"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

225 | giugno 2025

97888948401

Con o senza akribeia?

Su filosofia e scienza nel dibattito ellenistico*

Selene I.S. Brumana

English abstract

Nel contributo si intende riflettere sulla ricerca o meno di esattezza come possibile elemento di dibattito in età ellenistica nella determinazione della fisionomia, ovvero dell’identità disciplinare, della filosofia e della scienza. Si tratterà di considerare l’esattezza nelle sue sfumature, anzitutto come precisione che si realizza in un approfondimento scrupoloso e come rigore epistemologico perseguito. In una parola, il tema della akribeia o meno delle discipline si rivela di notevole importanza e, in queste articolazioni della nozione, esso viene a intrecciarsi con questioni cruciali quali la modalità di ricerca delle cause e le strategie argomentative adottate. Senza dubbio si tratta di un tema vasto, poiché attraversa sensibilità diverse del pensiero, e complesso, non da ultimo per la varietà di discipline coinvolte (cfr. Kurz 1970: e.g. storiografia tucididea, medicina ippocratica e filosofia di epoca classica). Mi occuperò qui in particolare di epicureismo e aristotelismo (tema su cui si vedano almeno: Bignone 1973; Gigante 1999; Verde 2016), prestando attenzione ad alcune specificità delle rispettive prospettive ed esplorando possibili interazioni dialettiche fra le due scuole su questo specifico punto (sull’epicureismo e i dibattiti scientifici è utile tenere conto anche dei recenti studi in Masi, Morel, Verde 2023 e 2024).

Nell’Epistola a Erodoto Epicuro fa un ampio ricorso alla nozione di esattezza, espressa da uno specifico lessico di riferimento: ἀκρίβεια, ἀκρίβωμα, ἐξακριβόω (Angeli 1985; Morel 2024; per uno sguardo nell’ambito dell’epicureismo cfr. Usener 1977, s.v. ἀκρίβεια, ἀκριβής ἀκριβῶς, ἀκριβοῦν, ἀκρίβωμα, ἐξακριβοῦν, προσδιακριβοῦν). Epicuro si avvale di tale concetto per sottolineare la puntualità e l’accuratezza scientifica richieste necessariamente alla physiologia, la scienza della natura, affinché questa aitiologia possa recare beneficio all’uomo privandolo di timori e turbamenti, a conferma di un percorso in cui dimensione scientifica e terapeutica si intrecciano (sul valore cruciale della scienza nel sistema filosofico epicureo: Verde 2025).

E certamente si deve ritenere anche che è compito della scienza della natura (φυσιολογίας ἔργον) investigare con accuratezza (ἐξακριβῶσαι) la causa delle questioni più importanti (τὴν ὑπὲρ τῶν κυριωτάτων αἰτίαν) e che la beatitudine, nella conoscenza dei fenomeni celesti, risiede in ciò e nel (conoscere) quali siano le nature che così si osservano relativamente ai fenomeni celesti e quante siano a esse affini per conseguire l’accurata conoscenza in proposito (πρὸς τὴν εἰς τοῦτο ἀκρίβειαν) (Hrdt. 78, trad. di Verde 2010).

Nei riguardi dei meteora occorre raggiungere un’utile e accurata conoscenza (τὴν ὑπὲρ τούτων χρείαν ἀκρίβειαν) seguendo il metodo delle molteplici spiegazioni, il solo in grado, mediante l’individuazione di più cause di un fenomeno, di contribuire all’imperturbabilità; diversamente, si avrà una (non-)conoscenza inutile al perseguimento della felicità, con il risultato che alcuni uomini, pur avendo l’aura di esperti, invero ignorano le nature dei fenomeni e le loro cause capitali (τίνες δ’ αἱ φύσεις ἀγνοοῦντας καὶ τίνες αἱ κυριώταται αἰτίαι) (Hrdt. 79-80). Con intento evidentemente critico, l’akribeia si configura qui come il contraltare delle opinioni vuote e infondate contro cui Epicuro erge in modo titanico la propria concezione di filosofia. In tal senso, pur in assenza di termini legati alla famiglia semantica della akribeia, la nozione potrebbe figurare anche nell’esordio dell’Epistola a Pitocle, in riferimento alla acutezza, indispensabile nel ripercorrere i princìpi salienti della dottrina (§85 ὀξέως αὐτὰ περιόδευε) (Morel 2024, 37-38).

Come noto, Epicuro riesce a far convivere precisione scientifica e un’efficace fruibilità della dottrina tramite la realizzazione di compendi dei suoi capisaldi teorici (sulla Kompendienliteratur nel Kepos: Damiani 2021). A suo avviso, è essenziale salvaguardare un livello di esattezza tale da scongiurare il pericolo di banalizzazioni o distorsioni di contenuto, pericolose non tanto di per sé, quasi che la fisiologia epicurea possa ridursi a un cumulo di aride nozioni, bensì per gli effetti negativi che si ripercuotono in ambito etico, causando all’uomo assenza di beatitudine (Verde 2010, 223: “vi è beatitudine solo se sussiste in precedenza un’adeguata conoscenza dei fenomeni naturali in generale”). Secondo Epicuro (GV 26), il discorso lungo e il discorso breve tendono allo stesso scopo. Insieme a opere per vocazione di approfondimento quale dovette essere l’opus magnum in trentasette libri del Περὶ φύσεως, insieme altresì allo scrupolo degli epicurei per preservare filologicamente la lettera del verbo del maestro in un’ottica di fedeltà quasi religiosa, è irrinunciabile poter disporre di scritti di sintesi – sintesi che mira a comunicare il sapere filosofico con uno stile immediato e fruibile, ma non per questo ingenuo sul piano teorico. Si tratta di un modus philosophandi destinato a durare nella storia del Kepos: per richiamare un esempio nella tradizione ellenistica, l’epicureo Demetrio Lacone afferma di aver tenuto lezioni nelle quali si era proposto di esaminare in breve, eppur con accuratezza, la difesa in riferimento a quanto detto contro le sensazioni (PHerc. 1013, col. 22 Romeo – su συντόμως περιοδεύσαι: Romeo 1979, 32-33); lo stesso Demetrio, che pure era uso argomentare in modo assai succinto (e.g. σ[φ]όδρ’ ἐπιτόμως in Phld. PHerc. 1065, col. 28, su cui Manetti, Fausti 2022, 208-209), mette altresì in guardia da semplificazioni eccessive e sottolinea l’importanza che la trattazione concisa sia coerente (PHerc. 1012, col. 51-56 Puglia).

Nel Giardino, dunque, sintesi ed esattezza sono senz’altro percepite come nozioni sinergiche, e non antagoniste. La akribeia indica non solo l’approfondimento minuzioso della natura e un suo esame particolareggiato, lecito purché della dottrina sia salvaguardata la conoscenza generale, a cui sempre occorre tornare, ma anche l’accuratezza metodologica del filosofo nel fare scienza, si tratti pure di un esercizio di memorizzazione di nozioni compendiate. Pertanto, l’akribeia non è confinata all’esattezza analitica di singoli particolari, ma concerne il sapere nel suo complesso (Morel 2024, 38-40, con un accenno anche all’occorrenza di ἀκριβόω in Nat. XXVIII, fr. 8 col. 4 Sedley = [31] 4 Arr.2). Sempre nella Epistola ad Erodoto si legge, in principio e in conclusione dello scritto:

O Erodoto, per coloro che non sono in grado di analizzare accuratamente (ἐξακριβοῦν) ciascuna delle opere da noi scritte sulla natura né di esaminare i maggiori fra i libri che abbiamo composto, ho preparato adeguatamente (ἱκανῶς) un’epitome della dottrina nella sua interezza (ἐπιτομὴν τῆς ὅλης πραγματείας) per mantenere la memoria delle nozioni più rilevanti, affinché in ogni occasione possano soccorrere se stessi nelle questioni più importanti (ἐν τοῖς κυριωτάτοις), in relazione al grado di contatto con l’osservazione della natura. Ed è necessario che anche coloro che siano progrediti a sufficienza nell’esame di tutte le questioni richiamino alla memoria l’impronta elementare di tutta la dottrina (τὸν τύπον τῆς ὅλης πραγματείας τὸν κατεστοιχειωμένον); abbiamo infatti frequentemente bisogno dell’applicazione complessiva, non allo stesso modo, invece, di quella relativa ai dettagli (τῆς δὲ κατὰ μέρος οὐχ ὁμοίως) (Hrdt. 35, trad. di Verde 2010; si veda anche Hrdt. 36).

