
1 | Il Museo delle Navi romane in costruzione, in ASMUST, Archivio fotografico, Carla e Guido Ucelli di Nemi.
Prima di cominciare, una piccola premessa: il Museo delle Navi di Nemi è per me un luogo del cuore ma non ho mai fatto ricerca specifica sulla sua vicenda. A giugno 2024 sono stata coinvolta nella presentazione del volume numero 142 della rivista “Ricerche di storia dell’arte” e mi sono trovata circondata da una squadra favolosa e collaborativa di antropologi, archeologi, archivisti, direttori di musei, letterati, paesaggisti, progettisti, restauratori, storici della tecnica e della religione: tutti studiosi con grande competenza sul tema, corroborata da anni di ricerca. Come storica dell’ingegneria, più che un vero contributo, semino un po’ di dubbi.
La storia del Museo è certamente anche una storia di ingegneria: dalle tecniche idrauliche per svuotare il lago a quelle per l’alaggio delle navi, fino alla costruzione dell’edificio, praticamente sulle sabbie mobili. Ripercorrendo la cronologia, l’ingegneria emerge a tutto campo, mese per mese, dai documenti della Commissione Ricci del 1926 fino all’incendio del 1944 (Commissione per il ricupero delle navi di Nemi 1927; Ucelli [1950] 1996).
La vicenda tecnica si mescola indissolubilmente con quella politica: basti pensare allo strano comportamento di Benito Mussolini, che accende personalmente le pompe per lo svuotamento del lago a ottobre del 1928 e invece non si presenta quando le navi sono fuori, forse semplicemente deluso dai poveri resti, ben diversi dalla prevista “superba nave cubiculata, con le sue stanze e le sue logge e i suoi giardini e le fontane, carica di marmi e di metalli preziosi e di legni rari, tutta splendente di porpora e d’oro” che aveva descritto il 9 aprile 1927 nell’esaltato discorso alla Società Romana di Storia Patria (Mussolini 1927). A Nemi torna infine dodici anni dopo l’avvio delle operazioni, a inaugurare il museo, appena un mese e mezzo prima della dichiarazione di guerra. In questo tempo succedono molte cose che, in parte, hanno a che fare con la vicenda.
Ma torniamo all’ingegneria: bisogna svuotare un lago chiuso ma non togliendo il tappo dal fondo, come si farebbe in un lago artificiale generato da una diga, ma tirando l’acqua verso l’alto, forzandola meccanicamente verso la bocca dell’antico emissario. È come voler svuotare un lavandino sollevando l’acqua fino al “troppo pieno”, il foro subito sotto al rubinetto. Nella relazione della Commissione si prevedeva un abbassamento del livello del lago di circa 22 metri (Commissione per il ricupero delle navi di Nemi 1927, 25-28): l’acqua per andarsene ha dovuto risalire un edificio di sette piani. Gli industriali che il 3 gennaio 1928 firmano la prima concessione, per farsi belli agli occhi di Mussolini, scoprono solo in seguito che l’emissario è in parte franato e quindi ostruito e si tirano indietro. Il 15 giugno 1928 viene stipulata una nuova convenzione fra il Governo e i due gruppi industriali: la Costruzioni Meccaniche Riva, e quindi l’ingegnere Guido Ucelli, con le sue pompe, e il gruppo delle Società Elettricità Roma e Laziale di Elettricità del Lazio, a dare energia, formando così il nuovo “Comitato Industriale per lo scoprimento delle navi di Nemi” (Ucelli [1950] 1996, 42-45). Disostruito l’emissario, si arriva alla messa in marcia dell’impianto idrovoro: ma ovviamente quando si comincia a pompare via l’acqua, il fondo e le sponde del lago si muovono, franano, scivolano trascinando le pompe e il terreno a cui sono fissate. Si prova allora con un impianto galleggiante, ma neppure questa è una buona idea perché naufraga fra le impetuose onde generate (Ucelli [1950] 1996, 57-84; vedi anche Rovida 2011, 188-196). Alla fine si estraggono ben 25 milioni di metri cubi d’acqua. E affiora la prima nave, completamente scoperta a novembre del 1929: ed ecco la delusione del grande pubblico, che si aspettava la “superba mole” dell’“enorme barcone”, con le stanze, le logge, i giardini e le fontane…
