"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

127 | maggio/giugno 2015

9788898260720

Figli di Marte, alla ricerca di testi e immagini: una galleria

a cura del Seminario Mnemosyne ClassicA, coordinato da Giulia Bordignon, Monica Centanni, Silvia De Laude, Daniela Sacco, con la collaborazione di: Maria Bergamo, Lucia Coco, Flavia Culcasi, Simone Culotta, Enkelejd Doja, Maurizio Guerri, Peppe Nanni, Stefania Rimini, G. Olmo Stuppia, Silvia Urbini. Realizzazione della galleria a cura di Alex Cernecca e Nicola Noro

English abstract

Il progetto di allestimento di "Figli di Marte" prevedeva che lo spazio espositivo centrale fosse riservato ai materiali dei tre "sillabari" di Aby Warburg, Ernst Jünger, Bertolt Brecht, allestiti su grandi totem di legno (si vedano la sezione Warburg, con le tavole A B C del Bilderatlas Mnemosyne; la sezione Jünger, con una scelta di materiali da Die veränderte Welt; la sezione Brecht, con una scelta di pannelli da Die Kriegsfibel). Delle 6 nicchie laterali (le ultime 2 che lo spazio espositivo mette a disposizione rimanevano incluse nella zona riservata alla proiezione del video), 3 sono state dedicate alla presentazione degli autori: nelle altre 3 teche si è previsto di allestire testi e immagini che corredassero, come una sorta di commentario continuo, le opere protagoniste della mostra.

Come prima tappa sono stati individuati tre temi che, fin dalle prime analisi, si sono imposti come capitoli fondamentali del dialogo che abbiamo voluto provocare e intrecciare tra Warburg, Jünger e Brecht: I. Guerra; II. Fotografia e montaggio; III. Tecnica e globalizzazione.

Su ognuno dei tre nuclei tematici abbiamo riflettuto individualmente e in seminari comuni, aggiungendo ciascuno, di volta in volta, brandelli di testi, frammenti, figure, tratti dal thesaurus – personale letterario, filosofico, iconografico – di ciascuno di noi. Una volta costituito un consistente repertorio di immagini e testi per ciascuno dei tre temi, ci siamo interrogati su come organizzare ed esporre i materiali. È nata così l'idea di modellare le nostre teche dialettiche prendendo spunto dal formato delle stesse opere protagoniste della mostra, tutte e tre costruite come montaggi semanticamente orientati di immagini e testi: oltre alle consonanze (o feconde dissonanze) concettuali, è infatti propriamente il dato formale delle composizioni ibride e sinestetiche testi/immagini che apparenta le opere fotografiche di Jünger e di Brecht. Per altro, come noto, anche nel progetto dell'Atlante Mnemosyne lasciato incompiuto da Warburg, era prevista la presenza di testi in interazione con le immagini appuntate sui pannelli. Abbiamo quindi seguito questa pista, tentando di provocare un'interazione fra immagini e testi che non risultasse né illustrativa (con le immagini precettate in un ruolo esornativo-ancillare rispetto ai testi), né didascalica (reclutando testi in funzione esplicativo-ancillare rispetto alle immagini).

Dunque, seguendo il metodo e il dispositivo mutuato dai nostri autori, all'interno di ogni nucleo tematico abbiamo provato a montare immagini e testi seguendo il ritmo 'dinamogrammatico' (per ricorrere a un termine di conio warburghiano), in un processo di polarizzazioni progressive, di accordi e di frizioni, di concordanze e di scarti non sempre prevedibili. La riflessione sul meccanismo squisitamente drammaturgico del montaggio (prendendo spunto dal titolo di un importante contributo teorico di Daniela Sacco sull'opera di Brecht, pubblicato nel n. 100, ottobre 2012, di Engramma ripubblicato in questo stesso numero della Rivista) ha fornito un solido telaio di riferimento per la nostra tessitura: ogni teca è diventata così un piccolo teatro in cui inscenare incontri e scontri, e da cui sono scaturite tensioni produttive e nuove scintille di senso.

Abbiamo quindi provveduto, per ognuno dei tre temi, a raggruppare in insiemi relativamente omogenei i materiali ibridi, cercando sempre, e per quanto possibile, e immagini e testi pertinenti. Il primo criterio di selezione dei documenti è stato quello della pertinenza cronologica: con qualche, significativa e intenzionale, eccezione abbiamo privilegiato testi e immagini riferibili al clima provocato in Europa dal conflitto mondiale (la Prima guerra soprattutto, ma anche il periodo tra le due guerre, con qualche mirata incursione iconografica e letteraria nella Seconda guerra mondiale). Abbiamo approntato quindi una griglia che ha guidato l'articolazione dei capitoli all'interno di ciascuno dei tre temi: lo schema adottato aveva l'obiettivo di formare aggregazioni concettualmente polarizzate, scartando però dalla banalità degli estremismi stereotipati. Per fare un esempio: nel tema (e nella teca) dedicato alla Guerra, tra le molte testimonianze disponibili abbiamo 'tagliato le ali' sia sul versante guerrafondaio che sul fronte pacifista – nonostante sia ben noto come queste due contrapposte poetiche, anche grazie alla loro forte intenzione ideologica, abbiano arruolato nelle loro fila tanti scrittori, pensatori, artisti di valore, e abbiano prodotto opere qualitativamente eccezionali.

Nel clima di questo complesso e ambizioso esperimento, non sarà mera formula di maniera dichiarare che quel che si è cercato di mettere a punto non è un paradigma enunciativo (né un modello espositivo), ma un dispositivo critico pensato per rivelare, a ogni snodo, lo scheletro dell'intenzione ermeneutica: il disegno di un percorso che si dipana – come in un book game rinascimentale o contemporaneo – in una collana di interrogazioni a risposta multipla.

All'interno di questo inquadramento di metodo abbiamo proceduto per tentativi ancora tutti aperti, con sperimentazioni la cui efficacia è certamente tutta da dimostrare. Sia la scelta dei tre temi portanti, sia la selezione di citazioni e di immagini, sia i sotto-raggruppamenti tematici che di sotto indichiamo, si propongono come ipotesi aperte, del tutto disponibili a nuove acquisizioni e a inevitabili perdite: un materiale in fieri che rendiamo pubblico con la precisa intenzione di esporlo a riflessioni e indagini ulteriori.

Tutto ancora da fare, dunque: tutto da studiare, riflettere e meditare. Ma le reazioni dei visitatori della mostra "Figli di Marte" ci confortano sul fatto che forse siamo riusciti in almeno uno dei nostri intenti: in consonanza con la citazione jüngeriana scelta come exergo alla nostra impresa, la ricerca (e l'esposizione di Venezia 2015 che ne è stato il primo esito), volevano "sortire l’effetto di un proiettile a scoppio ritardato" e "promettere al lettore disposto a seguirci attentamente che non verrà risparmiato neanche lui". Sulla sollecitazione di questa inquietudine, possiamo dire che, un po', abbiamo centrato l'obiettivo.

In conclusione: abbiamo provato a dipanare i fili delle suggestioni dei protagonisti della nostra indagine, tentando contemporaneamente di districare anche i fili dei nostri pensieri. Abbiamo provato poi a isolarli, quei fili, tirando anche fisicamente, nelle teche allestite, rossi fili di orientamento e collegamento tra i 'titoli' dei sottocapitoli tematici, posti nelle pareti verticali, e i frammenti di testi e immagini che intorno a quei titoli potevano fare costellazione. Non abbiamo cercato e non abbiamo trovato il filo di Arianna. Ma grazie a questa mancanza, la quête continua. E, per ora, non solo Teseo, l'eroe, ma anche Asterios, il mostro, sono entrambi salvi e – come accade per un istante magicamente sospeso nella meravigliosa versione del mito del Minotauro di Friedrich Dürrenmatt – possono ancora danzare insieme, e insieme riflettersi in un labirinto le cui pareti sono tutte fatte di specchi.

Presentiamo qui di seguito una selezione della ricchissima scelta di immagini e testi, individuati nel corso delle ricerche del Seminario Mnemosyne in vista dell'allestimento della mostra "Figli di Marte".

I. Guerra

Per comprendere le guerre contemporanee è necessario porle in relazione con la Prima guerra mondiale e ancor di più occorre concepirle come il periodico riemergere di una guerra civile europea che, iniziata nel 1914, non si è ancora conclusa.
 Questo il trauma che, da diverse angolature, su diversi fronti, ferisce e segna a fuoco l'esperienza biografica e intellettuale di Aby Warburg, di Ernst Jünger, di Bertolt Brecht.

La prima reazione nei confronti della guerra è, sanamente, un moto di panico, di orrore: Marte è, da sempre, il dio più odioso a uomini e dei (I.8); la guerra produce afasia e indicibilità del mondo (I.4) e obnubilamento della ragione (I.6); la guerra fa del paesaggio civile una Waste Land (I.7), in cui vige una, fatalmente orrenda, democrazia del dolore e della morte (I.9); insopportabile è il pathos della aggressione violenta e del dolore (I.10); a partire dall'esperienza sconvolgente della Prima guerra mondiale, il conflitto nel XX secolo diviene guerra totale (I.5).

Ma da secoli il mito di Medusa ci ricorda il pericolo che l'uomo, ogni volta che si trova a dover guardare in faccia l'orrore, deve affrontare il monstrum per vincerlo. Atena mentre spinge e incoraggia Perseo a uccidere la demonica Medusa, lo mette in guardia dal guardarla direttamente negli occhi: l'unica possibilità data a Perseo è quella di osservare l'orribile volto della Gorgone riflesso nel lucido scudo che la dea gli aveva donato mentre, specchiandosi, si auto-annienta. Guardare il mostro ma riflesso in immagine, senza cedere al fascino del suo volto micidiale. Riattualizzando il senso di questo antico mito ci domandiamo: è giusto rimuovere l'orrore della guerra? La rimozione di quella potenza non è, sempre, prodromica al tracollo afasico, al mutismo terrorizzato, al blocco dell'immaginazione di fronte a ciò che ci atterrisce?


Con James Hillman ci siamo chiesti: è giusto, e soprattutto serve a sventare gli orrendi disastri che la fantasia marziale produce, negare il tremendo amore per la guerra (I.11)? La psicologia antica ben conosce gli influssi che il pianeta rosso esercita sui suoi figli, gli "sbandati Figli di Marte" (I.2): influenze che l'individuo a chiamato a interpretare e a volgere a buon fine, non a negare.

In questo senso, forse, si può anche trattare la tragedia della guerra come un incredibile e inevitabile, gioco: un "teatro di Marte" (I.3), adottando l'immagine che ci suggerisce lo spirito caustico e cinico di Karl Kraus.

Per entrare in questo gioco, per capirne l'istinto e l'irragionevole ragione, la prima mossa è dismettere la logica dicotomica che giudica, la prospettiva moralistica, la logica manichea che oppone il bene della pace al male della guerra. Attivare, invece uno sguardo caleidoscopico che osserva il fenomeno e da esso impara: un prisma che, del mondo, sappia rifrangere i molti, variegati colori.


E allora sarà da ricordare che Ares, il tremendo, odioso Ares, è anche il dio dell'inizio (I.1), che dà principio all'anno e a ogni forma di vita. E sarà utile ricordare, anche, il mito dell'amore di Ares e di Afrodite, genitori di Armonia (I.13): ricordare la figura della grazia vitale di Afrodite tremendamente attratta nel cerchio erotico di Ares (I.12). Ares e Afrodite: ovvero il superamento della dicotomia guerra/pace (I.14), nel segno di un'unione che ci ricorda che la vita in greco era colta e rappresentata anche come commistione di crudeltà e di bellezza. La figura della coppia di amanti divini che soli possono generare Armonia, include nel tremendo della guerra anche la grazia e l'incanto dell'amore. "Festa crudele" in cui giostrano morte e vita, il territorio liminare del polemos è un luogo critico in cui lo stare al mondo trova paradossalmente un limite di senso.


I.1 Marte come inizio
I.2 Figli di Marte
I.3 Teatro di Marte e giochi di guerra
I.4 Afasia e dicibilità del mondo
I.5 Guerra totale
I.6 Obnubilamento della ragione
I.7 La terra desolata

I.8 Marte odioso, o l’orrore della guerra
I.9 Democrazia del dolore e della morte

I.10 Pathos dell’aggressione violenta e del dolore
I.11 Il tremendo amore per la guerra
I.12 Erotismo di Ares
I.13 Ares e Afrodite genitori di Armonia
I.14 Superamento della dicotomia Guerra/Pace

IL DIO DELL’INIZIO
Marte è il Dio degli Inizi, il suo segno zodiacale è l’Ariete, il suo mese è Marzo, e anche Aprile, Mars Apertus, l’apertura che fa succedere le cose.
James Hillman (2007)

LA GUERRA PADRE DI CIÒ CHE ESISTE
Πόλεμος πάντων μὲν πατήρ ἐστι, πάντων δὲ βασιλεύς, καὶ τοὺς μὲν θεοὺς ἔδειξε τοὺς δὲ ἀνθρώπους, τοὺς μὲν δούλους ἐποίησε τοὺς δὲ ἐλευθέρους.

