"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Ninfa impertinente: Victorine e la Patera di Parabiago

A proposito dei modelli del Déjeuner sur l’herbe di Manet e, prima, di Raffaello

Monica Centanni

Su questo tema, vedi in questo stesso numero di Engramma, La ninfa di Manet: deduzioni formali e ispirazione tematica

English abstract

Manet “un fidato amministratore dell’eredità della tradizione”

Nel 1929 Aby Warburg dettava a Gertrud Bing un lungo appunto, molto probabilmente l’abbozzo per un saggio che, nel taccuino in cui è conservato presso il Warburg Archive a Londra, porta il titolo Manet’s “Déjeuners sur l’herbe”. Die vorprägende Funktion heidnischer Elementargottheiten für die Entwicklung moderner Naturgefühls (Il Déjeuner sur l’herbe di Manet. La funzione prefigurante delle divinità pagane elementari per l’evoluzione del sentimento moderno della natura, WARBURG [1929] 1984).

La riflessione di Warburg prendeva spunto da un contributo di Gustav Pauli che a sua volta rilanciava e argomentava un’intuizione di Ernest Chesneau (CHESNEAU 1864, p.190): per il Déjeuner di Manet, “il quadro moderno che pone maggiori difficoltà al critico che voglia provarne le connessioni formali e sostanziali della tradizione” (WARBURG [1929] 1984, p. 40), era “possibile indicare il modello antico e il mediatore italiano con una esattezza quale di rado è riuscita alla scienza dell’arte” (WARBURG [1929] 1984, p.41).

Nello stesso 1929 Warburg stava lavorando al grande progetto del Bilderatlas Mnemosyne, e nella tavola 55 viene proposto un percorso di deduzione iconografica preciso: la Ninfa nuda del picnic che tanto scandalo aveva suscitato a Parigi nel 1863 quando era stata esposta al Salon des Refusés, poteva vantare un pedigree autorevole. Il montaggio di tavola 55 ci indica chiaramente i motivi e i percorsi attraverso i quali, secondo Warburg, la Ninfa approda sulla tela del pittore: se per il tema e per la composizione Manet si era ispirato al Concerto campestre di Giorgione, la posa impertinente della sua scandalosa Victorine (Victorine Meurent, la modella prediletta dell’artista) ha un precedente illustre in un’incisione di Marcantonio Raimondi da Raffaello.

Dalla ‘ninfa’ di Giorgione a Victorine di Manet: particolare da Atlas Mnemosyne, Tavola 55

L’incisore Marcantonio Raimondi (Bologna 1480 ca. - 1534 ca.), copia un’opera perduta di Raffaello raffigurante il Giudizio di Paride; a sua volta Raffaello si sarebbe ispirato a un sarcofago visibile a Roma, ora murato nel giardino di Villa Medici. Nella tavola 4 del Bilderatlas, Aby Warburg espone anche i modelli antichi delle Ninfe di Giorgione e di Manet presenti in tavola 55. Come sempre la complessa strategia argomentativa dell’Atlante rifugge programmaticamente da ogni semplificazione iconografica e mira a sottolineare sempre l’importanza del testo mediatore (nel caso specifico l’incisione cinquecentesca) rispetto all’identificazione secca di un modello unico: l’Atlante ci insegna che quasi sempre nella tradizione è la serie che ‘fa testo’ (vedi al proposito in Engramma: i contributi di Marianna Gelussi sui modelli della ‘Danza dei nudi’ del Pollaiolo e sui modelli del Satiro di Mazara del Vallo; e più in generale, il mio contributo L’originale assente: il gruppo del Laocoonte in Tavola 41a). Dunque in tav. 55 l’opera di Manet ci viene presentata come esito finale in un processo di trasmissione in cui un ruolo importante è svolto dal ‘testo mediatore’ (l’incisione di Marcantonio Raimondi da Raffaello); all’interno del gruppo di tavole 4-8 che presentano le le “Preformazioni” (ovvero i modelli antichi) Warburg esibisce anche i ‘modelli originali’ in una serie di sarcofagi datati al II secolo d.C. che hanno come soggetto il Giudizio di Paride.

