"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

223 | aprile 2025

97888948401

Masochismi a fumetti

Venere in pelliccia di Guido Crepax

Chiara Portesine

English abstract

1 | Guido Crepax, Venere in Pelliccia, 1983, tavola, Archivio Guido Crepax (©Archivio Crepax e ©Guido Crepax).

2 | Guido Crepax, Venere in Pelliccia, 1983, tavola, Archivio Guido Crepax (©Archivio Crepax e ©Guido Crepax).

3 | Guido Crepax, Venere in Pelliccia, 1983, tavola, Archivio Guido Crepax (©Archivio Crepax e ©Guido Crepax).

4 | Guido Crepax, Venere in Pelliccia, 1983, tavola, Archivio Guido Crepax (©Archivio Crepax e ©Guido Crepax).

5 | Guido Crepax, Venere in Pelliccia, 1983, tavola, Archivio Guido Crepax (©Archivio Crepax e ©Guido Crepax).

6 | Guido Crepax, Venere in Pelliccia, 1983, tavola, Archivio Guido Crepax (©Archivio Crepax e ©Guido Crepax).

7 | Guido Crepax, Venere in Pelliccia, 1983, tavola, Archivio Guido Crepax (©Archivio Crepax e ©Guido Crepax).

8 | Guido Crepax, Venere in Pelliccia, 1983, tavola, Archivio Guido Crepax (©Archivio Crepax e ©Guido Crepax).

Per iniziare con l’eleganza perentoria dell’apodissi, il fumetto sembra un medium ‘fatto apposta’ per la temporalità masochista. Allo sguardo statico e raggelante del masochista corrisponde, infatti, una narrazione per tableaux progressivi, che paralizza il movimento in una serie di tavole sequenzializzate. A partire da una coincidenza strutturale di codici, nel fumetto di Guido Crepax la trama originaria viene capovolta e ridotta a un canovaccio informe in cui ai nessi logico-casuali viene sostituito l’attimo, immobile ed eterno, della perversione. I personaggi, privati della loro storia e del loro passato, diventano le controfigure ventriloque di un monologo in cui a parlare è soltanto la voce coattiva del godimento. La riscrittura di Venere in pelliccia esce nel 1984, quando il successo di Valentina aveva ormai raggiunto il suo primo tagliando ventennale. Nella carriera di Crepax, l’interesse per Sacher-Masoch va inserito in una più ampia incubatrice di progetti sado-noir, dalle tavole per L’Histoire d’O (Crepax 1975) a quelle per Justine (Crepax 1979). In parallelo a questo laboratorio dell’eros, negli anni Ottanta Crepax stava lavorando a un processo di ‘valentinizzazione’ dei classici, svelando, ad esempio, quanta sensualità latiti nel Processo di Franz Kafka o in Frankenstein di Mary Shelley. In questi casi, la riscrittura fumettistica agisce come disvelamento, spogliando le trame originarie delle sovrastrutture e dei vestiti di troppo.

Il testo della Venere in pelliccia è liminare – un classico dell’eros dotato però, come scrive Gilles Deleuze, di una “straordinaria decenza” (Deleuze [1967] 1977, 13): una narrazione fatta di simulacri e di feticci piuttosto che di corpi esposti. Intanto, Crepax divide la materia in dieci capitoli (da Wanda a Dottor Freud) per un totale di sessanta tavole in cui la storia viene assunta come un sottile esoscheletro e non come una trama da decorare giudiziosamente. Se di Justine Crepax aveva realizzato un’autentica edizione illustrata, con intere porzioni di testo trascritte scrupolosamente da Sade, le didascalie e i dialoghi della Venere in pelliccia non trovano quasi mai un’effettiva corrispondenza interlineare. Non si tratta, quindi, né di un’illustrazione né di una traduzione transcodice ma, piuttosto, di un’autentica riscrittura, storpiata e perturbante. Intanto, il protagonista compare in scena non come Severin-innamorato ma già come Gregor-schiavo, scoprendo il proprio nome borghese nel quarto capitolo, in un rovesciamento della progressione (e della catabasi) originale.

Fin dalle primissime tavole, a Crepax interessa mostrare come il masochismo sia una questione prioritaria di sguardo. Gregor osserva la padrona dalla serratura della porta, scomponendola in una carrellata di ingrandimenti anatomici (Crepax 1984, 23-25). Tra voyeurismo e mutilazione, la visione del masochista è questo cineocchio che taglia e crocefigge la realtà inchiodandola al particolare. L’espediente di un desiderio ‘a tasselli mobili’ caratterizzerà soprattutto le tavole senza parole – quelle in cui alla citazione del testo si sostituisce la nuda sbobinatura visiva. Le zone erogene vengono segmentate in piccoli riquadri che spezzano la fluidità della narrazione, interrompendo la diegesi con la potenza parentetica di una chiosa. Questa forma di zoom rettangolare diventa la voce del cronista-voyeur, che si intrufolerà spesso a commentare la trama principale con queste note a margine fatte soltanto di sguardo.

