"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

161 | dicembre 2018

9788894840568

Alice Underground

Editoriale di Engramma n. 161

Laura Leuzzi, Michela Maguolo

Illustrazione autografa di Lewis Carroll per Alice’s Adventures Under Ground, 1864.

In omaggio alla tradizione inaugurata dallo stesso Charles L. Dodgson, che per il Natale del 1864 confezionava per le piccole Liddell la versione scritta del suo primo racconto, Engramma presenta ai suoi lettori un numero dedicato ad Alice e al suo mondo meraviglioso, sottoterra e oltre lo specchio. Un mondo di conigli bianchi e di sorrisi senza gatto, di finte tartarughe e di rose dipinte, giochi di scacchi e carte da gioco, tavole imbandite e tè infiniti – cibo, parole, filastrocche, nonsense. Eventi forgiati da Dodgson/Carroll uno per uno (“Thus grew the tale of Wonderland: thus slowly, one by one, its quaint events were hammered out”), “eventi puri” come li chiama Gilles Deleuze, che smonta i testi di Carroll per metterne in evidenza “la grande messinscena dei paradossi del senso” e prende spunto proprio da Alice per la sua ricerca del segreto degli eventi e dell’illimitato divenire. Dopo Logica del senso, forse Alice non è più stata la stessa, e per questo abbiamo eletto Gilles Deleuze a guida in questo viaggio che, sulle tracce della bambina, ci porta in sentieri intricati, tra psicoanalisi e psichedelia, fra la controcultura, il cinema, la musica, il teatro, le arti visive, la matematica e l’informatica, confermandoci nella certezza che Alice e il suo specchio – potenti media che hanno attivato una inesauribile produzione critica, artistica, letteraria, della quale proponiamo soltanto alcuni, scelti, assaggi – continuano a inviarci infiniti riflessi e ci spingono a cercare sempre altri livelli di lettura, di traduzione.

Il numero si apre con due testi su Lewis Carroll e Alice, il primo di Jacques Lacan, Hommage à Lewis Carroll, il secondo di Gilles Deleuze, Lewis Carroll, proposti nella traduzione di Andrea Tisano (Lacan e Deleuze lettori di Alice) – un accostamento che suggerendo una matrice comune dei due testi ne misura anche le distanze: infatti, se in Lacan si innesca una lettura psicoanalitica del testo di Carroll, Deleuze, neutralizzando quell’opzione ermeneutica, rilancia la traccia di Alice in senso squisitamente filosofico.

Una breve e acuta nota di Elisa Bastianello sulle versioni italiane di Le avventure di Alice nel Paese delle meraviglieLost in translation. Alice nel Paese delle traduzioni (italiane) dà un saggio dei molteplici tentativi di restituire la complessità linguistica e narrativa del testo, sottolineando come neppure la traduzione dei nomi propri, apparentemente la scelta più semplice, resta indenne da opzioni ermeneutiche che in ogni caso condurranno in mondi altri rispetto a quello dipinto da Carroll.

Non possono dunque che essere sempre diverse le traduzioni e le interpretazioni di Alice, e forse Alice va considerata, come fa Marina Pellanda nel suo Lo specchio di Alice attraverso il cinema un cronotopo bachtiniano, luogo in cui il tempo si condensa e si sovrappongono diversi strati dell’esistenza, assumendo tanti significati quanti sono gli sguardi che su di lei si posano. Lo specchio diventa a questo punto la soglia, la superficie che apre ai molteplici sguardi, e quindi all’immaginario visivo, che nell’arte e nel cinema hanno assunto Alice come proprio riferimento, da Walt Disney a Salvator Dalì, da Max Ernst a Arthur Penn, da Martin Scorsese a Wim Wenders, fino a Douglas Gordon.

Alla molteplicità delle traduzioni letterarie e delle visioni cinematografiche fanno eco le trasposizioni teatrali, di cui sono qui ricordate due particolari versioni: quella di Armando Punzo e quella di Fanny & Alexander. Simona Scattina (To be or not to be, Alice) ripercorre la produzione di Hamlice – Saggio sulla fine di una civiltà, ad opera della Compagnia della Fortezza nel carcere di Volterra, dove Amleto e Alice condividono la situazione straniante di muoversi in luoghi che non conoscono o non riconoscono più, fino a perdere la propria identità e a trasformarsi in altro. Chiara Lagani racconta invece la propria esperienza con Alice attraverso lo specchio di Fanny & Alexander, pièce teatrale dove il mondo di Alice è rappresentato da una scatola, un’aula scolastica asettica dove la bambina si trova a confrontarsi con parole con opposti significati, situazioni spiazzanti, ordini e regole senza senso. Una Wunderkammer dove l’idea di realtà è sospesa e il meraviglioso appare, trasformandosi, nel mondo rovescio dello specchio, in normalità. Accettare la trasformazione di sé e del modo di guardare alle cose è la conquista più grande e più scandalosa. A queste letture, va sicuramente affiancata quella messa in scena al Castello Sforzesco di Milano da Marina Pugliese dal 26 maggio al 18 settembre 2005. La curatrice seguendo la storia di Alice con le sue continue metafore ha costruito un percorso dentro l’arte del Novecento giocando con le dimensioni fisiche delle opere esposte. Il catalogo è Marina Pugliese, Marta Ragozzino, Carlo Birrozzi (a cura di), Alice nel castello delle meraviglie. Il mondo fuori forma e fuori tempo nell’arte italiana del Novecento, Milano 2005.

