"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

La casa di Penelope e Harry Seidler

Mattia Cocozza

English abstract

1 | Harry & Penelope Seidler House, Killara, Sydney, Australia 1966-67. Architects Harry & Penelope Seidler. Photo Max Dupain 1967 © Penelope Seidler. Source State Library New South Wales, Sydney.

Agli albori degli anni Cinquanta Harry Seidler[1] irrompe ufficialmente nella scena architettonica australiana, importando nel ‘nuovissimo continente’ la cifra espressiva di una modernità nel frattempo già divenuta ‘internazionale’. A segnare materialmente questo momento è l’iconica casa realizzata per i genitori a Sydney nel 1948-50 e oggi nota come Rose Seidler House. Un progetto nel quale Seidler chiaramente imprime – non senza compiere una personale, raffinata ed eclettica traduzione dei principi appresi al fianco dei maestri conosciuti all’Harvard Graduate School of Design – l’inconfondibile carattere della bianca e leggera modernità di ascendenza europea. Il prisma limpido dal tetto piano, parzialmente sospeso su pilotis e affiancato da una ‘monumentale’ rampa rettilinea, costituisce solo la prima di una lunga sequenza di colte sperimentazioni progettuali attraverso le quali Harry Seidler scardina e innova i ‘canoni’ dell’architettura domestica australiana. Superando i vincoli legislativi allora vigenti, infatti, in queste opere giovanili l’architetto di origine viennese trasfonde, con sensibilità, tanto la lezione razionale offertagli da Walter Gropius, quanto l’esperienza progettuale totalizzante maturata nello studio di Marcel Breuer a New York. Così, nelle case di Wahroonga, una teoria di setti, sovente organizzati in composizioni centripete, scandisce la distribuzione degli spazi domestici, pronta a snodarsi tra sequenze di piani, opere d’arte site-specific ed elementi d’arredo concepiti come parti integranti del progetto. Ogni ‘pezzo’, cioè, concorre nel definire opere in sé perfettamente ‘compiute’: architetture che godono sì di un rapporto di virtuale osmosi con lo spazio aperto (generato dalle ampie e continue pareti vetrate), ma anche che costruiscono, per converso, anzitutto raffinati ‘paesaggi interni’, ben poco influenzati dalla specificità del suolo o del clima locale. L’irruenza della scena paesaggistica australiana, in sostanza, non ha ancora fatto il suo prepotente ingresso tra i materiali ‘fisici’ al servizio delle manipolazioni ideate dall’architetto.

2-3 | Harry & Penelope Seidler House, Killara, Sydney, Australia 1966-67. Architects Harry & Penelope Seidler. Photo Max Dupain 1967 © Penelope Seidler. Source State Library New South Wales, Sydney.

A segnare questo importante momento di transito e di parziale inversione del punto di vista sui luoghi è un’opera per molti aspetti paradigmatica: la casa progettata da Seidler per la sua famiglia, nel 1966, insieme alla moglie Penelope [Figg. 1, 2, 3]. È proprio l’incontro umano e professionale con Penelope – laureatasi in architettura nel 1964 nel desiderio esplicito di conoscere e maneggiare con consapevolezza il ‘mondo’ spalancatole da Harry[2] – ad innescare infatti l’occasione per cimentarsi ancora una volta nel progetto di una casa, compiendo un significativo scarto nella produzione dell’oramai già noto e ben avviato studio Seidler.

A differenza di quanto accade nelle prime case ‘modello’, informate anzitutto dal desiderio di esercitare chiari principi compositivi e dalla volontà di inseguire aspirazioni linguistiche di stampo modernista, nella dimora manifesto firmata dai due coniugi è la natura rigogliosa – e finanche selvaggia, che proprio in Australia si spinge fieramente sin dentro la città – a governare il pensiero progettante dei due autori/abitanti, suggerendo le regole insediative, orientando i gesti compositivi, predisponendo le ardite scelte materiche. A pochi chilometri dal centro della città, eppure completamente immersa tra fusti e cime di eucalipti secolari, la casa sorge su un sito roccioso e fortemente scosceso, compresso tra la minuta strada di accesso e un piccolo ruscello posto a valle [Figg. 4, 5].