Servendosi di un medium, in sé, già sufficientemente statico, Crepax ha bisogno di sovradosare le sospensioni di Sacher-Masoch, dilatando e stropicciando la temporalità delle scene fino all’esasperazione. Nelle prime due tavole, ad esempio, alla didascalia “Venere era distesa lì” (Crepax 1984, 23) corrisponde una lunga sequenza di voyeurismo muto, che trasfigura una sola frase in un rituale dilatato [Figg. 1 e 2]. Come ha scritto Federico Fellini in occasione di una mostra dedicata al rapporto tra cinema e fumetto, “il mondo dei fumetti potrà prestare generosamente al cinema le sue scenografie, i suoi personaggi, le sue storie, ma non la sua suggestione più segreta, che è quella della fissità, l’immobilità delle farfalle trafitte da uno spillone” (Fellini 1984). In effetti, nella Venere in pelliccia di Crepax i personaggi sembrano spesso ‘infilzati’ su uno sfondo bianco, fuori dal tempo e dalla storia. Soltanto l’occhio batte il tempo del racconto, ne diventa funzione metronimica: nella Fig. 1 gli occhi di Wanda ‘bucano’ graficamente l’azione, addirittura sbalzati in sovrimpressione rispetto alla scena principale. Nella Fig. 2, invece, ci troviamo di fronte a un complicato atto di auto-voyeurismo: Gregor è chiuso nella sua stanza e, per come è montata la sequenza, sembra guardarsi dalla propria stessa serratura (Crepax 1984, 83). Il masochista di Crepax è un masochista-Narciso, che incarna un desiderio che si guarda desiderarsi. “Io ho un solo padrone”, mugola Severin, e non “Io ho una sola padrona”, in un rovesciamento dei generi e delle parti su cui tornerò più avanti.

Oltre a questa rifrazione panoptica degli sguardi, una funzione fondamentale è riservata alla parola scritta e, naturalmente, alla scrittura legiferante del contratto. Nel foglio mostrato da Wanda, però, si riescono a decifrare poche parole; una data (30 ottobre 1899) e le due firme (Crepax 1984, 96) [Fig. 5]. La scelta di postdatare la Venere di quasi trent’anni è legata, come vedremo, all’intrusione del personaggio di Sigmund Freud – il 1899 corrisponde proprio alla pubblicazione tedesca di Die Deutung der Träume. In un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” nel novembre del 1978, Crepax aveva dichiarato: “Valentina sono io, freudianamente. […] Il mio lavoro si svolge quasi tutto su un piano onirico. Quanto a Freud, poi, credo di essere da sempre un suo appassionato lettore. Ho persino illustrato passi dell’Interpretazione dei sogni” (Crepax 1978). Peraltro, queste tavole freudiane verranno incluse nella più recente riedizione della Venere in pelliccia di Crepax, in un’appendice intitolata, eloquentemente, Eros e psiche (Crepax 2014). Per tornare al contratto, come si vede in basso lo stesso Severin verrà ‘cognominato’ Sacher-Masoch (e non von Kusiemski), in un’equiparazione proiettiva tra scrittore e personaggio. Insomma, Wanda/Valentina sta a Crepax come Severin sta a Sacher-Masoch. Infine, le altre parole scritte sul foglio sembrano volutamente geroglifiche, a significare come non conti la letteralità del contratto ma la sua valenza prescrittiva, la sua Legge senza contenuto.