La visione di un’Alice disambientata, “che passa a lato dei grandi sistemi”, è analizzata da Silvia De Laude nel suo saggio “Alice vola, Alice è nell’aria”. Su Gianni Celati, Alice disambientata e dintorni che ricostruisce le circostanze in cui nasce il libro di Celati, raccolta di pensieri intorno ad Alice nati durante un seminario tenuto nella Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Bologna occupata dagli studenti nel 1976-77. Alice come “figura in movimento” e non simbolo icastico, catalizzatrice di riflessioni e parole libere sui temi più diversi che, nella sua paradossale mobilità, riesce a tenere insieme.

Un’Alice il cui sguardo distaccato e il suo muoversi di lato sono assunti come modo di scardinare il sistema dominante e messi in circolazione dalla controcultura anglosassone una decina di anni prima: in Around 1968. I Pink Floyd nel Paese delle meraviglie, Michela Maguolo, a partire da una mostra sui Pink Floyd, restituisce le connessioni fra Alice, la psichedelia, gli allucinogeni e le diverse manifestazioni del mondo Underground londinese. Cinema, film per la TV, videoclip, concerti, arti visive, architettura sono posti in risonanza con il rock progressivo della band, per far emergere un altrove dove sperimentare quello spostare in avanti, indietro, di lato il significato delle cose e delle parole, rendere inafferrabili e non incasellabili gli eventi, che Alice aveva dimostrato possibile; un altrove che corre appena sotto la superficie e si moltiplica in mille riflessi spaziali e temporali.

Fra controcultura e psichedelia americana degli anni Sessanta, si situa l’opera dell’artista giapponese Yayoi Kusama che, come racconta Laura Leuzzi in I, Kusama, am the modern Alice in Wonderland” ha fatto di Alice e del Paese delle meraviglie l’orizzonte di senso della propria opera, fino a definirsi la “moderna Alice”. Happening come eventi spiazzanti, riferimenti a pillole e funghi magici, specchi infiniti, spazi del possibile ritornano nelle sue performance, e, ancora a distanza di cinquant’anni, si ripresentano nelle illustrazioni per un’edizione di Alice in Wonderland, in una identificazione totale tra l’artista e il personaggio creato da Carroll.

In questo numero di Engramma ai saggi si accompagnano due esercizi di lettura che esplorano e coniugano diverse suggestioni carrolliane. È la pellicola, fotografica o cinematografica, la superficie su cui Bruno Roberti in Alice, o le meraviglie di un negativo fa scorrere la figura di Alice, archetipo di figure femminili infantili che si muovono “nella liminalità tra negativo e positivo, piccolo e grande”, infanzia e età adulta: le fotografie che Carroll scattava ad Alice Liddell, come a tante altre bambine, ritornano in quelle scattate alla protagonista di Black Moon di Louis Malle, mentre la pellicola si snoda come il nastro di Möbius, dove si passa da un lato all’altro per scivolamento, senza mai lasciare la superficie per la profondità. E lo scivolamento da un mondo all’altro, da quello dei desideri a quello delle regole sembra produrre altre visioni di Alice, indurre a cercare sempre altre figure di Alice.

Uno straordinario viaggio nel mondo di Alice e di Carroll/Dodgson è rappresentato dal testo di Roberto Masiero, Inseguendo Alice nel frattempo. In Appendice, Ricette in salsa deleuziana, una “riscrittura filosofica, metamagica e paradossalmente gastronomica” delle Avventure di Alice. Un testo che prova a insinuarsi tra Carroll e Dodgson, nello spazio inevitabilmente sempre libero, oggetto del desiderio di entrambi, per trovare analogie scomposte, supposizioni improbabili, provocazioni scostanti, ipotesi che si autodenunciano come contraddittorie, come se questo spazio fosse una sorta di “buco nero” della nostra stessa contemporaneità. Immaginando un tè da matti, cui sono invitati personaggi insospettabili come Bertrand Russell e Marcel Duchamp, Alan Turing, Ludwig Wittgenstein e Gilles Deleuze, lo studioso avvia una riflessione sulle contraddizioni del nostro tempo che si muovono nella nuova dimensione dell’universo digitale.

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Per citare questo articolo: Alice Underground. Editoriale di Engramma n. 161, a cura di Laura Leuzzi e Michela Maguolo, “La Rivista di Engramma” n. 161, dicembre 2018, pp. 7-11. | PDF dell’articolo

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2019.161.0001