"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

223 | aprile 2025

97888948401

VenereFuoriTempo. Intorno a Venere in pelliccia

Editoriale di Engramma 223

Chiara Portesine, Massimo Stella

English abstract 

L’immagine di copertina è un acquerello di Carol Rama, Opera n. 11 (Renards), realizzato nel 1938. Quest’opera di Carol Rama è stata da noi eletta a insegna del numero 223, dedicato a Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch, perché irride, esibendola, la stereotipizzazione feticistica del fantasma femminile: quattro stole di volpe striate di sangue che pendono su un paio di scarpe a tacchi alti dall’interno rosso … Così messi in mostra, quegli accessori muliebri paiono essere, tuttavia e altresì, spoglie vittimarie, quasi si trattasse di trofei conquistati in una battuta di caccia o in una sortita di spoliazione o non si tratterà piuttosto di un travestimento … di un’uniforme festiva? rituale? cerimoniale? I corpi pendenti delle volpi trasmettono una sinistra vitalità, sorvegliando con le pupille sgranate la scena del crimine – vittime, complici, testimoni? Carcasse-statue di una natura profanata che ora si vendica?

È chiaro: su tale scena, la donna non c’è. O meglio: non c’è più. Lo svuotamento del feticcio, del trofeo è radicale. Chi riguarda, allora, quel vuoto teatro? E chi guardano quegli occhi vigili e mortiferi?

Intrat il masochista …

Shiny, shiny, shiny boots of leather Whiplash girl child in the dark Comes in bells, your servant, don't forsake him Strike, dear mistress, and cure his heart
(The Velvet Underground, Venus in Furs)

* * *

Venus im Pelz di Leopold von Sacher-Masoch è un’opera-crocevia della letteratura europea, per molte ragioni.

La prima: pochi decenni prima di Freud e meno di un secolo prima di Lacan, il romanzo di von Sacher-Masoch traccia le linee di una poetica del desiderio che appare dirompentemente novecentesca. Nel romanzo di Masoch già si trova sancita quella legge – poi enunciata da Freud a partire dai Tre saggi sulla teoria sessuale – in forza della quale l’ingresso nella sessualità avviene necessariamente attraverso la perversione, poiché tale ingresso è, da un lato, strutturalmente mediato, se non reso possibile, dal Fantasma, mentre dall’altro, comporta il polimorfismo e il policentrismo del godimento.

Ove si riconsideri, poi, lo scenario di Venus im Pelz in prospettiva lacaniana (pensando in particolare al Seminario XX-Encore e a Je parle aux murs), ebbene, il romanzo di von Sacher-Masoch rappresenta lo spazio del godimento come au-delà assoluto, posto esclusivamente all’insegna del femminile, un ‘aldilà’ dove il piacere d’organo e il cosiddetto ‘rapporto sessuale’ sono interamente trascesi.

D’altronde, prima del Lacan (e come il Lacan) che riflette sulla jouissance mistica, von Sacher-Masoch risemantizza il mito cristiano del sacrificio del Figlio facendone la Urszene del Fantasma di desiderio e di godimento, laddove Freud (L’uomo Mosé) avrebbe piuttosto affermato che il sacrificio del Figlio decreta, in realtà, il trionfo di questi sul Padre. Se visto all’incrocio tra la riflessione lacaniana sul problema del godimento e quella freudiana sulla svolta culturale comportata dal Cristianesimo e dal suo mito fondamentale, il romanzo di von Sacher-Masoch appare davvero un’opera pionieristica e visionaria: investito dalla poussée erotica e libidica, il paradigma sacrificale cristiano si trasforma, sulla scena di Venus im Pelz, in una celebrazione dell’onnipotenza vittimaria.

