, al concetto warburghiano di psicostoria ma, e qui ci ricolleghiamo a questa pubblicazione di Engramma, è perfettamente applicabile al concetto di punk come manifestazione sintomatologica della patologia di una società. Così come i deschi da parto o i calendari astrologici nella Firenze medicea ci parlano in modo puntuale di un’epoca storica e degli uomini che la abitavano – cosa leggevano, quali i simboli che li accomunavano sotto lo stesso cielo figurativo – così le divise da Soviet e gli pneumatici indossati come corazze, i comunicati salmodiati da un palco e i ciclostili distribuiti ai concerti, si delineano come indizi fondamentali per la ricostruzione di un determinato periodo, quello a ridosso degli anni Ottanta, e il punto di partenza materiale per tracciarne le ideologie, le contraddizioni, le paure. 

I contributi pubblicati in questo volume concorrono a delineare una traccia sul contesto, il portato e le estetiche del gruppo di Ferretti-Zamboni-Annarella-Fatur. L’intento di Engramma è stato quello di coinvolgere studiosi di diverse discipline per insieme delineare, in un quadro scientifico rigoroso, una psicofenomenologia dei CCCP e una psicofenomenologia a partire dai CCCP in quanto sintomo e connettore, ma allo stesso tempo terapia, di una generazione accomunata, per usare le parole del brano Trafitto, da “fragili desideri a volte indispensabili a volte no”. Un conglomerato di forze che, come dicono i numeri strabilianti della mostra “Felicitazioni!”, dei concerti e non solo, è ancora oggi capace come prima se non di più di dare forma e parola a un bisogno e a chi si sente in qualche modo impastato della stessa spinta tensiva. I contributi sono divisi in tre sezioni: CanzoniPreghiereDanze.

In apertura il pretesto, ovvero il dato di partenza e scaturigine del numero: quanto sta avvenendo in queste settimane e mesi attorno ai CCCP. Il primo contributo è Felicitazioni! Socialismo e schizofrenia. Note attorno alla mostra “Felicitazioni!” in cui Francesco Bergamo accompagna il lettore negli spazi dei Chiostri di Reggio Emilia in cui i CCCP “si radicano e insediano in tutto l’edificio”, giocando con la rappresentazione di sé” e reinventandosi “programmaticamente a partire dalla propria storia e dal proprio archivio”. Segue l’intervista, condotta dai curatori del numero, all’architetto e designer Stefania Vasques, autrice dell’allestimento della mostra, “È una questione di qualità”. Il progetto della mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” (Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, 12 ottobre 2023-10 marzo 2024). Un contributo utile per capire il processo che ha generato una delle mostre più riuscite degli ultimi anni, e che può essere presa come caso di studio per l’allestimento di mostre di arte contemporanea e legate alla scena musicale e alla cultura popolare.

In CCCP. Felicitazione. Ovvero: il postmoderno spiegato agli anziani, Mario Farina – in quello che potrebbe essere un controeditoriale o un libretto di istruzioni per accostarsi al numero – si chiede:

Che cosa sono i volti dei segretari dei partiti comunisti orientali che pendono nella sala della mostra? Cosa sono i flyers staccati da un muro dopo un concerto? Cos’è il tavolo ottagonale della segreteria del Pci? Cos’è il telefono nero con la cornetta, il filo, la ghiera, i numeri? Che ne è degli oggetti depostati nella memoria? 

E costruisce il suo scritto analizzando il dispositivo della memoria ‘CCCP’, il fenomeno della nostalgia di qualcosa che non è mai realmente esistito, imbastendo una riflessione teorica, profonda e tagliente, sulla sostanza postmoderna di un gruppo che “non è più moderno, non è più storico, non è più lineare, non è più escatologico, non è più critico”. La sezione si conclude con il reportage da Berlino Live in Berlin! CCCP in DDDR, nel quale Filippo Perfetti e Giulia Zanon pubblicano una serie di interlacciate impressioni a proposito dei tre concerti tenutisi nella ‘Dismantled Deutsche Demokratische Republik’ il 24, 25 e 26 febbraio 2024.