O Erodoto, queste sono le dottrine fondamentali riguardo alla natura di tutte le cose (κεφαλαιωδέστατα ὑπὲρ τῆς τῶν ὅλων φύσεως) per te compendiate (σοι […] ἐπιτετμημένα), cosicché, se trattenuto con accuratezza (κατασχεθεὶς μετ’ ἀκριβείας), potrebbe far sì che, penso, se anche qualcuno non avanzi nell’esame delle singole questioni (τῶν κατὰ μέρος ἀκριβωμάτων), egli si procuri una fortezza incomparabile rispetto al resto dell’umanità. E infatti da sé renderà anche chiare molte soluzioni fra quelle da noi dettagliatamente esposte con cura (τῶν κατὰ μέρος ἐξακριβουμένων) riguardo all’intera dottrina, e queste stesse, mantenute nella memoria, saranno di continuo aiuto. Esse sono infatti tali che, anche coloro che hanno ormai sufficientemente o anche perfettamente investigato con cura i dettagli della dottrina (τοὺς κατὰ μέρος ἤδη ἐξακριβοῦντας ἱκανῶς ἢ καὶ τελείως), riconducendole a siffatte applicazioni, realizzano la maggior parte dei percorsi di studio riguardo a tutta la natura; quanti, invece, non hanno raggiunto del tutto questo livello di completezza, da ciò e secondo quella modalità che non si serve di espressioni verbali, ripassano alla velocità del pensiero le dottrine capitali in vista della serenità (Hrdt. 82-83, trad. di Verde 2010; sulla salda e precisa conoscenza dei dettagli si veda anche Hrdt. 68 τὸ κατὰ μέρος […] ἐξακριβοῦσθαι βεβαίως).

Nei passi richiamati emerge come la akribeia epicurea sia “a secret operator of the epistemological circularity” (Morel 2024, 43), nel senso che essa caratterizza la scienza della natura a tutti i livelli di indagine: esame generale e particolare, entrambi fondanti la periodeia, richiedono eguale precisione. Essendo l’esattezza un requisito scientifico irrinunciabile della physiologia, si potrebbe forse anche dire che essa è una necessità epistemologica, nel senso che non si può conoscere e filosofare davvero se non in modo esatto. In tal senso, l’esattezza è, per così dire, espressione di evidenza.

Ai fini del presente discorso è interessante soffermarsi sul fatto che Epicuro possa aver elaborato la propria concezione di akribeia in un contesto di dibattito ben strutturato (Morel 2024, 33-34, 41-43: “clearly […] Epicurus builds his own conception of akribeia from a pre-existing debate” [Morel 2024, 34]; Angeli 1985, 63-64). Conferendo alla physiologia lo statuto di autentica scienza, per il rigore e la accuratezza a lei propri, Epicuro eredita senz’altro da Platone e Aristotele la concezione di akribeia quale criterio distintivo del sapere scientifico; al contempo, egli prende le distanze dagli illustri predecessori per quanto riguarda una akribeia intesa ora come criterio di eccellenza (Morel 2024, 41: “a single standard of excellence in akribeia”) ora come criterio epistemologico da commisurare alla natura dell’ente ricercato. Nell’epistemologia di Epicuro, se non mi inganno, la akribeia è un criterio orizzontale (o trasversale), non solo perché l’esattezza si confà all’esame d’insieme e a quello di dettaglio in pari modo, e in un contesto di circolarità (generale-particolare-generale), ma anche perché l’esattezza è la chiave per decodificare scientificamente (cioè sotto il profilo causale) una realtà complessa, indipendentemente dal fatto che, secondo il caso, l’esattezza comporti possibili molteplici spiegazioni o una sola. (Su akribeia e pleonachos tropos rimando a Verde 2022a, 62, 66-68; Verde 2022b, 181: “il metodo delle molteplici spiegazioni causali vuole presentarsi come un sapere scientifico alternativo che sia capace di prendere senza mezzi termini le distanze dagli artifici astronomici fondati, agli occhi di Epicuro, su un concetto di scienza che non guarda né al rigore/akribeia né alla sua concreta utilità per la felicità degli uomini”).

A fronte di queste ultime considerazioni, non è superfluo ricordare che la canonica epicurea è stata la prima epistemologia ad affrontare in modo sistematico il problema del criterio o canone di verità, problema sviluppato con originalità da Epicuro in un’ottica dialettica (continuità e discontinuità) con il passato filosofico, come evidenziato da recenti prospettive di ricerca riguardanti le radici classiche di tale impostazione. Infatti, fra i precedenti dell’utilizzo dei termini kanon e kriterion, accanto a Platone (Tht. 178B) e Aristotele (Eth. Nic. III 4, 1113a; Metaph. Κ 6, 1063a), è importante un trattato perduto di Policleto dedicato a esaminare i criteri di simmetria e di esatta proporzione, il Canone (Verde 2013, 48-50). Come l’esempio consente di sottolineare, il termine kanon ha un significato tecnico in ambito artistico, dove fa riferimento agli strumenti di misurazione in uso a muratori e addetti ai lavori. Epicuro, nel darne una valenza filosofica, ha fatto del kanon, opportunamente associato alla famiglia lessicale del krinein, il criterio di verità. Come per kanon e kriterion, non è accessorio aggiungere che anche akribeia è un termine precipuo delle technai, dunque dei saperi specialistici, trovando applicazione preferenziale nel campo delle arti plastiche. Insieme a Fidia, è proprio Policleto a essere salutato da Aristotele (Eth. Nic. VI 7, 1141a9 ss.; cfr. Suid. α 135, ἀγαλματοποιοί) quale esempio di massima akribeia, dunque di sapienza nelle arti, intendendo qui sophia come arete technes.

Per sottolineare i tratti originali della posizione di Epicuro, e per meglio inquadrare il plausibile terreno di confronto dialettico da cui essa si eleva, giova soffermarsi su alcuni aspetti della prospettiva peripatetica ellenistica, prendendo le mosse dalle radici, dunque dalla concezione di Aristotele, la quale a sua volta, come si vedrà, risulta dialogante con quella di Platone. La nozione di akribeia gioca un ruolo importante nel pensiero aristotelico, nelle sue varie applicazioni. È il caso di richiamarne le principali specificità.

Anzitutto, akribeia è segnale di rigore metodologico. Per esempio, in Cael. III 8, 306b il ragionare in modo rigoroso (ἀκριβολογεῖσθαι) si contrappone all’accogliere teorie alla leggera (ἐκ παρόδου ‘di passaggio’; cfr. ἐκ παρόδου θεωρεῖν come causa di δόξα in GA III 6, 757a); in Eth. Nic. VI 3, 1139b Aristotele dice che risulterà chiaro che cosa sia la episteme, a patto di dire le cose con esattezza (ἀκριβολογεῖσθαι) e non fermarsi a rilevare le somiglianze (μὴ ἀκολουθεῖν ταῖς ὁμοιότησιν). In linea con ciò, la nozione è utilizzata per definire il livello di scientificità di una scienza. Per esempio, in Top. VIII 1, 157a Aristotele sostiene che una episteme è migliore di un’altra o per il fatto di essere più rigorosa (τῷ ἀκριβεστέρα εἶναι) o per il fatto di rivolgersi a realtà migliori (τῷ βελτιόνων). In Metaph. A 2, 982a egli afferma che l’esattezza in relazione alle cause determina il grado di sapienza: in ciascuna scienza (περὶ πᾶσαν ἐπιστήμην) più sapiente (σοφώτερον) è chi possiede una conoscenza più precisa delle cause e chi è più capace di insegnarle agli altri (τὸν ἀκριβέστερον καὶ τὸν διδασκαλικώτερον τῶν αἰτιῶν); nello stesso contesto si legge che le più esatte fra le scienze sono soprattutto quelle che vertono intorno ai primi princìpi (ἀκριβέσταται δὲ τῶν ἐπιστημῶν αἳ μάλιστα τῶν πρώτων εἰσίν), ragion per cui la aritmetica è più esatta della geometria. In effetti, akribeia e derivati denotano, in Aristotele e tradizionalmente, l’alta precisione delle matematiche, come si riscontra, per esempio, in Cael. III 7, 306a26 ss., dove si fa menzione delle scienze più esatte (ταῖς ἀκριβεστάταις ἐπιστήμαις), ossia delle matematiche (αἱ μαθηματικαί) (cfr. e.g. Isoc. Antid. 265 τὴν περιττολογίαν καὶ τὴν ἀκρίβειαν τῆς ἀστρολογίας καὶ γεωμετρίας). Comunque, l’esattezza non è solo di queste ultime, ma anche delle realtà divine di cui si occupa la metafisica come teologia. Nel passo sopra citato di Eth. Nic. VI 7, dove si riconosce una forma di esattezza alla scultura, lo Stagirita chiarisce che esiste un altro, superiore, livello di sapienza.