La seconda ragione è invece legata al lavoro di scavo e riconfigurazione che von Sacher-Masoch opera sulla tradizione letteraria. L’immaginario poetico di Venus im Pelz gemma, infatti, dall’intersezione di due tradizioni: per un verso, quella tedesca della Venere infera e diabolica – il tema mitico-fiabesco del Venusberg (Mons Veneris), ‘caso particolare’, per così dire, del più vasto mito degli ‘dèi in esilio’, che poi deriva direttamente dalla klassiche Walpurgisnacht del Faust goethiano e, nella prospettiva della longue durée, dalla demonizzazione apologetico-patristica tardo-antica della mitologia classica; per l’altro, von Sacher-Masoch guarda alla Francia (dove Venus im Pelz ebbe molto successo) e alla letteratura francese di matrice parnassiano-simbolista, la quale inscena il perturbante ritorno di Venere nella desolata e dissonante modernità industriale e tecnocratica – in un arco che va, per citare solo pochi tra i più illustri esempi, dalla Venus d’Ille di Mérimée (1835-1837), all’Ève future di Villiers de l’Isle-Adam (1886), all’Aphrodite di Pierre Loüys (1896), ai contro-canti parodici di Rimbaud Credo in unam … e Vénus Anadyomène.

La terza ragione è piuttosto legata al problema del dialogo tra le forme dell’espressione artistica e, in particolar modo, al rapporto tra parola poetica e immagine o, più estesamente, tra parola poetica e arti visive. Si può dire senza dubbio alcuno che tutta la vicenda di Venus im Pelz è un discorso-racconto eziologico-ecfrastico intorno all’enigmatico dipinto che appare nelle battute inaugurali del romanzo e campeggia alle pareti dello studiolo faustiano di Gregor accanto a (e facendo da contraltare a) una copia della Venere allo specchio di Tiziano. In questa forte vocazione iconico-ecfrastica di Venus im Pelz, si avverte la fondamentale influenza di quel dibattito estetico, settecentesco all’origine, che nasce e si sviluppa in Francia prima, con la cultura illuministica dei Salons (destinata a giungere almeno fino a Proust), e quindi in Germania con il passaggio tra Classicismo e Frühromantik; quel dibattito estetico, si diceva, sulle diverse possibilità fàtiche nonché soprattutto sull’agonismo fàtico delle e tra le arti destinato poi a ispirare di sé molta letteratura a seguire: per evocare solo qualche esempio tra i più illustri, sul versante francese, da Balzac (Le chef d’œuvre inconnu e Sarrasine) a Théophile Gauthier (Madamoiselle de Maupin e diversi tra i Contes phantastiques) a Flaubert (tra Salambô e La tentation de Saint Antoine); su suolo inglese, dall’Hermaphroditus di Swimburne a The Picture of Dorian Gray di Oscar Wilde; in ambiente germanico, dal Wilhelm Meister di Goethe a Die Elixiere des Teufels di Hoffmann a Das Marmorbild di Eichendorf.

Sul piano del dialogo inter-artes, d’altra parte, Venus im Pelz ha ispirato celebri ricreazioni cinematografiche: da Paroxismus di Jesús Franco (1969) a Vénus à la fourrure di Roman Polanski (2013). La relazione tra Venus im Pelz e il cinema è decisamente privilegiata, date le caratteristiche stesse del romanzo di von Sacher-Masoch, a partire, prima di tutto, dal Venusmotiv: l’allucinazione della statua vivente, l’estetica del tableau vivant, gli squarci ecfrastici, la tensione voyeurista, sono, per così dire, ‘energie’ destinate per eccellenza a diventare image-mouvement e durata esperienziale nel reenactment cinematografico.

C’è, infine, il retroterra mitico che ci riporta alle origini primo-moderne europee (e da queste alla tradizione antica) del motivo ‘Venere in pelliccia’: si tratta dell’immagine di Afrodite-Venere dominante, dell’Afrodite-Venere marziale, cui il dio della guerra cede le proprie armi, sottomettendosi al giogo amoroso: è il celebre topos degli amori di Afrodite-Venere e Ares-Marte che attraversa l’intera cultura poetica e visuale del nostro Occidente per assurgere a tema centrale nella filosofia, nella letteratura e nell’arte del Rinascimento. Di ciò non si fa oggetto in questo numero, ma si tratta di un orizzonte che il lettore di Venus im Pelz deve custodire nella propria memoria.

