"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

98 | maggio/giugno 2012

9788898260430

Dioniso: “E perché voi ancora esitate di fronte all’inevitabile?”

Recensione a Baccanti di Euripide per la regia di Antonio Calenda (XLVIII Ciclo di Rappresentazioni classiche, Teatro greco di Siracusa)

Manuel Giliberti

English abstract

Antonio Calenda, regista di queste Baccanti in scena al Teatro Greco di Siracusa non ha esitazioni nel dichiarare che “sarà in scena il gioco dell’ambiguo, in cui i tratti di accennata e tragica comicità usciranno fuori da note dissonanti e contrasti sottili, tutti necessari a raggiungere l’akmé del pathos e del penthos”.

La scena di Rem Koolhaas Oma*Amo per gli spettacoli del XLVIII Ciclo di Spettacoli classici al Teatro Greco di Siracusa

E in realtà la sfuggente ambiguità del testo per la quale tutti i personaggi, indistintamente, agiscono forse senza conoscere fino in fondo il proprio ruolo esatto, è mirabilmente rappresentata e raggiunta nel disegno registico che Calenda ha reso meccanismo perfetto in ogni sua parte.

Dioniso appare nelle Rane come dio comico, unico in grado di individuare il miglior autore di tragedie; in Baccanti non mancano coloriture comiche come per esempio nella sequenza, farsesca quasi, della danza di Tiresia e Cadmo e in parte nella vestizione di Penteo che si preoccupa della veste e delle sue pieghe o del ricciolo che scompone la propria acconciatura. Con la sua messa in scena di Baccanti Calenda raggiunge, a mio parere, un pari atteggiamento verso i due generi, commedia e tragedia e alternativamente usa, con distacco e ironia la commistione dei due generi dai quali la tragedia stessa sembra essere in più punti caratterizzata. Così il regista dichiara:

Proprio attraverso questa lettura di Dioniso, che condivido con il traduttore, si esplica una metateatralità che non ha precedenti nella tragedia greca, non solo per le variazioni di stile, che transita dal lirico al ‘paracomico’ fino al tragico puro, ma anche e soprattutto per lo svolgersi del dramma stesso, cioè dell’azione. Infatti è come se gli eventi fossero pilotati da Dioniso che da grande metteur en scène, ovvero da regista, dirige sulla scena una tragedia amara, cinica e sprezzante il cui copione è scritto dallo stesso dio.

L’ingresso di Dioniso (Maurizio Donadoni) nel prologo di Baccanti di Euripide

La scena della vestizione di Penteo per esempio, che nella versione di Ronconi si era caricata di erotismo sotterraneo, viene presentata invece da Calenda con profonda partecipazione emotiva a quello che in realtà è l’atto che ‘deve’ compiersi per dare avvio inarrestabile al doloroso destino di Agave, della stirpe di Cadmo tutta e dunque ovviamente anche del re ribelle Penteo. Nella interpretazione dello stesso Donadoni/Dioniso passa l’accenno, appena percepibile, di un sentimento di pietà, che nasce dalla resa incondizionata del giovane re allo stesso disegno del dio, come si trattasse di una vittoria ottenuta con troppa facilità. Questo sentire verrà subito coperto dal pudore della necessità del compimento del sacrificio.

La vestizione di Penteo (Massimo Nicolini) in Baccanti di Euripide

Grazie a queste che Calenda stesso definisce “note dissonanti e contrasti sottili” nel corso della scena, sulla comicità della parola scritta e dell’irrituale travestimento prevale così nello spettatore la pietà per l’ignaro Penteo che costruisce, passo dopo passo, quello che è il preludio della sua fine. Il travestirsi di Penteo assume infine, allontanandosi da un semplice comportamento di patologica follia, tutti i caratteri di un preciso atto rituale.

