"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

7 | aprile 2001

9788894840056

Tavola della Grazia

Saggio interpretativo di Mnemosyne Atlas, Tavola 74

a cura del Seminario Mnemosyne, coordinato da Monica Centanni e Katia Mazzucco, con la collaborazione di Sara Agnoletto, Maria Bergamo, Lorenzo Bonoldi, Giulia Bordignon, Claudia Daniotti, Giovanna Pasini, Alessandra Pedersoli, Linda Selmin, Daniela Sacco, Valentina Sinico

Tema portante della tavola 74 è la Grazia nelle forme della guarigione, del miracolo, della misericordia.

La successione delle Figg. 2, 3, 4 suggerisce che il miracolo – guarigione o chiamata a seguito del Signore – avviene davanti al tempio [Fig. 2] o, addirittura, presso la porta del tempio (Atti 3, 12 [Figg. 3, 4]): spazio etimologicamente profano. Nel montaggio le scelte compositive indicano immediatamente alcuni degli elementi formali e contenutistici che intrecciano i percorsi di senso: l’accostamento verticale di tre grandi riproduzioni da opere di Masaccio [Fig. 2], Raffaello [Fig. 5], Rembrandt [Fig. 8]; l’opposizione, in apertura (San Pietro risana con l’ombra [Fig. 1]) e in chiusura della tavola (La continenza di Scipione [Fig. 12]), di due immagini di differente trasmissione della Grazia.

La preferenza accordata da Warburg ai tre artisti – così distanti fra loro cronologicamente e geograficamente – è riconducibile alla compostezza stilistica e alla "consapevolezza dell’essenziale e del semplice" evidente nelle loro opere, indifferenti alle lusinghe dello stile ideale all’antica nella sua deriva della retorica muscolare. Tale compostezza (P1) trova originale espressione nell’uso perfettamente calibrato degli effetti pittorici di luce e ombra (A), soluzioni visive del tema conduttore della tavola; luce e ombra che si caricano anche del valore semantico della Grazia intesa come salus.

Incipit ed explicit, San Pietro risana con l’ombra [Fig. 1] e La continenza di Scipione [Fig. 12], sono i due poli tra i quali si snoda il percorso in cui si inscenano le modalità differenti di intervento sul dolore: il rigore della figura di Pietro [Fig. 1], presenza che dà la guarigione anche solo con l’ombra (Atti 5, 15) – pittorica proiezione della sua fisicità ma anche immagine simbolica della trasmissione della Grazia (B) –, l’efficacia gestuale della mano eloquente di Cristo ([Figg. 2, 5, 8] Gf1, GF2); il contatto fisico nell’episodio della continenza di Scipione ([Fig. 12] Gf4).

Il miracolo rappresentato nell’affresco di Masaccio è un miracolo del tutto particolare: secondo Atti 5, 15, la potenza di Pietro è tale che il contatto immateriale con l’ombra del santo è oggettivamente taumaturgico; i fedeli portano gli infermi lungo il cammino percorso da Pietro di modo che siano risanati semplicemente perché sfiorati dal passaggio dell’ombra, indipendentemente dalle intenzioni dell’apostolo. Ombra che guarisce come contrappunto della luce divina: comunque medium di salvezza (A). La particolarità di questo potere di Pietro – l’ombra protagonista e agente del miracolo – induce Masaccio a un’invenzione formale: per la prima volta nella pittura quattrocentesca, l’ombra ‘portata’ è dipinta come una sagoma resa attraverso una stesura di colore; nello stesso ciclo pittorico, la scena della Cacciata dei progenitori, in cui l’ombra non ha valore semantico, vede Adamo ed Eva proiettare sul suolo del paradiso un’ombra resa solo a tratteggio.