La sapienza risulta essere la più esatta delle scienze (ἀκριβεστάτη […] τῶν ἐπιστημῶν […] ἡ σοφία), data la necessità che il sapiente si trovi nel vero riguardo ai princìpi (περὶ τὰς ἀρχὰς ἀληθεύειν) e non soltanto conosca ciò che dai princìpi deriva (τὰ ἐκ τῶν ἀρχῶν εἰδέναι). La sapienza è scienza e intelletto delle realtà migliori. E nel cosmo, seguita Aristotele, τὸ ἄριστον non è l’essere umano, che non è nemmeno βέλτιστον fra i viventi: esistono altre realtà per natura molto più divine, quali sono quelle oltremodo splendide di cui è composto il cosmo (cfr. MM 1, 1197b ἡ μὲν γὰρ σοφία περὶ τὸ ἀίδιον καὶ τὸ θεῖον) (cfr. Merlan [1975] 1994, 215 nota 15: “il termine ἀκρίβεια in Aristotele si riferisce, nella maggior parte dei casi, al metodo. Ma, sarebbe strano se questo termine, quando viene usato per caratterizzare la teologia o la matematica filosofica, non avesse la connotazione di ‘concernente gli ἄκρα’, ossia se non si riferisse sia al metodo che all’oggetto”). Sotto questo profilo, la nozione di akribeia esprime una condizione di eccellenza epistemologica e ontologica che, per certi versi, sembra richiamare la verticalità della posizione platonica, dove la akribeia è il tratto precipuo della dialettica. La dialettica platonica, infatti, megiste episteme (Soph. 253C) e superiore a tutte le altre scienze (incluse le matematiche, Resp. VII 533), raggiunge il più alto grado di akribeia e sapheneia, poiché essa si rivolge alle realtà somme (Resp. VI 504D-E e 511E). Ci si soffermi su Resp. VI 504D-E, a proposito del megiston mathema, l’Idea del Bene: poiché esiste qualcosa di ancor maggiore, di ciò occorre considerare non solamente lo schizzo (οὐχ ὑπογραφὴν), ma è necessario non trascurare la più perfetta esecuzione (τὴν τελεωτάτην ἀπεργασίαν); sarebbe infatti ridicolo (γελοῖον) sforzarsi per cose di scarso valore (ἐπὶ μὲν ἄλλοις σμικροῦ ἀξίοις) e far di tutto perché riescano in sommo grado precise e senza difetti (ἀκριβέστατα καὶ καθαρώτατα), e invece delle cose che sono massime non ritenere che debba essere massima anche la precisione (τῶν δὲ μεγίστων μὴ μεγίστας ἀξιοῦν εἶναι καὶ τὰς ἀκριβείας).

Per quanto concerne la metodologia scientifica aristotelica, la nozione di akribeia interviene altresì a definire le peculiarità e i limiti epistemologici di ogni sapere, che devono essere commisurati alla natura dell’ente indagato. In Eth. Nic. I 3, 1094b-1095a Aristotele chiarisce che sarà sufficiente (ἱκανῶς) se si sarà fatta luce per quanto lo consente la materia trattata (εἰ κατὰ τὴν ὑποκειμένην ὕλην διασαφηθείη); l’esattezza, infatti, non è cosa da ricercare in modo eguale in tutti discorsi (τὸ γὰρ ἀκριβὲς οὐχ ὁμοίως ἐν ἅπασι τοῖς λόγοις ἐπιζητητέον), a pena di incorrere in assurdità come pretendere dimostrazioni scientifiche da un retore e contentarsi di persuasione da un matematico; laddove si parli di realtà che sono per lo più (περὶ τῶν ὡς ἐπὶ τὸ πολὺ), dunque costitutivamente instabili, ci si dovrà ritenere soddisfatti di mostrare la verità in modo approssimativo e a grandi linee (παχυλῶς καὶ τύπῳ); in sostanza, proprio di una persona ben educata è il ricercare in ciascun genere tanta precisione quanto lo permette la natura della cosa (ἐπὶ τοσοῦτον τἀκριβὲς ἐπιζητεῖν καθ’ ἕκαστον γένος, ἐφ’ ὅσον ἡ τοῦ πράγματος φύσις ἐπιδέχεται). Similmente si legge in Metaph. α 3, 995a, dove si sottolinea l’importanza del metodo di ogni singola scienza e il fatto che il rigore matematico si confà unicamente alle cose senza materia (τὴν δ’ ἀκριβολογίαν τὴν μαθηματικὴν οὐκ ἐν ἅπασιν ἀπαιτητέον, ἀλλ’ ἐν τοῖς μὴ ἔχουσιν ὕλην) (cfr. Metaph. M 3, 1078a9-13, sull’esattezza come semplicità, dunque sul fatto che l’assenza di grandezza e soprattutto l’assenza di movimento determina il carattere esatto della scienza). Infatti, nella scienza della natura, chiamata a decodificare una realtà complessa, dove regna “unità senza uniformità” (Falcon 2005), dinanzi a grandi difficoltà potrà capitare di doversi contentare di risultati parziali, ricercando non l’assoluta esattezza, ma una comprensione via via migliore (Cael. II 12, 391b-392a).

Peraltro, già Platone aveva espresso il concetto che il discorso deve essere commisurato epistemologicamente alla natura del suo oggetto. In Tim. 29B-D si afferma che cruciale è dare principio all’indagine secondo la natura di ogni cosa (κατὰ φύσιν) e che, circa l’immagine e il suo paradigma, occorre che i discorsi siano congeneri (συγγενεῖς) di quelle stesse cose di cui sono interpreti; pertanto, essendo il cosmo immagine (eikon) dell’intelligibile, un discorso a esso relativo sarà di necessità verisimile (eikos); del resto, non ci si deve meravigliare se non si è in grado di produrre discorsi in tutto e per tutto coerenti con se stessi e in assoluto esatti (ἑαυτοῖς ὁμολογουμένους λόγους καὶ ἀπηκριβωμένους) in relazione a questioni come la generazione dell’universo, bensì si dovrà essere soddisfatti di discorsi verisimili. Più in generale, tale procedere è attestato nell’Academia, come mostra la classificazione per gradi delle facoltà conoscitive sulla base dell’oggetto d’indagine in Senocrate, dove per ciascuna delle tre ousiai si dà un diverso kriterion, rispettivamente la episteme per la sostanza intelligibile, la aisthesis per la sensibile e la doxa per la realtà mista (F2 Isnardi Parente2: nel passo non si parla di akribeia, tuttavia si può cogliere una prossimità al concetto di esattezza nel riferimento al carattere più o meno bebaios del criterio; cfr. F6 Isnardi Parente2). Peraltro, stando a Diog. Laert. X 13, Epicuro risulta essere stato uditore anche di Senocrate; non è dunque escluso che il problema dell’akribeia o comunque di una esattezza epistemologicamente commisurata all’oggetto possa aver risuonato alle orecchie del giovane Epicuro anche da questo versante academico; del resto, l’accostamento fra le posizioni dei due pensatori è esplicito in alcune testimonianze (e.g. F51 Isnardi Parente2).

Non solo, dunque, per Aristotele l’acribia scientifica deve essere commisurata all’oggetto di ricerca, ma occorre anche salvaguardare l’adeguatezza complessiva, tenendo conto di volta in volta della scienza deputata a indagare un dato soggetto e della circostanza. A tale riguardo sono esplicativi altri due passi tratti dall’Etica Nicomachea. Nel primo di essi, in Eth. Nic. I 7, 1098a Aristotele ribadisce che non bisogna cercare la medesima akribeia in tutti gli ambiti, ma in ogni singolo caso per quanto lo consente la materia trattata e in modo appropriato alla ricerca (ἐν ἑκάστοις κατὰ τὴν ὑποκειμένην ὕλην καὶ ἐπὶ τοσοῦτον ἐφ’ ὅσον οἰκεῖον τῇ μεθόδῳ), come si evince dall’esempio che pone a confronto un costruttore e un geometra, i quali indagano entrambi l’angolo retto, ma in modo differente, dal momento che il primo lo fa in un’ottica di utilità pratica, il secondo al fine di chiarire che cosa esso sia e quali siano le sue caratteristiche, essendo egli indagatore del vero (θεατὴς γὰρ τἀληθοῦς). Quanto al secondo, in Eth. Nic. I 13, 1102a, a riguardo di come condurre lo studio dell’anima, se con akribeia o meno, dato che entrambe le modalità sono ammissibili, Aristotele afferma che al politico si richiede una conoscenza generale, nei fini e nella misura adeguata al problema posto (θεωρητέον δὲ τούτων χάριν, καὶ ἐφ’ ὅσον ἱκανῶς ἔχει πρὸς τὰ ζητούμενα); del resto, sottilizzare ulteriormente (τὸ γὰρ ἐπὶ πλεῖον ἐξακριβοῦν) sarebbe sconveniente, risultando un compito gravoso che eccede i fini della ricerca, tanto più che del tema si è parlato a sufficienza (ἀρκούντως) nelle opere esoteriche.

