"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

163 | marzo 2019

9788894840582

Arianna in Andros, una invenzione di Tiziano

In Appendice testo e traduzione di Demetrio Mosco di Filostrato, Imagines I.24, I.6, I.15

Monica Centanni

English abstract

1 | Tiziano, Baccanale degli Andri, 175 x 193 cm, Madrid, Museo del Prado.

Madrid, Museo del Prado Sala 42: un quadro, grande, di Tiziano invita lo spettatore a entrare in gioco, spalancandogli davanti la scena di una festa en plein air. Corpi in movimento, brocche di vino che passano di mano in mano, uomini e donne, vestiti e svestiti, un bimbo che si tira su la vestina e fa la pipì, musica che par di sentirla suonare, clima di festa. Tutto questo non è che il fondale: perché protagonista è il corpo femminile in primo piano – carne delicatamente rosea, morbida, forme sontuose, capelli sciolti, i riccioli fluttuanti di un biondo caldo. Quasi fuori scala rispetto alla taglia degli altri personaggi, nuda, di un’esibita nudità, il volto, riverso e pervaso da un piacere assoluto, che isola la figura in un suo altrove agli altri inaccessibile, il braccio piegato dietro alla testa, raccontano meglio di qualsiasi altro dispositivo narrativo, verbale o icastico, cosa sia una festa dionisiaca: ebbrezza, dolcezza, abbandono della rigidità delle forme e delle posture, rilassatezza delle membra, oblio di sé, paradosso di un’estasi dal mondo tutta mondana – questo è quanto Dioniso insegna.

Come è stato ampiamente argomentato, l’opera di Tiziano trae spunto da una delle Imagines di Filostrato (sull’operetta di Filostrato e la Philostratfrage, v. l’edizione a cura di Pucci 2010, in particolare la Presentazione alle pagine 7-14; sulla questione della realtà dei pinakes che Filostrato descrive, con una ricapitolazione dello status quaestionis, v. Savru 2013). Sappiamo che Demetrio Mosco tradusse dal greco l’operetta di Filostrato, per interessamento di Mario Equicola che dal 1508 era in servizio presso la corte mantovana di Isabella d’Este (Zorzi 1997, 526-530: sulla fortuna delle Imagines e sulle prime edizioni a stampa, a partire dall’editio princeps pubblicata da Aldo a Venezia nel 1503, v. ancora Zorzi 1997, 532-534, con ampia bibliografia). Una lettera di Isabella d’Este a Girolamo Ziliolo, datata 12 dicembre 1515, testimonia del fatto che il fratello Alfonso si era fatto prestare la traduzione di Filostrato e, a distanza di anni, non l’aveva ancora restituita:

Apresso perché già più anni anchora prestassimo al signor Ducha una certa operetta di Philostrato che tracta di pictura, quale noi havevamo facta tradurre dal greco per messer Demetrio habitante qua, et accadendone hora bisogno di vedere ancune cose che gli sono scritte dentro, pregamovi vogliati di vedere di farla ritrovare et mandarcela similmente con consentimento del predicto signor Duca. Mario nostro dice haverla visto nel studio di S.E. et in sue proprie mani (Bertolotti 1888 e Luzio, Renier 1899).

Sulla base di questa e di altre testimonianze, il volgarizzamento di Filostrato per mano di Mosco, presentato a Isabella con una dedica dell’Equicola, è stato datato intorno al 1510 (Zorzi 1997, 531). Di fatto, Alfonso sequestra la copia di Filostrato per un fine molto preciso – il progetto iconografico per il suo Camerino – per il quale arruola lo stesso consulente della sorella, a quanto si evince da una lettera che Mario Equicola scrive da Ferrara a Isabella d’Este, il 9 ottobre 1511:

Al signor Duca piace che reste qui octo dì: la causa è una pictura di una camera nella quale vanno sei fabule o vero hystorie: io le ho trovate e datele in scritto.

Fu dunque l’Equicola a suggerire ad Alfonso il tema del ciclo di “sei fabule” per il quale dopo Giovanni Bellini, saranno arruolati Tiziano e poi Dosso Dossi. Ma il testo che ispira la prima fabula – affidata a Bellini – non è Filostrato. Infatti, è ormai dato critico acquisito che il testo che ispira Bellini per la storia di Lotis/Vesta e Priapo è Ovidio e in particolare due diversi episodi dei Fasti VI, 359-346: tentato stupro di Priapo su Vesta; IX, 346-355: tentato stupro di Priapo su Lotis (Wind 1948). E forse, come è stato precisato e di recente argomentato, l’Ovidio Metamorphoseos di Giovanni Bonsignori, pubblicato a Venezia nel 1497 (Fehl 1974; Goffen 1989; Soragni [2007] 2009; Centanni 2014, 349-351; Centanni 2017, 506). Sulla scelta di questo tema da parte di Bellini, certo di concerto con il suo committente, forse avrà avuto una qualche influenza l’immagine della scultura romana della bella dormiente identificata con Cleopatra che nel 1512 Giulio II si assicura e che allestisce come fontana per il Cortile del Belvedere. E comunque, una suggestione ancorché vaga, ma importante, sarà venuta dal mitema della ninfa addormentata, intriso di valenze sapienziali e allegoriche, pervasivo a cavallo tra XV e XVI secolo (v. Bordignon 2019; Agnoletto 2019, con bibliografia).

La genesi del ciclo pittorico per il Camerino di Alfonso vede l’avvicendamento di tre grandi artisti del tempo, ed è complicata dal fatto che è stato accertato che Tiziano (e forse poi anche Dosso) sia intervenuto anche sul primo dipinto di Bellini, per modificarne significativamente molti dettagli, arrivando fino a neutralizzare e mutare il soggetto stesso dell’opera di Bellini, convertendolo da uno sventato stupro di Priapo durante una festa bacchica (puntualmente ripreso dal testo ovidiano) a un “festino degli dei” (Wind 1948).

Il progetto della costituzione di un ciclo continuo è confermata innanzitutto da due dati formali: l’intervento per l’uniformità del fondale e le dimensioni stesse dei quattro ‘baccanali’.Tiziano opera una interpolazione sul fondale del dipinto belliniano e il suo pesante intervento sulla quinta arborea denuncia l’istanza di creare una scenografia comune per tutti gli ‘atti’ del ciclo, un paesaggio continuato con una facies vegetale unitaria corre su tutte le pareti del Camerino, e su esso si aprono, a squarcio, le scene bacchiche in quattro quadri di uguale formato (Centanni 2017, 552). Infatti, le dimensioni in altezza e in larghezza delle quattro opere, con un minimo margine di scarto, sono sovrapponibili quasi ad unguem, a comprovare, una volta di più, che furono pensati in serie.

2 | Ciclo pittorico per il Camerino di Alfonso
Giovanni Bellini (e Tiziano), Festino degli dei, 170,2 x 188 cm, Washington, The National Gallery.
Tiziano, Omaggio a Venere, 172 x 175 cm, Madrid, Museo del Prado.
Tiziano, Bacco e Arianna, 176,5 x 191 cm, London, National Gallery.
Tiziano, Baccanale degli Andri, 175 x 193 cm., Madrid, Museo del Prado.

Dopo la conclusione dell’impresa del vecchio Bellini che firma e data il suo lavoro nel 1514, il testo che viene adottato come principale fonte di ispirazione mitografica per il ciclo è il Filostrato che stava, come si legge nell’epistolario di Isabella, “nel studio” di Alfonso (una ricostruzione completa delle testimonianze sulla consulenza dell’Equicola, e più in generale sulle fonti a cui l’umanista si ispirò per il programma del Camerino delle pitture è in Ballarin [2002] 2007, I, 115-ss., 298-ss.; Menegatti [2002] 2007; sul ruolo di Equicola nel progetto iconografico del Camerino v. Colantuono [2010] 2017, 29-153 che legge il ciclo in chiave astronomica come una allegoria della libido nelle quattro stagioni). In particolare, per quanto concerne l’Omaggio a Venere, il testo di riferimento è stato facilmente rintracciato in Imagines I.6 (ΕΡΩΤΕΣ), per il Baccanale degli Andri in Imagines I.24 (ΑΝΔΡΙΟΙ). Ma vediamo in che modo – e in che misura – Tiziano, mediante il volgarizzamento di Mosco (e con tutta probabilità la mediazione di Equicola), trae ispirazione dal testo antico.

In Appendice riproduciamo il testo greco relativo alla γραφή degli Andri con accanto una traduzione di servizio. Qui di seguito “la pictura” nel volgarizzamento di Mosco: essendo l’importantissimo testo ancora inedito, lo proponiamo secondo la trascrizione condotta da Zorzi 1993-1994, 292-293, secondo il Ms It 1091, conservato alla Bibliothèque National Paris (Zorzi propone anche la trascrizione del testo di Mosco così come compare nel Ms. Cambridge Univ. Libr. Addot 6007, che presenta qualche maggiore asperità linguistica e minime varianti che non mutano sostanzialmente il senso, e delle quali, pertanto, in questa sede non teniamo conto in quanto irrilevanti ai fini di questo studio):

Il corso de vino che è in Andro isola et li Andrii inebriati da lo fiume sonno ragion della pictura, perché <…> rompe il terreno delli Andrii vinoso da Baccho et manda a quelli un fiume. Se tu pensi ch’el sia di aqua, non grande, ma, se pensi tu che sia de vino, grande. E per certo questo fiume è divino. Perché se gustassi di questo, son certo farresti poco stima del Nilo o del Danubio, e forsa diresti de quelli che pareriano migliori se fossero picoli, ma corresseno como questo. Tal cose cantano li Andrii, quanto io comprendo, a femmine et putti coronati d’edera e di salvia. Et alcuni di quelli ballano in una e l’altra riva, altri sonno distesi. Forse anchor questo è parte del suo canto, che ‘l fiume Acheloo produce canne, Peneo tene luochi delettevoli in Thesaglia, il Pattolo già fiorì. Ma questo fiume pò mostrare homeni potenti in consigli e ricchi e curiosi verso li amici e belli e grandi de piccioli, perciò ch’è possibile comprendere insieme tutte queste cose ad uno che sia satio dal suo fluxo et condurle nello suo animo. Cantano anchora forsi che questo sol fiume né a mandre di bestiame, né a cavalli è licito passare. Ma è ben dato a bevere da Baccho e bevese salvandosi senza manchare mai il suo corso a li homeni soli. Datte ad intendere udire queste cose da alcuni cantare con la voce confusa per il vino. Ma quello che vedere poi di la pictura: il fiume giace in uno letto de uve dando la fonte, esso lui chiaro et di aspetto multo desiderosamente inclinato. Nascono et cerca lo fiume thyrse, cioè rami incolti de pampini, come nascono canne apresso le aque. Ma si tu scorri oltra la terra et li conviti che se fanno in quella, vengono incontra Tritoni, cioè trombette marini e togliono del vino con le loro trombe. Parte di quello bevono, parte soppiano in su. Sonno alcuni di quelli inebriati et ballono. Navica Bacco a la festa di Andro et è intrata homai in porto la nave.. Et conduce Satiri et insieme lupi cerveri e Sileni, e mena seco et il Riso et anchora il Como, quali sonno dei multo alegri et atti a pratichare in conviti, acciò che ‘l fiume se possa vendemare dolcissimamente.