Canzoni

La sezione Canzoni tratta della cornice del fenomeno, del paesaggio sonoro che proviene dall’esterno: di quanto è cantato in un tempo, il detto che passa di bocca in bocca in un paese, di ciò che appartiene al carattere comune di un’epoca. Una serie di scritti che parlano del contesto, ovvero di quelle condizioni estrinseche, siano esse storiche o culturali, che sedimentandosi nella memoria collettiva hanno potuto rendere in modo più o meno lineare (e quasi mai deliberato) il terreno della nostra sensibilità fertile e ricettivo alle suggestioni di Ferretti-Zamboni-Annarella-Fatur. E viceversa rintracciare e descrivere il terreno di coltura in cui si innesta il fenomeno CCCP. I testi che presentiamo, orientati progressivamente verso Est, raccontano di queste condizioni epocali, fagocitate con quell’intuito al tempo stesso selettivo e bulimico proprio degli artisti, con cui i CCCP hanno potuto costruire il loro proprio universo dadaista e multiforme.

Luca Alessandrini con Reggio Emilia nella crisi della sinistra e delle sinistre negli anni Ottanta offre una ricostruzione storica della crisi della sinistra italiana, avvenuta mentre il mondo cambiava radicalmente: il Partito Comunista Italiano, qui analizzato nell’emblematico caso di Reggio Emilia, si allontana progressivamente dall’URSS, ma la dimensione mitica legata al mondo sovietico, che è linfa vitale per il gruppo emiliano, permane. Ivan Carozzi ne L’incontro mancato. I CCCP e Aldino Togliatti racconta una “particolare parabola umana” che, pur mancando il punto di tangenza rispetto ai CCCP, potrebbe essere “capace di risuonare nel loro teatro mentale”: è la storia di Aldino Togliatti, figlio del ‘Migliore’ Palmiro Togliatti, e dell’affascinante contrasto tra il padre, solenne ed inscalfibile leader comunista, e il figlio, fragile e schivo “personaggio dostoevskijano”, ricoverato per gran parte della vita in una clinica psichiatrica.

Chiara Velicogna in Saluti da Pankow. A proposito del Muro di Berlino e dei suoi resti parte da un elemento e un’immagine della mostra “Felicitazioni!”: il pezzo del Muro di Berlino che, accompagnato a una Trabant e a dei cavalli di Frisia, porta Berlino, una specifica Berlino, a Reggio Emilia, nel Chiostro Grande di San Pietro. Velicogna prende in considerazione gli aspetti materiali e visivi della storia del Muro di Berlino, che viene studiato “come struttura e come immagine, oltre che, sotto forma di frammenti dispersi in tutto il mondo, come oggetto”. Dalla Germania Est il viaggio procede, arrivando a CCCP e СССР. Il mito sovietico italiano, da Cavriago a Berlino, in cui Gian Piero Piretto, intervistato da Christian Toson, racconta della metamorfosi subita dal mito dell’Unione Sovietica in Italia, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Novanta fino ai giorni nostri. Piretto, a partire dall’esperienza personale, costruisce un quadro ricco e complesso dei contesti culturali di Berlino Est e dell’Unione Sovietica – e dell’interazione che l’Italia ha avuto con essi – negli anni dei CCCP.

Preghiere

La sezione Preghiere dà un nome a quanto ne è del personale, dell’intimo, dei CCCP. Ciò che dalle Canzoni diviene biografia, indole e temperamento: di ciò che è stato introiettato è ora qui in analisi il particolare. Uno sguardo introspettivo verso, dentro, i CCCP.

Per quanto concerne la musica è difficile, quasi impossibile, ricostruire tutte le influenze che hanno costruito le canzoni dei CCCP, ma in questa direzione muove il saggio di Guglielmo Bottin Fedeli a Berlino. Influenze della Neue Deutsche Welle nel post-punk emiliano dei CCCP che si concentra sull’influenza della scena culturale berlinese nella musica del gruppo, rintracciando cover, citazioni e riferimenti diretti al punk e al post-punk tedesco nel primo repertorio del gruppo italiano che ha abilmente adattato al suo contesto le strategie comunicative ‘sovversive’ della Neue Deutsche Welle. Michele Rossi con “Smettila di parlare, avvicinati un po’”. Mi ami? dei CCCP – Fedeli alla Linea analizza Mi ami?, una delle prime canzoni composte nei primi anni Ottanta da Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni e inserita nell’EP Ortodossia II (1985). Rossi ripercorre la genesi del testo, commentandolo verso per verso e spiegandone la costruzione: un collage realizzato da Ferretti a partire dalla traduzione italiana del 1979 di Fragments d’un discours amoreux di Roland Barthes, uscito in Francia due anni prima.