  

Sarcofagi romani raffiguranti il Giudizio di Paride  in Atlas Mnemosyne, Tavola 4

In particolare per il gruppo delle due figure sulla destra – il dio Fiume e la ninfa – Raffaello (giusta Raimondi) avrebbe tratto bensì ispirazione dal sarcofago di Villa Medici, ma avrebbe introdotto però una significativa variante rispetto al modello: la ninfa che “nell’arte pagana leva estaticamente adorante il capo verso le meraviglie dell’alto [i.e. verso il ritorno di Venere all’Olimpo] nell’incisione volge la testa al contemplante mondo esterno”.

Sarcofago di Villa Medici con il Giudizio di Paride

Incisione di Marcantonio Raimondi raffigurante il Giudizio di Paride

Suggestioni da Giorgione

Stando dunque a Warburg (sulla scorta di Pauli e Chesneau) il modello della ninfa di Manet sarebbe “esattamente” l’incisione di Marcantonio Raimondi da Raffaello. In un breve saggio pubblicato del 1996 uno studioso veneziano proponeva invece un convincente modello ‘giorgionesco’ come mediazione ulteriore tra il sarcofago antico e Manet. Guerrino Lovato ricorda infatti che nel 1859 il ventiseienne Manet compie il suo secondo viaggio in Italia. Il soggiorno segna profondamente il giovane pittore: è proprio in occasione di una sua visita di studio che ha modo di copiare anche la cosiddetta Venere di Urbino di Tiziano, schizzo che, qualche anno dopo (è il 1863), viene utilizzato per la celebre Olympia (tela oggi al Musée d’Orsay). Manet per altro dichiara esplicitamente il suo debito verso Giorgione: non è da escludere – sostiene Lovato – che il pittore, magari andando a far visita alla famosa pala conservata nel Duomo di Castelfranco, possa avere ammirato gli affreschi del Palazzo Piacentini che affaccia sull’attuale Piazza Giorgione. Secondo la critica quegli affreschi furono realizzati nel secondo Cinquecento da Cesare Castagnola, ma nell’incertezza che allora come ora avvolge le attribuzioni al Maestro, alla metà dell’800 potevano essere considerati di mano del Giorgione (LOVATO 1996, p. 49). Tra gli affreschi è una scena della Caduta di Fetonte, oggi piuttosto rovinata ma nell’800 sicuramente più leggibile: nella parte centrale raffigura Fetonte che cade a precipizio con il suo cocchio e i quattro cavalli scomposti nella caduta e aggrovigliati nelle redini; nella parte inferiore un gruppo di divinità, seduto nei pressi di un fiume tra la vegetazione, assiste alla scena.

Affresco di Castelfranco raffigurante la Caduta di Fetonte

Accostando il particolare dell’affresco di Castelfranco all’opera di Manet le somiglianze paiono stringenti: l’ambientazione e la postura dei personaggi ricalcano il profilo delle figure dell’affresco giorgionesco, più che le figure dell’incisione cinquecentesca: in particolare “la figura del fiume di destra è esattamente nella posa del personaggio con il berretto di Manet e la sua gamba destra è esattamente come nel dipinto impressionista e non come nel modello inciso” (LOVATO 1996, p. 51). A questo importante dettaglio si aggiunge il fatto che “la nota bagnante sul fondo, che non esiste in Raimondi, la ritroviamo nell’affresco e si intravedono anche degli oggetti in primo piano paralleli alla natura morta di Manet” (Lovato 1996, 51).

Confronto tra l’affresco di Castelfranco e il Déjeuner di Manet: lezioni congiuntive

Affresco di Castelfranco (particolare)

Manet, Déjeuner sur l’herbe (particolare)

Affresco di Castelfranco (particolare)

Manet, Déjeuner sur l’herbe (particolare)

Affresco di Castelfranco (particolare)

Manet, Déjeuner sur l’herbe (particolare)

Agli argomenti di Lovato si può aggiungere un altro elemento. Esiste anche una variante del dipinto che Manet predispose poco prima del 1863, oggi conservato presso il Courtauld Institute di Londra, che ritrae la ninfa nella medesima posizione, ma con i capelli fermati da una ghirlanda o cuffia: la stessa acconciatura che, a quanto è dato di vedere, la ninfa porta nel ‘modello’ giorgionesco di Castelfranco*.