A quanto leggiamo nel testo di Mosco (ma anche nel corrispondente testo greco) Filostrato fu certo una fonte di ispirazione per l’allegro komos che anima la scena del dipinto, ma è da rilevare che nel testo non c’è alcun accenno a una Baccante distesa ed ebbra, nessuno spunto che possa aver ispirato Tiziano per la maestosa figura sdraiata in primo piano.

Per arrivare a proporre un’ipotesi sul senso dell’inserzione della grande menade ebbra nel Baccanale degli Andri, pare a questo punto indispensabile ripercorrere la storia della genesi del ciclo del Camerino ferrarese – una storia che sintetizziamo per i dati che risultano qui utili, perché già ricostruita nella varia e abbondante letteratura critica.

Quando Giovanni Bellini viene incaricato da Alfonso per il primo dipinto della serie (v. infra), la scelta cade sul tema del tentato stupro a Lotis/Vesta. Per altro, a cavallo tra l’ultimo quarto del XV secolo l’inizio del XVI, il soggetto della ninfa addormentata – da violare, contemplare o il cui sonno va turbato/disturbato – era un tema molto presente e, sulla scorta del ritrovamento di fonti antiche o più spesso di rifacimenti ‘all’antica’, quasi pervasivo sia sul fronte della produzione letteraria che in ambito visivo (sul tema della ninfa addormentata v. Bordignon 2006 e, in questo stesso numero di Engramma, Agnoletto 2019 e Bordignon 2019).

Il coinvolgimento del vecchio pittore nella scelta di un tema che non solo è profano ma che, pur all’interno del repertorio delle fabulae antiche, per la materia in sé morbosa e implicitamente voyeristica, parrebbe così distante dalla sua sensibilità, forse più che alla poetica dell’artista corrisponde ai desiderata della committenza. Non si può quindi escludere che Alfonso, una volta scelto il tema di concerto con il pittore veneziano, sperasse in una restituzione dell’episodio mitico un po’ più impudica rispetto a come risultò dall’esecuzione del rigido e moralista Bellini. Per altro questa ipotesi pare confermata da quel che avverrà di lì a poco con il rimaneggiamento affidato ad altri artisti della stessa opera belliniana.

È a questo punto che interviene Tiziano chiamato da Alfonso a continuare e portare a compimento il progetto secondo la, ben diversa, temperatura della sua propria poetica. Dunque, il testo di riferimento per il vecchio Bellini era stato l’Ovidio dei Fasti (v. supra): grazie al morigerato stile belliniano il tema era stato tradotto in una scena di figure, maschili e femminili, castigate nelle vesti e composte nelle posture, trasfigurando un soggetto, potenzialmente lascivo, in una gentile gentile e costumata allegoria filosofica. Dopo la traduzione di Filostrato, sottratta da Alfonso alla sorella Isabella, la fonte di riferimento diventano le Imagines della immaginaria (o reale) galleria di pitture antiche. Resta che l’opera di Bellini dà in certo qual senso il la all’intero ciclo: il primo dipinto detta infatti le misure del formato (che, come abbiamo visto, saranno rispettate con precisione da Tiziano nelle tre opere successive) e, lato sensu, detta anche il tema del ciclo. Pare infatti accertato che Tiziano (e poi forse, in un secondo tempo, Dosso) mette le mani, e senza tanti complimenti, sul quadro di Bellini, sia dal punto di vista formale che concettuale, manipolando (e rendendo più facile, leggero e giocoso) il tema erudito che il pittore veneziano aveva scelto.

Formalmente, Tiziano cambia l’aspetto della quinta arborea, accompagnando il fondale a quello degli altri tre dipinti; più sostanzialmente, la mano correttiva interviene a spogliare e spettinare le ninfe, facendo spuntare dalle irreprensibilmente accollate vesti e ben acconciate teste delle ninfe belliniane, spalle, seni, braccia denudate, ciuffi di capelli sciolti che sfuggono alla pettinatura (Walker 1956; AA.VV. 2011). Inoltre, intervenendo prepotentemente, evidentemente per facilitare la lettura di un soggetto che pareva troppo sofisticato ed erudito, l’interpolatore giustappone alle figure dei Tebani riuniti a festa attributi iconografici che li identificano, piuttosto grossolanamente, come divinità, traducendo il tema della “Casta Vesta (o Lotis) insidiata da Priapo” in un generico “Festino degli dei” (Wind 1948; AA.VV. 2011; Centanni 2017, 548-552).

3 | Bellini, Tiziano, Mito di Priapo e Lotis/Vesta/Festino degli dei, 1514 ss.
A sinistra: ricostruzione della prima versione Bellini: un diverso fondale; le ninfe castigate; assenza degli attributi di riconoscimento degli ‘dei’.
A destra: da Bellini a Tiziano: fondale arboreo modificato; svestimento delle ninfe; aggiunta degli attributi degli dei.

Così ritoccato il primo della serie, tutti e quattro i dipinti potevano rientrare, più o meno, nel ciclo dei “festini bacchici”, tutti en plein air, tutti pervasi dall’eccesso e dalla sensualità dionisiaca. Il risultato finale è una narrazione di baccanali, in quattro sequenze. Il primo dipinto a cui mette mano Tiziano è l’Omaggio a Venere (1518-1519): pur essendo il soggetto liberamente tratto e interpretato secondo le esigenze, anche compositive, dell’artista, l’opera è la più vicino alla fonte, la più puntuale nel riportare l’ispirazione dal testo di Filostrato I.6 (vedi, in Appendice, il testo greco, la traduzione italiana, e il volgarizzamento di Mosco).

4 | Tiziano, Omaggio a Venere, 1518-1519, Madrid, Museo del Prado.

Dopo l’Omaggio a Venere, in ordine cronologico di realizzazione delle opere, viene poi il Bacco e Arianna (1521-1523).

5 | Tiziano, Bacco e Arianna, 1520-1523, London, National Gallery.

Per il terzo dipinto della serie, come è stato riconosciuto dalla critica, vari sono i testi che forniscono spunti a Mario Equicola e da lui a Tiziano per la sua spregiudicata rielaborazione (Easson 1969): oltre alla fonte principale che restano i Fasti di Ovidio (chiamati in causa da Wind 1948), al repertorio delle fonti che ispirano il soggetto del dipinto si aggiungono Catullo, Carmen LXIV e Ovidio Ars Amatoria I, 527-564 (già richiamate da Thompson 1956, 259-160; 262-264).

6 | Tiziano, Bacco e Arianna, particolare.

Ma forse uno spunto si può rintracciare anche nello stesso testo che, come abbiamo visto più sopra, sappiamo che si trovava presso Alfonso, “in sue proprie mani”. Dal ‘quadro’ ΑΡΙΑΔΝΗ (Imagines I.14: vedi Appendice), una suggestione può essere stata tratta non tanto per la figura e la postura di Arianna, che Tiziano tratta in modo tutt’affatto diverso rispetto alla fonte, ma per la figura e l’atteggiamento del “Dioniso innamorato”. Così il testo di Filostrato nella traduzione di Mosco:

Et diverse sonno le inmagine di Bacco cui le volesse dipignere o vero poca parte se ben consequisse alcuno ha espresso tucto il·dio. Perché li boccoli di l’hedera, delli quali sonno fatte corone, sono segno di Baccho, anchora che l’artificio non stia troppo bene, e le corna che nascono nelle tempie dichiarano Baccho, et il pardo che appare è segno di quello medesimo. Ma questo Baccho è dipinto da solo innamorato. Perciò che l’habito et li rami fioriti et le pelle di cervo sonno refutate come cose che non faccino al proposto; né ’Ili cimbali usano al presente le donne sacrificanti a Baccho, né ‘Ili Satiri cantono con fiutti. Anchora il dio Pan ritene lo salto temendo non isvegliare la giovene del sonno. E ornandosi Baccho con una veste di porpora e il suo capo con fiori viene da Ariadna come inebriato d’amore.

Anche in questo caso, il testo pittorico del Bacco e Arianna di Tiziano certo non riproduce esattamente il quadro descritto da Filostrato; in particolare, a differenza del variegato corteo danzante e musicante che nel dipinto accompagna il carro di Dioniso, nella descrizione di Filostrato il corteo dionisiaco ferma le danze e la musica di cembali e di flauti e sta in silenzio per non svegliare la fanciulla che dorme. Lo stesso Bacco porta in testa la corona d’edera e accanto a lui c’è una πάρδαλις, che nel testo sono indicati come gli attributi iconografici che basta per far riconoscere il dio nonostante i suoi μυρία φάσματα (le sue “diverse … inmagine”, nella traduzione di Mosco), ma le corna spuntano sulla fronte del satirello ai suoi piedi, non sulla sua. Però Tiziano pare trarre ispirazione proprio dalla descrizione di Filostrato per lo slancio del Bacco “inebriato d’amore”: è Dioniso che balza dal carro del trionfo perché un’altra passione lo chiama; Dioniso, a differenza di Teseo che “ama solo Atene”, è il dio del qui e dell’ora e subito, all’istante, appena la vede, fa tacere tutti i rumori del suo festoso corteo per immergersi totalmente nell’amore per Arianna.