Un altro aspetto interessante del fumetto è che, tendenzialmente, Wanda legge e Gregor scrive, in una netta divisione dei ruoli tra il sadico-lettore e il masochista-scrittore. A p. 45, Wanda chiede a Gregor non di portarle il tè (come nell’originale di Sacher-Masoch) ma di raccogliere i libri che le sono caduti – e che Severin elencherà uno ad uno, mettendoci a parte di questa libreria venerea [Fig. 4]. In generale, in tutti i fumetti di Crepax l’ostentazione delle copertine ha una funzione strutturale nella costruzione dei personaggi, come se il loro identikit venisse ‘deterritorializzato’ tra librerie e comodini (Fiz 2001). Nel caso di Wanda, l’inventario è smaccatamente simbolista e decadente: Huysmans, Baudelaire, Lautréamont, D’Annunzio e Dostoevskij. Nell’originale di Sacher-Masoch, è Severin a leggere, citando diffusamente Goethe, Gogol’, il Libro di Giuditta, le Vite dei martiri, e poi ‘travasa’ (da buon Pigmalione) le proprie letture su Venere. A eccezione di una breve parentesi memoriale, in cui Wanda ricorda le proprie letture d’infanzia (dai classici alla Pulzella di Orléans) (Sacher-Masoch [1878] 1968, 45), la Venere legge e cita mimeticamente quello che legge e cita Severin. Nella Venere di Crepax, invece, Gregor è condannato alla punizione dello scrivere e Wanda al piacere del leggere. Crepax sembra così concordare con la posizione psicanalitica secondo cui il masochista non subisce l’ordine del sadico ma, al contrario, ne dirige e manipola l’agire (o il leggere) nel mondo.

Nella tavola successiva, Wanda tiene tra le mani la copertina di Ibsen, come se fosse un manifesto programmatico o un cartello brechtiano (Crepax 1984, 41), coniugando il maledettismo dei decadenti con la nevrosi borghese del salotto. Peraltro, la connotazione di classe è qui confermata anche dal vestito elegantemente accollato, che contraddice la nudità impellicciata delle altre vignette. Wanda si trasfigura momentaneamente in Nora; e proprio questa Wanda-Nora ricorda a Gregor il proprio dovere di scrittura (“Andate, andate! Non dovete scrivere?”).

A p. 39 troviamo un’altra attestazione della cultura di Wanda, che era stata invitata dal conte per vedere a teatro “la prima di Otello… Lo conoscete, vero? Un dramma stupendo!… Io però l’avrei chiamato Jago… Voi che ne pensate? Un personaggio affascinante!… Più del Moro… Mi piace la sua perversità senza uno scopo apparente”. Ancora una volta, la cultura di Venere diventa specchio (se non Rorschach) della soggettività femminile. Le biblioteche delle Veneri di Crepax meriterebbero un’analisi letteraria e sociologica, che consenta di ricostruire lo scaffale allargato delle perversioni politico-letterarie dei sessantottini. Nell’Histoire d’O, ad esempio, riconosciamo i cognomi maiuscoli di Éluard, Bataille, Colette, Bourget e D’Annunzio (Crepax 1975). Nelle riscritture di Crepax, insomma, i libri entrano nel corredo simbolico-oggettuale di Venere, accanto agli stivali, ai diademi e allo zibellino. In alcuni casi, gli scrittori non compaiono soltanto come vezzi di copertina ma entrano nella voce stessa dei personaggi femminili. Ad esempio, in una tavola di Valentina nel paese dei Sovieti (Crepax 1968), la protagonista sta per essere spogliata da una guardia russa e recita alcuni versi (“Par che possa calpestare il mondo con calcagna di metallo”) tratti dalla Nave di Gabriele D’Annunzio (D’Annunzio 1905, 113).

Per tornare a Venere in pelliccia, una delle punizioni impartite da Wanda a Gregor è, appunto, quella di scrivere i dettagli dei suoi incontri con gli altri amanti, in una sorta di sadicissimo diario clinico: “Con il barone lei era molto scollata… lo sherry le aveva bagnato il seno… Quando io sono uscito… Lui le ha sfilato la camicetta” (Crepax 1984, 43). Attraverso il transfert della letteratura, il rapporto tra sadica e masochista diventa così una metafora del setting psicanalitico. Il masochista-paziente, su incarico della sadica-terapeuta, evoca i fantasmi intravisti dalla serratura del proprio inconscio. A p. 43, infatti, alla scena ricordata Crepax accosta, in due piccoli oblò laterali, l’immagine del fantasma, che ‘completa’ le azioni spiate con i dettagli inevitabilmente mancanti [Fig. 3]. In questo senso, l’intera Venere in pelliccia diventa una pratica di elaborazione dell’esperienza masochista: non romanzo ma diario di una guarigione – che, come vedremo, corrisponderà a un’accettazione del proprio desiderio.