Polemos [la guerra] è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.
Eraclito, DK 22 B 53

IL DISASTRO CHE LIBERA DAGLI OBBLIGHI NORMALI
Il fascino esercitato sulla fantasia da un disastro è dovuto al fatto che esso libera l'individuo dai suoi obblighi normali.
Susan Sontag (2002)

NOI FACCIAMO LE NOSTRE ESPERIENZE IN FORMA CATASTROFICA
Noi facciamo le nostre esperienze nella vita in forma catastrofica. Per mezzo di catastrofi abbiamo il modo e la possibilità di comprendere come funziona la nostra vita associata. Durante le crisi, le depressioni, le rivoluzioni e le guerre noi dobbiamo, pensando, comprendere la “inside story”. Già leggendo i giornali (ma anche le fatture, le ingiunzioni di pagamento, le notifiche di sfratto eccetera) noi sentiamo che qualcuno deve aver fatto qualcosa perché si produca la catastrofe. E dunque chi ha fatto qualcosa? Dietro gli avvenimenti che ci vengono comunicati noi sospettiamo l’esistenza di altri avvenimenti che non ci vengono comunicati. Sono questi i veri avvenimenti. Solo se li conosceremo potremo realmente comprendere.
Bertolt Brecht (1937)

GENIO DELLA GUERRA E GENIO DEL PROGRESSO
Ci sforzeremo di raccogliere alcuni dati che distinguono l’ultima guerra, la nostra guerra, il maggiore e più fatale evento di quest’epoca, da tutte le altre guerre di cui la storia ci ha tramandato il ricordo. Alla peculiarità di questa grande catastrofe ci si può forse accostare affermando che in essa il genio della guerra si è congiunto con il genio del progresso.
Ernst Jünger (1930)

IL CARATTERE DI MARTE
Marte è segno masculino posto nel quinto cielo, molto caldo, focoso, e ha queste proprietà: d’amare militia, battaglie e uccisioni; maligno, disordinato; de metalli ha il ferro, degli omori la collera, de tempi la state; el dì suo è il martedì colla prima hora, 8, 15 et 22, e la sua notte è il sabato; el suo amico è il sole, el nimico giove; ha due abitationi: el dì l’ariete e la notte lo scorpione; la vita overo ezaltazione sua è capricorno, la sua morte overo humiliazione il cancro; et va e 12 segni in 18 mesi cominciando nello scorpione in un mese e mezo, cioè 45 dì; imsegno 40 minuti per dì, et per ora un minuto et 4 secondi.
Calendario Baldini (ca. 1464)

MARTE E I SUOI FIGLI
E gentili adororon Marte per Iddio di guerre, perchè è pianeta caldo et secco, masculino et nocturno. Et induce collora et fuocho. Induce animosità et audacia et appetito di vendecta. Il perchè è et ha maggior potentia di riscaldare che altro pianeta; fa gl'huomini di corpo lunghi et sottili per la sua callidità et siccità, ma nella vechiaia perchè el calor consuma et la seccità rannichia gli fa curvi et chinati. Fa gl'animi mobili, et leggieri, et proni all'ira; le case sue sono ariete, et scorpione. Regna nel capricorno. Quando è ben disposto nella natività dell'huomo influisce in quello egregia virtù in disciplina militare. La qual cosa induxe el poeta che in questo cielo rappresenta gli spiriti di quegli che per honeste et virtuose battagle meritorono beatitudine.
Cristoforo Landino, Sopra la Comedia di Dante, 1482, comm. ad "Par. XIV, 85-87: Ben m'accors'io ch'io ero più levato,/per l'affocato riso della stella,/che mi parea più roggio che l'usato".

ASSIMILARE EMPATICAMENTE SE STESSI AL CARATTERE DI UN'IMMAGINE
L’Astrologia in sostanza non è altro che un feticismo nominalistico proiettato sul futuro: un assimilare empaticamente se stessi al carattere di un’immagine, identificarsi con l’immagine artificiale, rimuovendo completamente il proprio io.
Aby Warburg (1924)

CATASTERIZZAZIONE DEI CADUTI
With proud thanksgiving, a mother for her children,
England mourns for her dead across the sea.
Flesh of her flesh they were, spirit of her spirit,
Fallen in the cause of the free.

Solemn the drums thrill: Death august and royal
Sings sorrow up into immortal spheres.
There is music in the midst of desolation
And a glory that shines upon our tears.

They went with songs to the battle, they were young,
Straight of limb, true of eye, steady and aglow.
They were staunch to the end against odds uncounted,
They fell with their faces to the foe.

They shall grow not old, as we that are left grow old:
Age shall not weary them, nor the years condemn.
At the going down of the sun and in the morning
We will remember them.

They mingle not with their laughing comrades again;
They sit no more at familiar tables of home;
They have no lot in our labour of the day-time;
They sleep beyond England's foam.

But where our desires are and our hopes profound,
Felt as a well-spring that is hidden from sight,
To the innermost heart of their own land they are known
As the stars are known to the Night;

As the stars that shall be bright when we are dust,
Moving in marches upon the heavenly plain,
As the stars that are starry in the time of our darkness,
To the end, to the end, they remain.
Robert Laurence Binyon (1914)

LA BAMBINA ZEPPELINA
Signora Wahnshaffe: i miei figli, che non hnno ancora l'età di morire per il Kaiser o per sacrificarsi in altro modo per la patria, purtroppo hanno anche lo svantaggio di non esser venuti al mondo appena scoppiata la guerra. Altrimenti avrei chiamato il ragazzo Vilno e la bambina Varsavia, oppure Hindenburg e Zeppelina!
Karl Kraus (1922)

UNA CONVERSAZIONE SULLA GUERRA
L’ottimista e il criticone a colloquio
OTTIMISTA: Se solo fosse finita! Che ne dice della violazione di tombe e cadaveri da parte degli inglesi e dei francesi? La propaganda tedesca afferma che si sfruttano le ossa dei caduti e che si estrae il grasso dai cadaveri dei soldati.
CRITICONE: Non posso verificarlo, ma come metafora mi sembra che confermi una realtà più vasta, che corrisponda alla situazione universalmente accettata e che indichi alla perfezione l’uso che in tutte, in tutti i suoi interessi, l’umanità superstite fa della morte eroica e della gloria.
OTTIMISTA: Ma una volta che ci sia la pace ...
CRITICONE:... non ci si sazierà della guerra!
OTTIMISTA: Lei ha da ridire perfino sull’avvenire. Io sono e rimango un ottimista. I popoli sbagliando ...
CRITICONE: ... disimparano! Anzi, sparano!
Karl Kraus (1922)

GIOCHI DI BAMBINI, GIOCHI DI REDUCI
Il male non cresce mai così bene come quando ha un ideale davanti a sé. Comunque non credo che il reduce si reinserirà tanto facilmente nella vita civile. Anzi, credo piuttosto questo. Che irromperà nello hinterland e comincerà proprio lì a far la guerra. Si stringerà al petto i successi che gli sono negati e la guerra sarà un gioco da bambini in paragone con la pace che scoppierà allora.
Karl Kraus (1922)

LIBRI E GIOCHI PER RAGAZZI
SIGNORA FOGATSCHNIGG: E che c’è di nuovo da voi in Germania in fatto di libri e giochi per ragazzi?
SIGNORA WAHNSCHAFFE: Giochiamo alla guerra mondiale.
SIGNORA FOGATSCHNIGG: Come?
SIGNORA WAHNSCHAFFE: Giochiamo alla guerra mondiale è un libro illustrato per i più piccini, ispirato agli eventi attuali. Per i giochi veri e propri... c’è il cannone da 420, ma quello per la verità è vostro. Aspetti.... ah sì, conosce la «Divisione del bottino?»
SIGNORA FOGATSCHNIGG: Sì, ma da noi non ne sono tanto soddisfatti, non so come mai.
SIGNORA WAHNSCHAFFE: Oh, ma è un gioco delizioso. I miei due marmocchi sono beati. Sì, per noi tedeschi il meglio...
SIGNORA FOGATSCHNIGG: .... è appena sufficiente. Invece noi abbiamo “La morte dei russi”, una cosa di gran classe.
SIGNORA WAHNSCHAFFE: Dev’essere bellissimo davvero.
Escono fianco a fianco cantando "Deutschland, Deutschland über alles". Cambia la scena.
Karl Kraus (1922)

UN TEATRO DI MARTE
La messa in scena di questo dramma, la cui mole occuperebbe, secondo misure terrestri, circa dieci serate, è concepita per un teatro di Marte. I frequentatori dei teatri di questo mondo non saprebbero reggervi. Perché è sangue del loro sangue e sostanza della sostanza di quegli anni irreali, inconcepibili, irraggiungibili da qualsiasi vigile intelletto, inaccessibili a qualsiasi ricordo e conservati soltanto in un sogno cruento, di quegli anni in cui personaggi da operetta recitarono la tragedia dell’umanità. La vicenda, che trascorre per cento scene e cento inferni, è impossibile, frastagliata, priva di eroi come quella. Il suo humour è soltanto l’autoaccusa di uno che non è impazzito all’idea di aver superato a mente sana la testimonianza di questi avvenimenti.
Karl Kraus (1922)

LA RECLUTA, O L'ESIBIZIONISMO DELLA MORTE
La prima ora del mio primo giorno
Sono caduto nella trincea.
(Bambini, venite in platea,
In piedi, a guardarmi morire.)
Ruyard Kipling (1919)

GIOCHI DI BAMBINI
I bambini giocano a fare i soldati. Ma perché i soldati giocano a fare i bambini?
Karl Kraus (1922)

DIALOGO TRA DUE MASCHERE ANTIGAS

MASCHERA ANTIGAS FEMMINILE (si avvicina)
Scorgo un uomo caduto per divino volere.
Qui anche noi abbiamo da compiere il nostro dovere.
Questi son tempi cupi, di svaghi non è l’ora.
L’abito non fa il monaco, ma nemmeno la suora.
Fango, dolore e morte non fa più differenza:
se non c’è il sesso onore all’intera discendenza.

MASCHERA ANTIGAS MASCHILE (le si mette di fronte)
Alla sembianza mia
la tua fosse abituata!
Io non so chi tu sia,
o maschera aggraziata!
Giunti al colmo d’orrore,
adempiendo il dovere,
non ci è dato conoscerci
e nemmeno vedere.

Sol la lotta, la Causa,
è per noi quel che vale,
e Vendetta s’incalza
col suo gas micidiale.

Sono i fuochi del cielo
nel sangue temprati.
E a questa quadriglia
noi andiam mascherati.
Fuoco tambureggiante in lontananza.

MASCHERA ANTIGAS FEMMINILE
Il volto ed il sesso
ci vieta il dovere.
Ci è negato il diritto
sesso e volto d’avere.

Trascorsa la vita
tra cadaveri e larve ...
d’arpe e corni un concerto
questa notte m’apparve!

LE DUE MASCHERE (sottobraccio)
Non abbiamo diritto
ad un sesso, ad un volto,
il nostro dovere
volto e sesso ci ha tolto.

Le due maschere svaniscono.
Karl Kraus (1922)

SI DEVE, COMUNQUE, CANTARE
Si può cantare anche
nei tempi oscuri?
Si canterà lo stesso.
Si canterà l’oscurità dei tempi.
Bertolt Brecht (1944)

EBBENE: "POTEVAMO NOI CANTARE!"
Nei giorni a venire non diranno: i tempi erano oscuri, ma: perché i poeti tacevano?
Bertolt Brecht (1944)

L’ASTRAZIONE DELLE PAROLE
Ero sempre imbarazzato dalle parole sacro, glorioso e sacrificio e dall'espressione invano. Le avevamo udite a volte ritti nella pioggia quasi fuori dalla portata della voce, in modo che solo le parole urlate giungevano, e le avevamo lette su proclami che venivano spiaccicati su altri proclami, da un pezzo ormai, e non avevo visto niente di sacro, e le cose gloriose non avevano gloria e i sacrifici erano come i macelli a Chicago se con la carne non si faceva altro che seppellirla. [...] Parole astratte come gloria, onore, coraggio o dedizione erano oscene accanto ai nomi concreti dei villaggi, ai numeri delle strade, ai nomi dei fiumi, ai numeri dei reggimenti e alle date.
Ernest Hemingway (1929)

AFASIA DELLA GUERRA
La libertà dell’uomo rispetto all’universo si manifesta in primo luogo nella parola: gli dei ricevono dall’uomo i loro nomi, da lui sono nominati. Da ciò non si deve concludere che essi siano creazioni dell’uomo. Con la denominazione essi sono piuttosto tratti dal fondo senza nome del mondo; là è la loro realtà, in ogni caso più possente di una parola imperfetta che cerca di tracciar loro un confine. È più possente anche di qualsiasi forma di personalità che può rappresentarsi l’uomo come essere organizzato e abbellirlo con una serie di attributi.
Ernst Jünger (1960)

