"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

114 | marzo 2014

9788898260591

Metamorfosi delle virtù d’Amore nella Firenze medicea

Una lettura della tavola 39 dell'Atlante Mnemosyne

a cura del Seminario Mnemosyne coordinato da Giulia Bordignon, Monica Centanni, Alessandra Pedersoli, con Enkelejd Doja, Bianca Fasiolo, Anna Fressola, Filippo Lorenzin, Linda Vigiani, Annalisa Zegna

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Si presenta qui di seguito una lettura dei contenuti della tavola 39 del Bilderatlas Mnemosyne (per i materiali completi del pannello – immagine della tavola ad alta definizione, didascalie e dettagli delle immagini – si rimanda alla sezione Mnemosyne Atlas e in particolare alla pagina dedicata a tavola 39).

Come annunciato dalle figure dei Trionfi della dea dell’amore e dalla centralità dell’immagine di Venere, la tavola 39 è pervasa dal demone di Eros: Cupido cieco [39.11a], presente in gloria con la madre [39.2a e 39.2b], o come logo del patto d’amore tra i due giovani [39.3], ispira gli scambi di effusioni erotiche, così come il ratto passionale e violento nelle figure della fascia superiore della tavola [39.2a e 39.2b, 39.9, 39.11b, 39.11c, 39.3].

Mnemosyne Atlas, tavola 39 (dettagli ricavati dalla versione Warburg & collaboratori, 1929) figure 39.2a, 39.2b, 39.9, 39.11a, 39.11b, 39.11c, 39.3:
39.2a I figli del Pianeta Venere, acquaforte su rame, dal cosiddetto Calendario Baldini, prima edizione, 1460 ca.; 39.2b I figli del Pianeta Venere, acquaforte su rame, dal cosiddetto Calendario Baldini, seconda edizione, 1465;
 39.9 Sandro Botticelli, Nascita di Venere, tempera su tela 1482-85, Firenze, Uffizi; 11a Sandro Botticelli, Primavera (secondo Warburg "Il Regno di Venere"), tempera su tavola, 1477-82, Firenze, Uffizi; 
11b Sandro Botticelli, Chloris, particolare della figura; 11c Sandro Botticelli, Zefiro, particolare della figura; 39.3 Lorenzo de’ Medici e Lucrezia Donati, “Amor vuol fe”, acquaforte su rame, 1465-1480, Paris, Bibliothèque Nationale

Effetto estremo dell’incontro trasfigurante con Eros – Amor in veste “anticheggiante”, giusta la definizione warburghiana negli appunti per il pannello – è il ritorno alla Terra della femmina bramata o rapita, nella metamorfosi in elemento vegetale: Chloris-Flora, la feconda sposa di Zefiro [39.11a, 39.11b], e Dafne-Alloro, la gloria poetica casto frutto del raptus amoroso di Apollo [39.15, 39.16, 39.18, 39.19].

Mnemosyne Atlas, tavola 39 (dettagli ricavati dalla versione Warburg & collaboratori, 1929) figure 39.15, 39.16, 39.18, 39.19:
39.15 Antonio Pollaiuolo, Apollo e Dafne, tempera su tavola, 1472-73, London, National Gallery;
 39.16 Attribuito a Giovanni Pietro Birago, Apollo e Dafne, miniatura da manoscritto, ultimo terzo del XV sec., Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek; 
39.18. Sandro Botticelli, Pallade e il centauro, tempera su tavola, 1482, Firenze, Uffizi.; 39.19 Bernardino Luini, Apollo e Dafne (Storie di Mirra?), affresco frammentario da Villa Pelucca presso Monza, 1520-1523, Milano, Pinacoteca di Brera.

La prima immagine che apre il pannello (nel montaggio in alto a sinistra) è un rilievo nel quale compare Icaro, alato e pronto ormai per il superbo volo verso Helios-Apollo [39.1].

Il rilievo è uno dei dodici medaglioni in pietra del fregio del cortile di Michelozzo di Palazzo Medici Riccardi realizzati nel 1465 ca, attribuibili alla bottega di Donatello e forse alla mano di Bertoldo di Giovanni (Dacos, Giuliano, Pannuti, 1973). Medaglista, scultore ed esperto di archeologia, Bertoldo era spesso a fianco di Lorenzo il Magnifico, il quale lo incaricò di custodire il Giardino di San Marco, in cui era conservata la collezione archeologica della famiglia medicea.

Come in altri pannelli di Mnemosyne, l’immagine risulta dunque utile innanzi tutto per fornire una prima contestualizzazione storico-geografica della tavola, e per dotarla di un emblematico ‘sigillo’ stilistico. Sebbene il tondo non rappresenti, in effetti, un soggetto a tema amoroso-erotico – argomento sotteso all’intero montaggio – la scena si configura come un punto d’accesso privilegiato sia per presentare il milieu della committenza protagonista del montaggio di tavola 39, sia per sintetizzarne uno dei fili tematico-formali, ovvero – secondo gli appunti di Warburg – la maturazione in quello stesso contesto culturale di uno “stile ideale” all’antica.

Quasi tutti i dodici tondi del cortile di Palazzo Medici Riccardi, infatti, sono ispirati a gemme antiche presenti in collezioni di corti italiane che i Medici avevano visto (personalmente o attraverso riproduzioni), ma che ancora non possedevano (due gemme, ad esempio, erano sicuramente in possesso della collezione di Pietro Barbo, nel 1464 papa Paolo II, e furono acquistate da Lorenzo dopo la sua morte). L’insieme dei tondi può dunque essere considerato un apparato decorativo fondato su colte citazioni archeologiche, piuttosto che un’esaltazione dei pezzi della collezione (Dacos, Giuliano, Pannuti, 1973): per corroborare questa ipotesi possiamo segnalare che uno dei tondi del cortile – raffigurante un barbaro prigioniero dinnanzi a un generale romano – si rifà non a un modello desunto da preziosi intagli antichi, ma al lato minore di un sarcofago ubicato durante il XV secolo lungo un fianco del Battistero fiorentino. L’unica gemma certamente documentata nella collezione di Lorenzo è però proprio quella con Icaro, e non sarà superfluo ricordare qui che anche una delle immagini protagoniste del pannello 39, la Nascita di Venere di Botticelli, si richiama a un altro pezzo di glittica ellenistica appartenente al patrimonio mediceo, la celebre Tazza Farnese.