Il lavoro del Comitato è finito e tutta l’attrezzatura viene ceduta al Genio speciale per il Tevere. Ricominciano i lavori di svuotamento. Nel frattempo bisogna pulire dal fango la nave, stabilizzarla, metterla su una slitta rigida: interviene niente meno che la Savigliano, la più importante impresa di costruzioni metalliche italiana, quella che, nell’Ottocento, costruì il Ponte sull’Adda a Paderno, e nel dopoguerra il ponte della fiumara Sfalassà, progettato da Silvano Zorzi, a Bagnara Calabria per l’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Costruisce un carrello di acciaio (con quattro grandi travi longitudinali e costole reticolari trasversali) che arriva in cantiere ad agosto 1930; il 6 ottobre comincia il lentissimo viaggio della prima nave verso le sponde, alla velocità di massimo un centimetro al secondo. A fine novembre è fuori dall’acqua, sotto una tettoria di ferro. Con molti dubbi, si procede con la seconda nave: a marzo del 1931 arrivano nuove pompe, la velocità di pompaggio aumenta sensibilmente, ma ad agosto, proprio quando l’acqua è arrivata a 20 metri sotto la bocca dell’emissario, frana di nuovo tutto, e stavolta gli smottamenti delle rive e del fondo costringono a fermarsi. Si riprende dopo 7 mesi, a marzo 1932. A luglio la seconda nave è emersa e i primi di novembre è fuori dall’invaso, trascinata da carrelli di legno progettati dalla Marina, che ha preso in carico le operazioni (Ucelli [1950] 1996, 85-101; vedi anche Rovida 2011, 188-196).
Quattro anni di lavoro: un’avventura avvincentissima, che lascia con il fiato sospeso tutto il tempo: poteva andare a finire malissimo in ogni momento dell’operazione. E invece eccole, le due navi di Caligola, e non di Tiberio, una vicina all’altra, per ben due anni lasciate spiaggiate ed esposte alle intemperie, mentre il lago torna a riempirsi naturalmente. Fino al 1933, il tentativo di salvare il legno con qualche protettivo chimico sembra far pensare che si voglia abbandonarle lì. E invece parte un’altra avventura ingegneristicamente interessante: Mussolini aveva promesso un museo, e quindi che si faccia intanto almeno un ricovero stabile.
Il Genio speciale stima 5 milioni di lire di lavori. Nel 1933 si accumulano diverse ipotesi. A progetto generale approvato (regalato da Morpurgo già anni prima) si appaltano intanto circa 2 milioni di lire di lavori per la costruzione di una struttura in cemento armato e muratura (vedi anche Toson 2024, 65 e Incutti, Porretta in questo numero). L’appalto è custodito nel fondo del Ministero dei Lavori Pubblici, ed è emerso durante l’archiviazione del fondo condotta nell’ambito della ricerca SIXXI: un piccolo contributo per il nascente “Centro di documentazione e studio”. Al contratto è allegato il progetto, i calcoli statici, i computi, il capitolato speciale d’appalto datato 27 aprile 1934. Documenti elaborati dal Genio speciale del Tevere, su progetto – colpo di scena – dell’ing. Remo Morpurgo (non Vittorio). Questa questione è ancora tutta da approfondire.
Alla gara vengono invitate quattordici ditte tra le più autorevoli per il cemento armato sulla piazza di Roma: la Stoelcker, la Vitali (che è quella che costruirà il padiglione per l’Ara Pacis a piazza Augusto Imperatore, sempre su progetto di Morpurgo), la Provera e Carrassi, la Ferrobeton, la Garbarino-Sciaccaluga-Mezzacane (che ha costruito il palazzo delle poste di Adalberto Libera in via Marmorata), la Aurelio Aureli e altre.
In realtà non tutte presentano un’offerta; vince l’impresa dei fratelli Damioli, che ha all’attivo molte opere: solo per citarne qualcuna, il ponte sull’Oglio a Palazzolo per l’Autostrada Bergamo-Brescia (3 archi gemelli di 61 metri di luce) e gli hangar di Pantelleria (in genere attribuiti a Pier Luigi Nervi, ma che invece sono loro a progettare e costruire tra il 1937-1939). Il contratto è firmato il 23 novembre 1934 (Contratto 1934). In seguito parteciperanno con Vittorio Morpurgo a tre dei quattro famosi appalti-concorso per ponti sul Tevere, pubblicati tutti insieme su “Architettura” nel febbraio 1940: il ponte d’Africa (con due varianti); il ponte S. Paolo (oggi Marconi) e il ponte a San Giovanni dei Fiorentini (vinto da Stoelcker). Non vincono nessun concorso ma questa collaborazione successiva fa capire sia che esiste un rapporto tra l’architetto e la società, magari nato proprio a Nemi, sia la dimestichezza dell’impresa con opere di ingegneria pura come i ponti e gli hangar.