SOLO LE IMMAGINI POSSONO SOCCORRERCI
Non possiamo prevenire; solo le immagini possono soccorrerci; solo le immagini offrono providentia, protezione, prevenzione.
James Hillman (2007)

PENSARE MARTE, PENSARE L’IMPENSABILE
Reagan ebbe a definire la guerra l’“impensabile”, evocando l’idea mistica di un dio che trascende il pensiero, che trascende l’immagine. No, la guerra non è l’impensabile , e il non pensarla, il non immaginarla, non fa che accentuare il fascino mistico del nuclearismo apocalittico. Ricordiamo l’appello al pensiero che fece Hannah Arendt? Il non pensare, il non immaginare era la regola di condotta di Eichmann, aveva spiegato la Arendt. Dunque continuiamo a pensare, a fare tutti i pensieri che possiamo su Marte.
James Hillman (2007)

LA GUERRA STRUMENTO OTTUSO E SUICIDIO DELLA POLITICA
La guerra non viene circonfusa dalla luce di un affinato incivilimento che ne segni l’inutilità: essa piuttosto si disgrega, divenendo uno strumento ottuso imprevedibile, e perfino suicida, della politica, un vicolo cieco.
Ernst Jünger (1959)

LA GENTE TORNA DAL FRONTE AMMUTOLITA
Non si era notato, che, dopo la fine della guerra, la gente tornava dal fronte ammutolita, non più ricca, ma più povera di esperienza comunicabile? Ciò che poi, dieci anni dopo, si sarebbe riversato nella fiumana dei libri di guerra, era stato tutto fuorché esperienza passata di bocca in bocca. E ciò non stupisce. Poiché mai esperienze furono più radicalmente smentite di quelle strategiche dalla guerra di posizione, di quelle economiche dall'inflazione, di quelle fisiche dalle battaglie caratterizzate da grande dispiego di mezzi e materiali, di quelle morali dai detentori del potere. Una generazione che era ancora andata a scuola col tram a cavalli, si trovava, sotto il cielo aperto, in un paesaggio in cui nulla era rimasto immutato fuorché le nuvole, e sotto di esse, in un campo di forze attraversato da micidiali correnti ed esplosioni, il minuto e fragile corpo dell'uomo. ai caduti.
Walter Benjamin (1939)

UN LARGO E ROSSO FREGO CONCLUSIVO
Lo scoppio della Guerra mondiale traccia il largo e rosso frego conclusivo sull’ultima pagina di quest’epoca
Ernst Jünger (1932)

IL COMPIMENTO DI UN’OPERA IMMENSA
A mano a mano che vedevo i corpi adattarsi alle varie necessità di quella nuova esistenza, io cercavo di scoprire ne' miei compagni i segni dell'inevitabile trasformazione morale, che doveva compiersi a mano a mano. Avevo la persuasione di assistere allo svolgersi di un fenomeno nuovo nella storia dell'umanità. Mai fino ad allora l'umanità si era piegata a un così grande sforzo. Tutte le energie della razza erano puntate al compimento di un'opera immensa, che avrebbe richiesto anni di sacrificio e torrenti di sangue: qualcosa di nuovo sarebbe inesorabilmente nato da quello sforzo titanico.
Curzio Malaparte (1921)

C’È SEMPRE UN’ALTRA GUERRA DA PREPARARE
Dopo ogni guerra

c’è chi deve ripulire.

In fondo un po’ d’ordine

da solo non si fa.


C’è chi deve spingere le macerie

ai bordi delle strade

per far passare

i carri pieni di cadaveri.


C’è chi deve sprofondare

nella melma e nella cenere,

tra le molle dei divani letto,

le schegge di vetro

e gli stracci insanguinati.


C’è chi deve trascinare una trave

per puntellare il muro,

c’è chi deve mettere i vetri alla finestra

e montare la porta sui cardini.


Non è fotogenico

e ci vogliono anni.

Tutte le telecamere sono già partite

per un’altra guerra.


Bisogna ricostruire i ponti

e anche le stazioni.

Le maniche saranno a brandelli

a forza di rimboccarle.


C’è chi con la scopa in mano

ricorda ancora com’era.

C’è chi ascolta

annuendo con la testa non mozzata.

Ma presto

gli gireranno intorno altri

che ne saranno annoiati.


C’è chi talvolta

dissotterrerà da sotto un cespuglio

argomenti corrosi dalla ruggine

e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.


Chi sapeva

di che si trattava,

deve far posto a quelli

che ne sanno poco.

E meno di poco.

E infine assolutamente nulla.


Sull’erba che ha ricoperto

le cause e gli effetti,

c’è chi deve starsene disteso

con la spiga tra i denti,

perso a fissare le nuvole.
Wislawa Szymborska (1993)

LA PERDITA DEL RACCONTO
L'arte di narrare si avvia al tramonto. È sempre più raro incontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si deve: e sempre più spesso si diffonde l'imbarazzo quando, in una compagnia, qualcuno esprime il desiderio di sentir raccontare una storia. È come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di scambiare esperienze. Una causa di questo fenomeno è evidente: le quotazioni dell' esperienza sono crollate. E sembrerebbe che si tratti di una discesa senza fondo. Ogni sguardo al giornale ci rivela che essa è caduta ancora più in basso, che, da un giorno all'altro, non solo l'immagine del mondo esterno, ma anche quella del mondo morale ha subito trasformazioni che non avremmo mai ritenuto possibili. Con la guerra mondiale cominciò a manifestarsi un processo che da allora non si è più arrestato.
Walter Benjamin (1939)

FALSE NOTIZIE E DISTRUZIONE DEL SENSO CRITICO
Le ragioni per cui la guerra è stata così feconda di false notizie sono per la maggior parte troppo evidenti perché valga la pena di insistervi. Non si sottolineerà mai abbastanza fino a che punto l’emozione e la fatica distruggano il senso critico. Ricordo che quando, negli ultimi giorni della ritirata, uno dei miei capi mi annunciò che i russi bombardavano Berlino, non ebbi il coraggio di respingere questa immagine seducente; ne sentivo vagamente l’assurdità, e l’avrei certamente rifiutata se fossi stato capace di riflettere su di essa; ma era troppo piacevole perché una mente depressa in un corpo stanco avesse la forza di non accettarla. Il dubbio metodico è in genere segno di una buona salute mentale; perciò soldati sfiniti, con la mente annebbiata, non potevano praticarlo.
Marc Bloch (1920)

UN IMMENSO ESPERIMENTO DI PSICOLOGIA SOCIALE
È tempo di aprire un’inchiesta seria sulle false notizie della guerra; perché i quattro anni terribili già si allontanano verso il passato, e prima di quanto si creda, le generazioni che li hanno vissuti cominceranno lentamente a sparire. Chiunque ha potuto e saputo vedere deve sin da ora raccogliere i suoi appunti o mettere per iscritto i suoi ricordi. Soprattutto non lasciamo il compito di svolgere queste ricerche a uomini del tutto impreparati al lavoro storico. In questa materia le osservazioni veramente preziose sono quelle che vengono da persone abituate ai metodi storici, e a studiare i problemi sociali. La guerra [...] è stata un immenso esperimento di psicologia sociale. Consolarsi dei suoi orrori rallegrandosi del suo interesse sperimentale significherebbe mostrare un dilettantismo di dubbio gusto. Ma poiché essa ha avuto luogo, occorre utilizzare i suoi insegnamenti per il bene della nostra scienza. Affrettiamoci a trarre profitto da un’occasione che dobbiamo sperare unica.
Marc Bloch (1920)

COSA ACCADEVA? NON NE SAPEVAMO NULLA.
Le strade polverose dove troppo spesso la compagnia si sfilacciava, il caldo soffocante, soprattutto nell’attraversare boschi che non davano molta ombra e fermavano i rari aliti di vento, il dormire troppo tardi, il partire troppo presto, la scomodità degli alloggi, la monotonia delle giornate, tutto ciò sarebbe stato poca cosa se non avessimo costantemente voltato le spalle alla frontiera, indietreggiando continuamente, senza combattere. Cosa accadeva? Non ne sapevamo nulla. Soffrivo atrocemente di questa ignoranza. All’incertezza preferisco le cattive notizie e niente mi irrita quanto la sensazione che mi si nasconda la verità.
Marc Bloch (1920)

IL POLVERIZZARSI DELL'ESPERIENZA
Una generazione che era ancora andata a scuola con la carrozza pubblica si trovò sotto il libero cielo in un paesaggio dove nulla era rimasto immutato a parte le nuvole e, in mezzo, al centro di un campo di forze dove si scontravano esperienze devastatrici ed esplosioni, stava il minuscolo, fragile corpo dell'uomo. Gli uomini tornavano dal fronte ammutoliti, non più ricchi, ma più poveri di esperienza comunicabile.
Walter Benjamin (1939)

LA GUERRA CHE NON FA PIU IMPRESSIONE
3 settembre
Le battaglie, i morti, ecc. che si sono avuti davanti alle postazioni non mi hanno fatto finora alcuna impressione.
Robert Musil (1915-1920 ca.)

UN MONDO FEBBRICITANTE
In mezzo alle tenebre che stanno rapidamente inghiottendo un mondo febbricitante, quando tutto non è altro che atti e pensieri di morte e una barbarie dilagante sembra ineluttabilmente trascinare a quella che sarà forse la più grande e la più spaventosa delle guerre, è difficile adottare l’atteggiamento che sarebbe logico aspettarsi da chi si trova alle soglie di un’epoca nuova e felice. Ma tutto non sembra indicare che sta per calare la notte, mentre nulla sembra promettere l’alba di una nuova era? Non sarebbe quindi meglio assumere l’atteggiamento di chi deve affrontare la notte?
Bertolt Brecht (1939)

AL POSTO DI UN BOSCO, UNA RADURA
I tedeschi ignorando che avevamo lasciato il posto, avevano continuato a bersagliarlo anche dopo la nostra partenza. Invece di un bosco, c’era solo una radura. Per proteggere la parte anteriore delle nostre trincee e sbarrare gli intervalli che le separavano, ci fu dato del filo di ferro. Non avevamo ancora il filo spinato americano. Avevamo soltanto filo semplice, senza aculei, come quello utilizzato in campagna per appendere i campanelli o reggere la spalliera.
Marc Bloch (1920)

APRILE È IL PIÙ CRUDELE DEI MESI
The Burial of the Dead
April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.
Winter kept us warm, covering
Earth in forgetful snow, feeding
A little life with dried tubers.
Thomas S. Eliot (1922)

ANESTESIA DELLA GUERRA
When you see millions of the mouthless dead
Across your dreams in pale battalions go,
Say not soft things, as other men have said,
That you’ll remember. For you need not so.
Give them not praise. For, deaf, how should they know
If is not curses heaped on each gashed head?
Nor tears. Their blind eyes see nor your tears flow.
Nor honour. It is easy to be dead.
Say only this “They are dead.” Then add thereto,
“Yet many a better one has died before.”
Then, scanning all the overcrowded mass, should you
Perceive one face that you loved heretofore,
It is a spook. None wears the face you knew.
Great death has made all his for evermore.
Charles Hamilton Sorley (1915)

NARCOSI
Narcosi: ferite senza dolori. Nevrastenia: dolori senza ferite.
Karl Kraus (1920 ca)

L’UOMO FA TUTTO, PUÒ VOLARE, PUÒ UCCIDERE
Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.
Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.
Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.
Bertolt Brecht (1933)

ARES, IL CAMBIAVALUTE DISONESTO
ὁ χρυσαμοιβὸς δ᾽ Ἄρης σωμάτων
καὶ ταλαντοῦχος ἐν μάχῃ δορὸς
πυρωθὲν ἐξ Ἰλίου
φίλοισι πέμπει βαρὺ
ψῆγμα δυσδάκρυτον ἀν-
τήνορος σποδοῦ γεμί-
ζων λέβητας εὐθέτους.

È Ares – il cambiavalute disonesto che converte in cenere i corpi,
Ares – che tiene la bilancia della battaglia.
Sono partiti da ogni dove i guerrieri,
ma dal campo di guerra
Ares ai loro cari rimanda un peso
di polvere su cui piangere:
al posto del corpo di un uomo
il peso leggero di un’urna piena di cenere.
Eschilo, Agamennone, 437-444

FRATELLI NEMICI
πικρός, ὠμόφρων σίδαρος,
χθόνα ναίειν διαπήλας,
ὁπόσαν καὶ φθιμένοισιν κατέχειν.