In linea con ciò si pone la correlata questione dei numerosi luoghi in cui Aristotele rinvia ad altre sedi per una trattazione più accurata, nel senso di meglio approfondita. Ecco qualche esempio, fra i molti adducibili: in A.Pr. I 1, 24b, reputando sufficienti (ἱκανῶς) alle esigenze attuali le definizioni fornite, la trattazione precisa (δι’ ἀκριβείας) della protasi è differita ad altra occasione; in A.Pr. I 30, 46a Aristotele afferma di aver parlato a grandi linee (σχεδόν) di come selezionare le protasi, essendosene occupato nel dettaglio (δι’ ἀκριβείας) nella pragmateia riguardante la dialettica; in Phys. I 8, 191b egli ricorda di aver definito con precisione (δι’ ἀκριβείας) in altri scritti la dottrina dell’essere in potenza e in atto; in Phys. I 9, 192a-b determinare con accuratezza (δι’ ἀκριβείας) il principio formale, se uno o molti, e quale/i, è indicato come compito della filosofia prima, a cui si rinvia la ricerca (εἰς ἐκεῖνον τὸν καιρὸν ἀποκείσθω); in De an. II 4, 416b, al termine del discorso sulla facoltà nutritiva dell’anima, Aristotele afferma di aver detto che cos’è la nutrizione a mo’ di abbozzo (τύπῳ), segnalando che ulteriori spiegazioni saranno date in scritti appositi (ἐν τοῖς οἰκείοις λόγοις); in Eth. Nic. X 4, 1174b egli ricorda di essersi occupato con precisione (δι’ ἀκριβείας) del movimento in altri lavori; in Eth. Eud. II 10, 1227a egli chiarisce che il fine si configura come principio e punto di partenza in una valutazione, in ciò essendo analogo alle ipotesi nelle scienze teoretiche, delle quali dice di aver parlato in breve (βραχέως) all’inizio e in modo accurato (δι’ ἀκριβείας) negli Analitici; in Pol. VIII 7, 1341b, disquisendo di melodie, egli si limita a riferire alcuni aspetti di carattere generale (τοὺς τύπους), rinviando agli esperti del tempo, musici e filosofi, per avere un approfondimento di dettaglio su ciascun aspetto della questione (τὴν μὲν καθ’ ἕκαστον ἀκριβολογίαν).

Ebbene, la akribeia consente di stabilire il grado di scientificità di una ricerca ed è altresì segnale di un’accuratezza espositiva che può assumere la forma di approfondimento. D’altro canto, l’assenza di akribeia non è di per sé un elemento svalutativo. Anzi, fatto salvo il principio di non esigere in ogni campo e a tutti i costi una acribia che potrebbe essere deleteria se non correttamente applicata, Aristotele mostra di tenere in alto conto il valore metodologico della trattazione sommaria, da applicare anche a questioni tecniche. Nella dialettica tale procedere argomentativo risulta ben tematizzato (si è parlato, al riguardo, di “voluta inesattezza”: A. Fermani, in Migliori 2016, 1190 nota 55): per esempio, in Top. I 1, 101a, dopo aver chiarito di aver parlato a grandi linee (ὡς τύπῳ) delle specie dei sillogismi, Aristotele spiega che in generale (καθόλου δ’ εἰπεῖν) bastano le distinzioni fatte, dal momento che l’obiettivo non è presentare una definizione rigorosa (τὸν ἀκριβῆ λόγον), ma trattarne appunto a grandi linee (ὅσον τύπῳ), ritenendo ciò sufficiente rispetto all’indagine in corso (κατὰ τὴν προκειμένην μέθοδον); in Top. I 6 e Top. I 7, 103a si presenta la possibilità di stendere una diairesis a grandi linee (τύπῳ / ὡς τύπῳ). Esso si applica altresì a questioni centrali quali la dottrina della sostanza: per esempio, in Metaph. Z 2, 1028b Aristotele spiega che occorre dire anzitutto, per sommi capi, che cosa sia la ousia (ὑποτυπωσαμένοις τὴν οὐσίαν πρῶτον τί ἐστιν). Il carattere sommario della trattazione è esplicitato da Aristotele di volta in volta con formule diverse (e.g. καθόλου, ὅλως, ἐκ παρόδου, ἐν κεφαλαίοις εἰπεῖν, ὡς τύπῳ, etc.); è interessante soffermarsi sul vocabolo τύπος, che segnala l’impressione di un sigillo e l’abbozzo in termini artistici, per ricordare che esso, già in uso filosofico a Platone in contrapposizione alla esattezza (e.g. Resp. III 414A ὡς ἐν τύπῳ, μὴ δι’ ἀκριβείας), è elemento cruciale del lessico metodologico aristotelico, da cui è probabile che derivi l’uso epicureo (cfr. supra, Epicur. Hrdt. 35 τὸν τύπον τῆς ὅλης πραγματείας τὸν κατεστοιχειωμένον).

Infine, un altro tratto di metodo merita di essere richiamato: per Aristotele, la trattazione sommaria ha priorità su quella di dettaglio, con riferimento alla preminenza dell’intero sulla parte (cfr. e.g. Phys. I 1, 184a διὸ ἐκ τῶν καθόλου ἐπὶ τὰ καθ’ ἕκαστα δεῖ προϊέναι). In Eth. Nic. I 7, 1098a, a riguardo della questione del bene, egli afferma che prima di tutto occorre fornire un quadro generale e poi in un secondo momento esaminarlo nei dettagli (δεῖ γὰρ ἴσως ὑποτυπῶσαι πρῶτον, εἶθ’ ὕστερον ἀναγράψαι – cfr. ancora Metaph. Z 2, 1028b; cfr. supra, Epicur. Hrdt. 35 sull’importanza di ricorrere sovente all’applicazione complessiva, piuttosto che non ai dettagli). Ulteriore affine indicazione si legge in HA I 6, 491a, dove lo Stagirita dichiara di aver finora provveduto a fornire un abbozzo generale (ὡς ἐν τύπῳ), utile per pregustare gli oggetti da considerare e le indagini da condurre; ad esso farà seguito la trattazione di dettaglio, condotta con precisione (δι’ ἀκριβείας), mirata a individuare le differenze e le caratteristiche comuni; seguirà una terza fase, costituita dalla ricerca delle cause (μετὰ δὲ τοῦτο τὰς αἰτίας τούτων πειρατέον εὑρεῖν). Questo, conclude Aristotele, è ciò che egli considera il metodo di ricerca secondo natura (κατὰ φύσιν […] τὴν μέθοδον), una volta acquisita la conoscenza/historia di ciascuna cosa (ὑπαρχούσης τῆς ἱστορίας τῆς περὶ ἕκαστον).

Ricapitolando, la trattazione esatta e accurata dipende dalla materia trattata e dalla scienza che se ne occupa, il che determina il peculiare approccio attuato. Di questa varietà di metodo si ha riscontro anche nei Parva naturalia, i piccoli trattati di fisiologia naturale aristotelici. A proposito di quale sia la posizione del cuore rispetto alle branchie, in Resp. 478a-b Aristotele rinvia alle disamine svolte in altre sedi, precisando, con opportuna distinzione metodologica, la necessità di indagare (δεῖ θεωρεῖν) rifacendosi a Le dissezioni per avere un riscontro visivo (πρὸς μὲν τὴν ὄψιν) dell’argomento, e alle considerazioni nelle Ricerche [sugli animali] per avere una trattazione esatta (πρὸς δ’ ἀκρίβειαν). La terza via, ivi seguita, è quella dello svolgimento a grandi linee, consistente nel parlare per sommi capi (ὡς δ’ ἐν κεφαλαίοις εἰπεῖν καὶ νῦν). Con tale osservazione Aristotele mette ancora una volta in evidenza la molteplicità di approcci possibili a un dato tema, chiarendone la pari legittimità. Nel trattato altri luoghi sono dedicati a una trattazione sommaria, senza che ciò sia di detrimento alla scientificità dell’esame in un campo, quello fisio-biologico, che rientra nella fisica e vale come scienza teoretica. Comunque, l’esattezza non è esclusa, benché altre sedi la registrino in grado maggiore: in Resp. 477a, per esempio, Aristotele dichiara di essersi occupato di alcuni aspetti del raffreddamento nella respirazione con precisione maggiore (δι’ ἀκριβείας μᾶλλον) nelle Ricerche sugli animali.