Per segnalare qualche altra variante rispetto all’originale, nel fumetto viene aggiunto un intero capitolo (Il concerto), del tutto assente in Sacher-Masoch. Qui Gregor e Wanda vanno insieme ad ascoltare il Quartetto op. 10 di Claude Debussy (Crepax 1984, 62). Dal punto di vista grafico, l’esperienza musicale viene trattata esattamente come le precedenti scene di voyeurismo anatomico. Gli occhi di Gregor e Wanda scrutano le mani dei musicisti in una specie di sinestesia erotica che sposta il godimento dal corpo al suono. Le uniche frasi che compaiono sono le indicazioni per i musicisti (da “Andantino doucement expressif” a “très animé”, 63) – che però, nell’ambiguità del contesto, vengono facilmente decodificate dal lettore come prescrizioni sessuali. La musica ha un’importanza identitaria nella produzione di Crepax (Crepax 2020) – che, del resto, era figlio del primo violoncello della Scala di Milano. Oltre a inserire lunghe scene concertistiche nei suoi fumetti, Crepax realizzerà anche alcune copertine di vinili, da Domenico Modugno a Massimo Ranieri. Nel caso della Venere, il concerto diventa significativamente il luogo interdetto dal contratto, in cui Wanda e Severin possono stare seduti accanto, orizzontalmente e fuori dai ruoli.

Un’altra innovazione apportata da Crepax si trova nella scena dei due cavalli (Crepax 1984, 39-40). Nel testo di Sacher-Masoch era presente un vago accenno al fatto che, dopo aver pranzato con il principe Corsini, la protagonista dovesse recarsi alle Cascine su una carrozza “tirata da due eleganti cavalli inglesi” (Sacher-Masoch [1878] 1968, 150). Nel fumetto di Crepax, invece, Wanda rimprovera Gregor di aver aggiogato “il cavallo nero a destra”, e non a sinistra come lei aveva ordinato, commentando subito dopo: “Bellissimo animale, vero, Gregor? Che lombi meravigliosi… Vi piacerebbe essere come lui? Bene… Domani sarete un cavallo. Vi metterete a quattro zampe e sarete frustato” (Crepax 1984, 40). Ritornano in mente le pagine di Krafft-Ebing sulla tendenza, nella letteratura erotica masochistica, a ridurre l’uomo a bestia da soma e, soprattutto, a “cavallo erotico” (Krafft-Ebing [1886] 1953, 258). Del resto, in un’intervista rilasciata a “Panorama” dopo l’uscita di Venere in pelliccia, Crepax aveva confidato che “a 12 anni in casa di un cugino che faceva il professore scoprii la Psicopatologia sexualis di Krafft-Ebing. Ricordo la morbosità di quelle letture e il fastidio per alcune pagine” (in Giovannini 1984). Tuttavia, il dettaglio cromatico dei due cavalli potrebbe alludere anche al mito della biga alata nel Fedro di Platone, con la biforcazione tra il cavallo bianco-spirituale e il cavallo nero-passionale; e qui è proprio il cavallo nero a trovarsi fuori posto. Come notava Deleuze, la Venere in pelliccia “inizia con un sogno sopraggiunto durante una lettura interrotta di Hegel. Ma si tratta soprattutto di Platone” (Deleuze [1967] 1977, 11) – e L’amore di Platone sarà anche il titolo di un’altra novella di Sacher-Masoch. Nella propria riscrittura, Crepax sembra quindi combinare la fonte romanzesca con la stratigrafia delle successive interpretazioni psicoanalitico-filosofiche, creando una disturbante gemmazione di intertesti.

Crepax altera poi tutti i nomi dei personaggi secondari: il principe Corsini e l’ufficiale greco Alexis Papadopolis diventano, rispettivamente, il “Barone von Nemmersdorf” e il “Conte Meclszevski”, in una metamorfosi onomastica che coinvolge tutti i piani identitari, dal rango alla provenienza geografica. Non è facile motivare oggettivamente queste rettifiche. Per il primo cognome, oltre a ricordare la strage di Nemmersdorf, compiuta nella Prussia Orientale da un reparto dell’Armata Rossa nell’autunno del 1944, si potrebbe citare anche lo pseudonimo della romanziera tedesca Franziska von Reitzenstein, in arte Franz von Nemmersdorf. Se la prima opzione spiegherebbe il piglio militaresco del personaggio, la seconda potrebbe ricollegarsi più direttamente alla trama. Franziska von Reitzenstein, infatti, scriverà diversi libri consonanti con la biblioteca di Venere, tra cui Una donna demoniaca e La lotta dei sessi, dedicata a Paolo Mantegazza.