Baccio Baldini (attribuito), Punizione di Amore, incisione su rame, 1465-1480 ca. collocazione sconosciuta, particolare [38.14]; Sandro Botticelli, Primavera, tempera su tavola, 1477-82, Firenze, Uffizi, particolare [39.11a].

L’inserimento in apertura della tavola, inoltre, riconnette questa immagine a uno dei temi affrontati nel pannello precedente: Icaro alato e stante sul piedistallo si può apparentare, da un punto di vista posturale, al Cupidus cruciatus già presente nel pannello precedente [38.14] (cfr. Warburg [1905a] 1966, 177-178). In tavola 39 la punizione di Eros si ribalta di senso – secondo quella dinamica di inversione energetica del pathos più volte affrontata da Warburg in Mnemosyne (v., in Engramma, il saggio di Giulia Bordignon, L'espressione antitetica in Aby Warburg: Bordignon 2004) – e la frigidità erotica che lo stesso Bertoldo aveva raffigurato nell’esemplare novella boccacciana di Nastagio degli Onesti [38.4] è destinata a diventare ben presto, nella Firenze medicea, il trionfo della virtù d’Amore. Nel tondo di tavola 39, tuttavia, il raptus ad caelum di Icaro non è un rapimento amoroso in senso proprio: le ali sono qui strumentali a un volo tutto indirizzato al conseguimento dell’eccellenza se non addirittura di una dimensione metafisica, obiettivo che però – dato il contesto – possiamo comunque considerare ‘erotico’ in senso neoplatonico.

Scuola di Donatello, attribuito a Bertoldo di Giovanni, Icaro e Dedalo, tondo in marmo, 1465, Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cortile [39.1].

Per quanto riguarda l’analisi iconografica del rilievo, possiamo osservare come il giovane, con l’ala già allacciata al braccio sinistro, si trovi su un piedistallo che a differenza del modello della gemma mostra una porta semiaperta, forse indicazione di un passaggio a una dimensione oltremondana: il soggetto raffigurato si presterebbe quindi a una lettura in chiave allegorica, come ascensione dell’anima. Significativa, in questa direzione, sembra una ulteriore variante iconografica che allontana il tondo dal modello antico: la testa del giovane è incorniciata, dietro alla nuca, da una sorta di larga tenia, e sulla sommità del capo compare un ciuffo assimilabile a una fiammella accesa. A sinistra di Icaro una figura barbata, anziana, evidentemente il padre Dedalo, con un panno intorno ai fianchi, regge il braccio destro del figlio, probabilmente nell’atto di assicurargli l’ala al polso mediante le stesse fasce già allacciate al braccio sinistro, in un gesto che pare anche di separazione e di commiato. A destra siede una figura femminile: nella mano destra impugna una lunga asta, mentre il braccio sinistro è piegato con la mano sul fianco a trattenere il panneggio. La figura è abbigliata con un chitone allacciato sotto il seno e un himation legato al collo, mentre la bordatura degli stivali raffigurati nella gemma vengono interpretati come l’orlo di corte braghe aderenti; al posto del berretto frigio, la figura medicea è acconciata con lunghe ciocche di capelli ripiegate sulla testa. L’abbigliamento e gli attributi da cacciatrice, pur variati rispetto alla gemma, rimandano all’iconografia di Artemide. A sinistra di Dedalo sta una figura femminile, identificata con Pasifae (come recitano le didascalie del sito web ufficiale di Palazzo Medici-Riccardi), più alta e in posizione preminente rispetto a Dedalo. Vestita con un peplo che le lascia scoperte le braccia, la figura femminile tende la mano destra verso Icaro; come si ricava dal confronto con la gemma, con la mano sinistra impugna un martello, in una posa assimilabile a quella degli assistenti degli artigiani così come li vediamo rappresentati in ambito greco ed ellenistico: secondo quanto riportano le fonti antiche, Pasifae avrebbe collaborato alla fuga dell'architetto e del figlio Icaro dal labirinto per riconoscenza nei confronti di Dedalo che, come è noto, era stato l'artefice della macchina erotica di legno, a forma di vacca, in cui Pasifae si era nascosta per congiungersi con il toro di Poseidone (e proprio da questa unione era nato il mostruoso Minotauro: sull'aiuto di Pasifae a Dedalo, v. Diod., Bibl. Hist. IV, 77, 5; Serv., Comm. ad Aen. VI, 14).

Oltre a configurarsi come ‘indicatore’ storico-tematico, il rilievo Medici-Riccardi mostra anche diverse parentele formali con le altre figure all'interno della tavola, in particolare la postura seduta di Artemide nel tondo e quella di Venere in entrambe le versioni del calendario Baldini [39.2a e 39.2b], con il braccio sinistro leggermente piegato e la gamba destra incrociata dietro la sinistra. Inoltre, le tre figure impugnano con la mano sinistra un’arma – la freccia di Eros nel caso di Venere e l’asta nel caso di Artemide. Possiamo rilevare anche una somiglianza nel gesto della figura femminile del tondo con il gesto dell’Ora della Nascita di Venere [39.9]: entrambe tendono il braccio alzato verso la figura centrale, fungendo da indicatore e vettore del ruolo della figura centrale. Nella immagine incipitaria, così come nel gruppo di Venere/Ora nella Nascita di Venere di Botticelli, la composizione è caratterizzata da linee ascendenti che convergono al centro. Nel primo caso, ma anche in quello dell’Ora, è rintracciabile nella postura delle due figure un’allusione a un elemento volatile/aereo (Ora) o al volo (Icaro).