Ebbene, il riferimento alla Historia animalium come luogo esemplare di trattazione scrupolosa e di approfondimento minuzioso torna a più riprese negli scritti aristotelici, anche nelle opere biologiche considerate ‘maggiori’. Lo si riscontra nel De generatione animalium: per esempio, in I 20, 728b la descrizione particolareggiata (δι’ ἀκριβείας) di come la katharsis avvenga in ciascun animale è stata data nelle Ricerche sugli animali; in III 2, 753b, dove è necessario rifarsi all’indagine (δεῖ θεωρεῖν) svolta nelle Ricerche per avere dettagli sull’argomento, cosa invece non necessaria all’indagine attuale (πρὸς δὲ τὴν παροῦσαν σκέψιν), per la quale è sufficiente che risulti evidente qualche aspetto. Così è pure nel De partibus animalium: per esempio, in III 5, 668b, a riguardo della posizione delle vene, si legge che, per saperne qualcosa con precisione (μετ’ ἀκριβείας), è necessario indagare (δεῖ θεωρεῖν) attingendo ai dati e alle considerazioni presentati nelle Tavole anatomiche e nelle Ricerche sugli animali; similmente in IV 13, 696b, dove un’indagine rispondente ad acribia è demandata a quelle stesse opere (τὴν δ’ ἀκρίβειαν […] δεῖ θεωρεῖν). Inoltre, nella stessa Historia animalium l’esattezza è questione anche di gradazione: in I 1, 488b si precisa che le questioni relative al carattere e alla vita di ciascun genere saranno discusse con maggiore precisione (δι’ ἀκριβείας μᾶλλον) in seguito (cfr. e.g. I 6, 491a). Sulla base di quanto emerso, sembrerebbe lecito dire che la akribeia intesa quale carattere di minuziosità dell’indagine sia in qualche misura connessa alla ἱστορία, quale che sia il suo oggetto (una connessione, beninteso, sia pure solo di preferenza: cfr. e.g. HA I 5, 489b, dove il rinvio δι’ ἀκριβείας ὕστερον λεκτέον è al De generatione animalium). A voler richiamare poi il primo libro della Metaphysica, come noto considerato per certi versi una (la prima) storia della filosofia (cfr. Berti, Rossitto 1993, 29-33), si può ricordare che in Metaph. A 7, 988a Aristotele afferma di aver trattato brevemente e per sommi capi (συντόμως μὲν οὖν καὶ κεφαλαιωδῶς) dei filosofi che si sono occupati dei princìpi e della verità (περί τε τῶν ἀρχῶν καὶ τῆς ἀληθείας).

Come in Aristotele, anche in Teofrasto la akribeia come approfondimento puntuale risulta connessa alla historia (più in generale, è utile considerare che nelle sue articolazioni semantiche il concetto di akribeia fonda il metodo storico e risulta cruciale per quello medico, orientato alla ricerca di una historia dell’uomo rispondente a esattezza: e.g. Thuc. I 22 ὅσον δυνατὸν ἀκριβείᾳ περὶ ἑκάστου ἐπεξελθών, Hipp. VM 20 ἀκριβέως). Nel De causis plantarum lo si osserva in unione al raro e poetico ἀνιστορέω: in I 5, 5, discorrendo sulle possibili ragioni per cui pochi alberi della stessa specie risultano infruttuosi, Teofrasto afferma che quanto detto è un’opinione da prendersi con le pinze (ἀλλὰ τοῦτο μὲν ὡς ἐπιδοξαζόμενον εἰρήσθω) e che, piuttosto, occorre indagare con maggiore scrupolo la questione e raccogliere informazioni (δεῖ δὲ ἀκριβέστερον ὑπὲρ αὐτοῦ σκέψασθαι καὶ ἀνιστορῆσαι) sulle generazioni spontanee. D’altro canto, non stupisce che nella stessa Historia plantarum si trovino accenni a trattazioni più accurate (ἀκριβέστερον) svolte in altre sedi, come nel rinvio al Περὶ χυλῶν (I 12, 1 – opera su cui cfr. Diog. Laert. V 46). Nel segno della acribia si chiude poi il De igne, con il rinvio a una ulteriore e più dettagliata trattazione: “Ma su questi argomenti è stato detto quanto basta (ἱκανῶς), almeno per ora. In altra sede ritorneremo più minuziosamente (ἀκριβέστερον) sugli stessi temi” (Ign. 76, trad. di Battegazzore 2006).

La akribeia indica poi la precisione o meno del procedere argomentativo, come per esempio nella Historia plantarum I 3, 5 (διὰ δὴ ταῦτα, ὥσπερ λέγομεν, οὐκ ἀκριβολογητέον τῷ ὅρῳ ἀλλὰ τῷ τύπῳ ληπτέον τοὺς ἀφορισμούς) e I 4, 3 (εἴ τις ἀκριβολογεῖσθαι θέλει) (su questi due passi cfr. Falcon 2024, 162-163), nelle Physicorum opiniones 12 (τὸν δὲ τέταρτον καὶ λοιπὸν λόγον ἀκριβωτέον ὧδέ φασιν), e in De sensu 6 (μᾶλλον ἀκριβολογεῖται περὶ τῶν αἰσθητῶν), 64 (ἀκριβέστερον διορίζει) e 82 (μάλιστα δ’ ἐχρῆν τοῦτο διακριβοῦν).

In linea con la tradizione platonico-aristotelica, la akribeia indica pure il grado di precisione dei fenomeni e, conseguentemente, quello della loro trattazione filosofico-scientifica. A tale proposito occorre tenere presente il ben noto principio teofrasteo della eikotologia, di platonica ispirazione, ossia il fatto che nella scienza naturale occorre rifarsi al criterio della plausibilità o verosimiglianza, il che porta a escludere un sapere certo e a legittimare una pluralità di spiegazioni (142 FHSG sulla φυσιολογία come εἰκοτολογία, 159 FHSG sulla εἰκοτολογία da esercitare ἐν τῇ τῶν μετεώρων αἰτιολογίᾳ); si tratta di una posizione che consente un efficace confronto con il sistematico metodo epicureo delle molteplici spiegazioni (e.g. Verde 2022c, 13-14 e ss.). Un paio di esempi, tratti dalla meteorologia e dalla botanica, consentono di sottolineare l’assenza di una rigorosa esattezza nei fenomeni e, più in generale, nel mondo della natura. Nel De ventis, al §48 si legge che, come le piogge e altri fenomeni, il soffiare di alcuni venti si verifica secondo le circostanze, non certo secondo precisione, ma nel complesso (οὐ μήν γε κατ’ ἀκρίβειαν ἀλλ’ ὡς ἐπὶ τὸ πᾶν). Si ritiene che il riferimento sia qui alla mancanza di precisione nello studio dei venti, in conseguenza della variabilità intrinseca alla materia indagata (Mayhew 2018, 304). In più luoghi del De ventis (§1, §11, §28, §44) Teofrasto ricorre anche all’avverbio σχεδόν per segnalare che una data affermazione va presa con cautela, essendo detta senza prestare troppa attenzione ai dettagli, data la difficoltà di indagare particolari fenomeni naturali in relazione alle loro cause (Mayhew 2018, 86-87). Da parte di Teofrasto si tratterebbe, in sostanza, di una condivisione di quanto già osservato da Aristotele nei Meteorologica, laddove, sin dall’esordio dello scritto (I 1, 338a-b), si accenna al fatto che la scienza dei meteora si occupa di studiare i fenomeni che avvengono per natura, ma senza la regolarità (ἀτακτοτέραν) che caratterizza il primo elemento; affermazione a cui segue (I 7, 344a) la precisazione che riuscire a dare dei meteora una spiegazione possibile, supponendo che essi accadano in massima parte (μάλιστα) in un dato modo, può già considerarsi un traguardo sufficiente, razionalmente adeguato (ἱκανῶς […] κατὰ τὸν λόγον). Altri esempi si traggono dalla Historia plantarum: in I 12, 2, parlando dell’umore che ciascuna pianta ha in conformità alla propria natura (e.g. latteo, resinoso, acqueo, ecc.), Teofrasto afferma che tale umore si ritrova nei rispettivi frutti, dando luogo a una sorta di somiglianza (τις ὁμοιότης) di umore fra pianta e frutto, la quale, tuttavia, non è né esatta né manifesta (οὐκ ἀκριβὴς οὐδὲ σαφής); in I 4, 3, rilevando l’opportunità di distinguere le piante anche in relazione al luogo in cui vivono, Teofrasto precisa che, volendo, è possibile cimentarsi in una ricerca minuziosa (ἀκριβολογεῖσθαι), sennonché egli subito avverte che un simile modo di indagare a suo avviso non è appropriato (οὐκ οἰκείως), dal momento che la natura non opera seguendo una legge necessaria (οὐδὲ γὰρ οὐδ’ ἡ φύσις οὕτως οὐδ’ ἐν τοῖς τοιούτοις ἔχει τὸ ἀναγκαῖον); del resto, come Teofrasto ricorda altrove (Metaph. 9a), nel conoscere è fondamentale applicare l’οἰκεῖος τρόπος, quale che sia l’oggetto (i princìpi, gli animali, le piante o gli enti inanimati), poiché occorre esprimere un sapere adeguato alla natura dell’ente (su questo punto: Repici 2013, 239-240).