Il ferro crudele, assassino,
decide quanta terra tocchi a ciascuno:
il pezzo che occuperanno da morti.
Eschilo, Sette contro Tebe, 730-733

NUOVE ARMI: LA “NOSTRA BOMBA A GAS DI TIPO B!”
UFFICIALE DI STATO MAGGIORE TEDESCO. Acqua passata. Ne abbiamo asfissiati più noi in un giorno che voi in un anno intero! Per snidare i francesi e gli inglesi bianchi e di colore e così via ... Sissignori ... La nostra bomba a mano a gas tipo B! La massa tossica schizza via e produce piaghe purulente, con un’escrezione come un vero scolo. (Ilarità) Beh’? È scientificamente provato! La vittima crepa il giorno dopo.
Karl Kraus (1922)

ODORE DI SANGUE
Nell’aria ristagnava un odore di sangue. Nonostante questo tanfo dolciastro, nonostante le grida e i gemiti, nonostante le paure, dormii per qualche ora, disteso in un solco. Nella mattinata andai a visitare le ambulanze, dove un ferito mi chiamava. Vidi piaghe spaventose e facce agonizzanti. I feriti non gridavano, come facevano il giorno prima, sul campo di battaglia. Non gemevano molto, i loro volti esprimevano più stanchezza che sofferenza.
Marc Bloch (1920)

ALL’INDOMANI DI GRANDI MASSACRI LA VITA SEMBRA DOLCE.
Contemplavo non senza un segreto piacere la mia borraccia aperta da un largo squarcio, il cappotto bucato da proiettili che non mi avevano ferito, mi tastavo il braccio indolenzito ma intatto. All’indomani di grandi massacri, a meno di dolori particolarmente strazianti, la vita sembra dolce. Si indigni chi vuole di tale egoistica contentezza. Simili sentimenti sono tanto più solidamente radicati nell’animo quanto più di solito restano in parte sotto il livello della coscienza.
Marc Bloch (1920)

UNA GAMBA STACCATA DAL CORPO ISOLATA E QUASI RIDICOLA NELL’ORRORE
Attraversammo un angolo del campo di battaglia. Squadre di soldati raccoglievano gli ultimi feriti, francesi e tedeschi, e seppellivano i morti. Sul terreno restavano ancora molti cadaveri. Poveri corpi caduti nel pieno della stanchezza, coi muscoli contratti come in un ultimo sforzo. I morti dei grandi combattimenti non conoscono la maestà del riposo eterno. Un odore nauseabondo faceva rivoltare lo stomaco. Il suolo era coperto di resti di ogni genere, armi, equipaggiamenti, frammenti umani. Vidi una gamba che, staccata dal corpo che aveva sorretto, e scagliata lontano, giaceva isolata e quasi ridicola nell’orrore.
Marc Bloch (1920)

SOLUZIONE DI GUERRA
Gli stati moderni più nobili e più sensibili volevano una guerra umana: “fate la guerra, ma non contro la popolazione civile!”. Oggi uno stato che vuole incamerarsi un granaio altrui si mette a proclamare con santa indignazione che è costretto ad andare in quel luogo perché lì ci sono proprietari disonesti, oppure ci sono ministri che si accoppiano con le giumente, ciò che disonora il genere umano. Solo il totale allontanamento dei popoli potrebbe permettere una condotta di guerra ragionevole e il totale sfruttamento delle nuove armi. Una cosa è certa: se non si vuole che la guerra totale resti nel regno dei sogni, si deve trovare una soluzione. Il dilemma è questo: o si elimina la popolazione, o la guerra diventa impossibile. Presto o tardi, ma piuttosto presto che tardi, la scelta deve essere fatta.
Bertolt Brecht (1940-41)

TRINCEE E CATACOMBE
Ora tutte le vie del pensiero sono trincee. Le mie sono catacombe.
Karl Kraus (1920 ca.)

DISUMANA È LA GUERRA
Il commercio e l’economia non sono affatto umani, e portano alla guerra: disumana non è solo la guerra. Sono proprio i tentativi dei monopoli di creare un ordine internazionale a condurre alle guerre internazionali. Le guerre non sono altro che tentativi di mantenere la pace. Le guerre “scoppiano”, a quanto si sente dire, quando uno stato e magari anche i suoi alleati sono particolarmente bellicosi. Cioè quando inclinano alla violenza. Insomma, nessuno stato approva le vere ragioni per cui fa la guerra, anzi le aborre e se ne cerca di migliori. Le ragioni più nobili che si danno per le guerre sono bevute volentieri proprio perché quelle vere, che ci si potrebbe eventualmente immaginare, sono troppo schifose.
Bertolt Brecht (1940-41)

NESSUN VALORE, IN GUERRA
In guerra, quando i proiettili ci fischiano accanto velocissimi, sentiamo che nessun merito di intelligenza, di virtù o di coraggio ha il potere di allontanarli da noi solo di un pelo. E quanto più cresce la minaccia, tanto più si insinua il dubbio sulla tenuta dei nostri valori
Ernst Jünger (1934)

COSA DISTURBA IL BEN MERITATO RIPOSO DEI SUPERSTITI
Perché al di sopra di tutta la vergogna della guerra sta quella degli uomini di non volerne più nulla sapere, accettando che ci sia, ma non che ci sia stata. A quelli che l'hanno vissuta essa è sopravvissuta e se anche le maschere durano oltre le Ceneri, tuttavia l'uno non vuol parlare dell'altro. Com’è profondamente comprensibile il disincanto di un’epoca la quale, mai capace di vivere qualcosa e di rappresentarlo, non è scossa neppure dal proprio crollo, ha idea dell’espiazione tanto poco quanto dell’atto, e tuttavia ha abbastanza spirito di autoconservazione da tapparsi le orecchie davanti al fonografo delle proprie melodie eroiche, e abbastanza spirito di sacrificio da tornare all’occasione a intonarle. Perché che ci sarà la guerra appare meno inconcepibile che a ogni altro proprio a coloro cui lo slogan “c’è la guerra” ha permesso e coperto ogni vergogna, mentre il monito “c’è stata la guerra!” disturba il ben meritato riposo dei superstiti.
Karl Kraus (1922)

IL GUAIO DELLE ROVINE
Il guaio delle rovine non è solo che va distrutta la casa, ma anche che il posto non c’è più; e i progetti degli architetti, a quanto sembra, non si cancellano mai del tutto; sicché con la ricostruzione riappaiono le vecchie infiltrazioni e i focolai di malattia. Quella che è vita febbricitante afferma di essere vita sprizzante di energia: nessuno muove passi più decisi del tisico che ha perso ogni sensazione dalla pianta dei piedi. [...] Può darsi perciò che, proprio in tempo di ricostruzione, fare dell’arte progressiva sia tutt’altro che facile. Ma questa dovrebbe essere la sfida”.
Bertolt Brecht (1940)

DEMOCRAZIA DELLA MORTE
Come ogni vita produce il germe della propria morte, così la comparsa delle grandi masse racchiude in sé una democrazia della morte. L’età del colpo mirato è ormai alle nostre spalle. Il comandante di una squadriglia aerea che a notte fonda impartisce l’ordine di bombardare non fa più alcuna distinzione tra militari e civili, e la nuvola di gas passa come un’ombra letale su ogni forma di vita.
Ernst Jünger (1930)

UN AMBULATORIO MILITARE COME NATURA MORTA, “MISCUGLIO DI NUDO E DI VESTITO”
Chirurgia: All’improvviso arrivo in ambulatorio. Cinquanta persone nella stanza non grande. Medici e infermieri in camici bianchi, malati nudi, seminudi, vestiti. Piedi congelati, coccigi scoperti, tronconi femorali, braccia amputate, intorno a chi giace nudo un precipitarsi avanti e indietro, un afferrare strumenti, uno spennellare di mani femminili, quasi una varietà di pittura accurata, uno strascicar fuori, un portar dentro. – Miscuglio di nudo e vestito.
Robert Musil(1916 – 1918-19)

DEMOCRAZIA DEL DOLORE
Ogni dolore importante, in qualunque ambito lo si provi, non si esprime con parole ma con puri suoni. I luoghi del nascere e del morire sono abitati da suoni di questo tipo. Forse la prima volta che li abbiamo nuovamente uditi in tutta la loro violenza è stato durante la guerra, di notte, sui campi di battaglia pieni di lamenti dei feriti, nelle infermerie, nel grido strozzato di chi è colpito a morte, e il cui significato è inequivocabile. Il cuore percepisce questi suoni in modo diverso dalle parole: è come una sensazione immediata di caldo o di freddo. Gli uomini diventano qui molto simili fra loro: i dolori estremi annullano l’individualità di chi li prova.
Ernst Jünger (1934)

E IL CRISTIANESIMO?
Che cosa si può decidere con una guerra mondiale? Nulla, se non che il cristianesimo era troppo debole per impedirla.
Karl Kraus (1920 ca.)

NOMI COMUNI
Un ascensore si chiama Paternoster. Betlehem è un posto in America dove si trova la più grande fabbrica di munizioni.
Karl Kraus (1920 ca.)

QUEL TREMENDO AMORE PER LA GUERRA
Sono convinto che non potremo mai parlare con costrutto di pace e di disarmo se non penetriamo nell’amore della guerra. Se non entreremo nello stato in cui l’anima è marziale non potremo comprendere la forma di attrazione della guerra. E in questo speciale stato dell’anima bisogna entrare in modo rituale: dobbiamo essere “arruolati”, e la guerra deve essere “dichiarata” (così come si è dichiarati pazzi, uniti in matrimonio o insolventi). Dunque proveremo ora ad “andare alla guerra”; e questo in base a un principio fondamentale del metodo psicologico secondo cui qualunque fenomeno, per essere compreso, va immaginato empaticamente. Per conoscere la guerra dobbiamo penetrare nell’amore della guerra. Nessun fenomeno psichico può essere scardinato dalla sua fissità se prima non spingiamo l’immaginazione fino al suo cuore.
James Hillman (2007)

I MOSTRUOSI ORDIGNI DELLA TECNICA MODERNA SONO GIÀ UNO SPETTACOLO
I mostruosi ordigni della guerra moderna spalancano le fauci lampeggianti, le più paurose armi dell’era della tecnica entrano in gioco ... ma dentro ci sono i corpi umani, che infondono la vita nei morti meccanismi. Via per i campi minati, al di là degli ostacoli, per i mortali sentieri gravidi di esplosivi, verso l’ardente corpo a corpo! Falcia la bomba a mano! … Di trincea in trincea, fino alla postazione principale! La nostra artiglieria riprende fiato esparge il terrore tra le riserve nemiche, si espugna trincea su trincea. È questo un film che si colloca accanto ai più belli, ai più impressionanti film sull’attuale guerra mondiale.
Karl Kraus (1922)

SENTIRE NELLA GUERRA IL SAPORE DELLA VITA
Bisogna aver disceso tutti gli scalini dell'umanità per mordere alla radice stessa della vita, aver "mangiato la terra e averla trovata deliziosamente dolce" come i primi uomini delle leggende indiane, aver sofferto, sperato, maledetto, bisogna essere stati uomini, semplicemente umani, per poter leggere questo libro senza pregiudizio e sentirvi il sapore della vita.
 Non è un libro di guerra questo. È il libro di un uomo che fin dai primi giorni è entrato, come volontario, nel cerchio della guerra, a capo chino, bestemmiando (non Dio), e che ne è uscito all'ultimo giorno, benedicendo Dio, a capo chino, come un francescano; di un uomo che ha lasciato la trincea assetato d'amore e di pace, ma avvelenato fin nelle radici d'odio e di disperazione.
Curzio Malaparte (1921)

IMPULSO DI PIACERE, SPRECO DI FIATO
I know that I shall meet my fate,
Somewhere among the clouds above;
Those that I fight I do not hate,
Those that I guard I do not love;
My country is Kiltartan Cross,
My countrymen Kiltartan's poor,
No likely end could bring them loss
Or leave them happier than before.
Nor law, nor duty bade me fight,
Nor public men, nor cheering crowds,
A lonely impulse of delight
Drove to this tumult in the clouds;
I balanced all, brought all to mind,
The years to come seemed waste of breath,
A waste of breath the years behind
In balance with this life, this death.
William Butler Yeats (1918)

ALESSANDRO, FIGLIO DI MARTE
Ares infiamma il mio sangue
distillando immagini convulse
– dalle fauci di lupo del suo elmo
mi guarda lo Scita morente
– La sete del deserto dilata
gli occhi dei destrieri traci.
Piombo fuso è l'acqua dell'Eufrate
si tuffa il sole nel fiume
fugge la luce dal mio sguardo
– Voglio le falangi elleniche
voglio che avanzino sotto di me sul fiume
con i carri falcati sulle zattere
e nitriscano di terrore i cavalli
nelle sonanti armature
(coro)
Ride folle l'eroe
il dio ha rapito la sua mente
[. . .]
Troppo rapida è giunta la sera
dopo il giorno di ebbrezza
che ci ha concesso il dio.
Giorgio Colli (1955-1977)

L'ECCITAZIONE SU OGNI NUMERO DEL GIORNALE VUOLE LA SUA BATTAGLIA
Berlino, agosto, guerra.
Accanto a tutta questa trasfigurazione l'odioso cantare nei caffè. L'eccitazione che su ogni numero del giornale vuole la sua battaglia. Qualcuno si butta davanti al treno perché non lo lasciano andare al fronte.
(Robert Musil, 1914)

AMARE LA BOMBA
Come ho smesso di preoccuparmi e ho imparato ad amare la Bomba.
Stanley Kubrick (1964)