1 | Alcune pagine del contratto fra la Società Fratelli Damioli e il Ministero dei lavori Pubblici per la costruzione delle strutture del Museo delle Navi di Nemi.
La struttura in cemento armato del Museo di Nemi d’altronde è molto interessante. Gli archi non hanno piedritti simmetrici: quello interno è semplice ma quello esterno è doppio, configurato come un telaio perché deve assorbire non solo i carichi verticali, il peso, ma anche la spinta orizzontale dell’arco. E poi gli archi sono incernierati alle imposte: le cerniere sono presumibilmente di tipo Mesnager, riempite con cemento ad alta resistenza. E anche i piedritti degli archi sono incernierati alle fondazioni, a terra. Le cerniere probabilmente servivano a creare una struttura il più possibile isostatica, perché la cosa più probabile che ci si poteva aspettare qui erano cedimenti differenziali in fondazione. Il terreno, infatti, ha una portanza molto modesta: materiale lapideo frantumato alternato a ceneri vulcaniche finissime miste ad acqua, senza consistenza. Le fondazioni si impostano su pali simplex che sul retro raggiungono 6 metri di lunghezza e sul fronte, verso il lago, 22 metri, con il tubo forma ribattuto più e più volte prima di trovare rifiuto. Poi i pali sono collegati da plinti di fondazione per ripartire la pressione più uniformemente. I solai sono laterocementizi, di circa 9 metri di luce (la distanza tra gli archi), senza travetti emergenti, con uso di cemento ad alta resistenza: probabilmente un brevetto di prima qualità proposto in quegli anni di grande sperimentazione sulle potenzialità delle pignatte laterizie.
I lavori del rustico, iniziati il 29 settembre 1934, sono completati il 15 ottobre 1935. Manca da costruire il prospetto anteriore: da lì devono entrare le navi, che vengono trainate e avanzano 16 metri al giorno. Il 18 novembre 1935 la prima nave è già collocata nel museo; il 20 gennaio 1936 anche l’altra è al coperto. Quando a ottobre 1937 l’ingegnere Antonio Buongiorno del Genio speciale per il Tevere, direttore dei lavori ma praticamente il RUP di tutta l’operazione, come lo potremmo definire oggi, pubblica un articolo sulla rivista “Annali dei Lavori Pubblici”, scrive che l’edificio si è chiuso in tempo per la mostra augustea della Romanità (23 settembre 1937, quando viene inaugurato anche il padiglione dell’Ara Pacis), ma dalle foto di corredo al testo si capisce che è ancora tutto al rustico, senza pavimenti e i muri non intonacati (Buongiorno 1937, 937-948). Ci sarà stato sicuramente un successivo contratto per le finiture, di circa 1 milione e 850 mila lire (così sembra di capire da alcuni documenti), che non è ancora emerso dall’archivio del Ministero. E poi che succede? È difficile capire perché passa tanto tempo, altri quattro anni fino all’inaugurazione di Mussolini, il 21 aprile 1940.
Certo non sono anni facili, quelli dal 1936 al 1940. Per esempio, nell’ottobre 1935 abbiamo invaso l’Etiopia e la Società delle Nazioni ci ha sottoposto a sanzioni: non possiamo più comprare niente dall’estero e Mussolini, per propaganda, ha dichiarato l’autarchia, cioè l’autosufficienza economica e ha proibito l’uso del cemento armato perché anche il tondino di acciaio lo importiamo dall’estero. Ma a Nemi il cemento armato è completato, quindi non è questa la ragione del ritardo, com’è invece in moltissimi cantieri romani che non riescono più a finire i lavori per mancanza di ferro. Poi nel 1938 vengono emanate le leggi razziali ma Morpurgo, pur di famiglia ebrea, sembra “discriminato” o addirittura proprio non coinvolto: sicuramente fino al 1940 non perde i suoi diritti professionali, sostituendo il cognome con quello materno, Ballio.