In ottica storico-filosofica è utile aggiungere alcuni riferimenti testuali dai quali emerge, in ambiti diversi e per ragioni distinte, una refrattarietà a forme di acribia, vista talvolta con sospetto, quando non intesa come danno. Alcuni esempi si osservano nel De causis plantarum: in III 1, 6, disquisendo di casi in cui l’agricoltura agisce contro la natura della pianta, conferendole troppo nutrimento, Teofrasto spiega che per il benessere della pianta è essenziale che essa non si allontani dalla propria natura, ragion per cui, tra le piante coltivate, alcune non amano una cura precisa o eccessivamente abbondante (τὴν ἀκριβῆ καὶ τὴν πολλὴν ἄγαν ἐξεργασίαν), mentre altre non la richiedono affatto; in II 4, 8, parlando del tipo di terreno adeguato, espresso un principio generale (τὸ καθόλου λεχθὲν), Teofrasto precisa che, scendendo nei particolari, l’adattamento preciso dell’albero al terreno non è facile da determinare col ragionamento, ma è forse più una questione di perspicacia sensibile (ἀλλ’ ἐν τοῖς καθ’ ἕκαστα τὸ ἀκριβὲς μᾶλλον ἴσως αἰσθητικῆς δεῖται συνέσεως λόγῳ δὲ οὐκ εὐμαρὲς ἀφορίσαι) (cfr. Aristot. Eth. Nic. II 9, 1109b circa la difficoltà di determinare il giusto mezzo soprattutto nei casi particolari, cosa non facile da fare col logos per tutto ciò che riguarda le cose sensibili, il cui giudizio spetta alla aisthesis; cfr. anche Theophr. Metaph. 8b sul ruolo epistemologico della sensazione a supporto al pensiero). Infine, una diffidenza nei riguardi dell’acribia eccessiva si coglie limpida anche in ambito retorico, dove è vista come atteggiamento pedante, da evitare: al §222 del De elocutione attribuito al peripatetico Demetrio Falereo, dopo aver ribadito che la persuasività risiede nella chiarezza e nella consuetudine, si attribuisce a Teofrasto (696 FHSG) la tesi che essa consista nel non dilungarsi con pignoleria su ogni cosa (οὐ πάντα ἐπ’ ἀκριβείας δεῖ μακρηγορεῖν), lasciando qualcosa alla comprensione e alla deduzione del singolo ascoltatore; in tal modo l’uditorio, che risulta insieme ascoltatore e interlocutore, si mostrerà meglio disposto nell’atteggiamento, poiché lo si è fatto sentire intelligente (sulla acribia come cosa meschina cfr. [Dem.] Eloc. 53 μικροπρεπὲς γὰρ ἡ ἀκρίβεια, [Long.] Subl. 33, 2 τὸ γὰρ ἐν παντὶ ἀκριβὲς κίνδυνος μικρότητος, ἐν δὲ τοῖς μεγέθεσιν […] εἶναί τι χρὴ καὶ παρολιγωρούμενον) (sulla akribeia in ambito retorico: Castelli 2023).

Infine, per arricchire il quadro della riflessione filosofica ellenistica sulla akribeia, sempre in ambito peripatetico propongo di considerare anche il caso del Trattato sul cosmo per Alessandro attribuito ad Aristotele, ma di dibattuta attribuzione, incerta datazione e controversa interpretazione (per un quadro delle questioni si vedano almeno: Moraux [1984] 2000, 15-87; Reale, Bos 1995; Thom 2014; Gregorić, Karamanolis 2020; Brumana 2023). La prospettiva che emerge nel Περὶ κόσμου pseudo-aristotelico è di interesse sia per tracciare un percorso del concetto di akribeia nell’ambito della tradizione peripatetica sia, guardando ai rapporti fra aristotelismo ed epicureismo e al loro sviluppo in un’ottica di continuità e di polemica, per individuare alcuni elementi utili a meglio definire il possibile sotteso contesto dialettico dello scritto (a quest’ultimo riguardo, senza entrare qui nel merito delle questioni connesse alla direzionalità di tale possibile influenza, ci si limiterà, con opportuna iniziale prudenza, a rilevare la non estraneità del Περὶ κόσμου ai temi e alle modalità di discussione sulla akribeia a cui partecipano tanto il Liceo di Aristotele e Teofrasto quanto il Giardino di Epicuro).

Espressione forse di un aristotelismo ellenistico in dialogo con le altre scuole (Brumana 2023), il Περὶ κόσμου pseudo-aristotelico offre una presentazione della filosofia nella quale si intrecciano elementi geografici, meteorologici e teologici con una tessitura tematica e di rimandi complessa, originale e per nulla eclettica (come la ritiene invece, fra gli altri, Festugière 1949). L’opera, che affronta lo studio del κόσμος nella sua etimologica complessità di ente di natura e filosofico, ad avviso di chi scrive a stento, e pregiudizialmente, può considerarsi un mero compendio manualistico di cosmologia dalla marcata impronta teologica. L’attenzione per il divino costituisce una (o, meglio, la) cifra chiave dell’interpretazione dello scritto, fermo restando che fin dalle battute di apertura emerge chiara l’intenzione dell’autore di occuparsi di filosofia. L’opera inizia col riconoscere la φιλοσοφία come un qualcosa di straordinariamente divino, la cui eccellenza consiste anzitutto nel fatto che essa, unica fra le scienze, guarda alla totalità degli enti impegnandosi a reperire la verità in essi. La filosofia considera l’insieme, esamina la globalità del tutto nella sua splendida immensità ed è lo strumento di cui l’anima si serve, in chiara atmosfera platonica, per sondare le sacre regioni celesti: l’anima, libera dal corpo, al seguito dell’intelletto sua guida, mediante la filosofia, varca i confini del mondo raggiungendo le altezze della sacra regione celeste.

L’autore non si contenta di stendere l’elogio della filosofia e di esortare il proprio dedicatario Alessandro [scil. il Macedone] a dedicarvisi, perseguendo la conoscenza del cosmo e non avendo della filosofia una concezione riduttiva. La filosofia non è cosa di cui sia appropriato μικρὸν ἐπινοεῖν. È plausibile che l’autore intenda elogiare la filosofia nell’ambito di considerazioni tese a stabilire le sue peculiarità rispetto ad altri saperi. Tratto caratterizzante della filosofia è il fatto che essa non temette l’impresa di avvicinarsi alla verità a motivo della sua altezza e grandezza; così, mentre gli altri saperi se ne tennero lontani, la filosofia non si reputò indegna della verità e delle cose più belle, e ritenne anzi quel tipo di conoscenza quanto di più a lei affine e in massimo grado conveniente. A questa prospettiva, dall’alto e totalizzante, viene opposta la grettezza di un focus ristretto. Coloro che descrissero con cura (μετὰ σπουδῆς) la natura di un solo luogo oppure la struttura di una sola città o la grandezza di un fiume o la bellezza di un monte dovrebbero essere commiserati per la loro piccolezza d’animo (sulla denuncia di μικροψυχία cfr. la σμικρολογία in Plat. Resp. VI 486A e lo sguardo ἐπὶ μικρόν in Aristot. Meteor. Ι 14, 352a; cfr. anche il già citato passo di Plat. Resp. VI 504D-E, su quanto sia risibile occuparsi con acribia di cose di scarso valore). L’errore di costoro, fra cui si contano anche poeti, sta nel farsi vincere da meraviglia per cose di ben poco valore, perdendo di vista ciò che davvero conta; per tale ragione, secondo l’autore, è un miserabile errore di valutazione restare sbalorditi alla vista di cose accidentali / cose ordinarie (τὰ τυχόντα), trascurando il cosmo e ciò che di più grande vi è in esso (un invito a tralasciare τὰ τυχόντα per dedicarsi ai ragionamenti filosofici si legge anche in Demetrio Lacone: PHerc. 831, col. 15 Körte; cfr. ivi, col. 8, su cui Parisi 2017). Insomma, l’eccellenza delle cose superiori richiede la più profonda ammirazione; qualora ciò non avvenga, la diagnosi di cecità filosofica (ἀθέατοι) è inevitabile.

Il motivo è poi ripreso nel capitolo quinto, dedicato all’eternità e alla perfezione del cosmo. Nell’ambito di quella che è nota come la laudatio mundi del trattato (5, 397a5 ss.), con efficace domanda retorica l’autore si interroga su quale realtà possa mai essere migliore del cosmo, concludendo che nessuna possa davvero esserlo, in quanto essa sarebbe comunque una sua parte; pertanto, niente di ciò che sia ἐπὶ μέρους potrà mai essere eguagliato alla τάξις del cielo, al corso degli astri, del sole e della luna, il cui moto eterno è scandito con precisione estrema (κινουμένων ἐν ἀκριβεστάτοις μέτροις).