Da notare in particolare per il tema della nostra indagine che, a differenza del testo di Filostrato, nel Bacco e Arianna di Tiziano Arianna non è affatto addormentata: è in piedi, agitata, in corsa verso la nave che si allontana all’orizzonte. Inoltre, nell’impaginazione del Bacco e Arianna, la fascia verticale di sinistra costituisce già di per sé un racconto, per frammenti, di tre episodi della storia Arianna: dal basso in alto: l’abbandono di Teseo, l’incontro con Dioniso, il catasterismo (la corona boreale che brilla in cielo nell’angolo in alto a sinistra). Nell’audace sintesi degli episodi del mito che Tiziano propone, l’intento non è tanto quello di proporre una riconversione dall’ekphrasis antica, quanto piuttosto di inventare una scena unica, che ricomponga in uno diversi ‘atti’ del mito.

7 | Tiziano, Bacco e Arianna: sintesi di diversi episodi del mito.

8 | Tiziano, Bacco e Arianna, citazioni di modelli archeologici.
Dall’alto a sinistra, in senso antiorario: Oreste da sarcofago Musei Vaticani; Baccante da sarcofago Uvarov; Laocoonte e figlio dal gruppo del Laocoonte Vaticano.

Un collage mitografico, dunque, ma non solo: nel terzo dipinto della serie, Tiziano sembra impegnato a proporre anche un montaggio di citazioni di vari modelli archeologici che l’artista aveva a disposizione nel suo repertorio. Si tratta, in particolare, della postura di Bacco mutuata dall’Oreste del sarcofago oggi ai Musei Vaticani, Inv. 10450); dell’evocazione nel tiaso dionisiaco delle figure di Laocoonte e di uno dei figli; della posa di Arianna, mutuata da un Baccante in un sarcofago dionisiaco (Sarcofago Uvarov, oggi a Mosca al Museo Pushkin, Inv. П 1а 231). Per riassumere le identificazioni dei modelli, in parte già richiamate e argomentate dalla critica, proponiamo qui una tavola con una sintesi delle citazioni archeologiche. Si tratta di modelli tutti certamente accessibili al tempo, per conoscenza diretta o via taccuini di disegni: la posa di Oreste, come sappiamo dai preziosi disegni conservati nel Codice Vallardi, circola dalla prima metà del XV secolo offrendosi come modello per posture (Pisanello che disegna le figure del figlio assassino e di Clitemnestra morente in due diverse composizioni del Codice Vallardi: v. Centanni 2017, 217-ss.). Per il Laocoonte la notissima caricatura con Scimmione e scimmioncini, conservata grazie all’incisione di Nocolò Boldrini, basterà per garantire la frequentazione del tema da parte di Tiziano.

9 | Pisanello, montaggio di figure da due diversi sarcofagi antichi, Codex Vallardi, Paris, Musèe du Louvre.
Nicolò Boldrini, xilografia su invenzione di Tiziano, con caricatura del Laocoonte, Firenze, Gallerie degli Uffizi.

Per la postura di Arianna e il movimento degli accessori (capelli e vesti) Tiziano pare ispirarsi a una doppia suggestione, operando una sorta di felice cortocircuito tra una fonte letteraria e una iconografica: l’Arianna disperata sulla riva di Nasso che rincorre vanamente la nave di Teseo già al largo, è infatti la “baccante concitata dal dio” che, contemporaneamente, invoca l’epifania di Bacco (da Ovidio, Heroides 10 e Fasti III); ma, sotto il profilo iconografico, la postura dell’Arianna tizianesca pare tratta con una certa puntualità da un sarcofago dionisiaco ‘a lenos’, ora a Mosca ma al tempo a Roma che, verso la metà del XV secolo, entrò nella collezione di Marco Sittico Altemps (Akimova 2011): si confronti il movimento delle gambe, la posa della mano destra, l’ondeggiare della fascia del panneggio.

10 | Baccante/Arianna
da Ovidio, Heroides X: (“aut ego diffusis erravi sola capillis, / qualis ab Ogygio concita Baccha deo”)
e da sarcofago Uvarov, cfr. Fasti III, 459-510; sarcofago Uvarov (dettaglio), Moscow, Museo Pushkin (Inv. П 1а 231).

Dunque in Bacco e Arianna, sia per le figure dei protagonisti sia per alcune delle figure del tiaso, le movenze plastiche dei corpi sono tratte dai modelli archeologici, e rispetto al bianco e nero dei marmi antichi riprendono vita e colore. Eppure, nel piccolo compendio di esemplari archeologici citati nell’opera, sorprendentemente manca Arianna. E arriviamo al Baccanale degli Andri e all’ultimo atto di questa storia.

Nell’ultima opera della serie troviamo quella che pare essere la sigla/firma finale sull’intero progetto iconografico che dal Priapo e Lotis di Bellini, approda al baccanale di Andros. Anche in questo caso, infatti, non si tratta soltanto dell’esercizio erudito della riconversione dall’ekphrasis che abbiamo analizzato più sopra: la scena che Tiziano mutua da Filostrato entra infatti come elemento finale e conclusivo di una sequenza che, a stare alla successione del racconto mitografico, culminerebbe nel Bacco e Arianna.

Forse lo spunto per la figura distesa nel Baccanale degli Andri si può rintracciare in un’altra delle Imagines di Filostrato – l’“Arianna” (I.14) che abbiamo già chiamato in causa per la postura e l’atteggiamento del “Bacco innamorato”:

Vedi la Ariadna, ansi il sonno. Questo petto è discoperto insino allo ombillico et il collo in su disteso et la morbida gola, la dextra lasena tutta discoperta; ma l’altra mano è sopra la veste, preoccupando il vento che non discoprisse in lei qualche parte non licita et disonesta a vedere. Oh quanto è dolce el suo fiato, o Baccho, et par che sappia de pomi o vero d’uva: basciala, poi ne lo dirrai.

11 | Tiziano, Baccanale degli Andri, 1523-1526. Madrid, Museo del Prado.

In questo sofisticatissimo e complicato gioco di rimandi, un livello del gioco a cui Tiziano ci invita, è questo: se nel Bacco e Arianna la postura di spalle dell’Arianna, sorpresa da Dioniso mentre, agitata “come una Baccante”, è ancora protesa a rincorrere la nave di Teseo è tratta dalla figura (maschile) di baccante dal sarcofago Altemps/Uvarov, l’Arianna dormiente la ritroviamo invece come menade ebbra nell’ultimo dipinto del ciclo, la cui fonte primaria è Filostrato I.24 che però non prevede la presenza di Arianna tra i personaggi del komos. E la menade ebbra del Baccanale degli Andri appare nettamente ispirata all’Arianna Vaticana.

Si tratta di un vero e proprio cortocircuito di segni e di significati, che Tiziano sigla con le vesti e la fisionomia di alcuni dei personaggi, che passano da uno all’altro dipinto, facendo da link visivo e narrativo: costruendo, di fatto, una sequenza cinematografica. La menade gradiva dell’Omaggio a Venere ricompare come menade ebbra nel Baccanale degli Andri: stessa veste (bianca e leggera la camicia, con le maniche rimboccate fino alle spalle a scoprire le braccia; rossa di tessuto più pesante la gonna panneggiata); stessi capelli biondo-rossastri, trattenuti nella stessa, elaborata, pettinatura (la treccia che corre intorno al capo; i ricci sciolti sul collo); stessi piedi nudi.

12 | Confronto tra l’aspetto e le vesti della ninfa gradiva in Omaggio a Venere e della menade ebbra nel Baccanale degli Andri.

Per siglare la continuità della serie e la sua leggibilità, Tiziano crea un altro collegamento, mediante il panneggio, indossato o caduto della menade: nell’Omaggio a Venere – il quadro apparentemente meno dionisiaco del ciclo – Arianna, che pare assente, latita invece per sineddoche sotto il panneggio caduto a terra, che nei tre colori e nei tre elementi richiama precisamente la veste della protagonista femminile del Bacco e Arianna (sulla ninfa e il panneggio caduto rimando alla illuminante riflessione di Didi-Huberman [2002] 2004). Di converso, nel Bacco e Arianna, la fanciulla cretese come abbiamo visto è in piedi, non stesa a terra, ma il panneggio caduto e la brocca ai suoi piedi alludono allo stato di sonno (o di estasi) della ninfa.

13 | Vesti e panneggi caduti in Omaggio a Venere, Bacco e Arianna, Baccanale degli Andri. Circuitazione di forme/significati tra i Baccanali del Camerino il panneggio caduto.

14 | Ninfa addormentata, in figura o per sineddoche.
Circuitazione di forme/significati tra i Baccanali del Camerino: la ninfa ebbra/addormentata e il panneggio caduto.

In questo disegno, anche l’uniformità del fondale arboreo, ottenuta come si è visto interpolando prepotentemente il paesaggio del primo dipinto belliniano, fa parte del gioco: l’obiettivo dell’artista è creare una scenografia comune per tutti gli ‘atti’ del ciclo, un continuum botanicamente uniforme che faccia da sfondo alle fabulae mitologiche. Sulle pareti del Camerino si aprono così, a squarcio, le quattro scene, di uguale formato – tutte presentate come feste bacchiche.

15 | Circuitazione di forme/significati tra i Baccanali del Camerino: il fondale, le vesti e il panneggio, la ninfa ebbra/addormentata.

Di tappa in tappa Tiziano inventa e costruisce una sintassi, giocata su connessioni visive e concettuali, formali e narrative, tra i quattro diversi dipinti. Di fatto, il cortocircuito che Tiziano inscena con l’inedito montaggio del ciclo rompe la sequenza piattamente cronologica della mitografia, proponendo in ogni dipinto almeno un flash back, o un flash forward, su altre ‘puntate’ della storia.