Il carattere pioneristico del nuovo approccio di Warburg all’analisi formale degli elementi desunti nel Rinascimento dai modelli antichi – deduzioni caratterizzate, come si è visto nel caso appena considerato, da varianti significative e significanti, che sarebbero meritevoli di ulteriori approfondimenti – è stato efficacemente sottolineato da Gertrud Bing, dopo la morte del maestro, proprio prendendo spunto dalle immagini di tavola 39:

“I rilievi tondi decorativi del cortile di Palazzo Medici sono imitazioni di gemme antiche i cui originali si trovavano in possesso di Lorenzo. Ma ci si era arrestati a constatazioni come queste; nessuno si era posto il problema delle intenzioni che determinavano la scelta entro il tesoro plastico antico. Si presupponeva che gli artisti del Quattrocento fossero animati da quella medesima venerazione per tutta l’antichità classica che era diventata la regola ovvia per ogni persona colta a partire dal Settecento. Anche il Warburg era partito in un primo tempo da imitazioni singole di quel tipo. Di questo tipo era la sua scoperta che Botticelli aveva attinto alla plastica neo-attica i modelli delle sue figure in movimento o librate in aria, quasi volanti. In un disegno che risale alla scuola del Botticelli, un gruppo di tre figure era stato copiato da un sarcofago antico che in quel tempo era murato nella scala di Aracoeli in Roma [39.10]. Ma la svolta nuova che il Warburg ha impresso alla storia della tradizione non consiste nel chiedersi che cosa si fosse imitato, o da quale modello si fosse fatta l’imitazione: consiste invece nell’indagare il perché dell’imitazione data. Egli poté così constatare che gli artisti o i loro committenti e dotti consiglieri, quando sceglievano i loro modelli, non si preoccupavano in prima linea del contenuto delle opere antiche, ma del loro linguaggio mimico. Da modello del rapido movimento e della mimica nervosa delle figure del Botticelli fa l’atteggiamento della menade classica. Il gruppo di Apollo e Dafne in cui il dio cercava di afferrare l’amata, divenne il prototipo dell’inseguimento amoroso” (Bing [1960] 2003, 100-113).

Nell’intuizione critica di Warburg il recupero rinascimentale dell’antico non si esaurisce nel mero riconoscimento di una autorevolezza estetica o contenutistica dei modelli, ma rivivifica l’antichità in primis per la sua valenza espressiva.

Ninfa danzante da I figli del Pianeta Venere, acquaforte su rame, dal cosiddetto Calendario Baldini, prima edizione del 1460 ca. e seconda edizione del 1465 [39.2a, 39.2b].

Accanto al tondo Medici-Riccardi il montaggio presenta subito a destra una incisione (ancora di ambito fiorentino) raffigurante i figli planetari di Venere – ovvero, secondo la scienza astrologica di età umanistica, i nati nei mesi di aprile-maggio che subiscono l’influsso zodiacale di quel pianeta – dal cosiddetto ‘calendario Baldini’ nella prima edizione, datata al 1460. L’incisione tratta dalla seconda edizione del calendario, di cinque anni più tarda, è collocata nel pannello al di sotto dell’immagine incipitaria, posta a una certa distanza dalle prime due immagini (sulla relazione tra le due versioni del 'calendario Baldini' e sul loro significato nel montaggio del pannello, v. Rappl 2003). Questa disposizione spaziale sembra del tutto intenzionale: il tondo ‘all’antica’ e la prima incisione risultano giustapposte, mentre la seconda incisione, isolata sullo sfondo nero, spicca come un ulteriore cardine del montaggio. È lo stesso Warburg a proporre una linea di lettura che chiarisce il passaggio compositivo:

“Nelle prime stampe dell’incisione troviamo il ritratto di una donna che danza, con indosso l’abito di gala fossilizzato dell’autentica moda borgognona. Un goffo abito con lo strascico la inchioda al suolo, il capo è oppresso dallo hennin da cui pende un ampio velo fluttuante [cfr. 39.2a]. Nella stampa più recente dello stesso Pianeta la farfalla antica è uscita dal guscio della larva burgunda; la veste ondeggia alla maniera di una Vittoria alata, e anche le ali di Medusa sul capo, graditi e utili strumenti di volo della ninfa aerea, hanno scacciato lo sciocco e presuntuoso copricapo a punta [cfr. 39.2b]. Così si manifesta in forma elementare quell’idealismo autoctono e arcaizzante del movimento che Botticelli ha trasformato poi nella più sublime maniera espressiva del primo Rinascimento” (Warburg [1905b] 1966, 189).

Il tondo Medici-Riccardi dunque non solo funge da ‘emblema’ che sintetizza le coordinate storico-geografiche di tavola 39, ma rappresenta sinteticamente, fin dall’apertura del pannello, anche l’esito di un processo stilistico-formale che, nel breve volgere di anni in cui fiorisce il primo Rinascimento laurenziano, compie la grande rivoluzione del recupero dell’espressività patetica antica secondo uno ‘stile ideale’ portato a compimento, secondo Warburg, dall’arte di Botticelli. Scrive ancora Warburg:

"Solo così facendo [analizzando l’opera calcografica di Baccio Baldini] si giungerà a interpretare questa inarmonica ‘convivenza’ di una comicità popolare nordica, di un realismo dei costumi ‘alla franzese’ con un ispirato idealismo anticheggiante espresso nella mimica e negli abiti mossi; a interpretare cioè questi elementi come sintomi di un’epoca critica di transizione nello stile della prima arte profana fiorentina e a vederli nella loro vicendevole interdipendenza” (Warburg [1905a] 1966, 173).

In quest’epoca di transizione matura lo stile di Botticelli, che si concretizza con l’impiego di “accessori in movimento” come capelli e vesti mossi dal vento, che divengono vera e propria cifra pittorica dell’artista:

“La mobilità esterna degli accessori inerti, delle vesti e dei capelli che il Poliziano gli [a Botticelli] suggeriva quale caratteristica delle opere d’arte antiche, era un contrassegno esterno, facile a maneggiarsi, che poteva essere aggiunto dovunque si trattasse di destare la parvenza di una vita intensificata. E di questa facilitazione della riproduzione pittorica di uomini esagitati o anche solo intimamente commossi, il Botticelli amava fare uso” (Warburg [1893] 1966, 57) .