Un accesso alla personalità dei CCCP è concesso dallo sguardo, portato su di essi, rivolto da un artista ad essi contemporaneo: è il caso emblematico del fotografo Luigi Ghirri, nato a Fellegara, il paese in cui i CCCP si sono formati. Michele Nastasi in “Lasciami così”. Luigi Ghirri e i CCCP – Fedeli alla linea scrive della campagna fotografica di Ghirri per l’album Epica Etica Etnica Pathos, registrato tra l’aprile e il giugno 1990 a Villa Pirondini, a Rio Saliceto, poco prima della caduta del Muro e del conseguente scioglimento del gruppo. Mentre “le tensioni e gli umori di Villa Pirondini si sovrapponevano a un periodo storico di crolli, cadute e sgretolamenti”, Ghirri crea per le copertine dell’album la sequenza “costruita per dittici di immagini contrapposte per densità e rarefazione” e raggiunge una delle più alte vette della sua produzione. Michele Nastasi costruisce, attraverso la narrazione di questa esperienza, un confronto tra Ghirri e CCCP come “percettori del mondo abili a penetrarlo e rappresentarlo” e mossi da “un desiderio di abbandono e di contemplazione”. Questa duplice natura non somiglia forse alla preghiera? Giorgiomaria Cornelio in Ferretti o il ritmo dell’apostasia parla degli aspetti messianici del cantare di Ferretti, di un un cantare che è “pregare inconsciamente, pregare mondano e profano, comunque pregare. In aperta battaglia, in musicale dissenso col proprio tempo – con ogni tempo”.

Danze

Danza è qui sinonimo di espressione. In questa sezione si cerca di dare conto di quanto è forse il punto di tensione ultimo dei CCCP: l’estroflessione di un sentimento dell’epoca, di un patimento e di una tensione personali che si rovesciano in una necessaria – e per questo anche a tratti violenta manifestazione.

Agli atti, di parola, di rappresentazione, di immagine, va a guardare questa sezione. Apre Alessandro Bratus con Ideologia come stile, stile come ortodossia. La costruzione di un immaginario spettacolare nel progetto artistico dei CCCP che con una analisi particolareggiata legge i CCCP nel modo in cui assumono e declinano sulla scena quanto li influenza. Si tratta nel loro caso di un progetto che nella forma contraddittoria è comunque coerente e porta per riflesso a vedere “come un’espansione del loro linguaggio stilistico corrisponda storicamente a una crescente concentrazione sulla musica come interesse primario all’interno dell’assetto industriale complessivo della cultura popolare contemporanea, che – alla fine – porterà anche il [loro] progetto alla sua conclusione e fine”. Prosegue il discorso Alessadra Vaccari con “La storia siamo noi”. Moda e cultura popolare in Annarella ‘benemerita soubrette’: una lettura degli abiti inventanti, cuciti e indossati da Annarella non solo nel loro portato estetico e stilistico ma per come sono “in relazione alla depoliticizzazione delle sottoculture e al neoliberismo della moda” nell’Italia degli anni Ottanta. Segue l’intervista a Diego Cuoghi Forma e sostanza. Le copertine dai CCCP al CSI, a cura di Michela Maguolo: il dialogo con l’architetto e designer che ha collaborato con il gruppo a partire dalle ultime copertine dei CCCP di fine anni Ottanta, proseguendo con quello dopo lo scioglimento, Ecco i miei gioielli (1992) e Live in Punkow (1996), per arrivare a quella dell’album da poco uscito nel febbraio di quest’anno. Dialogo svolto attorno le riflessioni sulle copertine dei CSI e su cosa significa il lavoro di realizzazione di una copertina: “Leggere, ascoltare, guardare, scrutare, cercare di capire il senso, anche al di là delle spiegazioni fornite dagli autori” e “infine elaborare un’immagine in grado di suggerire, senza suggestionare, di raccontare senza cadere nella didascalia”. A concludere, Filippo Perfetti con Frammenti elettrici parte da una dichiarazione di intenti, una manciata di appunti e alcune riflessioni attorno a qualche oggetto video che attraversa più o meno direttamente il fenomeno CCCP – Fedeli alla linea, per scrivere un personalissimo trattato poetico di ermeneutica dell’immagine.