E non sarà da dimenticare che nell’ultima menade dormiente degli Andri, Tiziano intende esplicitamente richiamare anche la prima “bella addormentata” del ciclo: quella che era la casta Vesta/Lotis di Bellini compare infatti nell’ultimo atto del racconto in una versione del tutto trasfigurata. Come si è detto, i gusti della committenza avranno avuto un ruolo importante nel cambio stilistico e di soggetto che Tiziano attua rispetto al vecchio maestro veneziano, ma tra l’atteggiamento composto della ninfa invano insidiata da Priapo e la posa della baccante ebbra di Tiziano, la cui sensualità attira la mossa del puer mingens – atto insieme tenero e libidinoso, esoterico e giocoso, allegorico e vagamente osceno – si può misurare la distanza siderale – formale, morale, estetica e concettuale – tra i mondi dei due artisti, tra le due temperature culturali, tra la loro stessa, diversissima, concezione di quale fosse l’antico che l’artista era chiamato a far rinascere.

16 | Lotis/Vesta ebbra nel Festino degli dei; la menade ebbra nel Baccanale degli Andri.

Un’ultima notazione su un dettaglio sul quale varrà la pena di porre una qualche attenzione. Come si è cercato di argomentare, Tiziano immagina il ciclo dei Baccanali anche come una sequenza di episodi, in serie, della “storia di Arianna” e perciò non è un caso che l’ultima immagine con cui il pittore sigla l’opera sia quella della menade ebbra e dormiente che, come ha ben visto tutta la critica, è ispirata direttamente dall’Arianna Vaticana (Ballarin [2002] 2007, I, 188 ss.)

È ben noto, ma sarà pur il caso di ricordare qui, che al tempo dell’esecuzione dei dipinti per il Camerino ferrarese (e fino all’ultimo quarto del XVIII secolo) il soggetto del marmo vaticano era identificato come una Cleopatra morente, in ragione di una sovrinterpretazione dell’armilla a forma di aspide che stringe il braccio sinistro della figura come attributo iconografico della regina egizia (vedi da ultima, in questo stesso numero di Engramma, Valeri 2019).

Nel trarre dal reperto archeologico la Pathosformel che gli serve per la figura in cui culmina l’ebbrezza del corteo dionisiaco l’artista non ha alcuna esitazione: nella “Cleopatra” che Giulio II aveva allestito come fontana nel Cortile del Belvedere, Tiziano vede l’estasi della baccante. Tiziano vede, ben prima degli archeologi e della critica, Arianna. Ma va ancora oltre: la bella dormiente del marmo Vaticano è caratterizzata da una doppia postura.

17 | Arianna, Firenze, Galleria degli Uffizi (particolare).

Riprendiamo la descrizione della statua e l’interpretazione della sua gestualità da un contributo sulle Pathosformeln della malinconia che trae spunto dalle immagini presenti nel Mnemosyne Atlas di Aby Warburg:

La mano sinistra sostiene il volto mentre il braccio destro è volto all’indietro in un gesto di abbandono languido, totale, inconsapevolmente seduttivo. […] Ma è proprio il doppio movimento delle braccia che rende così intensa ed espressiva l’iconografia del marmo vaticano, riuscendo a condensare due episodi del mito di Arianna: l’abbandono da parte di Teseo sull’isola di Nasso e il successivo incontro della principessa cretese con Dioniso. Posa ambivalente questa di Arianna, ritratta in una Pathosformel complessa che esprime un doppio sentimento: sia il suo essere abbandonata, sia il suo abbandonarsi al languore della disperazione. Una malinconia ex maerore, dunque, originata dalla perdita dell’amato e dalla disperazione; ma la mano destra poggiata malinconicamente al volto, a dire la desolazione della fanciulla, si confonde con la mano al volto della ‘malinconia profetica’. Arianna è (come ci racconta Ovidio) “fatta pietra”, quasi morta dal dolore, ma pare che già stia sognando la sua propria rinascita. Con il braccio sinistro languidamente piegato dietro il capo, Arianna ci dice che, insieme alla postura del dolore e della nostalgia, sta mettendo in scena anche la posa dell’abbandono estatico propria della ninfa che sarà presto risvegliata alla vita e all’amore da Dioniso. Arianna, protomartire della Pathosformel della malinconia dolorosa, ci promette anche, con la bellezza del suo corpo svelato e con la postura estatica del braccio piegato, la prossima beatitudine dionisiaca (Seminario Mnemosyne 2017).

Ma nel Baccanale degli Andri – e in genere nel Camerino di Alfonso – non c’è posto per la malinconia. C’è posto solo per l’estasi: perciò Tiziano manipola il modello, espunge il gesto del braccio sinistro poggiato al volto come segnale di pensosità e di malinconia e punta tutto sulla postura dell’abbandono estatico: il braccio sinistro piegato dietro la nuca.

A quanto pare il genio dell’artista non ha bisogno di aver seguito un corso di iconografia per prendere dal modello quel che gli serve. E una conferma dell’intenzionalità – tutta intuitiva – che guida la mano del pittore nella revisione della postura del modello, viene dalla manipolazione che un altro artista, a distanza di secoli, impone allo stesso modello archeologico, per ottenere un significato di segno rovesciato rispetto a Tiziano.

Nella serie delle Piazze d’Italia di Giorgio de Chirico spesso al centro campeggia una Arianna (sul punto v. in questo stesso numero di Engramma, Nativo, Prati 2019; su quale Arianna de Chirico scelga come suo modello, v. Forti 2019). Da notare però che nel sotto-gruppo in cui sul piedistallo della fanciulla dormiente leggiamo l’iscrizione MELANCOLIA, il pittore sottrae alla figura la Pathosformel dell’estasi dionisiaca e le lascia soltanto la mano al volto.

18 | Il modello archeologico e l’interpretazione d’artista: Tiziano, la menade/Arianna senza posa malinconica; Giorgio de Chirico, Arianna in una Piazza d’Italia; Giorgio de Chirico, Arianna come Melanconia (senza posa estatica).

In un noto passaggio del suo saggio sull’ingresso dello stile anticheggiante nella pittura del Rinascimento, Aby Warburg scrive che “Il gruppo dei dolori di Laocoonte il Rinascimento, se non lo avesse scoperto, avrebbe dovuto inventarlo, proprio per la sua sconvolgente eloquenza patetica” (Warburg [1914] 1966, 307). Parafrasando Warburg, potremmo dire che anche l’immagine della bella addormentata – Cleopatra, o Arianna, o una generica ninfa alla fonte che fosse – al tempo della sua apparizione era tanto desiderata che se non avessero scoperto la statua romana l’avrebbero inventata (v. ancora Agnoletto 2019). E a parte le molteplici tracce su vari supporti, proprio in quello stesso torno d’anni e nello stesso ambiente culturale, il soggetto aveva fatto la sua prima, rivoluzionaria, epifania con la Venere di Giorgione.

19 | Giorgione (o Tiziano), Venere dormiente, olio su tela, 108,5 × 175 cm, 1507-1510 circa, Gemäldegalerie Alte Meister, Dresden.

È sotto questo cielo che Tiziano è all’opera. Ora, per il Camerino di Alfonso, l’artista aveva bisogno di una postura che rappresentasse come sintesi e cortocircuito concettuale e iconografico, insieme la Ninfa addormentata, la Menade ebbra, e infine la ninfa dionisiaca per eccellenza: Arianna non già abbandonata al dolore per la perdita di Teseo, ma abbandonata all’ebbrezza, in estasi per il prossimo (o già avvenuto) incontro con Dioniso. Ed è così che Tiziano, ispirandosi con grande libertà alla statua vaticana, senza alcuna soggezione del modello, con geniale intuizione di artista, inventa Arianna in Andros.

20 | Arianna in Andros.

Riferimenti bibliografici
Appendice
Testo greco di Filostrato I.24 ΑΝΔΡΙΟΙ, I.6 ΕΡΩΤΕΣ, I.16 ΑΡΙΑΔΝΗ, con traduzione italiana e trascrizione della traduzione di Mosco (da Zorzi 1993-1994)

Filostrato, Imagines, ed. Carl Ludwig Kayser, in aedibus B. G. Teubneri. Lipsiae, 1871

Traduzione italiana
a cura di Monica Centanni

Filostrato, traduzione di Demetrio Mosco, basata sul ms. Paris. Fonds Ital. 1091 (P); varianti nella versione conservata nel ms Cambridg. Univ. Libr. 6004 (C) (trascrizione basata su Zorzi 1993-1994)

I.24 ΑΝΔΡΙΟΙ

I.24 Gli Andri

I.24 ANDRII
Traduzione di Demetrio Mosco (ca 1510)