Per quanto riguarda le opere di Botticelli protagoniste al centro e a destra del pannello, Warburg fu il primo a connettere la Nascita di Venere, il Regno di Venere [Primavera], la Pallade e il Centauro in un ciclo, e a mettere in relazione l’opera botticelliana con gli eventi che, negli anni ’70 del Quattrocento, segnarono profondamente la storia politica e imaginale della Firenze dei Medici. Le morti traumatiche e premature dei due celebri amanti – Giuliano e la "ninfa" Simonetta Cattaneo maritata Vespucci – insieme alla celebrazione della pace ristabilita da Lorenzo dopo la congiura dei Pazzi – come indicato da Warburg e nuovamente argomentato da Wind – sono i temi ispiratori delle tre opere botticelliane commissionate per la Villa di Castello (v., in Engramma il saggio di Monica Centanni, 26 aprile giorno di primavera: nozze fatali nel giardino di Venere: Centanni 2013). La committenza Medici, chiaramente segnalata dall’emblema laurenziano sulla veste di Pallade [39.18], è confermata, nel Regno di Venere [39.11a], anche specificatamente riguardo al tema della fatale storia d’amore di Giuliano e Simonetta, dall’emblema giulianeo: il broncone che si riaccende, tessuto nella clamide di Mercurio-Giuliano/Lorenzo di Pierfrancesco.

Mnemosyne Atlas, tavola 39 (dettagli ricavati dalla versione Warburg & collaboratori, 1929) figure 39.9, 39.11a, 39.18:
39.9 Sandro Botticelli, Nascita di Venere, tempera su tela 1482-85, Firenze, Uffizi; 39.11a Sandro Botticelli, Primavera (giusta Warburg: "Il Regno di Venere"), tempera su tavola, 1477-82, Firenze, Uffizi; 39.18. Sandro Botticelli, Pallade e il centauro, tempera su tavola, 1482, Firenze, Uffizi.

Proprio le differenti qualità delle vesti dei personaggi del Regno di Venere può suggerire una nuova, ulteriore, traccia ermeneutica utile per analizzare i diversi livelli tematici e compositivi del dipinto. I veli sottili e ariosi che svelano i corpi delle Grazie, di Chloris e di Cupido, così come quelli colorati che fanno drappeggio sulle membra di Zefiro, collocano queste figure sul piano del mito (v. il brano del Trattato di Leonardo citato da Warburg e il Saggio interpretativo di tavola 46 in Engramma ); queste, per altro, sono tutte le figure del quadro puntualmente riferibili a una fonte mitografica classica. Un passo avanti rispetto alla scena del mito, i ‘fantasmi dell’antico’ si incarnano nelle due figure reali in primo piano: i protagonisti storici della composizione. I personaggi di Giuliano e Simonetta (forse, anche, Semiramide e Lorenzo di Pierfrancesco Medici: v. Centanni 2013) compaiono nelle vesti mitologiche di Mercurio e Flora: vesti all’antica, ma confezionate con i reali e preziosi tessuti fiorentini del tempo. Nel terzo piano del fondale, incorniciata da un’aureola di mirto, la figura stante che domina nel giardino, indossa la veste nuziale – che si ritrova identica in altre opere botticelliane – ed è avvolta dal manto double-face, rosso e azzurro-stellato. Questa terza tipologia di veste è indice di un’ulteriore dimensione figurale: dietro la realtà storica, dietro l’orizzonte mitologico, il senso complessivo della composizione è retto e sostenuto dalla figurazione filosofico-allegorica principale. La Sovrana del giardino, sopra cui aleggia Cupido, è Venere – in quanto figura divina della sposa – ma è anche la doppia Afrodite della teorizzazione ficiniana – sacra e profana, rossa e stellata. L’alma Venus nel suo regno-pomerio ha fatto crescere e fiorire gli alberi d’arancio, ancora teneri nella scena della Nascita, e ora dirige la scena con il gesto della mano destra e invita Mercurio-Giuliano – già protagonista della Giostra di Poliziano nelle vesti del cacciatore Julo – a convertirsi, da selvatico e casto, ed entrare nel regno d’amore. Nella sintassi del dipinto si ritrovano, in contrazione iconografica, le diverse fasi della storia d’amore troncata dalla morte ma restituita all’immortalità dalla glorificazione dell’arte: la conversione di Giuliano a Venere e alla danza delle Grazie, l’incontro con Simonetta, il gesto seducente della Ninfa e l’accendersi della passione, infine le nozze celebrate post mortem nello stesso fatale giorno di primavera (26 aprile 1476 e 26 aprile 1478).

Mnemosyne Atlas, tavola 39 (dettagli ricavati dalla versione Warburg & collaboratori, 1929) figure 39.2b, 39.3, 39.4, 39.6, 39.8, 39.10:
39.2b I figli del Pianeta Venere, acquaforte su rame, dal cosiddetto Calendario Baldini, seconda edizione, 1465; 39.3 Lorenzo de’ Medici e Lucrezia Donati, “Amor vuol fe”, acquaforte su rame, 1465-1480, Paris, Bibliothèque Nationale; 39.4 La casta Pallade come dea protettrice nella giostra amorosa di Giuliano [didascalia della KBW], impresa di Giuliano de’ Medici, Firenze, ultimo quarto del XV sec.; 39.6 Scuola di Botticelli, Pallade Atena, disegno a penna, Firenze, Uffizi; 39.8 da Botticelli, Pallade Atena, da un arazzo prodotto nel 1491 per il conte Guy de Baudreuil, Favelles, collezione Vicomte de Baudreuil; 39.10 Cerchia di Botticelli, Achille a Sciro scoperto da Ulisse, disegno a penna da un sarcofago romano, 250-260 d.C. circa (attualmente nell’abbazia di Woburn, Bradfordshire), Chantilly, Musée Condé).