Penelope Seidler (che risiede ininterrottamente in questo luogo da cinquantotto anni) ha definito il brano di terra da lei ed Harry a lungo ricercato per questo progetto un “architect’s block” (Seidler P. 2016) e lo stesso Seidler ha in più occasioni chiarito che: “it’s very important, as important, rather, as the design of a house is, I think, its location. In other words, you can’t run with your feet tied together, you must have a superb spot if you also want a superb opportunity for great architecture. She found the site […]” (Seidler, De Berg 1972). E la straordinaria lezione offerta da questo progetto risiede proprio nella sua capacità di appropriarsi, con destrezza compositiva, della naturale drammaticità del sito impervio sui cui sorge. Ma tutt’altro che conciliante o mimetica è la facies della casa nel suo porsi in rapporto all’orografia del luogo: sbalzi prominenti, passerelle aeree e coperture aggettanti in béton brut configurano, nel loro insieme, l’immagine di un plastico baluardo, avamposto di una nuova modernità al tempo stesso minacciosa e rassicurante.

4 | Planivolumetrico della Casa di Harry e Penelope Seidler. Ridisegno di Mattia Cocozza.
5 | Profilo nord della Casa di Harry e Penelope Seidler. Ridisegno di Mattia Cocozza.

A colpire magneticamente uno strabiliato Gio Ponti, ospite dei Seidler a Killara nel 1967, è anzitutto il modo in cui i due blocchi che compongono la casa (il garage posto a ridosso della strada e la dimora vera e propria immediatamente a valle) si rapportano al contesto se osservati in sezione: non “la casa in cima al colle che si veda da ogni luogo, e che guardi lontano, la casa per tutti, ma la casa in fondo al bosco, che nessuno vede e trova. E si è scelti per esserne ricevuti. Ci si arriva dalla strada di sopra e poi si comincia a scendere, a scendere e dalle cime degli alberi che giungono all’altezza della rimessa si affonda a capofitto, a tuffo diretto, lungo i tronchi e sino alle radici degli alberi, e da tutte le grandi finestre della casa e da tutte le aperture lo stesso verde meraviglioso, fiabesco […]” (Ponti 1968, 17).

I due blocchi di calcestruzzo armato si attestano, in successione, su ripidi salti di quota, ma senza fondersi del tutto con i banchi di roccia basaltica. I solai a sbalzo articolati dai progettisti, infatti, nell’animare volumetricamente il profilo della casa, producono profonde asole d’ombra e lasciano al contempo chiaramente intravedere i punti di contatto in cui il cemento si dissocia dalla roccia, identificandosi così come ‘altro’ rispetto alla ‘naturalità’ del sito. Una natura in ogni caso ‘reinventata’ dal progetto, capace di tramutare percettivamente un frammento di bosco di un tranquillo sobborgo urbano di Sydney in una fagocitante ‘foresta vergine’, onnipresente in ogni spazio della casa. Qui, in definitiva, l’architettura non rinuncia a manifestare il suo carattere di ‘umana appropriazione’ del mondo. Appropriazione che passa attraverso la sapienza compositiva di Harry e lo spirito critico-figurativo di Penelope; una combinazione che suggerisce ai due architetti di enfatizzare il profilo acclive del costone di roccia, disegnando una compenetrazione di spazi verticali spregiudicatamente pronunciata. I prospetti della casa, infatti, risultano assimilabili a vere e proprie sezioni e rivelano, senza filtri, i chiari principi compositivi e tettonici che guidano l’intero impianto insediativo. Molti i riferimenti dagli stessi progettisti nel tempo dichiarati: uno su tutti il dipinto Space-time construction #3 di Theo van Doesburg (Seidler H. 1980; Belogolovsky 2017). Ma la forza espressiva del progetto, nel suo costruirsi per intersezioni di piani, talora tra loro in collisione, richiama alla mente anche altre possibili suggestioni, come le lontane ‘contrapposizioni pulsanti’ dell’architettura barocca italiana ammirata da Seidler (Seidler H., De Berg 1972) o le più affini sperimentazioni moderne dell’architettura brasiliana conosciuta a fondo nell’esperienza lavorativa antecedente all’approdo in Australia. A suggerire queste consonanze audaci sono anche alcuni particolari costruttivi. Il canale di scolo delle acque piovane, ad esempio, emerge plasticamente come un profilo ad U dal fondale cieco e ruvido in calcestruzzo armato faccia-vista della rimessa e da questo poeticamente si diparte in verticale una catena d’acciaio atta a indirizzare il percorso dell’acqua [Fig. 6].