τὸ τοῦ οἴνου ῥεῦμα τὸ ἐν Ἄνδρῳ τῇ νήσῳ καὶ οἱ μεθύοντες τοῦ ποταμοῦ Ἄνδριοι λόγος εἰσὶ τῆς γραφῆς. Ἀνδρίοις γὰρ δὴ ἐκ Διονύσου ἡ γῆ ὕποινος ῥήγνυται καὶ ποταμὸν αὐτοῖς ἀναδίδωσιν, εἰ μὲν ἐνθυμηθείης ὕδωρ, οὔπω μέγαν, εἰ δὲ οἶνον, μέγας ὁ ποταμὸς καὶ θεῖος. ἔστι γὰρ τούτου ἀρυσαμένῳ Νείλου τε ὑπεριδεῖν καὶ Ἴστρου, καί που καὶ φάναι περὶ αὐτῶν, ὅτι κἀκεῖνοι βελτίους ἂν ἐδόκουν ὀλίγοι μέν, ἀλλὰ τοιοῦτοι ῥέοντες. καὶ ᾄδουσιν, οἶμαι, ταῦτα γυναίοις ἅμα καὶ παιδίοις ἐστεφανωμένοι κιττῷ τε καὶ σμίλακι, καὶ οἱ μὲν χορεύοντες ἐφ᾽ ἑκατέρας ὄχθης, οἱ δὲ κατακείμενοι. εἰκὸς δέ που κἀκεῖνα εἶναι τῆς ᾠδῆς, ὡς δόνακα μὲν Ἀχελῷος, Πηνειὸς δὲ Τέμπη φέρει, Πακτωλὸς δὲ ἄνθη λοιπόν, οὑτοσὶ δὲ ὁ ποταμὸς πλουσίους τ᾽ ἀποφαίνει καὶ δυνατοὺς τὰ ἐν ἀγορᾷ καὶ ἐπιμελεῖς τῶν φίλων καὶ καλοὺς καὶ τετραπήχεις ἐκ μικρῶν, ἔστι γὰρ κορεσθέντι αὐτοῦ συλλέγεσθαι ταῦτα καὶ ἐσάγεσθαι ἐς τὴν γνώμην. ᾄδουσι δέ που, ὅτι μόνος ποταμῶν οὗτος μήτε βουκολίοις ἐστὶ βατὸς μήθ᾽ ἵπποις, ἀλλ᾽ οἰνοχοεῖται μὲν ἐκ Διονύσου, πίνεται δὲ ἀκήρατος, μόνοις ἀνθρώποις ῥέων. ταυτὶ μὲν ἀκούειν ἡγοῦ καὶ ᾀδόντων αὐτὰ ἐνίων ῾καἲ κατεψελλισμένων τὴν φωνὴν ὑπὸ τοῦ οἴνου. τὰ δὲ ὁρώμενα τῆς γραφῆς: ὁ μὲν ποταμὸς ἐν βοτρύων εὐνῇ κεῖται τὴν πηγὴν ἐκδιδοὺς ἄκρατός τε καὶ ὀργῶν τὸ εἶδος, θύρσοι δ᾽ αὐτῷ παραπεφύκασι, καθάπερ οἱ κάλαμοι τοῖς ὕδασι, παραμείψαντι δὲ τὴν γῆν καὶ τὰ ἐν αὐτῇ ταῦτα συμπόσια Τρίτωνες ἤδη περὶ τὰς ἐκβολὰς ἀπαντῶντες ἀρύονται κόχλοις τοῦ οἴνου, καὶ τὸ μὲν πίνουσιν αὐτοῦ, τὸ δ᾽ ἀναφυσῶσιν, εἰσὶ δ᾽ οἳ καὶ μεθύουσι τῶν Τριτώνων καὶ ὀρχοῦνται. πλεῖ καὶ Διόνυσος ἐπὶ κῶμον τῆς Ἄνδρου καὶ καθώρμισται μὲν ἡ ναῦς ἤδη, Σατύρους δὲ ἀναμὶξ καὶ Ληνὰς ἄγει καὶ Σειληνός οἱ τὸν Γέλωτά τε ἄγει καὶ τὸν Κῶμον ἱλαρωτάτω καὶ ξυμποτικωτάτω δαίμονε, ὡς ἥδιστα ὁ ποταμὸς αὐτῷ τρυγῷτο.

Il tema del dipinto è lo scorrere del vino nell’isola di Andros e i suoi abitanti che si ubriacano bevendo al fiume. Grazie a Dioniso la terra fa sgorgare un fiume di vino per gli Andri e lo offre loro. Se hai in mente un corso d’acqua, non è così grande, ma se pensi che è vino, è un fiume grande e divino. Chi ne beve disprezzerà il Nilo e l’Istro e di loro potrebbe dire che anch’essi sarebbero migliori se fossero più scarsi ma buttassero come quel fiume. Cantano così [gli Andri] – mi pare – insieme a donne e bambini, con in testa corone di edera e di smilace, alcuni danzano sulle due rive del fiume, altri stanno distesi a terra. Probabilmente il tema dei loro canti è l’Acheloo e le sue canne, il Pneio che attraversa la Valle di Tempe, e poi il Pattolo e i suoi fiori; e cantano che il fiume li fa ricchi, capaci nei loro affari, premurosi verso gli amici, e li fa belli e, da piccoli, li fa alti due metri: per quelli che si saziano di quel bere è possibile raccogliere tutte queste cose e portarle a comprensione. Cantano che solo questo fiume non è frequentato da greggi o da cavalli; scorre il vino grazie a Dioniso, e si beve puro: solo per gli uomini scorre. Pensi di sentire cantare così e alcuni di loro hanno la voce impastata per il vino. Questo è ciò che si vede nel quadro: il fiume disteso su un letto di grappoli e sgorga puro a fiotti e il suo aspetto è alterato; tirsi crescono tutto intorno, come le canne presso i corsi d’acqua; allontanandosi dal quella terra e dai suoi simposio, si incontrano Tritoni, presso la foce del fiume che attingono vino con le conchiglie: alcuni ne bevono, altri lo soffiano nell’aria, alcuni altri Tritoni sono ubriachi e danzano. Anche Dioniso naviga verso la festa di Andros e la sua nave ha già gettato gli ormeggi: guida i Satiri, mescolati alle Baccanti e conduce Riso, e Comos, le due divinità più allegre e più adatte ai simposi, perché il fiume sia vendemmiato con sommo piacere.

Il corso de vino che è in Andro isola et li Andrii inebriati da lo fiume sonno ragion della pictura, perché <…> rompe il terreno delli Andrii vinoso da Baccho et manda a quelli un fiume. Se tu pensi ch’el sia di aqua, non grande, ma, se pensi tu che sia de vino, grande. E per certo questo fiume è divino. Perché se gustassi di questo, son certo farresti poco stima del Nilo o del Danubio, e forsa diresti de quelli che pareriano migliori se fossero picoli, ma corresseno como questo. Tal cose cantano li Andrii, quanto io comprendo, a femmine et putti coronati d’edera e di salvia. Et alcuni di quelli ballano in una e l’altra riva, altri sonno distesi. Forse anchor questo è parte del suo canto, che ‘l fiume Acheloo produce canne, Peneo tene luochi delettevoli in Thesaglia, il Pattolo già fiorì. Ma questo fiume pò mostrare homeni potenti in consigli e ricchi e curiosi verso li amici e belli e grandi de piccioli, perciò ch’è possibile comprendere insieme tutte queste cose ad uno che sia satio dal suo fluxo et condurle nello suo animo. Cantano anchora forsi che questo sol fiume né a mandre di bestiame, né a cavalli è licito passare. Ma è ben dato a bevere da Baccho e bevese salvandosi senza manchare mai il suo corso a li homeni soli. Datte ad intendere udire queste cose da alcuni cantare con la voce confusa per il vino. Ma quello che vedere poi di la pictura: il fiume giace in uno letto de uve dando la fonte, esso lui chiaro et di aspetto multo desiderosamente inclinato. Nascono et cerca lo fiume thyrse, cioè rami incolti de pampini, come nascono canne apresso le aque. Ma si tu scorri oltra la terra et li conviti che se fanno in quella, vengono incontra Tritoni, cioè trombette marini e togliono del vino con le loro trombe. Parte di quello bevono, parte soppiano in su. Sonno alcuni di quelli inebriati et ballono. Navica Bacco a la festa di Andro et è intrata homai in porto la nave. Et conduce Satiri et insieme lupi cerveri e Sileni, e mena seco et il Riso et anchora il Como, quali sonno dei multo alegri et atti a pratichare in conviti, acciò che ‘l fiume se possa vendemare dolcissimamente.

I.6 ΕΡΩΤΕΣ

I.6 Gli Amori

I.6 Amori

μῆλα ἔρωτες ἰδοὺ τρυγῶσιν, εἰ δὲ πλῆθος αὐτῶν, μὴ θαυμάσῃς, νυμφῶν γὰρ δὴ παῖδες οὗτοι γίγνονται, τὸ θνητὸν ἅπαν διακυβερνῶντες, πολλοὶ διὰ πολλά, ὧν ἐρῶσιν ἄνθρωποι, τὸν δὲ οὐράνιόν φασιν ἐν τῷ οὐρανῷ πράττειν τὰ θεῖα. μῶν ἐπῄσθου τι τῆς ἀνὰ τὸν κῆπον εὐωδίας ἢ βραδύνει σοι τοῦτο; ἀλλὰ προθύμως ἄκουε, προσβαλεῖ γὰρ σε μετὰ τοῦ λόγου καὶ τὰ μῆλα.

Guardali, gli Amori che raccolgono mele. Sono moltissimi, non meravigliartene: sono figli delle ninfe e governano tutti i mortali. Molti sono perché molte cose gli uomini amano, ma dicono che l’amore celeste in cielo tratta quel che è divino. Non senti il profumo che si alza dal giardino? Sei tardo di sensi? Ma ascolta almeno con attenzione: con le mie parole ti invaderà anche l’odore delle mele.

Ecco li Amori che fanno vendemmia de pomi. Ma si sonno molti non ti dare meraviglia, perciò che nascono figlioli de ninphe, governadoli tucti li mortali, molti per molte cose in quali li homeni se innamorano; ma lo celeste, secondo che se dice, tratta in celo le cose divine. Senti tu l’odore che se sparge per l’orto o vero anchora non l’hai sintito? Ma sii pronto a l’udire perché da qui a uno poco te percoterando i pomi con le parole inseme.