La composizione della tavola indica, inoltre, una prosecuzione del discorso sulle vesti esplicitamente teorizzato da Warburg: l’evoluzione dall’abito ‘alla franzese’ della "larva burgundia" [39.2a] all’abito all’antica delle diverse epifanie della Ninfa [39.2b, 39.3, 39.4, 39.6, 39.8, 39.10] ha la sua deriva, alfine, nell’elaborazione "geroglifica" della veste teatrale barocca, in cui l’originario spunto tratto dai modelli romani perde la propria, genuina, vis espressiva, tornando a farsi paludamento in chiave erudita [39.12]. Nella parte centrale del montaggio, la figura botticelliana dell’Abbondanza – nuova ‘Primavera’ che al posto dei fiori reca frutti ormai maturi – fa da perno a questo ragionamento, visualizzato nelle immagini poste subito al di sotto: i disegni di Pinturicchio e Buontalenti che rappresentano, rispettivamente, Abbondanza e Fortuna, caratterizzate anch’esse dall’attributo della cornucopia colma di frutti [39.12, 39.13, 39.14].

Mnemosyne Atlas, tavola 39 (dettagli ricavati dalla versione Warburg & collaboratori, 1929) figure 39.12, 39.13, 39.14:
39.12 Sandro Bottocelli, Ninfa di Acheloo (Allegoria di Abundantia), disegno, 1470-1480, London, British Museum, Department of Prints and Drawings; 39.13 Bernardino Pinturicchio, Figura femminile con cornucopia (Abundantia), disegno a penna, 1490 ca., Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi
; 39.14 Bernardo Buontalenti, La Fortuna, disegno, 1589, London, Collezione Oppenheimer.

Nel saggio sui costumi teatrali del Buontalenti del 1589, così scrive Warburg a proposito del secondo disegno [39.14] che “Ogni Sirena portava una sottana di raso colorato e sopra una sottanella dello stesso colore, sbiadito ricordo del panneggiamento del chitone greco.” E ancora:

“Certamente in quest’epoca si fa meno sentire il ricordo già abbastanza debole dell’arte antica; così l’abito in prima semplice e succinto alla vita, si è cambiato in una serie di sopravvesti capricciosamente guarnite, mentre rimangono sempre i veli e gli svolazzi, quasi per ricordare il costume dell’agile cacciatrice, anche quando la ninfa ebbe preso più il carattere della pastorella sentimentale. L’autore […] tentò di caratterizzare psicologicamente i suoi diversi personaggi usando un addobbo esteriore, simbolico e vistoso quale era noto al pubblico erudito come attributo degli esseri mitologici. Ma per il troppo zelo di andare dietro agli attributi, si cadde in combinazioni arbitrarie ed oscure.” (Warburg [1895] 1966, 95)

Per tornare al cuore di tavola 39, secondo Warburg “nel Quattrocento ‘gli antichi’ non esigono che l’artista releghi in secondo piano le forme espressive conquistate dalla propria osservazione – come lo esigerà il Cinquecento per la illustrazione di temi antichi in maniera antica” (Warburg [1893] 1966, 57), e Botticelli trova negli abiti gonfiati dal vento desunti dai modelli della plastica romana, oltre e prima ancora che un sofistico richiamo archeologico, innanzi tutto il modo più adatto di “fissare le immagini della vita in movimento” (Warburg [1893] 1966, 58).

Lorenzo de’ Medici e Lucrezia Donati, “Amor vuol fe”, acquaforte su rame, 1465-1480, Paris, Bibliothèque Nationale [39.3].

Già nella dissertazione del 1892, Warburg aveva dedicato ampio spazio alla questione della committenza medicea dei dipinti botticelliani: il contesto della vita di corte, nei suoi diversi aspetti – intellettuale, filosofico, letterario, cerimoniale, mondano – viene presentato nella tavola attraverso la varietà di oggetti – il tondo scultoreo [39.1], le stampe [39.2a, 39.2b e 39.4], i dipinti [39.9, 39.11a, 39.18], il disegno per il coperchio per un "bossolo da spezie" [39.3] – tutti considerati manufatti artistici senza pregiudizi di valore sulla tipologia, tutti documenti utili e preziosi per la rievocazione storica. A proposito dell’incisione raffigurante Lorenzo de Medici e la sua amata Lucrezia Donati [39.3], che doveva ornare uno di questi “bossoli” (cofanetti impiegati come doni di corteggiamento), e che Warburg attribuisce al giovane Botticelli, lo studioso scrive:

“In questi modesti ornamenti di coperchi avremmo il prodotto, molto notevole come sintomo, di quella critica età di transizione nello stile della pittura fiorentina profana, quando dalla pittura di mobili nuziali ‘alla franzese’ essa tentava di assurgere all’arte più ideale dell’antico: Sandro [Botticelli], sempre occupato dagli scopi pratici della galanteria che vuol nascondere e manifestare i segreti nel tempo stesso, non ha trovato ancora una maniera di espressione decisa: anche perché il suo mentore Poliziano non l’ha introdotto nel regno platonico della Venere celeste. Ma una diecina d’anni più tardi lo stesso Sandro ha intrapreso la trasformazione della materia romantica medievale nel mondo delle forme classiche: egli, che prima aveva rappresentato Lorenzo e Lucrezia Donati in uno stile mescolato di idealismo e di realismo, ha poi, sotto l’influenza del Poliziano, celebrato l’apoteosi degli amori di Giuliano e di Simonetta Vespucci nei quadri della Pallade, della Nascita e del Regno di Venere. Per rendere credibile ed accettabile il mio modo di considerare queste ‘scatoline d’amore’ come l’anello di congiunzione con la pittura mitologica arcaicizzante, bisognerà […] far soggetto di studio accurato un altro prodotto dell’arte ‘erotica’ applicata che fin qui è stato negletto; cioè gli stendardi che si portavano nelle Giostre […] bisognerà dunque considerare e studiare come fattore costitutivo dello stile nella storia della coltura artistica della Rinascita tutto ciò che si riferisce alle feste fiorentine” (Warburg [1905b] 1966, 190-191).