Infine quello che manca. Sarebbe stato utile all’occasione, e alla ratio, di questo numero di Engramma prendere in considerazione come “testi a fronte” anche la congerie di testi scritti dai CCCP non per le canzoni ma per i ciclostilati che hanno accompagnato il loro percorso. Più che comunicati stampa, testi promozionali, si tratta piuttosto di manifesti al pari di quelli d’uso per le dottrine politiche, le correnti artistiche o di qualsiasi avanguardia. Il manifesto è un dire fondativo, che dà il la a un pensiero che non è soltanto quello presente sulla sua pagina ma che dovrà superarlo, dovrà seguirlo in quanto sua conseguenza. Il manifesto è settario ed ecumenico: presuppone un noi – chi lo firma – e un loro, che può anche essere uno stato di fatto o un dato di partenza. Ma il manifesto apre nella sua forma all’adesione e in questo senso è ecumenico, permette che qualcuno entri a far parte di quel noi che si riconosce nel manifesto attraverso l’adesione ad esso. Il manifesto è un atto di parola, una proclamazione, un dire pubblicamente; ed è un dire che ambisce e ha la presunzione di divenire, di essere, un atto. Il manifesto non è un testo inerte, il manifesto vuole agire sul mondo e nel mondo. Un manifesto è situato: non è mai avulso da una dimensione storica, e proprio nella storia vuole entrare con il suo avvenire attraverso il dire, e sopratutto nella sua necessità di farsi atto. Il manifesto è allora sì declamatorio, ma soprattutto e sempre incoativo ed evenemenziale. Non può scindersi dal presente in cui si situa e verso cui si pone in maniera conflittuale, dialettica, oppure come noncurante, isolata, alternativa. Per tutti questi motivi è facile comprendere come il manifesto sia una forma particolarmente cara ai CCCP, che l’hanno praticata nella sua formula retorica ed estetica ma anche nella sua dimensione etica – nella responsabilità che impone ogni scelta, ogni giudizio e atto. Alcune di queste carte, volantini-manifesti, sono pubblicate nel catalogo della mostra di Reggio Emilia, altri testi ed esemplari sono reperibili in rete e avremmo voluto raccoglierli e riprodurne una selezione, ma abbiamo trovato una forma di incongrua riluttanza da parte dei CCCP (con i quali abbiamo cercato di avere una interlocuzione aperta in tutte le fasi di lavorazione di questo numero) esercitata su materiali fatti e pensati in origine per essere ‘divulgativi’ per eccellenza, nel contenuto e nel supporto – una riluttanza che abbiamo deciso di rispettare.