ὄρχοι μὲν οὗτοι φυτῶν ὀρθοὶ πορεύονται, τοῦ μέσου δὲ αὐτῶν ἐλευθερία βαδίζειν. πόα δὲ ἁπαλὴ κατέχει τοὺς δρόμους οἵα καὶ κατακλιθέντι στρωμνὴ εἶναι. ἀπ᾽ ἄκρων δὲ τῶν ὄζων μῆλα χρυσᾶ καὶ πυρσὰ καὶ ἡλιώδη προσάγονται τὸν ἑσμὸν ὅλον τῶν ἐρώτων γεωργεῖν αὐτά. φαρέτραι μὲν οὖν αὗται χρυσόπαστοι καὶ χρυσαῖ καὶ τὰ ἐν αὐταῖς βέλη, γυμνὴ τούτων ἡ ἀγέλη πᾶσα καὶ κοῦφοι διαπέτονται περιαρτήσαντες αὐτὰ ταῖς μηλέαις, αἱ δὲ ἐφεστρίδες αἱ ποικίλαι κεῖνται μὲν ἐν τῇ πόᾳ, μυρία δὲ αὐτῶν τὰ ἄνθη, οὐδὲ ἐστεφάνωνται τὰς κεφαλὰς ὡς ἀποχρώσης αὐτοῖς τῆς κόμης. πτερὰ δὲ κυάνεα καὶ φοινικᾶ καὶ χρυσᾶ ἐνίοις μονονοὺ καὶ αὐτὸν πλήττει τὸν ἀέρα ξὺν ἁρμονίᾳ μουσικῇ. φεῦ τῶν ταλάρων, ἐς οὓς ἀποτίθενται τὰ μῆλα, ὡς πολλὴ μὲν περὶ αὐτοὺς ἡ σαρδώ, πολλὴ δὲ ἡ σμάραγδος, ἀληθινὴ δὲ ἡ μάργηλις, ἡ συνθήκη δὲ αὐτῶν Ἡφαίστου νοείσθω. οὐδὲ κλιμάκων δέονται πρὸς τὰ δένδρα παρ᾽ αὐτοῦ, ὑψοῦ γὰρ καὶ ἐς αὐτὰ πέτονται τὰ μῆλα.

I filari di piante procedono in linea retta e tra di essi c’è spazio libero per passeggiare e l’erba cresce morbida sui lati dei sentieri, buona per sdraiarcisi e riposare. Dall’alto dei rami, mele dorate, rosse, gialle invitano tutta la frotta degli amori a raccoglierle. Le loro faretre sono rivestite d’oro e così le frecce che contengono e lo stormo è tutto nudo e volano, leggeri: appendono le faretre ai meli, e i loro mantelli colorati giacciono sull’erba, variopinti dei colori di tutti i fiori. Non hanno corone in testa come se bastassero i capelli ad adornarli. Le ali sono azzurre e pupuree e dorate talvolta, e percuotono l’aria con un’armonia musicale. E vedi le ceste in cui raccolgono le mele! Quante pietre preziose: sardonica, smeraldi, vere perle – Sembrano opera di Efesto! Non hanno bisogno che il dio costruisca per loro scale per salire sugli alberi: volano, infatti, in alto sui meli.

Questi rami de piantie crescono in dritto, tra quali piante è licito passigiare, et herba tenera copre le vie, la qual non mancho che ’I letto potrebe dare commodità di riposo. Ma nella cima de li rami pomi de colore aureo e focoso e solare sono; tirano in sua cultura una gran compagnia de Amori. Quasi tutti sono spogliati de le faretre indorate, piene de aurei strali et havendo atthacate quelle sopra li pomari, essi volano legiermente e li varii soi vestimente sonno ben distesi sopra l’erba e mostrano infiniti colori. Né ghirlande portano in testa: invece di quelle sonno assai ornati dalle prope chiome. Nere e roscie et auree sonno le ale er alcuni batthono con esse quasi l’aere con armonia musiIcale. Deh! pon mente a li cestelli nelli quali repongono li pomi vendemiati, quanto resplendono de pietre pretiose, sardoniche e smeraldi e margeli naturali, de quali la compositione possemo reputare essere opera di Volcano. Né de schali hanno bisognio per montare su li arbori, perciò che volano in alto apresso li pomi.

καὶ ἵνα μὴ τοὺς χορεύοντας λέγωμεν ἢ τοὺς διαθέοντας ἢ τοὺς καθεύδοντας ἢ ὡς γάνυνται τῶν μήλων ἐμφαγόντες, ἴδωμεν, ὅ τι ποτὲ νοοῦσιν οὗτοι. οἱ γὰρ κάλλιστοι τῶν ἐρώτων ἰδοὺ τέτταρες ὑπεξελθόντες τῶν ἄλλων δύο μὲν αὐτῶν ἀντιπέμπουσι μῆλον ἀλλήλοις, ἡ δὲ ἑτέρα δυὰς ὁ μὲν τοξεύει τὸν ἕτερον, ὁ δὲ ἀντιτοξεύει καὶ οὐδὲ ἀπειλὴ τοῖς προσώποις ἔπεστιν, ἀλλὰ καὶ στέρνα παρέχουσιν ἀλλήλοις, ἵν᾽ ἐκεῖ που τὰ βέλη πελάσῃ. καλὸν τὸ αἴνιγμα: σκόπει γάρ, εἴ τι ξυνίημι τοῦ ζωγράφου: φιλία ταῦτα, ὦ παῖ, καὶ ἀλλήλων ἵμερος, οἱ μὲν γὰρ διὰ τοῦ μήλου παίζοντες πόθου ἄρχονται, ὅθεν ὁ μὲν ἀφίησι φιλήσας τὸ μῆλον, ὁ δὲ ὑπτίαις αὐτὸ ὑποδέχεται ταῖς χερσὶ δῆλον ὡς ἀντιφιλήσων, εἰ λάβοι, καὶ ἀντιπέμψων αὐτό, τὸ δὲ τῶν τοξοτῶν ζεῦγος ἐμπεδοῦσιν ἔρωτα ἤδη φθάνοντα, καὶ φημὶ τοὺς μὲν παίζειν ἐπὶ τῷ ἄρξασθαι τοῦ ἐρᾶν, τοὺς δὲ τοξεύειν ἐπὶ τῷ μὴ λῆξαι τοῦ πόθου.

Ma non parliamo soltanto di quelli che danzano, di quelli che corrono, di quelli che dormono o che stanno mangiando, di gusto, le mele. Vediamo cosa mai intendano fare anche questi altri: vedi quattro Amori, i più belli di tutti, in disparte dagli altri: due si palleggiano l’un l’altro una mela; degli altri due, si lanciano frecce, l’uno contro l’altro, ma non c’è alcuna minaccia nei loro volti e l’uno offre il petto all’altro, pronto a ricevere la freccia. Un bell’enigma: vedi se riesco a capire qualcosa di quel che ha fatto il pittore. È l’amicizia, ragazzo mio, è il desiderio reciproco. Quelli che giocano con la mela significano l’inizio del desiderio per cui l’uno bacia la mela prima di tirarla, l’altro la accoglie a braccia tese ed è chiaro che a sua volta, dopo averla presa, la bacerà e la rilancerà. La coppia di arcieri invece rafforzano un amore già avviato: io dico che la coppia che gioca è all’inizio dell’amore, i due Amori tirano con l’arco perché l’amore non scemi.

Ma acciò non consumiamo parole de quelli che ballano o vero corrono o vero quelli altri che dormono o veramente come se alegrano satiati de pomi,, contempliamo quel che costoro intendono, perciò che quattro bellidissimi tra tucti li altri sonno reducti in un loco. Fra quali, dui se rimandono uno pome uno a l’altro; li altri dui, uno feriscie il compagnio con una freza, da la quale lui medemo anchora è ferito. Né segnio alcuno de minacci se vede nelli volti loro, anzi porgono el petto uno a l’altro, per dare loco alle ferrite. È molto bona questa significatione. Attendi bene anchora tu se comprendi l’intento del pittore. Sonno amicitie queste, o giovene, et amore di uno ver l’altro. Quelli che giocavano col pomo cominciano innamorarsi, per la qual cosa uno manda il pomo poi che l’ha basciato e l’altro col mane stese lo aspetta, con animo de basciarlo, se lo pigliasse, e da rimandarlo. Li altri dui con la saetta confermano amore già principiato. E dico quelli giocare per dare principio a lo amore, et questi altri ferirse con saette per non cessare de amare.

ἐκεῖνοι μὲν οὖν, περὶ οὓς οἱ πολλοὶ θεαταί, θυμῷ συμπεπτώκασι καὶ ἔχει τις αὐτοὺς πάλη. λέξω καὶ τὴν πάλην, καὶ γὰρ τοῦτο ἐκλιπαρεῖς: ὁ μὲν ᾕρηκε τὸν ἀντίπαλον περιπτὰς αὐτῷ κατὰ τῶν νώτων καὶ ἐς πνῖγμα ἀπολαμβάνει καὶ καταδεῖ τοῖς σκέλεσιν, ὁ δὲ οὔτε ἀπαγορεύει καὶ ὀρθὸς ὑπανίσταται καὶ διαλύει τὴν χεῖρα, ὑφ᾽ ἧς ἄγχεται, στρεβλώσας ἕνα τῶν δακτύλων, μεθ᾽ ὃν οὐκέτι οἱ λοιποὶ ἔχουσιν, οὐδέ εἰσιν ἐν τῷ ἀπρίξ, ἀλγεῖ δὲ ὁ στρεβλούμενος καὶ κατεσθίει τοῦ παλαιστοῦ τὸ οὖς. ὅθεν δυσχεραίνουσιν οἱ θεώμενοι τῶν ἐρώτων ὡς ἀδικοῦντι καὶ ἐκπαλαίοντι, καὶ μήλοις αὐτὸν καταλιθοῦσι.

A quegli altri sta intorno una folla di spettatori: sono animosi ed è in corso una lotta – ti descriverò anche la lotta, dato che so che lo desideri. L’uno ha afferrato l’avversario dalle spalle e lo stringe per soffocarlo e lo avvinghia con le sue gambe. L’altro non cede e sta ritto e si libera dalla mano che lo sta strozzando, torcendogli un dito, così che le altre dita mollino la presa: in preda al dolore, quello con il dito storto morde un orecchio al compagno. E gli Amori che assistono alla scena, disgustati dalla scorrettezza nella lotta, lo lapidano a colpi di mele.