6, 7 | Harry & Penelope Seidler House, Killara, Sydney, Australia 1966-67. Architects Harry & Penelope Seidler. Photo Max Dupain 1967 © Penelope Seidler. Source State Library New South Wales, Sydney.

Un dettaglio, oltretutto, che avalla la metaforica immagine più volte evocata da Penelope Seidler: quella di un “maniero medioevale-moderno” (Seidler P. 2016), solido, inscalfibile, arroccato su un declivio, al quale si accede attraverso una sorta di ‘ponte levatoio’ e caratterizzato dall’impiego di materiali volutamente ‘duri’ (e durevoli). Un risultato per molti versi esattamente contrario a quello ricercato da Harry Seidler nel costruire le sue prime, leggere abitazioni bianche, qui scontratesi con la preminenza di un paesaggio al quale l’architettura non vuole arrendersi sconfitta. Anzi, è pronta a coglierne avidamente tutte le seduzioni: la forte pendenza del suolo, infatti, suggerisce un’organizzazione distributiva disposta su quattro mezzi piani gravitanti intorno ad un corpo scala. E qui una serie di ‘teatrali’ affacci e svuotamenti operati in più direzioni consente di mettere visivamente in relazione tutti gli ambienti posti a quote diverse della casa. Si aprono così scorci inediti e prospettive continue sugli spazi domestici e, simultaneamente, sul verde del circostante “oceano vegetale” (Ponti 1968, 17) [Figg. 7, 8, 9].

8-9 | Harry & Penelope Seidler House, Killara, Sydney, Australia 1966-67. Architects Harry & Penelope Seidler. Photo Max Dupain 1967 © Penelope Seidler. Source Harry Seidler & Associates. Original plans held at Mitchell Library, State Library New South Wales, Sydney.

I pavimenti di quarzite, le pareti segnate dai getti di calcestruzzo in casseforme grezze e il camino in basalto riflettono l’asprezza del luogo, in contrapposizione al ‘calore’ emanato dal soffitto rivestito in assi di quercia della Tasmania e alla vibrante carica figurativa e cromatica delle opere d’arte contemporanea selezionate da Harry e Penelope. Le opere di Frank Stella, Joseph Albers e Sam Francis sono tutt’oggi nella posizione per le quali erano state originariamente selezionate e continuano a fare da sfondo all’incessante impegno di Penelope Seidler come curatrice e conoscitrice del mondo dell’arte contemporanea, oltre che come direttrice dello studio Harry Seidler & Associates. Così come continua a rappresentare un’opera emblematica la Casa a Killara, non tanto (o non solo) per la traiettoria linguistica magistralmente tracciata dai suoi architetti negli anni Sessanta, quanto per il modo specifico (e a tutti gli effetti ‘moderno’) di guardare e ‘inventare’ il carattere di un luogo.

È condivisibile, dunque, l’“affettuosa invidia” che Gio Ponti rivolge a Seidler nel concludere il suo entusiastico testo di commento all’architettura di questa casa, eletta a luogo che letteralmente “giova ai pensieri dell’architetto” (Ponti 1968, 17). Ma si può aggiungere, a distanza di molti anni, che questo progetto in sé, nel senso della sua lettura critica e conoscenza, può giovare anche ad un bacino molto più ampio di persone: tutti coloro che sono interessati ad un modo non mimetico e altamente espressivo di pensare l’architettura in rapporto alla natura, per continuare a rincorrere l’immortale necessità dell’uomo di ‘poeticamente abitare’ la terra.