Un’altra variazione coinvolge le tre dominatrici nere che, nel romanzo, Wanda evocava chiamandone per nome soltanto una (Aida) (Sacher-Masoch [1878] 1968, 144). Crepax, invece, inserisce tre nomi arabo-esoteggianti (“Haffedah, Zorah, Sahadia”) (Crepax 1984, 37), che peraltro sembrano sconfessare, nella loro etimologia, l’aggressività delle co-carnefici: Zorah significa ‘luce’, ‘alba’ e Sahadia, addirittura, ‘portatrice di felicità’. Mentre nel romanzo le tre donne “parevano tagliate nell’ebano, vestite interamente di raso rosso” (Sacher-Masoch [1878] 1968, 143), qui l’abbigliamento gioca con l’immaginario slave – Zorah indossa un burqa che verrà a ridursi, durante il pestaggio erotico, in un semplice cappuccio da torturatrice. Per trovare un appiglio intertestuale, possiamo forse rileggere un’altra novella di Sacher-Masoch strettamente imparentata con la Venere in pelliccia, ossia La zarina nera. Anche qui compaiono delle donne deuteragoniste tra cui una “negra” che “sembrava scolpita nell’ebano” (Sacher-Masoch 1969, 21). Il nome di quella che diventerà la “sicaria” della protagonista è Tigris, evocativamente più vicino alle scelte di Crepax rispetto ad Aida. Peraltro, Tigris indossava un “turbante color sangue” (Sacher-Masoch 1969, 26) simile al cappuccio ‘guantanamesco’ di Zorah.

Altre varianti riguardano la gestione stessa del rituale punitivo. In Sacher-Masoch, le tre donne legano Gregor a una delle colonne che sostengono il baldacchino – mentre, nella visione dell’aratro, alla colonna si sostituirà un palo conficcato nel vigneto. In questa seconda scena en plein air, le “tre diavolesse” punzecchiano il corpo della vittima con delle “spille dorate”, tenendo Severin al guinzaglio e “stuzzicandolo a suon di frustate” (Sacher-Masoch [1878] 1968, 159). Nel fumetto di Crepax, invece, Severin è appeso a un più borghese “lampadario” e la terminologia degli strumenti di tortura si raffina. Compare il “Trigonophis Weigmanni”, un bastone che prende il nome di un rettile con la testa allungata, la cui forma ricorda allusivamente un fallo (Crepax 1984, 50). Proprio in virtù di questa smaccata funzione vicaria, il serpente-bastone verrà introdotto nell’ano del protagonista, completando lo stupro iniziatico. Crepax sembra lavorare sulla fonte con una precisione da entomologo, che sovrappone alla descrizione di partenza dei nuovi, accessoriatissimi, dettagli.

Oltre a questo vocabolario aggiornato della perversione, a sconcertare è soprattutto il passaggio dalla violenza simbolica di Sacher-Masoch, che si consuma quasi alle soglie del corpo, a un’effrazione tutta carnale. La punizione somiglia così a un abuso di gruppo, in cui le carnefici possono toccare i genitali di Gregor – tranne Wanda, che infatti dichiarerà: “Queste donne, le ho chiamate per te... loro ti fanno quello che desideri da me, ma io non posso oltraggiarti così” (Crepax 1984, 49). A questo punto, Wanda assume la stessa posizione voyeuristica di Gregor, anche se lo sguardo di Venere non ha bisogno del sotterfugio delle serrature: il suo occhio è, spazialmente e metaforicamente, di fronte (anzi, sopra) al proprio oggetto del desiderio.

Dal punto di vista grafico, le consonanze tra la riscrittura di Justine e quella della Venere sono pochissime, limitandosi al format della vittima ‘insaccata’ e legata con le corde. Un modello, a dire il vero, più generazionale che effettivo, come si può vedere accostando le posture ai nodi giapponesi stilizzati da Dino Buzzati nella Casa dei misteri (matita, china e tempera su carta, 1965). Anche sul piano strettamente tecnico del disegno, insomma, non c’è dialogo possibile tra sadismo e masochismo. Al contrario, l’archetipo della Venere in pelliccia tornerà compulsivamente negli altri progetti di Crepax, diventando un vero e proprio personaggio generativo, quasi una funzione-Wanda. Per fare soltanto due esempi, in Bianca. La casa matta (Crepax 1972), il personaggio di Juliette viene ‘rieducato’ da una mistress in pelliccia, mentre in Gli uomini: istruzioni per l’uso (Crepax 1986) il risguardo di copertina (un bassorilievo con le personalità di Valentina diversamente abbigliate) prevede anche una simil-Wanda, nuda e impellicciata. Non casualmente, in questa enciclopedia dei caratteri maschili, la funzione-Wanda viene associata alla “U” di “Umiliato”, di cui Crepax darà questa definizione: “Umiliato: consapevole e fiero della propria condizione d’inferiorità morale e materiale”.