Ma quelli circondati da multi spettatori già se corrocciano e combattono. lo ti dichiararò anchora el modo del suo combattere: so che disidiri udire. Costui ha preso l’aversario volandoli sopra le spalle e strignie per afogarlo, avilupandoli intorno le cosse. Ma quello non si stracha, anzi sta dritto nelli piedi e. discioglie le mane da le quale è stretto, torcendoli un deto, per la qual cosa li altri non posson più durare, né pigliare, e questo altro, sentendosi il deto storto, si dole e magnia l’orechia al suo nimico. Questa cosa commove a sdegnio contra lui li altri Cupidini, che lo riguardano come Iniusto e combattente contra ragione del combattere, dalli quali è con pomi lapidato custui.

μηδὲ ὁ λαγὼς ἡμᾶς ἐκεινοσὶ διαφευγέτω, συνθηράσωμεν δὲ αὐτὸν τοῖς ἔρωσι. τοῦτο τὸ θηρίον ὑποκαθήμενον ταῖς μηλέαις καὶ σιτούμενον τὰ πίπτοντα ἐς γῆν μῆλα, πολλὰ δὲ καὶ ἡμίβρωτα καταλεῖπον διαθηρῶσιν οὗτοι καὶ ταράττουσιν ὁ μὲν κρότῳ χειρῶν, ὁ δὲ κεκραγώς, ὁ δὲ ἀνασείων τὴν χλαμύδα, καὶ οἱ μὲν ὑπερπέτονται τοῦ θηρίου καταβοῶντες, οἱ δὲ μεθέπουσιν αὐτὸ πεζοὶ κατὰ ἴχνος, ὁ δ᾽ ὡς ἐπιρρίψων ἑαυτὸν ὥρμησε καὶ τὸ θηρίον ἄλλην ἐτράπετο, ὁ δὲ ἐπιβουλεύει τῷ σκέλει τοῦ λαγώ, τὸν δὲ καὶ διώλισθεν ᾑρηκότα: γελῶσιν οὖν καὶ καταπεπτώκασιν ὁ μὲν ἐς πλευράν, ὁ δὲ πρηνής, οἱ δὲ ὕπτιοι, πάντες δὲ ἐν τοῖς τῆς διαμαρτίας σχήμασι. τοξεύει δὲ οὐδείς, ἀλλὰ πειρῶνται αὐτὸν ἑλεῖν ζῶντα ἱερεῖον τῇ Ἀφροδίτῃ ἥδιστον.

E non ci lasciamo sfuggire quella lepre là dall’altra parte: diamole la caccia insieme con gli Amori! Eccola, la bestia, acquattata sotto gli alberi che mangia le mele cadute a terra e le lascia semirosicchiate: gli Amori le danno la caccia e fanno rumore, uno battendo le mani, l’altro gridando, l’altro ancora agitando in aria il mantello; altri le svolazzano intorno urlando, altri la inseguono a piedi, sulle sue orme. Uno le si lancia sopra, per afferrarla, ma la bestia scappa via; un altro tenta di afferrare la lepre per una zampa, ma quella scappa di nuovo alla presa. E ridono tutti, chi buttandosi a terra di schiena, chi su un fianco, chi bocconi: tutti nelle pose della propria impresa fallita. Nessuno di loro usa l’arco: cercano di prenderla viva perché è questo il dono più gradito ad Afrodite.

Né quel lépore voglio che lasciamo fugire, ma pigliònola insieme con quisti Cupidini. Questo animai, sedendo sotto quelli pomari e magniando li pomi che in terra caschono e molti anchora ne lassa infin al mezo magniati costoro il scacciono e disturbano, chi sbattendo le man e chi gridando, chi scrollando la veste, et elli volano con grido sopra l’animale et quelli altri lo persiquitano caminando a piede, un altro ha destese le aie per volare, e l’animai fugie per una altra via; un altro se ignegna prenderlo per la coda, da quel altro già è scorso oltra. Ridono dumque li Amori e cascano chi in el lato, chi con faccia in terra, chi in su, ciascuno in la figura del suo fallo, e nesuno lo feriscie, ma se sforzano pigliarlo vivo e offerirlo vivo a Venere, sacrificio gratissimo.

οἶσθα γάρ που τὸ περὶ τοῦ λαγὼ λεγόμενον, ὡς πολὺ τῆς Ἀφροδίτης μέτεστιν αὐτῷ: λέγεται γοῦν περὶ μὲν τοῦ θηλάζειν τε αὐτό, ἃ ἔτεκε, καὶ ἀποτίκτειν πάλιν ἐπὶ ταὐτῷ γάλακτι καὶ ἐπικυίσκειν δὲ καὶ οὐδὲ εἷς χρόνος αὐτῷ τοῦ τοκετοῦ κενός, τὸ δὲ ἄρρεν σπείρει τε, ὡς φύσις ἀρρένων, καὶ ἐπικυίσκει παρ᾽ ὃ πέφυκεν. οἱ δὲ ἄτοποι τῶν ἐραστῶν καὶ πειθώ τινα ἐρωτικὴν ἐν αὐτῷ κατέγνωσαν βιαίῳ τέχνῃ τὰ παιδικὰ θηρώμενοι.

Sai cosa dicono della lepre – che è strettamente collegata ad Afrodite. Della lepre femmina dicono che mentre sta allattando i piccoli che ha partorito ne partorisce altri e li nutre con lo stesso latte, e poi ingravida di nuovo e non c’è periodo in cui il suo ventre sia vuoto di un piccolo. La lepre maschio la insemina, come fanno tutti i maschi, ma rimane anche gravido lui stesso al contrario di quanto solitamente avviene in natura. E chi ha strane abitudini sessuali imparano dalla lepre questa seduzione erotica per sedurre con pratiche violente i ragazzi.

Sai bene anchora in quel che se dice del lepore, che è molto abondante de cose di Venere. Perciò se dice che la femmina che lacta quelli che ha partorito [e] partoriscie altri sopra quello medeximo latte e doppo quelli anchora partoriscie, e niuno tempo è vacuo del suo parto; è maschio e femmina e secondo la natura del maschio s’impregnia contra suo natural. Ma quelli che non hanno bon loco apresso lo amore hanno cogniosciuto in esso una’ persuasione amatoria, con arte violenta consequendo li soi amori.

ταῦτα μὲν οὖν καταλείπωμεν ἀνθρώποις ἀδίκοις καὶ ἀναξίοις τοῦ ἀντερᾶσθαι, σὺ δέ μοι τὴν Ἀφροδίτην βλέπε· ποῦ δὴ καὶ κατὰ τί τῶν μηλεῶν ἐκείνῃ; ὁρᾷς τὴν ὕπαντρον πέτραν, ἧς νᾶμα κυανώτατον ὑπεκτρέχει χλωρόν τε καὶ πότιμον, ὃ δὴ καὶ διοχετεύεται ποτὸν εἶναι ταῖς μηλέαις; ἐνταῦθά μοι τὴν Ἀφροδίτην νόει, νυμφῶν, οἶμαι, αὐτὴν ἱδρυμένων, ὅτι αὐτὰς ἐποίησεν ἐρώτων μητέρας καὶ διὰ τοῦτο εὔπαιδας. καὶ κάτοπτρον δὲ τὸ ἀργυροῦν καὶ τὸ ὑπόχρυσον ἐκεῖνο σανδάλιον καὶ αἱ περόναι αἱ χρυσαῖ, ταῦτα πάντα οὐκ ἀργῶς ἀνῆπται· λέγει δὲ Ἀφροδίτης εἶναι, καὶ γέγραπται τοῦτο, καὶ νυμφῶν δῶρα εἶναι λέγεται, καὶ οἱ ἔρωτες δὲ ἀπάρχονται τῶν μήλων καὶ περιεστῶτες εὔχονται καλὸν αὐτοῖς εἶναι τὸν κῆπον.

Ma lasciamo queste cose agli uomini ingiusti e indegni di ricevere amore. Tu invece guarda Afrodite. Dove si trova, nel frutteto? Vedi quell’antro nella roccia, da cui sorge una fonte d’acqua azzurrissima, fresca e dissetante che scorre a irrigare gli alberi di melo? Là, credimi, c’è Afrodite: l’hanno collocata là le ninfe perché le ha fatte madre degli Amori, madri di figli così belli. E lo specchio d’argento, e quel sandalo dorato e le fibbie anch’esse d’oro, non sono stati appesi a caso ma c’è scritto che sono offerte di Afrodite, doni delle ninfe. A lei gli Amori offrono mele e le stanno intorno, pregandola che sia sempre bello il loro giardino.

Lasciamo queste cose a homeni iniusti et non degni de essere reamati, ma tu guarda la dea Venere,dove et in qual pomaro la sia. Vedi tu quella petra formata come speluncha, da la quale escie una fonte chiara, verdegiante e soave da bevere, la quale anchora se sparge per adaquare i pomari? Ivi hanno collocata le nymphe la dea Venere, rengratiandola però che le fece matre de bon figlioli, cioè Cupidini. Ma il spechio dè argento et la pianella inaurata, le fibie di oro non stando in otio, ma dicono che sonno cose di Venere, et è scritto et dicese anchora che sonno doni di nymphe. E li Amori fanno le primitie de pomi et li circostanti pregono che l’orto li sia bono.

I.15 ΑΡΙΑΔΝΗ

I.15 Arianna
Traduzione italiana

I.15 Arianna

ὅτι τὴν Ἀριάδνην ὁ Θησεὺς ἄδικα δρῶν — οἱ δ᾽ οὐκ ἄδικά φασιν, ἀλλ᾽ ἐκ Διονύσου — κατέλιπεν ἐν Δίᾳ τῇ νήσῳ καθεύδουσαν, τάχα που καὶ τίτθης διακήκοας, σοφαὶ γὰρ ἐκεῖναι τὰ τοιαῦτα καὶ δακρύουσιν ἐπ᾽ αὐτοῖς, ὅταν ἐθέλωσιν. οὐ μὴν δέομαι λέγειν, Θησέα μὲν εἶναι τὸν ἐν τῇ νηί, Διόνυσον δὲ τὸν ἐν τῇ γῇ, οὐδ᾽ ὡς ἀγνοοῦντα ἐπιστρέφοιμ᾽ ἂν ἐς τὴν ἐπὶ τῶν πετρῶν, ὡς ἐν μαλακῷ κεῖται τῷ ὕπνῳ.