Warburg fa sue le parole di Jacob Burckhardt, secondo il quale “le feste italiane nella loro forma più elevata sono un vero passaggio dalla vita all’arte” (Warburg [1893] 1966, 39), e intorno ai capolavori botticelliani crea, in tavola 39, una nebulosa figurativa di immagini meno note tratte da oggetti d’uso, con un effetto di riverbero che irradia e amplifica nuovi spunti di ricerca, originandosi dalle celebri ‘icone’ dell’arte rinascimentale per tornare infine a esse, illuminandole sotto una nuova luce ermeneutica. È questo il caso degli “stendardi da giostra” cui accenna Warburg nel brano citato qui sopra. Nel saggio sui dipinti botticelliani, in particolare, Warburg aveva già indicato in nuce le coordinate di un tema, l’assimilazione Venere-Pallade, che disegna un tracciato portante nella fascia inferiore sinistra della tavola, e che si riconnette alla Pallade con il centauro.

Francesco Laurana, Donna con elmo e ramo d’ulivo (Minerva Pacifera), medaglia del re Renato D’Angiò e Giovanna Laval, rovescio, 1464 [39.7].

La con-fusione iconografica tra due figure divine, originariamente così distanti – Afrodite/amore, Pallade/castità – è avviata, già nella numismatica imperiale romana, dall’unica zona di sovrapposizione simbolica delle due timai divine: l’esibizione delle armi come trionfo della pace sulla guerra – Pallade contro Ares – o come trionfo dell’amore sulla guerra – Afrodite vincitrice su Ares. L’identificazione allegorica Venus-Pax, Minerva-Pax, introduce lo slittamento della figura di Venere nella figura di Pallade, presente esplicitamente nella diretta ripresa dall’antico della Venere-Pace proposta da Francesco Laurana nella medaglia del 1463 [39.7]. A partire dalla Venere, alla nascita nuda [39.9], compare al centro del suo giardino in vesti allegoriche [39.11a], per poi riapparire in veste di Pallade che doma il centauro ribelle [39.18], allegoria della pace cittadina imposta da Lorenzo dopo la congiura dei Pazzi. L’immagine dell’alma Dea, sempre mantenendo la postura stante (un braccio lungo il fianco e l’altro atteggiato in gesti diversi), si presta a interpretare la figura dell’Abbondanza con cornucopia [39.12, 39.13, 39.14], della Pace che esibisce l’ulivo e le armi come trofeo – armi deposte, sottratte o appese a un arbusto [39.5, 39.6, 39.7, 39.8].

Quel che preme a Warburg di sottolineare è però soprattutto il fatto che la liceità dello slittamento simbolico e figurale è garantita storicamente dal dato, riportato da diverse fonti e puntualmente rilevato dallo studioso, secondo cui sull’impresa di Giuliano nella famosa giostra del 1475 compariva una Pallade Citerea – ovvero una Minerva Venere – su bronconi accesi, suo emblema: immagine protettrice ma anche evocazione sublimata di Simonetta, di cui le figure poste a sinistra in basso nel montaggio sono secondo Warburg indizi probanti, nonostante l’originale mediceo sia perduto (Warburg [1893] 1966, 23-25).

Mnemosyne Atlas, tavola 39 (dettagli ricavati dalla versione Warburg & collaboratori, 1929) figure 39.12, 39.13, 39.14, 39.5, 39.6, 39.7, 39.8:
39.12 Sandro Bottocelli, Ninfa di Acheloo (Allegoria di Abundantia), disegno, 1470-1480, London, British Museum, Department of Prints and Drawings; 39.13 Bernardino Pinturicchio, Figura femminile con cornucopia (Abundantia), disegno a penna, 1490 ca., Firenze, Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi
; 39.14 Bernardo Buontalenti, La Fortuna, disegno, 1589, London, Collezione Oppenheimer; 39.5 Pallade, tarsia, 1476, Urbino, Palazzo Ducale; 39.6 Scuola di Botticelli, Pallade Atena, disegno a penna, Firenze, Uffizi; 39.7 Francesco Laurana, Donna con elmo e ramo d’ulivo (Minerva Pacifera), medaglia del re Renato D’Angiò e Giovanna Laval, rovescio, 1463-64; 39.8 Da Botticelli, Pallade Atena, da un arazzo prodotto nel 1491 per il conte Guy de Baudreuil, Favelles, collezione Vicomte de Baudreuil.

La trama della tavola non si tesse soltanto per immagini che cambiano veste, ma anche per vesti che trasfigurano le identità primarie: già nella figura in alto a destra nel pannello, la "ventilata veste" (parafrasando Poliziano, Stanze per la giostra I, LVI) fa di Achille una ninfa, indistinguibile dalle altre fanciulle di Sciro [39.10].

Non è tanto l’episodio mitologico, quanto la veste, la chioma ariosa, e la postura – ancora una volta la figura stante, in atteggiamento pudico – che determinano la pertinenza dell’immagine di Achille tra le ninfe. Il disegno dall’antico – in questo caso da un sarcofago visibile nel Rinascimento nella chiesa di S. Maria Aracoeli a Roma – costituisce, accanto alle suggestioni letterarie ovidiane, mediate dall’opera di Poliziano (ricordiamo qui per incidens che parte dei materiali di tavola 39 erano già stati presentati nell’esposizione della KBW su Ovidio del 1927 (Cieri Via 2004) – il mezzo diretto di veicolazione delle forme ‘all’antica’. Scrive Warburg a proposito di questo disegno: “È, sì, cosa unilaterale ma non ingiustificata elevare il trattamento degli accessori mossi a criterio dell’‘influsso dell’antichità’. […] Le figure basate sul modello antico mostrano ancora come un artista del secolo XV si fosse cercato in un’opera originale antica quello che ‘lo interessava’. In questo caso null’altro che la veste rigonfia ad ovale” (Warburg [1893] 1966, 19-20). Nella porzione inferiore destra di tavola 39 – composta a partire dai temi del ratto e della metamorfosi (di Chloris-Flora e di Pallade che doma il centauro: sulle Pathosformeln del ratto e dell’‘acciuffare’ si vedano le pre-coniazioni antiche nelle tavole 5, 6 di Mnemosyne) – anche Dafne, nell’istante in cui viene afferrata da Apollo [39.15], è investita dal soffio vitale che gonfia la veste della Ninfa. La prepotente vitalità semantica di questo engramma è tale da non arrestarsi neppure nell’attimo del passaggio alla rigidità vegetale: quando sta già mettendo radici nel grembo dell’accogliente Madre Terra, e già dalle sue braccia lignee germogliano le prime fronde [39.16, 39.17], l’immagine della fanciulla è ancora agitata nel movimento delle vesti e dei capelli.