AMORE IN TRINCEA
Je suis la blanche tranchée au corps creux et blanc
Et j'habite toute la terre dévastée
Viens avec moi jeune dans mon sexe qui est tout mon corps
Viens avec moi pénètre-moi pour que je sois heureuse de volupté sanglante
Je guérirai tes peines, tes soucis, tes désirs ta mélancolie
Avec la chanson fine et nette des balles et l'orchestre d'artillerie
Vois comme je suis blanche, plus blanche que les corps les plus blancs
Couche-toi dans mon sein comme sur un ventre bien-aimé
Je veux te donner un amour sans second, sans sommeil, sans paroles
J'ai tant aimé de jeunes gens
Je les aime comme les aime Morgane
En son castel sans retour
Au haut du mont Gibel
Qui est l'Etna dont s'éloignent vite nos soldats destinés à la Serbie
Je les ai aimés et ils sont morts et je n'aime que les vivants
Allons viens dans mon sexe plus long que le plus long serpent,
long comme tous les corps des morts mis l'un devant l'autre
Viens écoute les chants métalliques que je chante bouche blanche que je suis
Viens ceux qui m'aiment sont là armés
de fusils de crapouillots de bombes de grenades et ils jouent silencieusement
Guillame Apollinaire (1917)

I CANNONI MEMBRI GENITALI
Les mouton noirs des nuits d'hiver
S'amènent en long troupeaux tristes
Les étoiles parsèment l'air
Comme des éclats d'améthystes
La-bas tu vois des projecteurs
Jouer l'aurore boréale
C'est un bataille de fleurs
Où l'obus est une fleur mâle
Les canons membres génitaux
Engrossent l'amoureuse terre
Le temps est aux instincts
Pareille à l'amour est la guerre Ecoute an loin les branle-bas
Claquer le drapeau tricolore
Au vent dans le bruit des combats
Qui durent du soir a l'aurore
Salut salut au régiment
Qui va rejoindre les tranchées
Dans le ciel pâle éperdument
Sur lui la victoire est penchée
Mon coeur embrasse les deux fronts
Fronts de Toutou front de l'armée
Ce qu'ils ont fait nous le ferons
Au revoir ô ma bien-aimée
Guillame Apollinaire (1917)

AFRODITE E ARES
Afrodite è anche, paradossalmente, un nome del logos che riafferra la dispersione del polemos. Polemos non tollera una unificazione trionfale, per la sua natura impaziente ed irrequieta.
Giorgio Colli (1982)

AFRODITE CONTRO ARES: AFRODITE NEUTRALIZZA ARES
Il tutto ora è uno e pervaso di amicizia ad opera di Afrodite, ora è molteplice e intrinsecamente discorde ad opera della Contesa.
Eraclito

UN'ARIA INEBRIATA DI ROSE E DI SANGUE
Cresciuti in un'epoca di sicurezza, sentivamo tutti il desiderio dell'inconsueto, del grande pericolo. E allora la guerra ci afferrò come un'ebbrezza. Eravamo partiti per il fronte sotto una pioggia di fiori, in un'aria inebriata di rose e sangue. La guerra ce le avrebbe offerte, finalmente, le cose grandi, foti, solenni.
Ernst Jünger (1920)

ARES E AFRODITE
Amore e guerra sono stati tradizionalmente abbinati alle figure di Venere e Marte, Afrodite e Ares. È una allegoria convenzionale che troviamo riflessa in formule convenzionali: fate l’amore non fate la guerra, in amore come in guerra tutto è lecito; e nell’alternarsi di certe pratiche: riposo, ricreazione e riabilitazione nei bordelli delle retrovie, seguiti dal ritorno nelle caserme di soli maschi. Invece di questi accoppiamenti, che in realtà separano le due divinità pomemdole come alternative, esiste una esperienza venusiana all’interno dello stesso Marte. Essa si manifesta nell’esperienza fisica di amore per la vita nel bel mezzo del combattimento, nella cura per i particolari pratici incorporata in tutti i regolamenti marziali, nell’andare in giro a pavoneggiarsi agghindati come damerini dei soldati (oggi chiamati “i nostri ragazzi”) in libera uscita. Di chi sono figli costoro, di Marte o di Venere.
James Hillman (2007)

IL RISCHIO DI NON RICONOSCERE MARTE
Mancandoci una prospettiva mitica che renda omaggio al dio presente nella guerra, corriamo il duplice rischio che la guerra “scoppi” e di “innamorarcene troppo”, e anche un terzo: di non riuscire a portare le guerre a una vera conclusione. La pretesa degli alleati di una “resa incondizionata” non fece che prolungare la Seconda guerra mondiale, “giustificando” così l’uso dell’atomica. […] i maestri dell’arte della guerra sanno come, quando e dove allentare la furia del dio e sfilarsene. L’idea stessa di resa incondizionata evoca la rabbia obnubilante di Mars caecus, di Mars insanus, lo slancio suicida sull’ultima trincea.
James Hillman (2007)

A NOI NON È CONCESSO NON UCCIDERE
A noi non è concesso non uccidere,
perché solo con la violenza si può
trasformare questo mondo omicida
come sa chiunque vive.
Bertolt Brecht (1944)

GUERRA E ESTETIZZAZIONE DELLA POLITICA
Tutti gli sforzi di estetizzazione della politica convergono in un unico punto. Questo punto è la guerra. La guerra, e soltanto la guerra, permette di fornire scopo ai movimenti di massa di grandi proporzioni, previa conservazione dei rapporti di proprietà tradizionali. Ecco come questa situazione si configura dal punto di vista della politica. Dal punto di vista della tecnica, invece, essa si formula come segue: soltanto la guerra permette di mobilitare tutti i mezzi tecnici attuali, previa conservazione dei rapporti di proprietà.
Walter Benjamin (1936)

L’ORDINE DELLA GUERRA
La pace è solo disordine; non c'è che la guerra per metter ordine. In tempo di pace, l'umanità cresce in modo incontrollato.
Bertolt Brecht (1944)

LA GENTE HA PAURA DELLA PACE
Come tutte le cose buone, anche la guerra, da principio è difficile. Ma poi, quando ha attaccato, tien duro. Allora la gente ha paura della pace, come chi gioca a dadi ha paura di smettere perché viene il momento di fare i conti, di vedere quanto si è perduto.
Bertolt Brecht (1939)

UNA INVOCAZIONE A MARTE
Quali modalità esistono per distogliere il marziale dalla violenza diretta e indirzzarlo verso la ritualizzazione della violenza? […]. Rivolgiamo dunque una invocazione a Marte. Già un’altra volta, almeno, in questo secolo, egli ci ha indicato la strada. Negli anni del suo regno – dal 1914 al 1918 – Marte distrusse la mente ottocentesca facendo nascere la coscienza moderna. Chissà che rivolgendoci a lui oggi non accada qualcosa di simile. Ma con Marte non basta la riflessione, ci vuole altro. L’ariete non si ferma a ragionare e il ferro non si specchia nella sua lustra superficie. Marte esige penetrazione fino all’essenza, e il suo slancio aumenta nel folto del pericolo, e il pericolo oggi risiede nel groviglio irriflesso delle nostre menti anestetizzate.
James Hillman (2007)

II. Fotografia & montaggio

Dei tre densi nuclei tematici, il secondo tema – Fotografia e montaggio – potrebbe sembrare a prima vista disomogeneo rispetto agli altri. Così non è: l'avvento della fotografia e la sua diffusione tra XIX e XX secolo si configura, infatti, come un vera e propria rivoluzione dello sguardo e della possibilità di rappresentazione del reale.

La visione fotografica consente di diventare consapevoli di un nuovo disegno del confine tra visibile e invisibile: l'occhio insensibile e invulnerabile della macchina si costituisce come specchio di una immagine distaccata, indipendente dalle ragioni organiche del corpo e disinteressata a tutti i principi ideali, siano essi legami imposti da virtù teologicamente fondate o da regole che discendono da ideali estetici o morali. Ogni fondamento della visione è rimosso, ogni ragione metafisica è destituita di valore, ogni cornice teorica trascendente è invalidata e, in questo senso, il processo di costruzione dell’immagine fotografica si articola nel vuoto: è produzione che risponde a nulla che sia al di fuori di se stessa. La fotografia è in questo senso il modo in cui l'homo novus forgiato dalle rivoluzioni dell'età moderna produce e sperimenta la visione del nulla.

Il montaggio – dispositivo chiave nelle opere in mostra di Warburg, Jünger e Brecht – nella stessa temperie storica e culturale è adottato dalle avanguardie come nuovo dispositivo artistico (II.9). Incredibilmente precoci sono le riflessioni degli intellettuali europei sulla polarità e la dialettica del montaggio (II.1) e sul superamento, da parte delle nuove tecniche di riproduzione cinematografica, dell'empasse della staticità dell'opera d'arte tradizione (II.4). VIva e precoce è anche la riflessione sulle nuove possibilità, offerte dal realismo fotografico, di conoscenza della realtà (II.3) e in particolare di rappresentazione del dolore (II.2), e la considerazione del dispositivo artistico – in primis fotografico – come filtro necessario per l'oggettivazione (II.7), e quindi per la rivelazione stessa della verità (II.6).

Ma la fotografia – ultima magia della tecnica (II.11) – consente anche una riproducibilità infinita e incontrollata, e quindi, come lucidamente teorizzato da Walter Benjamin, provoca una perdita dell'aura (II.10) dell'opera d'arte, così come della stessa realtà. E, nella sua disponibilità alla falsificazione (un pericolo su cui Warburg, negli anni del conflitto, era avvertito al punto di strutturare in particolare su quel tema la sua ossessione psicotica) può farsi anche strumento di potere (II.5), quando non vera e propria arma di guerra (II.6). Un fenomeno degno di considerazione è quello delle cartoline postali illustrate, che erano state inventate in Francia alla fine del XIX secoli, soprattutto in relazione allo sviluppo del turismo, ma durante la Prima guerra conoscono un boom impressionante. Le cartoline possono riprodurre fotografie (come quella dell'uccisione di Cesare Battisti, aborrita da Karl Kraus) o disegni, opera di artisti o illustratori specializzati. Sempre veicolano un messaggio di propaganda, inneggiando ai sacrifici per la Patria, disumanizzando o ridicolizzando il nemico.

Il rischio più grave che l'inflazione delle immagini può produrre – rischio di cui i nostri autori intercettano con chiarezza i segnali – è l'addomesticamento al dolore. Lo sguardo telescopico si basa infatti su un confortevole e igienico allontanamento del corpo dal cerchio d’azione del dolore o sull’assorbimento dell’anima in esso con un identico risultato: il dolore o è incidente che riguarda gli altri di cui sono spettatore o è disgrazia incomprensibile nella quale sono risucchiato. In ogni caso il dolore, osservato telescopicamente e rimosso sistematicamente, irrompe nella vita del singolo come incidente. Nel mondo della separazione del dolore dalla vita, il dolore – anche lo strazio immane delle distruzioni e delle morti che la guerra comporta – riappare come 'normale' incidente: banalità del male che colpisce senza che sia possibile attribuirgli un senso.

II.1 Polarità e dialettica del montaggio
II.2 Rappresentazione del dolore
II.3 Fotografia come strumento di conoscenza
II.4 Movimento/fissità
II.5 Fotografia come strumento di potere
II.6 Foto come arma di guerra
II.7 Allontanamento e oggettivazione
II.8 Arte necessaria, come rivelazione di verità
II.9 Montaggio come dispositivo artistico
II.10 Perdita dell’aura
II.11 Magia della tecnica

IL PRINCIPIO DRAMMATURGICO DEL MONTAGGIO
Il montaggio non implica “un pensiero composto da pezzi che si succedono bensì un pensiero che trae origine dallo scontro di due pezzi indipendenti l’uno dall’altro”. Se il principio epico implica il rapporto di successione, e rende il montaggio “descrittivo”, il principio drammatico invece implica un rapporto di conflittualità, implica lo scontro tra le parti e la loro “sovrapposizione” che provoca lo scontro.
Sergei M. Ejzenštejn (1929)

IL PRINCIPO ORGANIZZATORE È IL MONTAGGIO
il principio organizzatore del ‘nuovo’ romanzo è il montaggio non la crescita, la sua unità elementare è il segmento non la linea continua. La narrazione si frantuma e si rifrange in cento episodi, in un aggregato di avvenimenti che interessano ricchi personaggi per volta senza apparente rapporto fra loro; solo a tratti personaggi e avvenimenti, come sospinti da una irreversibile forza di attrazione, si precipitano l’uno contro l’altro dando luogo a terrificanti collisioni, vere e proprie catastrofi…Allora ci si accorge che ognuno di quegli episodi era la tessera di un complicato mosaico, che ogni gesto, frase o silenzio di quei personaggi era misurato sui gesti, frasi o silenzi degli altri. Ciascuno per suo conto e all’insaputa dell’altro ha ubbidito alle leggi inflessibili che regolano il meccanismo economico capitalistico e tutti insieme compongono un quadro necessariamente contraddittorio, giacché ciò che li unisce è esattamente ciò che li divide: essi costituiscono una società di insocievoli.