I saggi che qui sono riuniti affrontano il romanzo di Leopold von Sacher-Masoch all’incrocio di due prospettive teoriche fondamentali: la prima è quella verbo-visiva, che esplora il rapporto tra parola-scrittura, immagine e memoria dell’immagine; la seconda è, necessariamente, quella psicoanalitica, assunta non come metodo, ma come modo ovvero come puro campo problematico e scena di linguaggio.

Massimo Stella articola la sua analisi di Venus im Pelz nello spazio di indistinzione che si apre tra linguaggio e rebus: il discorso del masochista (e, en abyme, quello del suo lettore) non richiede forse strutturalmente un accessus enigmistico? Non è forse la Sfinge a signoreggiare sul racconto del masochista-interrogante? Tra feticci e statue, il masochista si pone ognora nella posizione del decrittatore: un carpire-capire in cui ogni gesto di effrazione passa attraverso il teatro dell’interpretazione. Ogni scrittura ferisce per ghermire, utilizzando il corpo del testo (e dell’immagine) come un’aruspicina di organi. Intrecciando le riflessioni di Freud e Lacan sulla pulsione e sul godimento masochisti, nonché rileggendo Venere in pelliccia alla luce delle Metamorfosi di Apuleio e di A Midsummer Night’s Dream di Shakespeare, il saggio di Massimo Stella si conclude sullo choc astorico dell’Origine du monde di Courbet, che squarcia il nostro immaginario con un taglio più avanguardistico di qualsiasi ouverture di Lucio Fontana. 

Giovanni Bottiroli fa questione intorno al problema centrale della perversione, abitando contemporaneamente lo spazio del linguaggio lacaniano e quello del linguaggio freudiano per discutere i modelli elaborati nel tentativo di illuminare la scena del desiderio perverso, scena destinata, tuttavia, a essere, almeno per la sua maggior parte, impenetrabile – la Cosa cui il perverso tende essendo l’Irrappresentabile per definizione. Nella sua analisi del testo masochiano, Bottiroli esplora soprattutto le torsioni di questo movimento composito e flessibile verso la Cosa: le sue plasticità, le sue tensioni, le sue oscillazioni e i suoi paradossi, tra cui, quello primo, la coincidenza tra gli opposti poli dell’amore e del godimento.

Nel passaggio dal paganesimo al cristianesimo, il dispositivo masochista si trasforma torcendosi fino al suo punto estremo di rottura. Come scrive Francesca Monateri, i corpi masochisti si dispongono sempre e necessariamente di fronte a una Legge. Attraversando lo snodo della deleuziana Presentazione di Sacher-Masoch, per un verso, e accostando il supplizio-godimento del masochista alla beatitudine-annientamento dei martiri, per l’altro, Monateri arriva a ipotizzare che il masochismo rappresenti il “piacere dei moderni” ovvero quella modalità del piacere in virtù della quale pazienti e pensatori, scrittori e analisti possono sperimentare “il conflitto senza esserne travolti”.

Sul filo dell’intuizione deleuziana secondo cui la vicenda del romanzo di von Sacher-Masoch si svolge all’insegna tutta tizianesca dell’enigmatica relazione tra carne, pelliccia e specchio, Mena Mitrano reinterpreta il titolo masochiano Venus im Pelz al modo di un’olofrase in cui si legano tra di loro tre istanze: l’immagine – intesa sia come copia sia, all’opposto, come fantasma (imago) –, la funzione proiettiva dell’Io-Occhio (il miraggio) e lo sguardo come reciprocità  tra il soggetto e (il suo) altro, onde dare voce al desiderio che sorregge il fare artistico ovvero alla sua domanda di relazione, di ascolto, di accoglimento, di cura. Mena Mitrano esplora questa complessa costellazione problematica studiandola attraverso la lente di due casi celebri di transfert transatlantico (americano) del motivo Venus im Pelz: il sodalizio tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, per un verso, e quello tra Susan Sontag e Paul Thek, per l’altro.