Per tornare a Venere in pelliccia, nel settimo capitolo Gregor si spoglia parlando da solo – a p. 83 addirittura si rivolge alla serratura, come se fosse la buca del suggeritore di una qualche verità extradiegetica. In questo soliloquio-strip, il protagonista insiste sul fatto di non poter chiedere a Wanda di essere “così diversa” (con l’aggettivo in corsivo nel testo), dal momento che “sono io… a essere diverso da tutti”. La scena prosegue con le frustate di Wanda e con il ritorno in camera di Gregor che, sdraiato sul letto, pronuncia la frase “io ho un solo padrone”, esattamente nell’attimo in cui il pennino di Crepax inquadra i suoi glutei. La diversità di Gregor è, semplicemente, una diversità anale, un piacere dell’effrazione subìta che Crepax non relega nel campo metaforico della passività ma che trasforma in un piacere omoerotico. Il raggiungimento di questa liberazione sessuale è preceduto da una serie di ‘simulazioni’, in cui gli oggetti (dalla punta dello stivale alla gamba della sedia) mediano e anticipano il fallo. A inverare il simulacro arriverà, alla fine, uno degli amanti di Wanda, Sandor – nickname che corrisponde all’originario Alexis Papadopolis. Wanda chiede a Sandor di frustare Gregor, mentre lei, masturbandosi, rilegge le clausole del contratto. Poi gli intima di fermarsi ma soltanto per “passare al secondo atto della commedia… spogliatevi anche voi e penetrate in lui!” (ivi, 97). Di fronte alla perplessità di Sandor, Wanda si mantiene spietatamente ferma: “Sarà l’ultima scena di una rappresentazione straordinaria. A lui piacerà” – e poi, tra sé: “è per questo che tra di noi è andato tutto male!” (ivi, 98). L’omosessualità di Gregor viene verbalizzata da Venere, che finalmente libera il fantasma nel linguaggio. Tuttavia, per vidimare questo cambiamento di stato, è necessario un surplus visivo e ritualizzante. Insistendo sulla cornice teatrale, Wanda sentenzia che “ogni messinscena richiede un trucco adeguato”, applicando poi il rossetto sulle labbra di questo Gregor en travesti (ivi, 98) [Fig. 6]. Gregor e Wanda si somigliano (adesso, anche fisiognomicamente) soltanto nel desiderio del fallo. Crepax sembra rifarsi qui al concetto freudiano di “masochismo femmineo” (Il problema economico del masochismo, 1924), in cui l’atto di umiliazione porta “il soggetto in una situazione tipicamente femminile” (Freud [1924] 1978, 9). Crepax ha asciugato la fonte romanzesca di tutti i dispositivi di mediazione, mettendo in scena quella che, nella sua interpretazione, è semplicemente una diversità sessuale. Nella già citata intervista a “Panorama” del 1984, Crepax raccontava di aver scelto la Venere in pelliccia anche per “scrollarsi di dosso l’accusa di spogliare sempre e solo donne. Ho provato un piacere sottile nel potere finalmente disegnare un uomo nudo” (Giovannini 1984).

Il travestimento è completo quando Gregor indossa gli attributi di Wanda, dai guanti agli stivali, dalle giarrettiere al cappello (che sostituisce e ‘proletarizza’ il diadema di Sacher-Masoch). Il trucco espressionista di Gregor ricorda l’elegante decadenza del Casanova felliniano (1976) – che Crepax aveva illustrato nello stesso 1976, in un dialogo a distanza tra maquillage e ‘desideri in costume’.

Nella Venere in pelliccia, il rituale avviene, come sempre, sotto l’occhio vigile di Wanda che, rispetto all’originale di Sacher-Masoch, non contempla la scena sdraiata sull’ottomana ma a terra, con il corpo che aderisce (senza toccarlo) a quello della vittima. Venere chiede a Gregor la conferma finale della propria fantasia (“adesso che lo senti dentro di te, sei felice? Dimmelo”, Crepax 1984, 99). Quando arriva il fatidico “sì”, Wanda congeda Sandor e dichiara che “Venere in pelliccia è finita”. Sopra il corpo da deposizione classica di Gregor, a dialogare sono soltanto le scarpe senza volto dei carnefici.