La tecnica del montaggio ne mette invece allo scoperto le suture; favorisce un rapido mutamento di prospettiva; sottopone un medesimo avvenimento alla critica di differenti punti di vista ‘declinandolo’ – come si fa con un verbo – alle varie ‘persone’ e nella ‘forma’ attiva e passiva; critica le affermazioni degli individui mostrando il loro comportamento: in una parola favorisce lo straniamento, in modo che il lettore possa osservare ogni avvenimento e ogni personaggio “verso destra e verso sinistra, verso il basso e verso l’alto” e così formarsi una propria opinione.

Brecht si comporta con la materia poetica da autentico artigiano. Lo stretto reticolo che egli costruisce facendo scorrere in avanti e indietro il refe della narrazione con la precisione del tessitore al telaio, si trasforma nelle mani del lettore in un crivello che lascia cadere le scorie e trattiene la sostanza ideologico-morale del Dreigroschernroman: il giudizio sui “veri avvenimenti”.
Franco Buono (2007)

UN MACELLO, UN VERO COLABRODO (TRALLALLÀ)
L’orchestra suona: Beviamo ancora una bottiglia trallallà. Gli ufficiali cantano: Non è l’ultima che si piglia, trallallà.Il tenente degli ussari Lahkati scaglia un calice di spumante contro il muro.
GIUDICE CAPO: Ah sì. Che sbornia fu quella! È incredibile come si sbornia la gente. Sai, ne avrei potuti giustiziare anche trecento! Gli eccessi alcoolici non possono venir tollerati! In via eccezionale gli ho concesso, a quelli, la morte onorevole per fucilazione!
UN UFFICIALE DEL CONTROSPIONAGGIO (si unisce alla conversazione): Queste canaglie sono sempre ubriache. Ma allora almeno ti mostrano come la pensano. Be’, tanto da fare come nel ’14 non ce n’è più. Senti, giudice, una volta ti accompagnavo una tradotta del Ventottesimo, tanto per cambiare, da Praga in Serbia. Mi è cominciato subito a puzzare! Be’ ... dopo Marchegg si attacca. I soldati sono renitenti e cominciano a pigliarsela con i sottufficiali perché devono andare contro i serbi ... Che banda! Ma han trovato quello buono! Aspetta, dico io ... li abbiamo fatti scendere, ne abbiamo presi venticinque e li abbiamo sbattuti in un carro speciale. C’era posto per quaranta ... stavano ancora comodi. E poi ... all’incirca ogni ora, ci si fermava da bravi, in aperta campagna. Allora ... una pattuglia di sottufficiali li andava a prelevare a tre alla volta e li portava nell’ultimo vagone. Via... Si riparte! Due minuti dopo ... zac, fatti fuori! Avresti dovuto vedere le facce dei tre successivi ... sì, quando arrivavano tre nuovi nel vagone. Sempre tre ... uno dopo l’altro. L’ultimo da solo. Quella bestia! Prima della Stazione Ovest di Budapest erano sistemati tutti e venticinque. E quando vanno a staccare il vagone ... Che spettacolo! Vi dico, un macello! Un vero colabrodo ... Perfetto! E il sangue...
Karl Kraus (1922)

RIVOLUZIONE DELL’OCCHIO FOTOGRAFICO
La fotografia è fenomeno rivoluzionario, una forma di registrazione a cui viene accordato valore di documento. La Guerra mondiale fu il primo grande evento a essere fissato in questa forma, e da allora non vi è fatto significativo che non venga immortalato dall’occhio fotografico.
Ernst Jünger (1934)

FOTOGRAFIA IPERESTETICA
La registrazione fotografica è esterna alla zona della sensibilità. Essa possiede un carattere telescopico; ci si accorge, nel suo caso, che l’evento è osservato da un occhio invisibile e invulnerabile. La fotografia fissa tanto la pallottola nella sua traiettoria quanto l’uomo nel momento in cui viene dilaniato da un’esplosione. È il nostro modo specifico di vedere; e la fotografia non è altro che uno strumento di questa specificità
Ernst Jünger (1934)

LA FOTOGRAFIA È DEL MONDO
Ci si può sempre chiedere, riguardo a un’area fotografica, cosa vi sia adiacente a quell’area, oltre la cornice. Questa domanda generalmente non ha senso per i dipinti […]. Il mondo di un dipinto non è in continuità con il mondo della sua cornice; nella propria cornice, un mondo trova i propri limiti. Potremmo dire: un dipinto è un mondo; una fotografia è del mondo.
Stanley Cavell (1971)

STORICISMO E FOTOGRAFIA
[Lo storicismo] si è affermato pressappoco contemporaneamente alla moderna tecnica fotografica. I suoi rappresentanti, tutto sommato, ritengono di poter spiegare qualunque fenomeno sulla sola base della sua genesi. Essi ritengono, a ogni modo, di poter cogliere la realtà storica ricostruendo la catena degli avvenimenti nella loro successione temporale, senza tralasciare nulla. Mentre la fotografia offre un continuum spaziale, lo storicismo vorrebbe colmare il continuum temporale.
Siegfried Kracauer (1927)

USO POLITICO DELLA FOTOGRAFIA
Già soltanto nell'atto del'«inquadrare» si compie una valutazione, corrispondente a quelle con cui, del tutto inconsapevolmente, si commisura ogni possibile fenomeno ai parametri di un determinato sistema spirituale.
Ernst Jünger (1932)

CONSERVARE L’ISTANTE
Ma un fotografo – successore degli auguri e degli auspici –, con le sue immagini, non è forse chiamato a rivelare la colpa e indicare il colpevole? “Non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia, – è stato detto – sarà l’analfabeta del futuro”. Ma un fotografo che non sa leggere le proprie immagini non è forse meno di un analfabeta? La didascalia non diventerà per caso uno degli elementi essenziali dell’immagine fotografica? Sono queste le domande attraverso cui lo scarto di novant’anni, che separa i fotografi attuali dalla dagherrotipia, si scarica dalle sue tensioni storiche. È nel riverbero di questa scintilla che le prime fotografie riemergono, così belle e intangibili, dal buio che avvolge l’età dei nostri avi.
Walter Benjamin (1931)

IL GESTO FOTOGRAFICO È QUANTICO
Secondo la sua struttura profonda l’universo fotografico è granuloso, cambia aspetto e colore, come cambierebbe un mosaico le cui singole pietruzze venissero sostituite di continuo con pietruzze nuove. L’universo fotografico è composto di simili pietruzze, di quanti, ed è calcolabile, (calculus = pietruzza) –un universo atomistico, democriteo, un puzzle. La struttura quantica dell’universo fotografico non deve sorprenderci, essa infatti è scaturita dal gesto fotografico il cui carattere è quantico.
Vilém M. Flusser (1983)

L’EVENTO È LA SUA TRASMISSIONE
In molti casi l’avvenimento stesso sparisce dietro la sua ‘trasmissione’, e diventa perciò un puro oggetto. Abbiamo visto così processi politici, sedute parlamentari o gare sportive il cui unico significato era quello di essere trasmessi su scala planetaria.
Ernst Jünger (1934)

USO POLITICO DELLA FOTOGRAFIA
Solo relativamente tardi fu riconosciuta la possibilità di impiegare la fotografia come uno strumento politico. Ciò dipende da una parte dal fatto che, nel nostro tempo, la fotografia ebbe dapprima il rango di una tecnica affidabile e precisa, d’altra parte però anche dal fatto che per molto tempo si propendeva a considerarla come mezzo neutrale, ovvero «obbiettivo», e ad escluderla dunque dalla sfera politica.
Ernst Jünger (1932)

La fotografia, nelle mani della borghesia è stata un'arma terribile contro la verità.
Bertolt Brecht (1949)

È ARRIVATO IL FOTOGRAFO
UN MAGGIORE (entra): Agli ordini, Eccellenza, Skolik è arrivato.
CONRAD: Quale Skolik.
MAGGIORE: Skolik, il fotografo di Corte di Vienna, quello che a suo tempo, durante la guerra dei Balcani, ha fatto quella bella fotografia di Sua Eccellenza immerso nello studio della carta dei Balcani.
CONRAD: Ah sì, me ne ricordo, così, oscuramente
MAGGIORE: No, Eccellenza, era chiara, in piena luce.
CONRAD: Sì, sì, me ne ricordo, era magnifica.
MAGGIORE. Dice che Sua Eccellenza l’ha fatto chiamare di nuovo.
CONRAD: Fatto chiamare proprio non si può dire, ma gli ho fatto arrivare una soffiatina perché fa davvero delle belle foto. Mi scrive che non ce la fa più a dir di no ai settimanali illustrati, quella foto ha avuto un successo straordinario, e insomma ...
MAGGIORE: Esprime anche il desiderio di poter ritrarre nello stesso tempo i signori generali.
CONRAD: Non lo gradirei. Si facciano venire i loro fotografi, quelli.
MAGGIORE: Dice che non hanno testa, e che farebbe soltanto foto a mezzo busto.
CONRAD: Ah, allora è diverso. Lo faccia dunque entrare, questo Skolik. Aspetti ... debbo immergermi di nuovo nella carta dei Balcani ... quella foto era straordinaria ... però a pensarci bene, forse la carta dell’Italia, tanto per cambiare ...
MAGGIORE: Oggi è senz’altro più adatta.
Karl Kraus (1922)

NICHILISTICA RAPPRESENTAZIONE DELLA GUERRA
Si comprende così come sia possibile, in modo apparentemente contraddittorio, che proprio nell’era della trasformazione della violenza bellica in normale lavoro quotidiano la nichilistica rappresentazione ideologica della guerra possa arrivare a considerare gli eventi bellici al pari di “incidenti stradali di grandissime dimensioni, che tutti si sforzano di evitare”.
Ernst Jünger, Martin Heidegger (1949)

IL DITTATORE FOTOGENICO
Curioso è inoltre che certi Paesi ben determinati fanno una percentuale sproporzionalmente alta di fotografie. Lo stesso vale per uomini e mezzi che si trovano in stretta relazione con le nuove forme della lotta di potere, ed è senz’altro una valida obiezione da opporre ad un politico l’affermare che sia poco fotogenico. In genere, infatti, vediamo anche che il dittatore di successo si presenta mettendosi in una luce migliore del monarca costituzionale, il che rende tra l’altro evidente come la fotografia sia uno strumento democratico.
Ernst Jünger (1932)

IL DIVO E IL DITTATORE
La crisi delle democrazie borghesi si può intendere come crisi delle condizioni di esposizione dell’uomo politico. Le democrazie espongono colui che governa direttamente, con la sua persona, e lo espongono di fronte ai rappresentanti del popolo. Il parlamento è il pubblico. Con le invenzioni delle apparecchiature di ripresa, che permettono di far sentire, e poco dopo di far vedere, l’oratore a un numero illimitato di spettatori, l’esposizione dell’uomo politico di fronte a queste apparecchiature di ripresa assume un ruolo di primo piano. Così come i teatri, si svuotano anche i Parlamenti. La radio e il cinema modificano non soltanto la funzione dell’attore professionista ma altrettanto anche quella di coloro che, come l’uomo politico, interpretano se stessi. L’orientamento di questa modificazione, a prescindere dai diversi compiti particolari, è lo stesso sia per l’interprete cinematografico che per il politico. Esso persegue la produzione di prestazioni verificabili, anzi adottabili, in determinate condizioni sociali, cos’ come lo sport li aveva richiesti dapprima sotto determinate condizioni naturali. Ciò ha come risultato una nuova selezione, una selezione che avviene di fronte all’apparecchiatura, dalla quale escono vincitori il campione, il divo e il dittatore.
Walter Benjamin (1936)

RAPPRESENTAZIONE VS PRESENTAZIONE
La storia delle immagini come mezzo di rappresentazione di situazioni di conflitto, è antica quanto la storia dell'uomo. Ugualmente antica è poi l'aspirazione di ritrarre l'avversario in una posizione inferiore, oppure vulnerabile, indifferentemente dall'epoca in cui ciò è accaduto e dal materiale di cui ci si è serviti. Tale aspirazione si manifesta già in quei disegni che il cacciatore delle origini tracciò come schizzo della sua preda, e li si ritrova ripetuti sul fregio dei templi dove il faraone troneggia al di sopra di processioni di prigionieri incatenati, nei graffiti pompeiani, negli intagli lignei e sulle pagine volanti della Riforma e della Controriforma, nell'ondata delle caricature che rompe gli argini della censura, fino alle riproduzioni della stampa in rotativa che ben conosciamo dalle moderne battaglie dei partiti. Ovunque si nota incontestabilmente che l'appello ad una visione immediata ha un effetto più forte e incisivo dell'acutezza del concetto.
Ernst Jünger (1932)

GLI DEI IN CIELO: SLOGANS FIGURATI//OMINOSE ED ECCITANTI PROCELLARIE
La paura dei prodigi naturali vaticinanti in cielo e sulla terra, condivisa da tutt’Europa, fu assunta a servizio della stampa quotidiana: se il pensiero erudito aveva preso il volo già in virtù della stampa a lettere mobili, ora, con l’arte grafica illustrativa, anche l’immagine, il cui linguaggio era per giunta intenazionalmente comprensibile, ebbe le sue ali; fra Nord e Sud queste ominose ed eccitanti procellarie saettavano in qua e il là, mentre ogni partito cercava di assicurare questi ‘slogans figurati’ (come si potrebbero chiamare) della sensazione cosmologica al servizio della propria causa.
Aby Warburg (1920)