Proprio sul tema della restituzione pittorica della luce e dell’ombra, nella linea di evoluzione artistica che dalla lezione di Masaccio, attraverso l’esempio di Piero, giunge fino alla luce come materiale pittorico nella maniera di Rembrandt, scrive Warburg:

Nelle mani di Piero della Francesca, a uno studio di luce eseguito con distacco quasi scientifico, rimane insieme la capacità puramente spirituale di simboleggiare in modo misterioso e convincente un momento della vita dell’anima. Nel chiaroscuro di Piero della Francesca sembra già operare quella forza che un giorno, nel Rembrandt della tarda maniera, dovrà di nuovo sostenere la lotta contro la retorica romana della mimica. […] Lo spirito di un Masaccio […] a Piero diede la possibilità di superare, mediante la trasformazione più personale, ispirazioni esterne (provenienti sia dal passato sia dal presente nordico) [...]. E chi tra gli italiani non serbava il retaggio di Masaccio, la consapevolezza dell’essenziale e del semplice, con la stessa incrollabilità di Piero, correva pericolo di perdere il senso monumentale a favore di una meschina pittura descrittiva.

Nel segno della ricerca degli effetti di luce e ombra, viene marcata da Warburg una continuità stilistica – azzardata ma teoreticamente convincente – tra la lezione protorinascimantale dei due maestri italiani e l’esito nell’opera di Rembrandt, di pari passo al rifiuto dell’enfasi espressiva di tanti altri artisti tendenti alla deriva retorica della gestualità. Ancora Warburg:

In questa sua opposizione allo stile ufficiale, Rembrandt si rifaceva alla tradizione del Nord che, già nel secolo XV, aveva posto l’arte dell’espressione fisiognomica in contrasto con il compiacimento italiano per il movimento esagerato.

Altrove sempre Warburg parlerà, ancora a proposito di Rembrandt, di “eterno problema amletico del tormento della coscienza divisa fra il movimento di riflesso e le riflessioni”. Lo sviluppo tematico del discorso sulla trasmissione e ricezione della salus si riflette infatti anche nell’articolarsi del valore semantico del gesto.

Lo stesso gesto della mano con l’indice puntato (Gf1) compiuto da Cristo e da Pietro in Fig. 2 si carica di un valore diverso, soprattutto se confrontato con l’immagine sottostante della Consegna delle chiavi di Raffaello [Fig. 5]. Nell’affresco di Masaccio l’apostolo risponde alla chiamata di Cristo ribadendo la sua indicazione attraverso un gesto puramente deittico (Ge1), laddove invece il gesto del Signore è contemporaneamente eloquente – indica il luogo del miracolo – ed efficace – indica Pietro come tramite del miracolo (Gf1).

Senza passaggi intermedi il gesto è invece vero veicolo della Grazia nelle altre immagini di salvazione presentate nella tavola: in Fig. 5 la mano protesa di Cristo chiama Pietro a farsi pastore delle anime; nell’incisione di Rembrandt [Fig. 8] Gesù, la mano sinistra levata e il braccio destro allungato verso la donna con il bambino, chiama a sé e accoglie gli infermi donando loro la guarigione.

L’incisione dei Cento fiorini [Fig. 8] – in cui Rembrandt concentra in una stessa rappresentazione diversi interventi miracolosi di Cristo – ha una posizione di rilievo nel montaggio della tavola e apre uno spiraglio sulla connessione tra il tema portante della guarigione e la vicenda biografica di Warburg. Proprio una riproduzione di quest’opera di Rembrandt, infatti, fu donata da Warburg allo psichiatra Ludwig Binswanger quando lasciò la clinica di Kreuzlingen, dove era stato in cura dal 1919 al 1924. Il terapeuta, che agisce sul dolore dell’anima con il farmaco immateriale della presenza e della parola, è assimilato alla figura salvifica per eccellenza; il paziente, con questo pegno significativo, ricambia il ‘dono’ ricevuto. La contiguità con la stampa delle Tre croci [Figg. 7] non solo evidenzia il discorso stilistico sulla luce in Rembrandt, ma ribadisce l’evidenza del tema del dolore.

Anche Pietro, vicario del Signore, è strumento di trasmissione della salus: attraverso il distaccato contegno che lo caratterizza nell’affresco di Masaccio [Fig. 1] ma anche, nelle incisioni di Rembrandt poste immediatamente sotto [Figg. 3, 4], con la partecipazione emotiva espressa dalle braccia aperte (Gf2) ad accogliere e sanare lo storpio ai suoi piedi.