La storia di Teseo che agì ingiustamente nei confronti di Arianna – ma alcuni dicono che non fu ingiustizia, ma per volere di Dioniso – quando la abbandonò nell’isola di Dia addormentata, certo l’hai sentita dalle fiabe della tua balia. Sono, le balie, a raccontare le storie e piangono a volontà nel raccontarle. Non serve dunque che dica che è Teseo quello sulla nave, e Dioniso quello che sta approdando a terra. E se ti dico di guardare a quella donna distesa in un dolce sonno tra le braverocce, non credo che tu non la riconosca.

Che il Theseo, facendo torto ad Ariadna, o vero, secondo alcuni, non li facendo lui torto, ma trovandola dormire presa da Baccho, l’havesse’ ·Iassata in una isola ditta Dia, forsi hai udito dalla tua balia. Perché quelle sonno savie circa simile cose et alchune volte non senza lachrime le raccontano quando li vien voglia. Ma al presente non accade ch’io te dechiari costui essere Theseo; quello oltre che è in terra è Bacco; né come inconsapevole se affrettarebe verso colei che dorme molto sohavemente sopra le pietre.

οὐδὲ ἀπόχρη τὸν ζωγράφον ἐπαινεῖν, ἀφ᾽ ᾦν κἂν ἄλλος ἐπαινοῖτο, ῥᾴδιον γὰρ ἅπαντι καλὴν μὲν τὴν Ἀριάδνην γράφειν, καλὸν δὲ τὸν Θησέα, Διονύσου τε μυρία φάσματα τοῖς γράφειν ἢ πλάττειν βουλομένοις, ὧν κἂν μικροῦ τύχῃ τις, ᾕρηκε τὸν θεόν· καὶ γὰρ οἱ κόρυμβοι στέφανος ὄντες Διονύσου γνώρισμα, κἂν τὸ δημιούργημα φαύλως ἔχῃ, καὶ κέρας ὑπεκφυόμενον τῶν κροτάφων Διόνυσον δηλοῖ, καὶ πάρδαλις ὑπεκφαινομένη αὖ τοῦ θεοῦ σύμβολον. ἀλλ᾽ οὗτός γε ὁ Διόνυσος ἐκ μόνου τοῦ ἐρᾶν γέγραπται. σκευὴ μὲν γὰρ ἠνθισμένη καὶ θύρσοι καὶ νεβρίδες, ἔρριπται ταῦτα ὡς ἔξω τοῦ καιροῦ, καὶ οὐδὲ κυμβάλοις αἱ Βάκχαι χρῶνται νῦν, οὐδὲ οἱ Σάτυροι αὐλοῦσιν, ἀλλὰ καὶ ὁ Πὰν κατέχει τὸ σκίρτημα, ὡς μὴ διαλύσειε τὸν ὕπνον τῆς κόρης, ἁλουργίδι τε στείλας ἑαυτὸν καὶ τὴν κεφαλὴν ῥόδοις ἀνθίσας ἔρχεται παρὰ τὴν Ἀριάδνην ὁ Διόνυσος, μεθύων ἔρωτι, φησὶν περὶ τῶν ἀκρατῶς ἐρώντων ὁ Τήιος.

Ma non basta elogiare il pittore per ciò per cui chiunque potrebbe essere elogiato. È piuttosto facile, per chiunque, dipingere una bella Arianna, o un bel Teseo. Ma molteplici sono le sembianze di Dioniso per chi voglia dipingerlo o scolpirlo, basta trovare un piccolo dettaglio, e si potrà dire di aver trovato il dio: la corona d’edera è l’attributo che identifica Dioniso anche nell’opera di un artista da poco; anche le corna che spuntano dalla fronte indicano Dioniso, e se compare una pantera è il simbolo del dio. Ma questo Dioniso è raffigurato solo come un innamorato. Via la veste fiorita, i tirsi, le pelli di cerbiatto: non c’entrano con questo attimo speciale; e le Baccanti non battono i cembali, e i Satiri non suonano gli auloi, anche Pan trattiene i suoi balzi, per non turbare il sonno della fanciulla. Ha indossato la rossa veste, ha il capo cinto di rose, e si slancia verso Arianna, ebbro d’amore, come dice il poeta di Teo di chi ama senza misura.

Nè basta lodare questo pittore per quello che lodaresti ogni altro, perché quale è quel pittore che non dipignesse facilmente Ariadna bella et Theseo bello? Et diverse sonno le inmagine di Bacco cui le volesse dipignere o vero scolpire, delle qual poca parte se ben consequisse alcuno ha espresso tucto il·dio. Perché li boccoli di l’hedera, delli quali sonno fatte corone, sono segno di Baccho, anchora che l’artificio non stia troppo bene, e le corna che nascono nelle tempie dichiarano Baccho, et il pardo che appare è segno di quello medesimo. Ma questo Baccho è dipinto da solo innamorato. Perciò che l’habito et li rami fioriti et le pelle di cervo sonno refutate come cose che non faccino al proposto; né ’Ili cimbali usano al presente le donne sacrificanti a Baccho, né ‘Ili Satiri cantono con fiutti. Anchora il dio Pan ritene lo salto temendo non isvegliare la giovene del sonno. E ornandosi Baccho con una veste di porpora e il suo capo con fiori viene da Ariadna come inebriato d’amore, come dirrebe il poeta de quelli che sonno incontinenti d’amore.

ὁ Θησεὺς δὲ ἐρᾷ μέν, ἀλλὰ τοῦ τῶν Ἀθηνῶν καπνοῦ, Ἀριάδνην δὲ οὔτε οἶδεν ἔτι, οὔτε ἔγνω ποτέ, φημὶ δ᾽ αὐτὸν ἐκλελῆσθαι καὶ τοῦ Λαβυρίνθου, καὶ μηδὲ εἰπεῖν ἔχειν, ἐφ᾽ ὅτῳ ποτὲ ἐς τὴν Κρήτην ἔπλευσεν, οὕτω μόνον τὰ ἐκ πρῴρας βλέπει. ὅρα καὶ τὴν Ἀριάδνην, μᾶλλον δὲ τὸν ὕπνον· γυμνὰ μὲν ἐς ὀμφαλὸν τὰ στέρνα ταῦτα, δέρη δὲ ὑπτία καὶ ἁπαλὴ φάρυγξ, μασχάλη δὲ ἡ δεξιὰ φανερὰ πᾶσα, ἡ δὲ ἑτέρα χεὶρ ἐπίκειται τῇ χλαίνῃ, μὴ αἰσχύνῃ τι ὁ ἄνεμος. οἷον, ὦ Διόνυσε, καὶ ὡς ἡδὺ τὸ ἆσθμα. εἰ δὲ μήλων ἢ βοτρύων ἀπόζει, φιλήσας ἐρεῖς.

Anche Teseo, sì, è innamorato, ma del fumo che si alza dalle case di Atene: non conosce più Arianna, né mai l’ha conosciuta. Dico che si è dimenticato anche del labirinto e non sa dire perché ha navigato fino a Creta: vede soltanto quel che c’è davanti alla sua prua. Ma guarda Arianna, o piuttosto il suo sonno: nuda sul petto fino alla vita, Il collo reclinato all’indietro mostra la gola morbida; tutta la spalla destra è scoperta, e la mano sinistra trattiene la veste, perché il vento non la scopra impudicamente. Com’è dolce, Dioniso, il suo respiro! Profuma di miele e di grappoli d’uva: baciala e ci dirai se è vero.

Theseo è bene innamorato, ma del fumo de Athene sua patria, ma Ariadna né hora conosce, né ha mai conosciuto. <... > lui ancora essere dimenticato del labyrinto, né poter dire per che cagion navigasse in Candia, tanto attesamente guarda lui solo che è contra la prora. Vedi la Ariadna, ansi il sonno. Questo petto è discoperto insino allo ombillico et il collo in su disteso et la morbida gola, la dextra lasena tutta discoperta; ma l’altra mano è sopra la veste, preoccupando il vento che non discoprisse in lei qualche parte non licita et disonesta a vedere. Oh quanto è dolce el suo fiato, o Baccho, et par che sappia de pomi o vero d’uva: basciala, poi ne lo dirrai.

English abstract

Around 1515, Titian (Tiziano Vecellio) was called by Alfonso d'Este to complete his “Camerino delle pitture”: Titian found the cycle begun by Giovanni Bellini with the so-called Feast of the Gods – a painting that Titian himself retouched heavily to satisfy the client's tastes. The other three paintings in the series were inspired, in varying degrees, by the text of Imagines by Philostratus that Demetrius Mosco had recently vulgarised for Alfonso's sister, Isabella.

Titian drew inspiration from the ekphrasis of ancient paintings and yet interpreted them freely, going as far as inventing, for the image that concludes the cycle The Bacchanal of the Andrians (1523-1524), the figure of sleeping maenad that had as its model a statue that just recently had entered the collection of Julius II: the Vatican Ariadne. It should be noted, however, that at the time, the sculpture was identified as Cleopatra. But Titian, with brilliant artistic intuition, sees in that Sleeping Beauty the bacchante par excellence, Dionysus’ bride: Ariadne.

The essay also presents, in an Appendix, the excerpts from Imagines by Philostratus (I.24 ΑΝΔΡΙΟΙ, I.6 ΕΡΩΤΕΣ, I.16 ΑΡΙΑΔΝΗ), which inspired the painter for the cycle: a Greek text, with Italian translation and the vulgarisation by Demetrio Mosco that Alfonso (and therefore Titian) had at his disposal.

keywords | Titian; Alfonso d’Este; The Bacchanal of the Andrians; Philostratus.

Per citare questo articolo: Monica Centanni, Arianna in Andros, una invenzione di Tiziano. In Appendice testo e traduzione di Demetrio Mosco di Filostrato, Imagines I.24, I.6, I.15, “La Rivista di Engramma” n. 163, marzo 2019, pp. 109-147 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2019.163.0009