Bozzetto per il Dejeuner del Couthaul Institute (particolare)

Affresco di Castelfranco (particolare)

Se come Manet stesso proclama per difendersi dagli attacchi della critica l’ispiratore del soggetto del suo Déjeuner era Giorgione e i suoi Concerti campestri, l’esistenza di ben tre e forse quattro lezioni congiuntive tra l’affresco di Castelfranco e l’opera del pittore pare certificare che anche nei dettagli formali l’ispirazione possa essere venuta all’artista direttamente da un’opera (ritenuta) giorgionesca piuttosto che dall’incisione raffaellesca. Vero è che a metà dell’800, anche grazie alle prime riproduzioni fotografiche erano in circolazione copie delle incisioni di Raimondi: ma è più facile ipotizzare la suggestione su Manet dell’affresco giorgionesco esposto sulla piazza di Castelfranco, certamente più accessibile. La successione si lascia dunque così riordinare:

Sarcofago di Villa Medici

Marcantonio Raimondi (Raffaello perduto)

Affresco di Castelfranco

Giorgione, Concerto campestre

Manet, Déjeuner sur l’herbe

Abbiamo così ricostruito il ruolo di un ulteriore, possibile ‘testo mediatore’ – un altro anello nella catena che conduce dai sarcofagi romani a Manet. Questa ricostruzione certifica, con ancora più forte evidenza, che la supposta invenzione provocatoria di Manet si iscrive invece perfettamente nella serie di riprese e citazioni di un soggetto – concerto campestre con ninfa – che, come attestano i testimoni plurimi (Raffaello, Raimondi, Giorgione-Castagnola, Manet) ha una buona fortuna per tutta la prima metà del XVI secolo, e che, dopo più di tre secoli di latenza, Manet riesuma. In questo senso l’artista che dà scandalo e che epàte le bourgeaux è da considerare al contrario, secondo la definizione tecnica del mancato banchiere Warburg “un fidato amministratore dell’eredità della tradizione” (Warburg [1929] 1984) e in particolare della tradizione del maestri italiani del Cinquecento (sugli attacchi critici che Manet subì per la sua opera “volgare e maliziosa” vedi da ultimo: Pellizzer 2004).

Edouard Manet reinventa la scena del Concerto campestre come un moderno picnic, avvalendosi di uno o più modelli e suggestioni, a cui si rifà in tutti i dettagli. L’aggiornamento più evidente sono i vestiti moderni delle figure maschili – panni borghesi che vengono letti dalla critica del tempo come “provocatori”, e tali sono ma soltanto rispetto alla ‘classica’ nudità della ninfa Victorine. Anche in questo caso, come nella nota allegoria di Tiziano, panni ‘profani’ versus ‘sacra’ (assoluta) nudità.

Il Giudizio di Paride di Raffaello e i suoi modelli archeologici: lezioni congiuntive e disgiuntive

Ma facciamo ora un passo indietro per verificare un altro punto critico della ricostruzione che, a quanto mi risulta, non è stato ancora affrontato e discusso: lo sguardo della ninfa sarebbe un’invenzione tutta raffaellesca poiché (afferma Warburg) non si ritrova nel modello antico (ovvero nel sarcofago di Villa Medici).

Accogliendo l’ipotesi che un modello di Raffaello possa essere stato il sarcofago di Villa Medici, andiamo a verificare puntualmente quali siano le lezioni congiuntive e disgiuntive tra antigrafo e apografo. In questa operazione di confronto di dettagli è utile ricorrere, oltre che all’immagine fotografica del pezzo archeologico, anche a un’incisione cinquecentesca esemplata dal sarcofago, opera di Giulio Bonasone, non artisticamente eccelsa ma già segnalata dallo stesso Warburg perché riproduce molto fedelmente i dettagli del modello antico e ci restituisce anche lo stato di leggibilità che il sarcofago presentava al tempo di Raffaello. Nel confronto va tenuto in conto il fatto che, mentre il sarcofago antico, come è evidente dall’incisione di Bonasone, presenta un compendio di diversi episodi della storia del Giudizio, Raffaello sceglie di rappresentare soltanto la scena della contesa.

 

Sarcofago di Villa Medici

Giulio Bonasone, incisione dal sarcofago di Villa Medici
(l’immagine è invertita destra/sinistra)

Marcantonio Raimondi (Raffaello perduto)

Confronto tra il Giudizio di Paride di Raffaello e il sarcofago Villa Medici

LEZIONI CONGIUNTIVE
- carro del sole (al centro del cielo)
- Giove in trono (in alto a destra) con Atlante sotto che sostiene il cielo
- postura di Paride
- postura (e direzione dello sguardo verso l’alto) del dio Fiume

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2004.36.0004