Ebbene, tenuto conto del precedente uso aristotelico e teofrasteo della akribeia, considerato altresì che la coppia filosofica Aristotele e Teofrasto non è senza significato nella tradizione del Περὶ κόσμου (Apuleio si rifà espressamente all’autorità di entrambi nella propria versione latina del trattato: cfr. Mund., praef. 10 Magnaldi), mi sembra di interesse verificare quale uso l’autore del Περὶ κόσμου faccia della akribeia a livello argomentativo (su altre specificità del metodo argomentativo, si vedano e.g. Chandler 2014 e Betegh, Gregorić 2014; per una disamina della lingua e dello stile si veda Schenkeveld 1991, che propone una datazione al 350-200 a.C.). Ebbene, in più luoghi dell’opera è espressa la volontà di fornire gli elementi utili a fondare una conoscenza generale: lo si osserva al principio della sezione meteorologica (4, 394a7 ss.), con l’invito a parlare dei fenomeni più notevoli che avvengono nella terra e intorno ad essa, riferendo per sommi capi le cose necessarie (αὐτὰ τὰ ἀναγκαῖα κεφαλαιούμενοι); lo si osserva pure in esordio della trattazione relativa alla causalità del dio, posto a fondamento, sostegno e conservazione del cosmo (6, 397b9 ss.), laddove si legge che resta da dire per sommi capi (κεφαλαιωδῶς εἰπεῖν) della causa coesiva di tutte le cose, ovvero di dio quale συνεκτικὴ αἰτία, nello stesso modo in cui si è detto delle altre cose, dato che in una trattazione riguardante il cosmo, condotta sia pure senza acribia (εἰ καὶ μὴ δι’ ἀκριβείας) e orientata piuttosto a ottenere una impronta di conoscenza (ἀλλ’ οὖν γε ὡς εἰς τυπώδη μάθησιν), sarebbe senz’altro sconveniente tralasciare ciò che nel cosmo più conta, il suo principio capitale e più eminente (τὸ τοῦ κόσμου κυριώτατον); lo si evince altresì dall’uso ripetuto di espressioni dal taglio riassuntivo e riepilogativo (e.g. ὡς δὲ τὸ πᾶν εἰπεῖν in 4, 396a27-28 e 7, 401a25).

Ciò non significa scadere in un’approssimazione generalizzante e fuorviante sul piano dei contenuti, o in un’accettazione acritica di opinioni diffuse, poiché, come si è osservato, la filosofia ha sempre e comunque di mira arrivare al cuore degli enti, cogliendone la verità. In tal senso, per esempio, al momento di presentare l’elemento terrestre (3, 392b20 ss.), dopo aver ricordato che la terra è trapunta non solo di erbe, montagne e foreste, non solo di isole e continenti, ma anche di città fondate dall’uomo, l’autore afferma, non senza polemico distanziamento, che il linguaggio comune (ὁ πολὺς λόγος) ha diviso l’ecumene in isole e continenti, ignorando (ἀγνοῶν) che si tratta di un’unica isola circondata dal mare Atlantico.

L’impressione è che la akribeia rifiutata dall’autore sia l’approfondimento minuzioso, l’analisi di dettaglio, la ricerca erudita fine a se stessa e filosoficamente inconcludente, in quanto potenziale spia di un sapere frammentato che ha perso la visione di insieme. Il che è tanto più degno di nota se si considera l’invito dell’autore a perseguire la ἱστορία delle cose più grandi (1, 391b6-7; cfr. anche, fra gli usi di ἱστορέω, l’occorrenza in 3, 394a6 τοιάνδε τινὰ ἱστορήκαμεν). Avvalendoci con libertà del sarcasmo di Timone di Fliunte, si potrebbe dire che, per l’autore del Περὶ κόσμου, la filosofia non è cosa per scribacchini litigiosi rinchiusi nella gabbia delle Muse. Ciò non è cosa di poco conto, considerata l’erudizione che comunque trasuda dall’opera: nello scritto, infatti, il dato erudito è sempre trasceso dalla finalità filosofica. Un disinteresse per indagini di cavillo può poi evincersi, credo, nella sezione a contenuto geografico (3, 393b18 ss.), in un passo relativo alla misurazione della terra dove, peraltro, si fa riferimento all’opinione di bravi geografi (οἱ εὖ γεωγραφήσαντες, dove εὖ non è accessorio) (per una discussione critica del passo: Brumana 2023, 304-306).

L’autore, dunque, predilige la trattazione sommaria, così come lo sguardo al tutto rispetto alla (prima della) parte. Considerata l’ampia fortuna che la trattazione sommaria riveste nel pensiero di Aristotele e in quello di Teofrasto, senza che essa implichi giudizi svalutativi nei confronti del loro modo di argomentare, mi sembra opportuno riflettere sull’opportunità di far valere lo stesso principio anche per il Περὶ κόσμου sì da evitare di continuare a attribuire a questo scritto giudizi di valore poco meritori per il fatto che l’autore si occupa delle questioni a lui care senza perseguire un’accanita acribia.

Rispetto a Platone, Aristotele e Teofrasto, rispetto pure a Epicuro, per i quali trattazione dettagliata e sommaria sono entrambe perseguibili, nel trattato Περὶ κόσμου si osserva una presa di posizione. Che l’autore ambisca a fare filosofia indagando scientificamente e teologicamente il cosmo e quanto di più grande vi è in esso senza akribeia è un dato che non passa inosservato, visto che in questioni di questo tipo, aristotelicamente parlando, ricercare l’esattezza è tutto sommato auspicabile (cfr. supra e anche e.g. Metaph. Λ 8, 1073b). Tuttavia, non deve scandalizzare. Non solo una techne come la medicina si muove fra ricerca dell’esattezza e consapevolezza della difficoltà di raggiungere la certezza (sulla tensione fra akribeia e to atrekes si veda Hipp. VM 12, con il commento di Vegetti 1965, 143 nota 20; cfr. VM 9 τὸ δ’ ἀκριβὲς ὀλιγάκις ἐστὶ κατιδεῖν). Anche il sapere scientifico propriamente detto rinuncia all’esattezza. Se ne ha esempio in un trattato di Archimede di Siracusa, dal titolo Arenarius, dedicato, come il nome rivela, a dimostrare che il numero di granelli di sabbia esistenti non è infinito. In quest’opera, dove viene elaborato un sistema per esprimere numeri estremamente grandi, lo scienziato siracusano si occupa anche di astronomia: in essa è contenuta la più antica testimonianza del sistema eliocentrico di Aristarco di Samo. Quanto al tentativo di misurare l’angolo che comprende il sole e ha il vertice nell’occhio dell’osservatore (§137 ss.), Archimede sostiene che determinare questo angolo con esattezza non è cosa facile, dal momento che né la vista né le mani né gli strumenti mediante cui si deve eseguire la determinazione sono degni di fede, ossia tali da consentire un’esatta conoscenza (τὸ μὲν οὖν ἀκριβὲς λαβεῖν οὐκ εὐχερές ἐστι διὰ τὸ μήτε τὰν ὄψιν μήτε τὰς χεῖρας μήτε τὰ ὄργανα, δι’ ὧν δεῖ λαβεῖν, ἀξιόπιστα εἶμεν τὸ ἀκριβὲς ἀποφαίνεσθαι). L’affermazione è notevole; si ricorderà, in proposito, la ben nota critica di Epicuro contro l’uso di strumenti scientifici, come le macchine astronomiche in Pyth. 93 e in Nat. XI, [26] 38-39 Arr.2, dove gli organa sono rei di non realizzare nulla di preciso (il verbo è ἀπαρτίζω) (Verde 2022b, 180-181; Arrighetti 1973, 590 e 597; Verde 2025, 33-36; invece sulla precisione degli organa cfr. Plat. Phlb. 56B-C). Archimede, dunque, dopo aver chiarito che ritiene non opportuno dilungarsi (οὐκ εὔκαιρον μακύνειν) sulla questione, mostra di contentarsi di fornire una determinazione approssimativa dell’angolo, comprendendo il valore tra un estremo superiore e uno inferiore.

A volgere poi lo sguardo oltre si può anche trovare una scienza che osteggia l’acribia. Dopo avere riferito la posizione di Posidonio circa la distinzione dell’atmosfera in due regioni e i calcoli delle misurazioni, Plinio (Nat. hist. II 85-87 = Posid. 120 Edelstein-Kidd, A78 Vimercati) si sofferma con tono critico su alcune considerazioni di metodo, le quali convergono nel ritenere infondata l’attribuzione di assoluta precisione di risultato alla scienza. Plinio – verosimilmente qui non Posidonio (Kidd 1988, 465) – riconosce che tali problemi sono inconperta […] et inextricabilia e non esita a definire la ratio geometrica il procedimento più appropriato qualora si voglia approfondire l’indagine; tuttavia, a suo avviso, l’errore, o meglio la follia, di alcuni astronomi sta nel servirsi di tale metodo per effettuare misurazioni, laddove invece esso dovrebbe condurre a stime congetturali (ut tantum aestimatio coniectanti constet animo). È risibile pensare di effettuare calcoli a fil di piombo della misura del cielo (tamquam plane e perpendiculo mensura caeli constet), a tal punto che è riduttivo parlare di sfrontatezza dell’animo umano, trattandosi piuttosto di vera e propria impudenza sostituitasi alla ragione, come nel caso di quanti non si sono contentati di aver osato vaticinare (ausique divinare) la distanza fra sole e terra, ma si sono spinti a calcolare sulle dita (in digitos) la misura dell’universo (sulle nozioni di precision e accuracy nella scienza antica, anche su stime, misure e approssimazioni, cfr. e.g. Harris, Taub 2024; sulla scienza ellenistica cfr. anche Giannantoni, Vegetti 1984).