Mnemosyne Atlas, tavola 39 (dettagli ricavati dalla versione Warburg & collaboratori, 1929) figure 39.7, 39.15, 39.16, 39.19:
39.7 Francesco Laurana, Donna con elmo e ramo d’ulivo (Minerva Pacifera), medaglia del re Renato D’Angiò e Giovanna Laval, rovescio, 1463-64; 39.15 Antonio Pollaiuolo, Apollo e Dafne, tempera su tavola, 1472-73, London, National Gallery; 39.16 attribuito a Giovanni Pietro Birago, Apollo e Dafne, miniatura da manoscritto, ultimo terzo del XV sec., Wolfenbüttel, Herzog-August-Bibliothek; 39.19 Bernardino Luini, Apollo e Dafne (Storie di Mirra?), affresco frammentario da Villa Pelucca presso Monza, 1520-1523, Milano, Pinacoteca di Brera.

Il soggetto della metamorfosi di Dafne apre nel pannello – oltre che a una ulteriore deriva tematica – a uno sfondamento cronologico e geografico: in questa sezione del montaggio si passa, infatti, dalla Firenze medicea al contesto culturale dell’Italia del Nord e della Germania, nei primi anni del Cinquecento [39.15, 39.16, 39.17, 39.19, 39.20). Come in altri pannelli di Mnemosyne, il tema delle ‘migrazioni’ dei soggetti mitologici antichi e degli scambi artistici tra Sud e Nord rappresenta un argomento particolarmente caro alle ricerche di Warburg. Lo spostamento di prospettiva è segnalato, di nuovo, da una immagine conclusiva di sintesi, il rilievo in bronzo che chiude in basso a destra la tavola, così come il tondo Medici-Riccardi ne aveva prospettato i temi in incipit; aperta da una simbolica ascesa all’Empireo [39.1], la tavola si chiude con una discesa nei campi Elisi dell'Ade [39.20]: entrambe le figure prospettano una promessa di immortalità dell’anima, di segno evidentemente neoplatonico.

L’affresco di Bernardino Luini da Villa La Pelucca [39.19], ultima opera del pannello quanto a datazione, si riconnette all’immagine di chiusura della tavola [39.20] introducendo un elemento di fondo che, nelle immagini sin qui analizzate, era rimasto in sottotraccia, ma che non per questo riveste una importanza secondaria nella composizione complessiva: il tema della meditazione intellettuale e della gloria poetica. Il dipinto di Luini – che mostra la metamorfosi di una driade, tentativamente identificata con la trasformazione di Dafne, ma nella quale sarebbe forse più prudente non riconoscere questo specifico evento mitico – presenta una figura maschile (Apollo?) in meditazione con la mano al volto: questa stessa postura è presente anche nel rilievo realizzato da Andrea Riccio (post 1511) per la tomba del medico umanista Girolamo Della Torre, a Verona. L’Elysium in cui siede l’intellettuale, colto in atteggiamento contemplativo sulla destra della composizione, è un paradeisos-giardino in tutto simile al regno di Venere raffigurato da Botticelli ma anche da Baldini: la ‘mania poetica’ che ancora pervade l’anima del defunto è celebrata e temperata mediante le medesime forme della ‘mania erotica’, nella carola delle Grazie e degli amanti, delle ninfe e dei putti che suonano e si allacciano in amorosa danza, con le vesti mosse dall’alito vivificante che spira nel boschetto.

Andrea Riccio, Uomini famosi nei Campi Elisi, bassorilievo bronzeo dal monumento funebre Della Torre, 1520 ca., Paris, Musée du Louvre [39.20].

Il monumento funebre dedicato a Girolamo Della Torre e al figlio Marc’Antonio (morti nel 1506 e 1511), realizzato per la tomba che si trovava nella Chiesa di San Fermo a Verona (dove attualmente è collocata una copia: l’originale è ora al Louvre, dopo il trasferimento avvenuto ad opera di Napoleone nel 1796), fu commissionato ad Andrea Briosco detto il Riccio dagli altri figli di Girolamo: Giulio, Giovanni Battista e Raimondo. Il sarcofago è decorato ai lati con otto bassorilievi in bronzo che raffigurano la narrazione della vita, della morte e del viaggio nell'aldilà del virtuoso dedicatario: il programma iconografico ha uno scopo filosofico-didascalico, presentando l’esistenza di Girolamo Della Torre come modello etico esemplare. Nei rilievi è riconoscibile un riferimento al sesto libro dell'Eneide (in particolare ai vv. 410-16, 637-44, 705-15), che descrive la visita di Enea agli Inferi, in cerca del padre Anchise. Nella scena conclusiva del ciclo riportata in tavola 39, raffigurante i Campi Elisi, la figura dell’umanista viene celebrata per i meriti acquisiti in vita, come promessa di resurrezione. La gloria post mortem è collocata nello scenario di un rigoglioso boschetto, animato al centro da un girotondo di putti alati danzanti e musicanti. In primo piano tre putti sono impegnati a leggere insieme dalle pagine di un libro, mentre un quarto genio alato è condotto attraverso il giardino da una figura femminile dalle vesti mosse; la donna incede a passo di danza verso un gruppo di personaggi seduti sulla sinistra, e invita una figura maschile a lasciare il gruppo e a unirsi a lei: il gesto del richiamo mediante la carezza al mento è interpretabile in chiave erotica. Dietro al gruppo si riconoscono le tre Grazie, intrecciate secondo l’iconografia antica, vicino a una coppia di amanti abbracciati, accanto ai quali una figura femminile regge una fiaccola accesa, quasi a segnalare la ‘temperatura’ della scena: è evidente, per questi personaggi, il richiamo formale alle figure del Calendario Baldini. Sul lato opposto della composizione, nello sfondo, un putto alato si china per bere l'acqua del fiume Lete: così purificato, è pronto per il ritorno sulla terra. In primo piano, sulla destra, siede un gruppo di quattro uomini barbati, forse dormienti, ai piedi dei quali si possono notare un libro, una sfera armillare, una maschera e un'urna rovesciata; l’uomo al centro è probabilmente il defunto Della Torre in posa malinconica, mentre viene coronato d’alloro da una figura alata con in mano la tromba, personificazione della Fama.