Fondamentale è dunque, per il raggiungimento di questa idea registica così precisa ma insieme così ‘delicata’ la costruzione del personaggio di Dioniso. Il regista chiede a un attore come Maurizio Donadoni, di innegabile temperamentosità e fisicità, di ’mortificarsi’ in un certo senso proprio rispetto e queste sue doti, e di farsi, ricevendo in cambio una adesione intelligente e di eccellente livello, ironico e buffonesco personaggio, illuminato da consapevolezze che si fanno appena intravedere, impegnato in un gioco dall’esito scontato e che appunto per questo in realtà non lo diverte più di tanto. Ciò che si compirà è volontà di Zeus ([…] di Giove quanto avviene è decreto antico […]) ed è già predeterminato. La caccia ed il sacrificio sono già ‘scritti’. Il rito dovrà compiersi e Penteo è la vittima predestinata della caccia sacrificale nella quale lo sparagmòs e l’omofagia dionisiaca avranno il loro compimento.

Dioniso (Maurizio Donadoni) e Penteo (Massimo Nicolini) in Baccanti di Euripide

Questo scambio continuo tra ciò che è e ciò che sarà, tra ciò che sembra e ciò che è (lo straniero sembra un imbonitore ma si sottrarrà alle catene e punirà il palazzo e la città con atto freddo ma irosamente dimostrativo; il determinato Penteo che cadrà nella rete del dio e accetterà la vergogna del travestitismo e l’abiezione della proposta di divenire spettatore e testimone occulto dei riti sul Citerone, compiendo così atto non ‘eroico’ che annulla ogni precedente atteggiamento di responsabile coraggio e sfida), che lo stesso Euripide dipana nella narrazione, viene raccontato dal regista e dai suoi interpreti con connotazioni attoriali delle quali i diversi personaggi si vestono comunicandoci il continuo travaso tra verità apparente e verità sostanziale. La comoda e finta follia dell’indovino Tiresia e del vecchio re Cadmo fa da contrappunto alla reale perdita di senno delle baccanti Tebane? E la iniziale, lucida ma testarda resistenza di Penteo non è forse anch’essa una follia, sia pure di altra natura? Lo spettatore è così condotto per mano nel labirinto dell’ambiguità di Euripide stesso: ai quesiti senza soluzione predeterminata che la tragedia pone va data esito nella misura in cui ognuno, chiamato a partecipare al rito teatrale, sia al di qua che al di là della scena, ritiene di poter attribuire risposte. Come può, come sente, come crede.

Seguendo questa impostazione Calenda compie una scelta di geniale identificazione tra significato e interprete affidando al Martha Graham Dance Company il compito impegnativo di impersonare, nel movimento e nelle ’immagini’ le baccanti d’Asia. Scelta intelligente e non di servizio perché è proprio la storica formazione a rappresentare oggi nel mondo della danza artistica e concettuale una serie di principi che, applicati alla coreografia di Baccanti, regalano agli spettatori la trasposizione contemporanea dei movimenti e del portamento delle menadi. È infatti dalle pitture vascolari che possiamo dedurre il codice del movimento del corpo femminile nell’estasi dionisiaca, ma è grazie a numerosi riferimenti letterari, sia nelle stesse Baccanti che in numerosi altri testi che si evidenzia come ogni gesto del corpo, il portamento stesso della testa, lo scuotimento dei lunghi capelli (“scuotendo i capelli come le baccanti […]” in Lisistrata di Aristofane), la testa gettata indietro e il collo inclinato verso l’alto siano tutte caratteristiche costanti e ripetute delle danzatrici estatiche. Le coreografie create per Baccanti applicano con perfetta aderenza a quanto detto le tecniche basilari della danza di Martha Graham; il contraction-release, quel movimento che oppone due forze contrarie e complementari: la contraction, una spinta della vita all’indietro mentre i muscoli del bacino vengono spinti in avanti, le spalle sono erette, in costante tensione verso l’alto e il release che è un movimento opposto, non abbandono totale del controllo sul proprio corpo ma piuttosto una scarica di energia che si estende in senso opposto rispetto alla contrazione. In costante rapporto con il suolo i piedi sono nudi, espressivi e definiscono simbolicamente con la battuta del piede stesso sul terreno una ripresa di contatto tra la possessione divina e le forze naturali e concrete. (Proprio ai ritmi saltellati con battute a terra dei piedi delle danze rituali furono uno dei modelli cui si ispirò la Graham).