Forse c’è altro a cui pensare: a Roma si è avviata nel frattempo l’avventura dell’E42, la grande esposizione della civiltà italiana, coincidente con il ventennale della marcia su Roma, che prevedeva l’esaltazione della romanità. È possibile che abbia avuto un ruolo? Forse qualcuno ha pensato di collocare le navi in mostra da qualche parte all’interno del pentagono Salatino? Ricerca non facile, anche questa, nelle migliaia di carte conservate all’Archivio Centrale dello Stato nel fondo E42, in cui si intrecciano mille ipotesi e mille progetti visionari. Dunque, ancora molti dubbi che troveranno nel restauro e nei tanti progetti di digitalizzazione dei documenti un’importante occasione di approfondimento di questa vicenda, a pieno titolo parte anche della storia dell’ingegneria italiana.
Bibliografia
Fonti d’archivio
- Contratto tra il Ministero dei Lavori Pubblici e la Soc. An. Fratelli Damioli, impresa di costruzioni, con sede in Milano, rappresentata dall’Ing. Emilio Damioli fu Diego, per l’appalto dei lavori di costruzione di un edificio destinato a ricovero delle Navi Imperiali del lago di Nemi da costruirsi sule sponde settentrionali del lago di Nemi in territorio del Comune di Nemi. Importo netto Lire 1946700, Archivio Contratti Ministero dei Lavori Pubblici, Atti pubblici 1934, n. 570 del Repertorio, vol. 17 da 569 a 585, Roma, 23 novembre 1934.
Riferimenti
- Associazione Guido Ucelli di Nemi 2011
Associazione Guido Ucelli di Nemi (a cura di), Guido Ucelli di Nemi. Industriale, umanista, innovatore, Milano 2011. - Buongiorno 1937
A. Buongiorno, Il museo delle Navi del lago di Nemi, “Annali dei Lavori Pubblici” (ottobre 1937), 937-948. - Calandra di Roccolino 2023
G. Calandra di Roccolino, Architettura e propaganda. Il Museo delle Navi di Nemi, spunti per una ricerca, “La Rivista di Engramma” 203 (giugno 2023), 25-34. - Commissione per il ricupero delle navi di Nemi 1927
Il ricupero delle navi di Nemi. Proposte della Commissione nominata da S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione, Provveditorato Generale dello Stato, Roma 1927. - Cultrera 1932
G. Cultrera, Nemi – La prima fase dei lavori per il ricupero delle navi romane, “Notizie degli Scavi di Antichità”, fasc. 4-5-6 (1932), 82, 142, 222, 230-232, 263, 296, 348. - Cultrera 1954
G. Cultrera, Ricordi dei lavori per il ricupero delle navi di Nemi e di altre singolari vicende, Siracusa 1954. - De Rosa 1940
E. De Rosa, L’Archeologia nella realtà storica del tempo di Mussolini, “Il Lavoro Fascista” (2 agosto 1940). - Incutti Poretta 2025
A. Incutti, P. Porretta, Architettura e allestimenti del Museo delle Navi romane di Nemi. Il progetto di Vittorio Morpurgo, le successive fasi di trasformazione e il paesaggio nemorense (1940-2000), “La Rivista di Engramma” 228 (ottobre 2025). - Mussolini 1927
B. Mussolini, Nemi ed Ercolano, Discorso tenuto alla Società Romana di Storia Patria (9 aprile 1927), “Scritti e discorsi” vol. VI, Roma 1927, 26-29. - Quattro concorsi 1940
Quattro concorsi appalto per ponti sul Tevere a Roma, “Architettura” a. 19, n. 2, (1940), 61-94. - Rovida 2011
E. Rovida, Ingegnere e tecnico, in Associazione Guido Ucelli di Nemi 2011, 188-201. - Toson 2024
C. Toson, Dallo scavo all’architettura, “Ricerche di storia dell’arte” 142 (maggio 2024), 59-67. - Ucelli [1950] 1996
G. Ucelli, Le navi di Nemi, II. ed., Roma 1950, terza ristampa, Roma 1996.
English abstract
This article investigates the recovery of Caligula’s ships from Lake Nemi and the construction of the museum (1926-1940) through the lens of engineering history. Drawing on archival sources, it reconstructs the technical challenges of draining the lake, salvaging the vessels, and erecting a reinforced-concrete structure on unstable terrain. The study highlights the close interplay between engineering, archaeology, and politics under Fascism, showing how technical decisions were shaped not only by material constraints but also by propaganda.
keywords | Nemi ships; History of engineering; Reinforced concrete; Fascism and heritage.
questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista
Per citare questo articolo / To cite this article: Tullia Iori, Il cemento armato e il Museo delle Navi romane di Nemi, “La Rivista di Engramma” n. 228, (ottobre 2025).