In realtà, il fumetto di Crepax non finisce su questa inquadratura fetish ma contempla ancora un ultimo capitolo di sole tre tavole, intitolato Freud. Conclusa la storia con Wanda, Gregor decide di andare in analisi da Sigmund Freud in persona, di cui non viene mai mostrato il volto, forse per riprodurre plasticamente l’esperienza del lettino. L’analista chiede al paziente quali siano le sue conclusioni sulla vicenda e Gregor dichiara di essere stato “uno stupido... perché non sono stato io a frustare lei, invece di farmi frustare da lei” (ivi, 104). Anche in Sacher-Masoch troviamo questa forma di metamorfosi sadica, in cui Gregor, allontanatosi da Wanda, viene a rivestirne la posizione simbolica – si compra anche lui “un paio di stivaloni” e rimpiange di non aver usato la frusta (Sacher-Masoch [1878]1968, 219). Di fronte alla perplessità dell’analista, il Gregor di Crepax è costretto a precisare la propria diagnosi, pronunciando un discorso che si rivela una citazione (e, al contempo, una risposta intertestuale) alle pagine di Sacher-Masoch: “No... non mi sono spiegato bene... Voglio dire che, secondo me, nella società in cui viviamo oggi... alla fine dell’800, la donna, nei suoi rapporti con l’uomo, non può essere altro che sua tiranna o sua schiava... mai sua compagna! Compagna potrà esserlo solo se godrà un giorno di diritti uguali ai suoi... studiare e lavorare come l’uomo... comunque, io, dopo aver voluto essere incudine in questo gioco bizzarro di incudine e martello, forse sono guarito!” (Crepax 1984, 105) [Fig. 8]. In Sacher-Masoch, la guarigione corrispondeva al riconoscimento di un errore (“sono stato un asino, mi sono reso schiavo di una donna, capisci? [...] Chi si lascia frustare, se lo merita”) (Sacher-Masoch [1878] 1968, 27). In Crepax, invece, la guarigione prevede l’accettazione critica (e clinica) della propria diversità. Gregor si professa “guarito” perché è riuscito a occupare una posizione terza (né incudine né martello). In Sacher-Masoch, inoltre, la cura necessitava di un ritorno all’ordine. Severin “impara a lavorare, ad adempiere i suoi doveri”, eredita i possedimenti del padre e sorride al ricordo delle vecchie scappatelle, imputandone la colpa alle “nostre belle dame nervose e isteriche” (ivi, 221). Al contrario, il Gregor di Crepax ha accolto un nuovo ordine, esterno alla (falsa) scelta tra perversione e vita borghese: Gregor ha scelto l’analisi. Resta il dubbio che si tratti di una guarigione parodica: questo improvviso mettersi in giacca e cravatta comporta, anche sul piano visivo, un nuovo ordine irregimentante, che addomestica il precedente caos di montaggi onirici. Sul piano estetico, la guarigione non rappresenta una soluzione perché uccide quella sgrammaticatura creativa che era alla base dell’esperienza artistica.

Un certo trionfalismo psicoanalitico non deve comunque stupirci. Crepax è uno dei fumettisti più dichiaratamente freudiani della tradizione italiana. Fin dal Diario di Valentina (Crepax 1976a), troviamo la protagonista intenta a leggere L’uomo dei topi, sbalzato in una posizione prioritaria rispetto a tutti gli altri libri esposti a scaffale. Valentina è un’eroina sui generis del fumetto erotico: ha sofferto di disturbi alimentari (come le rimprovera il padre, gridandole che, se non fosse tornata a mangiare, l’avrebbe “pigliata per il collo e all’inferno la psicanalisi!”) e va regolarmente in terapia. Non mancano le tavole che riproducono il flusso associativo del lettino; nel Diario, ad esempio, Valentina-paziente racconta che “L’armadio mi stava più vicino, ma non c’era niente dentro”, mentre “delle cose grandi venivano avanti”, in una pausa onirica che sospende le trame di spionaggio internazionale e di spregiudicate scappatelle.

In numerose interviste e dichiarazioni di poetica, Crepax ha affermato di non aver “bisogno” della psicanalisi perché “il pennino è il mio psicanalista. [...] I miei fumetti sono un diario psicanalitico personale, redatto giorno per giorno” (Giovannini 1984). Del resto, il Gregor di Crepax non è soltanto un personaggio-paziente ma anche, come abbiamo visto, un personaggio-scrittore, in un atteggiamento di sublimazione creativa rivendicato dal suo stesso disegnatore. La diversità di Gregor è anche, e soprattutto, una diversità artistica. Dei rapporti intimamente proiettivi con la psicanalisi si sono occupati alcuni interpreti di Crepax – Oreste Del Buono, ad esempio, scriverà che “Crepax non illustra […]: somatizza i romanzi, i libri inquieti. Ha un suo modo di patirli, di commentarli” (Del Buono 1987, 8).