English abstract

The present issue of Engramma (210) analyses the context, scope and aesthetics of the Italian punk group CCCP - Fedeli alla Linea, with the intention of involving scholars from different disciplines in order to outline, within a rigorous scientific framework, a psycho-phenomenology of CCCP as a “symptom” (in the Warburgian sense) and “connector” of a specific historical era. The starting point is the magnificent exhibition “Felicitazioni! CCCP - Fedeli alla linea 1984 - 2024” (Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro, 12 october 2023-10 march 2024) to which the first section of this issue is dedicated. In the first contribution, Felicitazioni! Socialismo e schizofrenia. Note attorno alla mostra “Felicitazioni!, Francesco Bergamo addresses some of the main topics and possible interpretations of the exhibition “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” in the monumental complex of the Chiostri di San Pietro in Reggio Emilia, homeland of the band. The exhibition is curated by CCCP themselves in collaboration with Stefania Vasques, who was interviewed in “È una questione di qualità”. Il progetto della mostra “Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024” . Starting from “Felicitazioni!”, in CCCP. Felicitazione. Ovvero: il postmoderno spiegato agli anziani, Mario Farina constructs his writing by analysing the 'CCCP' device of memory, the phenomenon of nostalgia for something that never really existed, imbuing it with a deep and sharp theoretical reflection on the postmodern substance of the group.This section, dedicated to the band’s fortieth anniversary initiatives, concludes with Live in Berlin! CCCP in DDDR, Filippo Perfetti and Giulia Zanon’s account of the concerts CCCP gave in Berlin in February 2024. The contributions in this issue are organised in three sections: Canzoni (Songs), Preghiere (Prayers), Danze (Dances). The section Canzoni deals with what comes from outside. A series of writings that speaks of the context, i.e. those external conditions, be they historical or cultural, that allowed the CCCP to be born. The first contribution is by Luca Alessandrini, who in Reggio Emilia nella crisi della sinistra e delle sinistre negli anni Ottanta offers a historical reconstruction of the crisis of the Italian left, which occurred at a time when the world was undergoing radical change. In L’incontro mancato. I CCCP e Aldino Togliatti, Ivan Carozzi tells the story of Aldino Togliatti, son of the communist leader Palmiro Togliatti, who spent most of his life in a psychiatric hospital. Chiara Velicogna, inspired by the piece of the Berlin Wall exhibited in the “Felicitazioni!” exhibition, in Saluti da Pankow. A proposito del Muro di Berlino e dei suoi resti explores the material and visual aspects of the history of the Berlin Wall. Gian Piero Piretto, interviewed by Christian Toson, in CCCP e СССР. Il mito sovietico italiano, da Cavriago a Berlino recounts the metamorphosis that the myth of the Soviet Union has undergone in Italy, from the late 1970s and 1990s to the present day. The section Preghiere takes an introspective look at the Emilian group and their artistic process. Guglielmo Bottin’s essay Fedeli a Berlino. Influenze della Neue Deutsche Welle nel post-punk emiliano dei CCCP focuses on the influence of the Berlin cultural scene on CCCP’s music. Michele Rossi in “Smettila di parlare, avvicinati un po’”. Mi ami? dei CCCP  Fedeli alla linea analyses the song Mi ami?, a poetic collage Ferretti made from the 1979 Italian translation of Roland Barthes’ Fragments d'un discours amoreux. Michele Nastasi in “Lasciami così”. Luigi Ghirri e i CCCP – Fedeli alla linea, writes about Ghirri’s photographic campaign for the album Epica Etica Etnica Pathos, and through the narration of this experience constructs a comparison, both theoretical and spiritual, between Ghirri and CCCP. Also spiritual is the analysis of Giorgiomaria Cornelio, who in Ferretti o il ritmo dell’apostasia speaks of the messianic aspects of Giovanni Lindo Ferretti’s singing. The section Danze is about expression: the representations and images CCCP shows of itself. Alessandro Bratus in Ideologia come stile, stile come ortodossia. La costruzione di un immaginario spettacolare nel progetto artistico dei CCCP offers a detailed analysis of the CCCP in the way they embrace and reject what influences them on stage. Alessadra Vaccari in “La storia siamo noi”. Moda e cultura popolare in Annarella ‘benemerita soubrette’ offers a reading of the clothes Annarella designs, sews and wears, not only in terms of their aesthetic and stylistic bearing. This is followed by an interview with Diego Cuoghi Forma e sostanza. Le copertine dai CCCP al CSI, curated by Michela Maguolo, a dialogue with the architect and designer who has worked with the group since their last CCCP covers in the late 1980s. Lastly in Frammenti elettrici, Filippo Perfetti draws up a treatise on the hermeneutics of the moving image, based on suggestions triggered by video fragments tangentially dealing with CCCP and their cultural background.

keywords | CCCP – Fedeli alla linea; Felicitazioni!; Giovanni Lindo Ferretti; Massimo Zamboni; Annarella Giudici; Danilo Fatur. 

questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2024.210.0016