Note

[1] Harry Seidler (1923-2006) si laurea in Architettura alla University of Manitoba nel 1944. Una borsa di studio gli consente di frequentare, nel 1945, la Graduate School of Design di Harvard, dove intercetta, tra gli altri, Walter Gropius, Sigfried Giedion e Marcel Breuer. Con quest’ultimo Seidler avvia una proficua collaborazione professionale (1946-48), seguita da una breve parentesi sudamericana, nell’arco della quale, tra l’aprile e il giugno del 1948, l’architetto lavora al fianco di Oscar Niemeyer.

[2] Il 1958 è l’anno che segna il matrimonio dei coniugi Seidler e la conseguente decisione di Penelope, all’epoca appena ventenne, di interrompere i suoi precedenti studi per poi iscriversi alla Facoltà di Architettura della University of Sydney nel 1959.

Riferimenti bibliografici
  • Belogolovsky 2014
    V. Belogolovsky, Harry Seidler: lifework, New York 2014.
  • Belogolovsky 2017
    V. Belogolovsky, Harry Seidler. The Exhibition: organizing, curating, designing, and producing a world tour, Hong Kong 2017.
  • Frampton, Drew 1992
    K. Frampton, P. Drew, Harry Seidler: four decades of architecture, New York 1992.
  • Ponti 1968
    G. Ponti, Australia. Harry e Penelope Seidler, “Domus” 465 (agosto 1968), 16-25.
  • Seidler H. 1980
    H. Seidler, The Work of Harry Seidler: Work in the Mainstream of Modern Architectural Development, Recording by the Royal Australian Institute of Architects, 8 October 1980.
  • Seidler H., De Berg 1972
    H. Seidler, H. De Berg, Conversation with Harry Seidler, Hazel De Berg Collection, Tape 565, 13th January 1972, National Library of Australia.
  • Seidler H., Seidler P. 1968
    H. Seidler, P. Seidler, 3 Australian Houses, “The Architectural Review” 143, 856 (June 1968), 422-426.
  • Seidler H., Seidler P. 1970
    H. Seidler, P. Seidler, La casa Harry Seidler, “Informes de la Construcción” 23, 226 (Diciembre 1970), 3-9.
  • Seidler P., 2016
    Sydney Residence: Harry and Penelope Seidler House, Monocle Film, 2016.
  • Young 2018
    M. Young, Penelope Seidler: Grand designs, “ArtAsiaPacific” 107 (March 2018), 94-95.
English abstract

At the dawn of the 1950s, Harry Seidler made his official entrance into the Australian architectural scene, bringing to the ‘newest continent’ the expressive language of modernism that had, in the meantime, already become ‘international’. Marking this moment was the iconic house he designed for his parents in Sydney between 1948 and 1950, now known as the Rose Seidler House. In this project, Seidler distinctly conveys – while offering a personal, refined, and eclectic interpretation of the principles he acquired from his masters at the Harvard Graduate School of Design (Gropius and Breuer) – the defining characteristics of a light, white, and European-rooted modern language. However, in his early projects, the power of the Australian landscape had not yet entered among the ‘physical’ materials employed in the architect’s manipulations. A significant transitional milestone is represented by the house Seidler designed for his own family in 1966 in collaboration with his wife, Penelope. In this ‘manifesto house’, the domestic space actively engages with the rich and sometimes untamed nature that assertively permeates the urban environment in Australia. Situated in the Killara district and currently inhabited by Penelope, this residence harmonizes with the dramatic features of its steep site, accentuating the sloping terrain through a boldly articulated profile. The integration with nature is comprehensive; as one navigates through the home’s dynamic interior, every space is visually and physically interconnected, and expansive glass walls draw the inhabitants into the lush green mass of the surrounding ‘forest’. Nevertheless, the house’s appearance is anything but conciliatory or camouflaged in its relationship with the site’s natural topography. Instead, it presents an assertive profile characterized by bold cantilevers, soaring walkways, and protruding béton brut roofs, collectively forming a sculptural ‘bastion’ – an emblem of a deeply expressive approach to keep ‘poetically inhabiting the earth’.

keywords | Penelope Seidler; Harry Seidler; Australian modernity; House in Killara.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Mattia Cocozza, La casa di Penelope e Harry Seidler, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.