Allo stesso modo la figura di colui che riceve la Grazia, intesa come guarigione del corpo e salvezza dell’anima, si carica di valenze differenti: dalla vera e propria Pathosformel dell’uomo inginocchiato a braccia incrociate sul petto ([Fig. 1] F1) alla figura con le mani giunte, gesto eloquente della devozione, della preghiera e della supplica ([Figg. 1, 5, 8] Ge2).

Nelle opere assemblate in questa tavola il gesto si rivela per il suo valore non solo comunicativo (di “gesto eloquente”, Ge) ma anche attivo (di “gesto efficace” Gf): in questo senso si privilegia una lettura non retorica della gestualità delle figure. L’accento posto sulla compostezza e l’equilibrio, non turbati dall’actio gesticolante, rende coerente l’inserzione nella tavola dell’opera di Raffaello [Fig. 5], che non si giustifica meramente per la suggestione formale che Warburg riconosce al maestro italiano sullo stile compositivo di Rembrandt.

La sintassi della tavola risulta quindi improntata al distacco e al contegno interiore delle figure centrali (P2), agenti della Grazia, e il filo conduttore tra opere e artisti tanto distanti fra loro è la scelta di uno stile pittorico equilibrato, che restituisce il senso di una magnificenza severa. La potenza ferma di queste figure autorevoli (Cristo, il santo, il principe) che produce la magia dei miracoli senza contatto (B): laddove la necessità del contatto pare intesa come diminutio della potenza e della auctoritas, e il dono diventa scambio o concessione [Figg. 2, 12].

Scadono nel pathos solo le figure dell’infermità e dell’inferiorità: gli storpi, i malati e i dolenti ai piedi della croce sono scomposti e, in preda al dolore fisico o spirituale, perdono il controllo sul proprio corpo; non sono ancora, o non potranno essere mai, figure attive della Grazia. Le immagini del nano, dell’infermo, dello schiavo, quindi tutte le figure poste in una condizione di inferiorità (D), fanno da contrappunto all’auctoritas della figura che conferisce la Grazia.

Il contegno, la padronanza, la consapevolezza ‘apollinea’ del potere di concedere la salvezza appartengono a Cristo ma anche, a sua imitazione (E), a Pietro e al princeps, sia cristiano (Gianfrancesco Gonzaga in Fig. 6, e il cavaliere in Fig. 9), sia pagano (Scipione nelle Figg. 11, 12). Nel caso del principe, se nella medaglia di Pisanello (Fig. 6) la sua grazia deriva tanto dal contrasto con la deformità del nano quanto dall’essere cavaliere cortese e non condottiero e violento conquistatore, nei dipinti di Jan Steen [Fig. 11] e Jan Lievens [Fig. 12] la Grazia è quella concessa e non donata da Scipione alla schiava e al suo sposo.

La concessione del re avviene attraverso l’imposizione (Gf3) o il contatto della mano che sancisce il patto salvifico e nuziale. Risalendo lungo l’asse verticale che congiunge nella Tavola la Fig. 12 alla Fig. 2, l’immagine del re e della fanciulla con le mani che si toccano (Gf4) si riflette nelle figure di Pietro e del gabelliere nell’affresco di Masaccio, unendo le sole scene di “trasmissione per contatto” presentate nel pannello: il dono non consiste nella Grazia o nella salvezza, offerta che richiede in cambio il pegno (C) spirituale della fede, ma nelle monete, conversione in denaro dello scambio inteso come fatto materiale.