Alla luce dell’itinerario tracciato, e ulteriormente articolabile, mi sembra non infondato cogliere sullo sfondo anche della prospettiva delineata nel Περὶ κόσμου pseudo-aristotelico un dibattito sul valore e sull’applicabilità della akribeia nella scienza, ovvero anzitutto nella filosofia. Un dibattito, questo sulla akribeia, dalle radici classiche e che in epoca ellenistica si conferma essere efficace strategia della conoscenza.

*Il presente contributo è stato elaborato nell’ambito delle attività di ricerca del PRIN 2022 “Kanon: Epicurus’ Epistemology and Its Roots” (2022W33NXT; CUP: B53D23023200006).

Riferimenti bibliografici
  • Angeli 1985
    A. Angeli, L’esattezza scientifica in Epicuro e Filodemo, “Cronache Ercolanesi” 15 (1985), 63-84.
  • Arrighetti 1973
    G. Arrighetti (a cura di), EpicuroOpere, Torino 1973.
  • Battegazzore 2006
    A.M. Battegazzore (a cura di), Teofrasto. Il fuoco. Il trattato “De igne”, Sassari 2006.
  • Berti, Rossitto 1993
    E. Berti, C. Rossitto (a cura di), AristoteleIl libro primo della Metafisica, Roma-Bari 1993.
  • Betegh, Gregorić 2014
    G. Betegh, P. Gregorić, Multiple Analogy in Ps.-Aristotle, De mundo 6, “The Classical Quarterly” 64 (2014), 574-591.
  • Bignone 1973
    E. Bignone, L’Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro, 2 voll., Firenze 19732.
  • Brumana 2023
    S.I.S. Brumana, La scienza del divino nel Περὶ κόσμου ps.-aristotelico, Milano 2023.
  • Castelli 2023
    C. Castelli, ΑΚΡΙΒΕΙΑ. Lo stile esatto nella retorica greca, Trieste 2023.
  • Chandler 2014
    C. Chandler, Didactic Purpose and Discursive Strategies in On the Cosmos, in J.C. Thom (ed.), Cosmic Order and Divine Power: Pseudo-Aristotle, On the Cosmos, Tübingen 2014, 69-87.
  • Damiani 2021
    V. Damiani, La Kompendienliteratur nella scuola di Epicuro. Forme, funzioni, contesto, Berlin-Boston 2021.
  • Falcon 2005
    A. Falcon, Aristotle and the Science of Nature. Unity without Uniformity, Cambridge 2005.
  • Falcon 2024
    A. Falcon, The Architecture of the Science of Living Beings: Aristotle and Theophrastus on Animals and Plants, Cambridge 2024.
  • Festugière 1949
    A.-J. Festugière, La révélation d’Hermès Trismégiste, vol. II: “Le dieu cosmique”, Paris 1949.
  • Giannantoni, Vegetti 1984
    G. Giannantoni, M. Vegetti (a cura di), La scienza ellenistica. Atti delle tre giornate di studio tenutesi a Pavia dal 14 al 16 aprile 1982, Napoli 1984.
  • Gigante 1999
    M. Gigante, Kepos e Peripatos. Contributo alla storia dell’aristotelismo antico, Napoli 1999.
  • Gregorić, Karamanolis 2020
    P. Gregorić, G. Karamanolis (eds.), Pseudo-Aristotle: De Mundo (On the Cosmos). A Commentary, Cambridge 2020.
  • Harris, Taub 2024
    A. Harris, L. Taub, Quantification and precision: a brief look at some ancient accounts, “Annals of Science” 81 (2024), 10-29.
  • Kidd 1988
    I.G. Kidd, Posidonius. II. The commentary: (i) Testimonia and Fragments 1-149, Cambridge 1988.
  • Kurz 1970
    D. Kurz, Akribeia. Das Ideal der Exaktheit bei den Griechen bis Aristoteles, Göppingen 1970.
  • Manetti, Fausti 2022
    D. Manetti, G. Fausti (a cura di), Filodemo. De signis. Sui fenomeni e sulle inferenze semiotiche, Pisa 2022.
  • Masi, Morel, Verde 2023
    F. Masi, P.-M. Morel, F. Verde (eds.), Epicureanism and Scientific Debates: Antiquity and Late Reception, vol. I: “Language, Medicine, Meteorology”, Leuven 2023.
  • Masi, Morel, Verde 2024
    F. Masi, P.-M. Morel, F. Verde (eds.), Epicureanism and Scientific Debates: Epicurean Tradition and Its Ancient Reception, vol. II: “Epistemology and Ethics”, Leuven 2024.
  • Mayhew 2018
    R. Mayhew (ed.), Theophrastus of Eresus. On Winds, Leiden-Boston 2018.
  • Merlan [1975] 1994
    P. Merlan, Dal Platonismo al Neoplatonismo [From Platonism to Neoplatonism, third edition, revised, The Hague 1975], traduzione di E. Peroli, Milano 1994.
  • Migliori 2016
    M. Migliori (a cura di), Aristotele. Organon, Milano 2016.
  • Moraux [1984] 2000
    P. Moraux, L’Aristotelismo presso i Greci [Der Aristotelismus bei den Griechen, Berlin-New York 1984], vol. II, t. 1, traduzione di S. Tognoli, Milano 2000.
  • Morel 2024
    P.-M. Morel, Epicurean akribeia, in F. Masi, P.-M. Morel, F. Verde (eds.), Epicureanism and Scientific Debates: Epicurean Tradition and Its Ancient Reception, vol. II: “Epistemology and Ethics”, Leuven 2024, 25-45.
  • Parisi 2017
    A. Parisi, Laus physiologiae, παιδεία e parenesi: una proposta di lettura (PHerc. 831, VII-XV Körte), “Cronache Ercolanesi” 47 (2017), 41-53.
  • Reale, Bos 1995
    G. Reale, A.P. Bos, Il trattato Sul cosmo per Alessandro attribuito ad Aristotele, Milano 1995.
  • Repici 2013
    L. Repici (a cura di), Teofrasto. Metafisica, Roma 2013.
  • Romeo 1979
    C. Romeo, Demetrio Lacone: Sulla grandezza del sole (PHerc. 1013), “Cronache ercolanesi” 9 (1979), 11-33.
  • Schenkeveld 1991
    D.M. Schenkeveld, Language and style of the Aristotelian De mundo in relation to the question of its inauthenticity, “Elenchos” 12 (1991), 221-255.
  • Thom 2014
    J.C. Thom (ed.), Cosmic Order and Divine Power: Pseudo-Aristotle, On the Cosmos, Tübingen 2014.
  • Usener 1977
    H. Usener, Glossarium Epicureum, edendum curaverunt M. Gigante et W. Schmid, Roma 1977.
  • Vegetti 1965
    M. Vegetti (a cura di), Opere di Ippocrate, Torino 1965.
  • Verde 2010
    F. Verde (a cura di), Epicuro. Epistola a Erodoto, introduzione di E. Spinelli, Roma 2010.
  • Verde 2013
    F. Verde, Epicuro, Roma 2013.
  • Verde 2016
    F. Verde, Aristotle and the Garden, in A. Falcon (ed.), Brill’s Companion to the Reception of Aristotle in Antiquity, Leiden-Boston 2016, 35-55.
  • Verde 2022a
    F. Verde, La meteorologia epicurea, in F. Verde (a cura di), Epicuro. Epistola a Pitocle, in collaborazione con M. Tulli, D. De Sanctis, F.G. Masi, Baden-Baden 2022, 27-107.
  • Verde 2022b
    F. Verde, Commentario: La realtà del possibile, in F. Verde (a cura di), Epicuro. Epistola a Pitocle, in collaborazione con M. Tulli, D. De Sanctis, F.G. Masi, Baden-Baden 2022, 145-257.
  • Verde 2022c
    F. Verde, Peripatetic Philosophy in Context. Knowledge, Time, and Soul from Theophrastus to Cratippus, Berlin-Boston 2022.
  • Verde 2025
    F. Verde, Scienza epicurea, in R. Cubeddu, F. Verde (a cura di), Epicureismo antico e moderno, Roma 2025, 25-45.
English abstract

Epicurus’ notion of akribeia holds crucial philosophical and scientific significance. This paper examines some of its specific features and engages with the thesis that Epicurus’ account emerges within a well-defined intellectual debate. To trace the contours of this debate, attention is given to the treatment of akribeia in the Peripatetic tradition, especially in Aristotle and Theophrastus, while also considering the pseudo-Aristotelian Περὶ κόσμου. The analysis of akribeia within both Epicureanism and Aristotelianism – closely tied to crucial issues such as aitiologia and argumentative strategies – ultimately leads to a question that was deeply felt in the Hellenistic age: the identity of philosophy and science, that is, how each defines itself in relation to both detailed inquiry and epistemological accuracy.

keywords | Akribeia; Epistemology; Hellenistic Philosophy; KeposPeripatos.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Selene I.S. Brumana, Con o senza akribeia? Su filosofia e scienza nel dibattito ellenistico, “La Rivista di Engramma” n. 225, giugno 2025

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2025.225.0005