A Crepax non è mancato l’appoggio di filosofi e scrittori internazionali, da Roland Barthes ad Alain Robbe-Grillet. Quest’ultimo, nella sua Prefazione all’Histoire d’O, si concentra sulle variazioni tra romanzo e fumetto, sostenendo che il lavoro di Crepax “opta, senza possibilità di errore, per la modernità” (Robbe-Grillet 1976, 3). Se l’Histoire d’O veniva letta, in passato, come l’epopea maschilista di una donna-oggetto, in Crepax “l’immagine dell’uomo e l’immagine della donna” sono diventate entrambe dei “puri oggetti”: “al mondo della speranza disperata che finisce per sottomettersi alla sua condizione tragica succede quello, ludico, dello spirito-re, che è quello dell’eros futuro” (Robbe-Grillet 1976, 4-5). Prendendo spunto dalle parole di Robbe-Grillet, possiamo azzardare una sommaria conclusione. Che sia Sacher-Masoch o Pauline Réage, la metamorfosi stilistica di Crepax non agisce affatto – come pure è stato scritto – rendendo più cruda e sguaiata la sensualità di partenza. Nelle sue tavole prevale, piuttosto, la scommessa su un “eros futuro”, gioioso e “ludico”, in cui l’umiliato si riscatta diventando addirittura “spirito-re” (Robbe Grillet 1976, 5). Il paradosso (e la provocazione) di Crepax è proprio quella di presentare un masochismo spogliato dalla pulsione di morte. Come in una specie di Bildugsroman psicoanalitico, Gregor attraversa la colpa e l’umiliazione per poi arrivare alla ‘soluzione positiva’ della letteratura e dell’analisi. È una posizione fortemente razionalista e volontaristica del masochismo: a dispetto delle apparenze, Crepax è quasi un illuminista dell’eros. Al piacere del dolore si sostituisce il piacere della guarigione, la sostituzione del rimosso con una riparazione creativa, un restauro del trauma per via artistica.

Dopo il diluvio di fumetti sadiani (e sotto-sadiani) a cui ci ha abituato il mainstream italiano, Crepax si impone come un autore strutturalmente masochista – non tanto e non soltanto per i temi scelti ma, soprattutto, per l’impostazione registica dello sguardo. La sintassi visiva del masochista diventa, insomma, una geometria di liberazione. A correggere la paralisi del movimento, bloccato dalla Medusa della perversione, c’è soltanto la redenzione del futuro, l’epilogo che ordina, a posteriori, l’intero percorso. Senza accorgercene, l’analisi ha agito anche sul disegno: nel capitolo finale su Freud, le tavole seguono ormai un processo logico-causale, i personaggi vengono inquadrati a figura intera, senza improvvisi zoom su scarpe, occhi o genitali. Il lieto fine dell’analisi interrompe la comunicazione nevrotica, trasformando il flusso di coscienza in un plot. Di fronte al bivio tra perversione e nevrosi, tra piacere e lacaniano “godimento del sintomo”, Crepax costruisce una terza via: quella dell’eroe-scrittore, che converte l’esperienza in un atto narrativo. Il paziente elabora il trauma facendosi Sherazade dei suoi stessi sintomi, raccontando notte dopo notte la storia del suo desiderio, per rimandare la morte e le sue pulsioni.

* Le tavole della Venere in pelliccia sono state scansionate dall’Archivio Guido Crepax (©Archivio Crepax e ©Guido Crepax). Per la disponibilità e il generoso supporto, desidero ringraziare Emanuele Bestetti.

Riferimenti bibliografici
English abstract

This study offers a critical interpretation of Guido Crepax’s 1984 graphic novel adaptation of Venus in Furs by Leopold von Sacher-Masoch. Through a comparative analysis of Crepax’s other works – particularly Histoire d’O (1975) and Justine (1979) – this paper explores the privileged relationship between the comic book medium and the masochistic gaze. Special attention is given to specific panels in which the female figure is fragmented into a sequence of smaller frames, effectively dismembered by the voyeur-victim’s gaze. The analysis culminates in an interpretation of the final scene, in which Wanda orchestrates a theatrical reenactment of punishment: Gregor, dressed as Wanda and adorned with her symbolic attributes (the tiara, boots, and garters), undergoes “punishment” at the hands of his co-tormentor, Sandor, thereby rendering explicit a latent homoerotic desire present from the outset. However, in contrast to Sacher-Masoch’s novel, Gregor ultimately “recovers” by embarking on a therapeutic journey under the guidance of Sigmund Freud himself – although his recovery does not stem from the repression of masochistic desire, but rather from its conscious acceptance.

keywords | Guido Crepax; Graphic novel; Comic strips; Adaptation.

questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista

Per citare questo articolo / To cite this article: Chiara Portesine, Masochismi a fumetti. Venere in pelliccia di Guido Crepax, “La Rivista di Engramma” n. 223, aprile 2025.