“Wanda von Dunajew non esiste”: questa provocazione inaugura il saggio di Andrea Bellavita, che ripercorre l’immaginario mediale costruito dal cinema (non senza proiezioni, fraintendimenti e pericolosi reenactments) attorno a Venus im Pelz. Andrea Bellavita si concentra, in particolare, sulla pellicola teatralizzata di Roman Polanski (2013) e sulla sedizione dell’attrice-Wanda contro il proprio ruolo di fantasme lacaniano, di personaggio scritto e fantasticato, malgré elle, dal regista-Severin. Polanski (‘poeta’ del masochismo fin da Repulsion e Le locataire) forgia un dispositivo a scatole cinesi, dove i molteplici ruoli del regista, ora riscrittore, ora alter ego e persino analista, si ibridano in un irresistibile meticciato.

Attraverso l’analisi di Venere in pelliccia di Guido Crepax (ma nondimeno sullo sfondo di altre due celebri opere dell’autore, Histoire d’O e Justine), Chiara Portesine delinea una vera e propria grammatica dello sguardo perverso-masochista, fondandosi sul confronto costante tra l’entre-deux visuale-verbale dell’adattamento crepaxiano e quello del romanzo masochiano. Il legame tra parola, visione e desiderio non potrebbe essere più stretto poiché ciascun elemento dei tre è articolato strutturalmente all’altro: da tale multipla articolazione deriva un un gioco perturbante di proiezioni e rovesciamenti tra i soggetti del teatro masochista – come avviene nell’episodio conclusivo, ove Wanda-Venere riproietta su Gregor il miraggio omosessuale che lui proiettava su di lei, allestendo uno spettacolo sacrificale nel quale la vittima deve vestire ‘la pelle’ della carnefice.

English abstract

Leopold von Sacher-Masoch’s Venus im Pelz is a seminal work of European literature for several reasons. The first: a few decades before Freud and less than a century before Lacan, von Sacher-Masoch’s novel devises a poetics of desire that appears disruptively contemporary. The second reason is related to the reconfiguration that von Sacher-Masoch operates on the literary tradition. The poetic imagery of Venus im Pelz grows out of the intersection of two traditions: on the one hand, the German tradition of the infernal and demonic Venus; while, on the other hand, von Sacher-Masoch looks to France (where Venus im Pelz was very successful) and to French Parnassian-symbolist literature, which stages the disturbing return of Venus in the desolate and dissonant industrial and technocratic modernity. The third reason is rather related to the problem of the dialogue between the forms of artistic expression and, in particular, the relationship between poetic word and image or, more broadly, between poetic word and visual arts. Finally, there is the mythical background that takes us back to the early modern European origins (and from them to the ancient tradition) of the “Venus in Furs” motif: it is the image of the dominant Aphrodite-Venus, of the martial Aphrodite-Venus, to whom the god of war surrenders his weapons, submitting to the yoke of love: it is the famous topos of the loves of Aphrodite-Venus and Ares-Mars that runs through the entire poetic and visual culture of the Western World. Essays by: Massimo Stella, Giovanni Bottiroli, Mena Mitrano, Francesca Monateri, Andrea Bellavita, Chiara Portesine.

keywords | von Sacher-Masoch; Venus in Furs; Freud; Lacan; Desire; Jouissance; Masochism.

Per citare questo articolo / To cite this article:Chiara Portesine, Massimo Stella, VenereFuoriTempo. Intorno a Venere in pelliccia. Editoriale di Engramma 223, “La Rivista di Engramma” n. 223, aprile 2025.