Il Coro (Martha Graham Dance Company) in Baccanti di Euripide

Così scrive Giorgio Ieranò nella sua Introduzione alle Baccanti di Euripide:

Abbigliate nei bei costumi di Pier Paolo Bisleri, il rosso delle vesti nascosto dapprima, e poi disvelato, dal nero del costume/mantello/veste le danzatrici, come e al pari della voce del coro, prestano ‘movimento parlante’ ... alla voce lirica e appassionata del coro delle baccanti asiatiche, fedeli anima e corpo a un Dio che pure si nasconde anche alla loro vista e che anche a loro offre la finzione di un travestimento; una voce a volta altissima, di una poesia aerea e trasognata, a volte solenne nella rievocazione del rito dionisiaco [...].

Le danzatrici si impongono, sono a tutti gli effetti la proiezione del dio e riescono a suggerire una mondo in cui la presenza maschile non è prevista e ancor meno tollerata o tollerabile. Sono la razionale evidenziazione visiva delle menadi del Citerone che, inconsapevoli, si preparano a compiere il gesto più estremo e ingiustificato. Sono loro che non conoscono, al pari di Dioniso, pietà o giustizia se non quella dettata dalla cieca obbedienza e adesione alla volontà divina. E a loro che la disperata Agave (una straziata e straziante Daniela Giovannetti di grande intensità) dovrebbe rivolgere il proprio dolore e la propria disperata consapevolezza. Donne che hanno rinnegato se stesse per un Dio che utilizza poi la loro follia per un disegno di estrema offesa alla natura materna, simbolo stesso della femmina.

Il Coro (Martha Graham Dance Company) in Baccanti di Euripide

Calenda suggella così la sua settima presenza al Teatro Greco di Siracusa consegnandoci uno spettacolo rigoroso, duro, una messinscena severa ma insieme poetica che non concede spazio ad illusioni. In perfetta attuazione della scrittura euripidea il regista ha realizzato il coinvolgimento del pubblico condotto per mano dalle parole di Dioniso come testimone dei riti sul Citerone; insieme a Penteo Dioniso ci invita infatti sul monte e la magia ipnotica del dio, esercitata su Penteo diviene pari, nei confronti del pubblico, a quella esercitata dalla finzione poetica. Il ritorno alla realtà avverrà per lo sfortunato re troppo tardi, quando ormai la sua figura regale sarà smembrata e si sarà compiuta la sua identificazione con la vittima bestiale. E parimenti il rientro in se stessa di Agave e il suo dolore riporteranno tutti noi, alla fine alla realtà. E anche le asiatiche baccanti, abbandonando la scena, sembrano ‘giocare’ con un gruppo di scolarette, che ad inizio spettacolo erano apparse incuriosite dalla montagna di tubi e ferro e legno che da lì a poco si sarebbe aperta per ‘vomitare’ in scena il carro mistico portatore del dio mascherato e della sua volontà distruttrice e punitiva.

Il Coro (Martha Graham Dance Company) nell’esodo di Baccanti di Euripide

English abstract

For the 48th Cycle of Classical Plays organized by Fondazioen Inda, Antonio Calenda, working this year for the seventh time at the Greek theatre of Syracuse, directed Euripides’ Bacchae. Calenda staged a ‘harsh’ performance, severe but poetic at the same time, recreating the mix of comedy and tragedy that characterizes the ancient text. The spectators are involved by Dionysus (Maurizio Donadoni) and they become witnesses of the rites on the Cithaeron with the Bacchae, beautifully played by the Martha Graham Dance Company, whose dancers can be considered the contemporary transposition of maenads.

keywords | Antonio Calenda; Euripides Bacchae; Syracuse.

Per citare questo articolo / To cite this article: M. Giliberti, Dioniso: “E perché voi ancora esitate di fronte all’inevitabile?”. Recensione a Baccanti di Euripide per la regia di Antonio Calenda (XLVIII Ciclo di Rappresentazioni classiche, Teatro greco di Siracusa), ”La Rivista di Engramma” n. 98, maggio-giugno 2012, pp. 14-19 | PDF

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2012.98.0002