ASTROLOGIA CONTEMPORANEA
Non è detto che [...] l’umanità fosse stata emancipata una volta per sempre dal timore dei demoni e dalla credenza nel potere degli astri. Noi stessi abbiamo fatto l’esperienza che tali timori e credenze tornano sempre a ricomparire ogni qualvolta gli animi siano presi dall’inquietudine. Non abbiamo dimenticato ancora il profluvio di pronostici e di notizie della nascita di creature mostruose che si ebbero al momento della presa del potere di Hitler. E dappertutto i giornali danno oroscopi, e i piccoli settimanali di astrologia vengono letti con grande interesse. Il Warburg stesso raccontava come, dopo qualche conferenza in cui egli intendeva mettere alla berlina i pericoli della astrologia così com’è esercitata oggi, venisse gente da lui per dire: "Se un uomo dotto come Lei se ne occupa tanto, qualcosa di vero deve pur esserci".
Gertrud Bing (1960)

DESCRIZIONE DI UNA BATTAGLIA
Ufficio stampa Militare a Rodaun
LA SCHALEK (a un collega): Le sue fotografie di cadaveri mi accreditano a sufficienza presso i posteri: non dubiteranno che io sia stata nel bel mezzo delle azioni eroiche. Ma per poterle offrire un esempio, perché lei veda che cos’è una vera descrizione di una battaglia, le voglio leggere le frasi salienti della mia prossima corrispondenza. Prendo le mosse dalle 70 batterie che sparano, in quattro gruppi così suddivisi: uno ti concia per le feste la fanteria, il secondo l’artiglieria, il terzo le postazioni della riserva, e il quarto blocca le vie d’accesso, quindi mi stia a sentire:
Problema principale: Come, dove e quando si può fare lo sbarramento.
L’azione si svolge quasi come una commedia imparata a memoria.
I combattimenti nei boschi sono il più orrendo degli orrori.
Ci si crede accerchiati e invece i rinforzi arrivati nel frattempo han già fatto un “ripulisti”.
Karl Kraus (1922)

IMMORTALARE LA FORCA
Perfino nella patria delle truppe inglesi di colore sarebbe difficile trovare immagini che immortalano come un trionfo non solo una procedura forcaiola, ma anche la bestiale platea, immagini che mostrano un boia raggiante in una cerchia di ufficiali infervorati, dallo sguardo trasfigurato. Io però vorrei mettere un premio speciale per chi identifica quell'orribile gaglioffo di un tenente imperialregio il quale si è piazzato proprio davanti a un cadavere appeso, offrendo al fotografo la sua faccia al di là del bene e del male, nonché quei sudici bellinbusti che si sono radunati tutti allegri neanche fossero all'angolo di Sirk, o sono accorsi con le loro Kodak per entrare nella fotografia in posa addirittura da fotografi, in questa foto dove, in mezzo a cento impazienti partecipanti, non poteva mancare il cosiddetto padre spirituale. Perché non solo abbiamo impiccato, ma ci siamo anche messi in posa, e abbiamo fotografato non solo le esecuzioni, bensì anche gli spettatori, e addirittura i fotografi. E il particolare effetto della mostruosità è che quella propaganda nemica invece di mentire si è limitata a riprodurre le nostre verità, non ha nemmeno avuto bisogno di fotografare i nostri misfatti perché, con sua grande sorpresa, ha trovato le nostre fotografie dei nostri fatti sul luogo stesso del delitto, dunque noi 'al naturale', in tutta la nostra ingenuità – ignari del fatto che nessun delitto potesse denudarci agli occhi del mondo quanto la nostra trionfante ammissione, come la fierezza del delinquente che si fa 'riprendere' e sfodera un bel sorriso, perché è contento da matti di cogliere se stesso sul fatto. Perché non già il fatto che ha ammazzato, né che l'ha fotografato, bensì che ha fotografato se stesso anche se stesso, e che si è fotografato mentre fotografa, questo rende il suo tipo il ritratto imperituro della nostra cultura.
Karl Kraus (1922)

VEDERE È UN ATTO DI AGGRESSIONE
Il vedere è per il nuovo tipo umano – il Lavoratore – un atto di aggressione. Analogamente cresce la tendenza a rendersi invisibili, come si è visto già nella Guerra mondiale con il ricorso al ‘mimetismo’. Una certa postazione diventava indifendibile nel momento stesso in cui poteva essere individuata nelle foto dei ricognitori. Questo stato di cose porta a una sempre maggiore plasticità e oggettività. Già oggi esistono armi da fuoco munite di cellule ottiche e perfino proiettili, aerei o sottomarini, guidati otticamente.
Ernst Jünger (1934)

UNA DISTANZA TRA IO E MONDO
Introdurre consapevolmente una distanza tra l’io e il mondo esterno è ciò che possiamo senza dubbio designare come l’atto fondatore della civilizzazione umana.
Aby Warburg (1929)

PRESA DI DISTANZA
L’avvenimento non è più legato a uno spazio o a un tempo particolari perché lo si può riprodurre a piacere infinite volte in ogni luogo. Sono tutti sintomi che indicano una grande distanza […] il riflettersi delle immagini in uno spazio ulteriore, inaccessibile alla nostra sensibilità. La cosa ci appare in tutta chiarezza quando siamo noi a incontrare la nostra immagine riflessa: sia che osserviamo i nostri movimenti in un film, sia che la nostra voce [riprodotta] suoni al nostro orecchio come quella di un estraneo.
Ernst Jünger (1934)

DISTANZA COME SOGLIA-LIMITE DEL DOLORE
Con il progredire dell’oggettivazione cresce anche la quantità di dolore che può essere sopportata. Pare quasi che l’uomo abbia la tendenza a creare uno spazio in cui il dolore può essere considerato un’illusione […]. Varrebbe la pena di occuparsi in questa prospettiva delle proiezioni cinematografiche, di fronte alle quali Tertulliano potrebbe ripetere parola per parola le sue osservazioni contro gli spettacoli del circo”
Ernst Jünger (1934)

Anche secondo Jünger e Benjamin nel caso della visione fotografica si tratta di diventare consapevoli di un “nuovo disegno” del confine tra visibile e invisibile, che permette all’occhio insensibile e invulnerabile della macchina di costituirsi come specchio dell’immagine tipizzante distaccata, indipendente dalle ragioni organiche del corpo e disinteressata a tutti i principi ideali, siano essi legami imposti da virtù teologicamente fondate o da regole che discendono da ideali estetici o morali.

“DOVEVATE FOTOGRAFARLO”
L’orchestra suona Beviamo ancora una bottiglia trallallà. Gli ufficiali cantano: Non è l’ultima che si piglia, trallallà. Il tenente degli ussari Lahkati scaglia un calice di spumante contro il muro.
GIUDICE CAPO: Ah sì. Che sbornia fu quella! È incredibile come si sbornia la gente. Sai, ne avrei potuti giustiziare anche trecento! Gli eccessi alcoolici non possono venir tollerati! In via eccezionale gli ho concesso, a quelli, la morte onorevole per fucilazione!
UN UFFICIALE DEL CONTROSPIONAGGIO (si unisce alla conversazione): Queste canaglie sono sempre ubriache. Ma allora almeno ti mostrano come la pensano. Be’, tanto da fare come nel ’14 non ce n’è più. Senti, giudice, una volta ti accompagnavo una tradotta del Ventottesimo, tanto per cambiare, da Praga in Serbia. Mi è cominciato subito a puzzare! Be’ ... dopo Marchegg si attacca. I soldati sono renitenti e cominciano a pigliarsela con i sottufficiali perché devono andare contro i serbi ... Che banda! Ma han trovato quello buono! Aspetta, dico io ... li abbiamo fatti scendere, ne abbiamo presi venticinque e li abbiamo sbattuti in un carro speciale. C’era posto per quaranta ... stavano ancora comodi. E poi ... all’incirca ogni ora, ci si fermava da bravi, in aperta campagna. Allora ... una pattuglia di sottufficiali li andava a prelevare a tre alla volta e li portava nell’ultimo vagone. Via... Si riparte! Due minuti dopo ... zac, fatti fuori! Avresti dovuto vedere le facce dei tre successivi ... sì, quando arrivavano tre nuovi nel vagone. Sempre tre ... uno dopo l’altro. L’ultimo da solo. Quella bestia! Prima della Stazione Ovest di Budapest erano sistemati tutti e venticinque. E quando vanno a staccare il vagone ... Che spettacolo! Vi dico, un macello! Un vero colabrodo ... Perfetto! E il sangue...
GIUDICE CAPO: Dovevate fotografarlo. Ti sei fatto onore!
Karl Kraus (1922)

FOTOGRAFIA, L’ARTE NECESSARIA
Ciò che rende la situazione così complicata è il fatto che una semplice “riproduzione della realtà” è men che mai suscettibile di dire qualcosa di concreto sulla realtà.
Una fotografia delle officine Krupp o AEG non dice quasi nulla in merito a queste istituzioni. La realtà vera è scivolata in quella funzionale. La reificazione delle relazioni umane, e quindi per esempio la fabbrica, non rimanda più indietro alle relazioni stesse. Bisogna dunque effettivamente “costruire qualcosa”, qualcosa di artificiale, di collocato in un sistema di funzioni. Quindi effettivamente l’arte è necessaria.
Bertolt Brecht (1928)

NATURALISMO E REALISMO
Contro le previsioni dei molti che si aspettavano da loro una rappresentazione tutta antinaturalistica della guerra, i poeti fascisti presentarono di preferenza la guerra naturalisticamente, cioè con tutti i suoi orrori. In maniera naturalistica, non realistica; il naturalismo è diventato completamente metafisico, si è già trasformato in metafisica pura. La guerra è rappresentata come uno scontro del tutto meccanico di materiali, essa non ha contenuti sociali di nessun genere ed è priva di qualsiasi sviluppo. Tuttavia nell’arte si svilupparono delle forme che devono servire a rendere dominabile, in quanto realtà concreta, quella guerra che alla classe dominante appare come l’unica via di uscita.
Walter Benjamin (1936)

CINEMA DINAMITE
Le nostre bettole e le vie delle nostre metropoli, i nostri uffici e le nostre camere ammobiliate, le nostre stazioni e le nostre fabbriche sembravano rinchiuderci irrimediabilmente. Poi è venuto il cinema e con la dinamite dei decimi di secondo ha fatto saltare questo mondo simile a un carcere; così noi siamo ora in grado di intraprendere tranquillamente avventurosi viaggi in mezzo alle rovine sparse ovunque. Col primo piano si è dilatato lo spazio, con la ripresa al rallentatore si dilata il movimento.
Walter Benjamin (1936)

FOTOGRAFIA E ANNOTAZIONI INCOMPLETE DELLA MEMORIA
La memoria non comprende né l’immagine spaziale totale né l’intero discorso temporale di un evento. Rispetto alla fotografia, le sue annotazioni sono incomplete. […] La memoria non rispetta, al contrario, le date: essa scavalca gli anni, o, all’opposto, dilata le distanze temporali. La selezione degli elementi, composti dalla memoria in un assieme, deve apparire al fotografo ben arbitraria. Eppure, è proprio così che tale selezione può essere compiuta, giacche le disposizioni naturali e gli scopi che si perseguono impongono la rimozione, la falsificazione o la messa in rilievo di determinate componenti di un assieme. Una molteplicità di motivi, tutti di carattere negativo, determina quale parti debbano essere filtrate. Non ha importanza quali scene un uomo ricordi: esse hanno rilevanza proprio in rapporto a costui, anche se egli non sa che cosa significhino. Queste scene vengono, difatti, ritenute in funzione del loro significato. Esse si organizzano, dunque, sulla base di un principio che sostanzialmente si distingue da quello della fotografia. Mentre la fotografia coglie il dato fattuale come un continuum spaziale (o temporale), le immagini della memoria in tanto ritengono tale dato in quanto a esse inserisce un qualche significato. Poiché tale significato non si esaurisce in una relazione del tipo esclusivamente spaziale, né tanto meno, in una di tipo solamente temporale, le immagini della memoria risultano “sghembe” a confronto di quelle della riproduzione fotografica. Se, dal punto di vista della riproduzione fotografica, esse appaiano come un frammento - ma solo perché la fotografia non coglie il significanti che a esse inerisce e correlate al quale esse cessano di essere frammenti - dal punto di vista delle immagini della memoria la fotografia appare come un miscuglio che, in parte, si compone di rifiuti».
Siegfried Kracauer (1927)

CONTRO TEORIA FORMALISTICA DEL REALISMO
Ridurre il realismo a una questione puramente di forma e collegarlo ad un’unica forma (per di più vecchia) significa sterilizzarlo. Scrivere in maniera realistica non è una questione di forma. La lotta contro il formalismo dobbiamo condurla da realisti e da socialisti.
Bertolt Brecht (1938)