In questa complessa tessitura dei percorsi semantici, la centralità delle stampe delle Tre croci [Figg. 7, 10] è tematica oltre che compositiva: l’immagine del Crocifisso si pone come fulcro in cui vengono a condensarsi tutte le tematiche della tavola (sofferenza e salvezza; luce e ombra). La dialettica luce/ombra – esaltata dallo stile delle tarde incisioni di Rembrandt – è espressione del sacrificio di Cristo, massimo dono di Grazia compiuto non per la salvezza o la guarigione di un uomo ma per la redenzione dell’umanità. Ai piedi dei corpi crocifissi, tra le figure riconducibili alle convenzionali posture della compassione (F2 – cfr. ”Il Teatro della morte” di Tavola 42), si staglia solitaria la figura del cavaliere che ha il suo modello inequivoco nel verso della medaglia di Pisanello [Fig. 6], la cui immagine è giustapposta, nel montaggio della tavola, all’incisione. Ma evidentemente non un semplice gioco di riconoscimento fonte-ripresa; così già Gombrich:

Sempre in rapporto con il senso più profondo in cui un artista è spinto a prendere un motivo da una fonte all’apparenza sorprendente, Warburg era stato molto colpito dal fatto che Rembrandt, per il comandante romano sul Golgota nella sua tarda incisione Tre croci, si fosse rifatto alla figura di una medaglia di Pisanello. Invece di usare la formula di gestualità espressiva che aveva dato luogo alla figura tragica della Maddalena piangente, la ‘menade sotto la croce’, Rembrandt aveva preso un’immagine isolata, chiusa in se stessa, come per sottolineare l’interiorità della conversione, quella ‘pausa tra l’impulso e l’azione’ che era per Warburg il segno della cultura più alta e che egli vedeva simbolizzata nella quiete delle immagini religiose di Rembrandt.

La figura di Cristo risulta archetipo e modello della sofferenza umana (H). Cristo in croce è contemporaneamente Pathosformel e Statusformel: è corpo stremato dal dolore, corpo morto che pende dalla croce, accostabile in questi termini allo spasimo dei ladroni; è simbolo di trasmissione della Grazia attraverso una postura – gesto efficace delle braccia spalancate, inchiodate alla croce – che si fa convenzione, Statusformel del sacrificio unico e supremo.

L’idea del sacrificio intesse anche la struttura di tav. 75, che presenta ancora due opere di Rembrandt a confronto con stampe e dipinti coevi e non. Il sacrificio rituale compiuto per la divinazione (75.2) diviene principio e origine dell’anatomia medica, compiuta sul corpo dell’animale (75.3) ma anche dell’uomo (75.5, 75.10, 75.12), lo stesso corpo disteso su un tavolaccio e compianto disperatamente nelle scene funebri (75.4, 75.7). La compostezza stilistica del maestro fiammingo è linguaggio, nella Lezione di anatomia del dottor Tulp, della pura contemplazione e della curiosità scientifica, priva di valore spirituale o di carattere religioso.

La ricerca interiore – vs. le immagine spettacolari o puramente celebrative – è invece la scelta stilistica alla base dell’illustrazione rembrandtiana del dramma Medea di Jan Six, che apre la tavola 73 (73.1). La tragedia di Medea è interamente espressa da un momento di tensione psicologica, il matrimonio di Giasone e Creusa, cui la donna assiste celata dall’ombra densa e pesante resa dai passaggi di tono dell’acquaforte. La tavola 73 – non riducibile solo a questi spunti – offre un altro elemento di confronto con il pannello numero 75: l’immagine del patto tra Civile e Ceriale (73.7, 73.8, 73.15, 73.16), trattativa sancita dai gesti scambiati tra i due fratelli.

*La numerazione delle singole riproduzioni contenute nelle tavole fa riferimento alla numerazione dell'edizione dell'Atlante Vienna 1994.

 English abstract 

The main theme of Panel 74 is Grace in the forms of healing, miracle, mercy. Warburg vertically combines three great artists: Masaccio, Raphael and Rembrandt. This choice is due to stylistic composure and the “awareness of the essential and simple” evident in their works, indifferent to the flattery of the ideal style to the ancient in its drift of muscular rhetoric. In addition, this composure finds expression in the use of the pictorial effects of lue and shadow.

 

keywords | Warburg’s Mnemosyne Atlas, Panel 74Grace; miracle; mercy. 

Per citare questo articolo / To cite this article: Seminario Mnemosyne, Tavola della Grazia. Saggio interpretativo di Mnemosyne Atlas, Tavola 74, “La Rivista di Engramma” n. 7, aprile 2001, pp. 13-25 | PDF