Questo suggerimento tematico, la gloria della virtus celebrata dall’arte, fornisce una chiave di accesso privilegiato alla lettura del meccanismo dell’intera tavola: al tema della forza d’amore si intreccia e si incrocia il tema dell’arte come medium di immortalità. Platonicamente – o meglio neoplatonicamente – mania erotica e mania poetica sono espressioni dello stesso enthousiasmos, ma anche i percorsi di un possibile ricongiungimento del mortale – amante o artista – con il divino. Amore, Gloria e Immortalità precipitano e si concentrano nell’immagine delle figure alate che popolano il rilievo [39.20]: ipostasi di Eros che ispira amore di bellezza e di conoscenza insieme alla virtù della grazia; demone psicopompo che congiunge mondo a oltremondo; genio che suggella la vittoria contro la morte e la perpetuazione della gloria del valore con il suono della sua tromba.

Dalla complessità di queste prospettive ermeneutiche viene ancora confermata la centralità del botticelliano Regno di Venere che catalizza tutti i temi della tavola e ne presenta le immagini-guida: il demone alato Cupido nell’atto di scoccare la freccia fatale; il genio alato di Zefiro che irrompe ispirato dall’estro della passione; la Ninfa fatta preda e trasformata da amore; il coro armonioso delle Grazie; la regia di Venere e la rapsodia tessuta dalla sua potenza.

Confronti con tavola 38 e 40

Tavola 38 e tavola 40 confermano alcuni dei temi-guida della 39, ripresentandoli attraverso immagini nuove, varianti della stessa luce di senso.

Verrocchio (bottega), Busto di Lorenzo de' Medici, creta, 1466 ca., Boston, Museum of Fine Arts [38.11]; Stefano Ricci, Busto di Lorenzo de' Medici, terracotta, ante 1825, Oxford, Ashmolean Museum, Fortnum Collection [38.12].

Il protagonismo della famiglia de’ Medici è nuovamente ribadito e palesato dall’effige del Magnifico che campeggia in cima alla tavola 38 (in alto al centro): se la tavola 39, nel suo montaggio, concentra i momenti più significativi e drammatici dell’esistenza di Giuliano, il busto del giovane Lorenzo, realizzato nella bottega del Verrocchio [38.11], e quello presumibilmente tratto dalla sua maschera funebre, opera del Pollaiuolo [38.12], marcano, anche nella tavola 38, l'arco temporale teso tra la giovinezza e la morte del Magnifico. Nella sezione sinistra del montaggio possiamo ritrovare ancora i manufatti della vita cortese dei principi Medici: lo stemma mediceo diviene gioco nell’incisione per il coperchio da "bossolo" [38.5] mentre due giovani danzano per gli effetti d’amore [38.6] in un’altra incisione della stessa serie dell'immagine 39.3. Eros è quindi presente anche in questa tavola, al centro della combinazione di figure, ma prima di essere celebrato in un’illustrazione del calendario Baldini [38.7], sulle cui pagine fiorisce la Ninfa [39.2b], il demone è costretto a subire disarmo e punizione [38.13, 38.14, 38.15].

Scuola di Donatello, attribuito a Bertoldo di Giovanni, Trionfo di Amore, tondo in marmo, 1460-65, Firenze, Palazzo Medici-Riccardi, cortile [40.1].

Amore trionfa anche in apertura del montaggio che segue della tavola 40, nel tondo di palazzo Medici-Riccardi [40.1a]; ma il clima di compiaciuta seduzione in cui danzavano i figli di Venere è turbato dalla rumorosa presenza di Dioniso [40.2a, 20.2b]. Come se il pathos annunciato dai rapimenti, nella sezione destra di tavola 39, proseguisse nella tavola successiva: attorno alla figura centrale con l’affresco di Dafne e Apollo di Baldassarre Peruzzi [40.10c], vediamo dispiegarsi scene di aggressione violenta. La bestialità del centauro – immagine che compare in un tondo di Palazzo Medici-Riccardi [40.1b] – in tav. 39 domata da Pallade-Lorenzo, qui non ha freni, e il gesto del braccio teso che afferra non è più il gesto pacificatore della dea della sapienza bensì l'atto feroce dei soldati della Strage degli innocenti [40.6, 40.8, 40.9].

Riferimenti bibliografici
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Sitografia
English abstract

Plate 39 of Mnemosyne Atlas is focused on the figure of Venus and her Triumphs as well as on the daemon of Eros, the winged genius of Love. The plate focuses on the so-called Botticelli's mythological cycle – The Birth of Venus, Primavera, Pallas and Centaur: the central theme is closely related, from the historical standpoint, to the Medici's patronage, to the philosophy of Marsilio Ficino, and to the relationship of love and death between Giuliano de Medici and the "nymph" Simonetta. The reading of the plate describes how in the same cultural context an ideal style "all'antica" was born and how it appears via the “wind-blown garment” of the moving figures in the scenes of metamorphosis and passional abductions. The subject of metamorphosis leads to a cronological and geographic shift, from the Florence of the Medici to further cultural contexts. The theme of the power of Love is intertwined with that of Art as ways to achieve immortality: both erotic and poetic mania can be considered media for the Neoplatonic reunion between man, as a lover and as an artist, and the Divine.

keywords | Metamorphosis; Medicean Florence; Plate 39; Mnemosyne Atlas; Seminary; Love.


Una prima lettura di Tavola 39 è stata pubblicata in "La Rivista di Engramma" 4 (dicembre 2000)

To cite this article: Seminario Mnemosyne, Metamorfosi delle virtù d’Amore nellaFirenze medicea. Una lettura della tavola 39 dell’Atlante Mnemosyne, “La Rivista di Engramma” n. 114, marzo 2014, pp. 53-72 | PDF of the article

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2014.114.0010