ARTE E REALISMO
Le opere che non mettono in luce nessun lato nuovo della realtà difficilmente sono delle opere realistiche: nessun realista si accontenta di ripetere continuamente ciò che già si sa; ciò significherebbe esser privi di un vivo rapporto con la realtà.
Bertolt Brecht (1938)

LA FANTASIA NEL REALISMO
Scrivere in maniera realistica non significa rinunciare né alla fantasia né a una genuina artisticità
Bertolt Brecht (1937-41)

NON SI DEVE CONFONDERE IL MONTAGGIO
non si dovrebbe confondere il montaggio con quella imperizia tecnica a causa della quale in un racconto tutto convenzionale vengono frammischiate parti “teoriche” di notevole ampiezza, opinioni dell’autore, articoli di fondo, descrizioni che per la narrazione sono privi di rilievo. Con questo errore artistico il montaggio non ha assolutamente nulla a che fare.
Bertolt Brecht (1937-1941)

POPOLARITÀ E REALISMO
Popolarità: saper rivolgersi al popolo e parlare il suo linguaggio, riuscire comprensibili alle grandi masse, riprendere e arricchire il loro modo di esprimersi.
Bertolt Brecht (1937-1941)

CONSEGNARE IN MANO AGLI UOMINI LA REALTÀ
Realismo: non abbiamo il diritto di ricavare il realismo da determinate opere letterarie esistenti, ma ricorreremo invece a tutti i mezzi, vecchi e nuovi, sperimentati e no, tratti dal campo dell’arte o da qualsiasi altro campo, per consegnare in mano agli uomini la realtà in modo che essi possano dominarla.
Bertolt Brecht (1937-1941)

TEMPO DI MENZOGNE, TEMPO DI VERITÀ
I ceti dominanti si servono più scopertamente che non un tempo di menzogne, e di menzogne più grossolane. Dire la verità appare un compito sempre più urgente.
Bertolt Brecht (1937-1941)

NON OGNI FOTOGRAFIA RAGGIUNGE L'IMMAGINE = RAPPORTO DINAMICO DI FORZE IN CAMPO
Un rapporto di potere sussistente o nascente, come in tutte le cose del mondo così anche nella fotografia deve trovare un suo preciso precipitato. Se tuttavia vi sono tante raccolte di immagini che vanno a finire in compendi più o meno equivalenti, o riprodotte in estenuanti ripetizioni, ciò dipende dal fatto che quel tipo di rapporti di potere sono assai difficili da comprendere. Non sono visioni qualsiasi quelle che ammettono di essere documentate tramite la fotografia, e il suo impiego può anzi avere luogo solo in una maniera corrispondente alla sua particolarissima legalità.
Ernst Jünger (1932)

VEDERE LA MIMETIZZAZIONE
Ricordo benissimo di essermi trovata con Picasso, all’inizio della guerra, sul boulevard Raspail quando passò il primo autocarro mimetizzato. Era notte, avevamo sentito parlare di mimetizzazione, ma non c’era capitato ancora di vederla. Picasso la guardò sbalordito, poi esclamò: ma sì, siamo stati noi a inventarla. Quella è cubismo.
Gertrude Stein (1938)

COME È NATO DADA
Per comprendere come è nato Dada è necessario immaginarsi, da una parte, lo stato d'animo di un gruppo di giovani in quella prigione che era la Svizzera all'epoca della prima guerra mondiale e, dall'altra, il livello intellettuale dell'arte e della letteratura a quel tempo. Certo la guerra doveva aver fine e dopo noi ne avremmo viste delle altre. Tutto ciò è caduto in quel semioblio che l'abitudine chiama storia. Ma verso il 1916-1917, la guerra sembrava che non dovesse più finire. In più, da lontano, sia per me che per i miei amici, essa prendeva delle proporzioni falsate da una prospettiva troppo larga. Di qui il disgusto e la rivolta. Noi eravamo risolutamente contro la guerra, senza perciò cadere nelle facili pieghe del pacifismo utopistico. Noi sapevamo che non si poteva sopprimere la guerra se non estirpandone le radici. L'impazienza di vivere era grande, il disgusto si applicava a tutte le forme della civilizzazione cosiddetta moderna, alle sue stesse basi, alla logica, al linguaggio, e la rivolta assumeva dei modi in cui il grottesco e l'assurdo superavano di gran lunga i valori estetici. Non bisogna dimenticare che in letteratura un invadente sentimentalismo mascherava l'umano e che il cattivo gusto con pretese di elevatezza si accampava in tutti i settori dell'arte, caratterizzando la forza della borghesia in tutto ciò che essa aveva di più odioso.
Tristan Tzara (1950)

UN ORDINE NUOVO CHE RIBALTASSE L’EQUILIBRIO TRA CIELO E INFERNO
Cercavamo un’arte elementare che curasse gli uomini dalla follia dell’epoca, un ordine nuovo che ribaltasse l’equilibrio tra il cielo e l’inferno.
Jean Arp (1966)

ATTORE, LAVORATORE, MASSA
L’attore cinematografico, infatti, non recita davanti a un pubblico, ma davanti a un'apparecchiatura.
Walter Benjamin (1936)

VERITÀ DELLA FOTOGRAFIA
I primi ritratti fotografici riproducono il carattere individuale in misura di gran lunga superiore a quelli odierni: lo stile protofotografico si può contraddistinguere per l’atmosfera che è propria dei dipinti, tanto da cancellare i confini tra arte e tecnica.
Ernst Jünger (1933)

FOTOGRAFIA PIÙ IMPRESSIONANTE DI UN DIPINTO
La sintesi dell’espressione ottenuta mediante la lunga immobilità del modello – dice Orlik a proposito delle prime fotografie – è la ragione principale del fatto che queste lastre, di una sobrietà pari a quella dei ritratti ben disegnati o ben dipinti, esercitano sull’osservatore un effetto più penetrante e più duraturo delle fotografie più recenti.
Walter Benjamin (1931)

FOTOGRAFIA E FAMA
Dalla frazione di secondo in cui dura l’esposizione dipenderà se uno sportivo potrà diventare tanto famoso da venir ripreso da fotografi, per incarico dei settimanali.
Siegfried Kracauer (1927)

UN MODO DI VEDERE CRUDELE
La fotografia è dunque un’espressione del nostro modo di vedere, che è un modo di vedere crudele. In ultima analisi abbiamo a che fare con una variante del malocchio, una forma di appropriazione magica.
Ernst Jünger (1934)

Fotografare [Photographieren] una volta si diceva Abnehmen [“togliere”, “portare via”, “sottrarre”, ma anche “asportare”, “amputare” in senso chirurgico, oltre che, appunto, “fotografare”]. Si asporta [nimmt ab] una sorta di parvenza esteriore, l’aspetto [Schein] stesso dell’uomo, come se gli si togliesse una maschera. Per questo il corpo nudo perde in una immagine fotografica [Lichtbild, letteralmente “immagine luminosa”] – non solo se confrontata a un’opera d’arte, ma anche se paragonata alla vita – sia in splendore erotico, che in attrazione sessuale.
Ernst Jünger (1972)

ESORCISMO DELLA FOTOGRAFIA
La fotografia è il nostro esorcismo. La società primitiva aveva le sue maschere, la società borghese i suoi specchi, noi abbiamo le nostre immagini. Crediamo di costringere il mondo con la tecnica. Ma attraverso la tecnica è il mondo che s’impone a noi, e l’effetto sorpresa di questo capovolgimento è davvero considerevole. Crediamo di fotografare una determinata scena per semplice piacere – ma in effetti è lei che vuole essere fotografata. Non siamo altro che la comparsa della sua messinscena. Il soggetto non è che l’agente dell’ironica apparizione delle cose. L’immagine è il medium per eccellenza di quell’enorme pubblicità che si fa il mondo, che si fanno gli oggetti – costringendo la nostra immaginazione a cancellarsi, le nostre passioni a travestirsi, rompendo lo specchio che tendevamo loro, del resto ipocritamente per captarli.
Jean Baudrillard (2002)

III. Tecnica e globalizzazione

La Guerra mondiale è anche un esito, imprevisto e formidabile, dell'avvento dell'era della tecnica. Lo stesso Zeppelin – che nella Tavola C dell'Atlante Mnemosyne Warburg celebra come nuovo mezzo di esplorazione e di conquista del cosmo – nella Prima guerra mondiale era stato utilizzato come primo mezzo per i bombardamenti aerei, ultimo fronte di uno scontro bellico che, proprio grazie all'acquisizione della terza dimensione del cielo, sfonda i limiti di ogni nomos prima conosciuto, della terra e del mare, e si fa conquista cosmica (III.6). O, in alternativa, catastrofe globale. Per Warburg, un tema antico, che nel saggio sull'ascesa in cielo di Alessandro Magno si intreccia con quello della conquista della “regione del fuoco”: d'altra parte in Aeronave e sommergibile nell'immaginazione medievale (1913) già mostrava la sua ossessione per il motivo dell'ascesa al cielo e aveva chiarissima la terribile ambivalenza della “civiltà delle macchine”, come si legge, per esempio, nel finale della conferenza Il rituale del serpente (1923).

È questa l'era del risveglio dei Titani (III.1), in cui le stesse coordinate spaziali del paesaggio sono mutate (III.2) e descrivono l'orizzonte di un mondo nuovissimo, in cui prevalgono la globalizzazione, l'imperalismo, il totalitarismo (III. 12) e l'individualità rischia di essere del tutto annullata nell'informità della massa (III.11). Con le grandi fiammate delle guerre mondiali si compie la parabola del progresso (III.8), in cui tutto il sensibile è ricondotto a una dimensione altra rispetto alla topografia e cosmografia aristoteliche. È lo spazio assoluto della scienza newtoniana, o lo spazio come forma della conoscenza sensibile di Kant, in cui le cose non sono più conoscibili secondo l’esperienza umana, ma esistono nella misura in cui sono ridotte a enti disponibili a diventare "puro oggetto" dell’esperimento umano: lo spazio diventa così funzionale allo sperimentalismo tecno-scientifico.


Mentre la tecnologia inventava armi da offesa e da difesa sempre più sofisticate (sono una new entry che colpisce molto l'immaginario collettivo, per esempio, le maschere antigas, usate per la prima volta dai tedeschi nel 1915, l'apocalittico Karl Kraus ripensa a un incubo di Leonardo da Vinci e non si fa scrupolo di aggiungere l'artista italiano all'incredibile serraglio di personaggi degli Ultimi giorni dell'umanità. Non deve neanche cambiare le parole, e si limita a far esporre a Leonardo il racconto di un suo “pentimento” come si legge nel codice Hammer, oggi appartenente alla collezione privata di Bill Gates. Leonardo nell'appunto migrato a Seattle pensa chiaramente a una specie di sommergibile, e colpisce che proprio i sommergibili, secondo il suo medico curante Heinrich Embden, avessero più di ogni altra arma o ordigno bellico il potere di agitare fino al parossismo il suo paziente Aby Warburg.

Si compie così la traiettoria che aveva avuto inizio agli albori della modernità con la pratica delle dissezioni anatomiche, macabri teatri della rivoluzione scientifica (III.4). Lo stesso corpo umano è reso ora oggetto aperto e disponibile alla violenza non ritualizzata dell’intervento tecnico: il corpo è aperto, l'uomo del futuro è un simulacro di vetro (II.7). Il rischio – mortale per la vita civile e politica – è, anche da questa prospettiva, la deriva dell'anestesia. Ciò che all’uomo è risparmiato sotto forma di esperienza individuale e diretta del dolore, si ripresenta come sistematica, inconsapevole e socialmente accettabile, intrusione dell’elemento tecnico nella sfera della vita; oppure, si è già visto, mediante l'allontanamento e l'oggettivazione dell'occhio fotografico, diviene una sorta di educazione spaziale alla sopportazione telescopica del dolore.

Nello scenario di un mondo che le sensibilità sismografiche di Warburg, di Jünger e di Brecht, fin dai primi decenni del XX secolo avvertono già come tutto connesso e globalizzato (III.5), emerge la figura del Lavoratore, intorno alla quale Jünger nei primi anni '30 costruisce una importante impalcatura mitico-simbolica. E proprio l'Arbeiter, eroe della fine della modernità, è anche "milte del lavoro", protagonista di una concezione della guerra che non ha più niente a che spartire con le millenarie regole che regolavano strategie e tattiche dei conflitti tradizionali. Non è, soltanto, il superamento dello schema cavalleresco che nel XX secolo risulta completamente stravolto in una sequenza di conflitti sempre più guerreggiati non tra eserciti ma contro la popolazione civile. Non è neppure, soltanto, il cambio di scenario degli scontri o di obiettivi strategici – già nella Prima guerra mondiale non più soltanto le forze e i mezzi e le strutture militari, ma, grazie alle nuove possibilità del bombardamento aereo, si sperimenta l'attacco terroristico sui centri storici. La rivoluzione è più radicale e irreversile. Davvero il mondo è mutato e il demone della guerra globale, che ha soltanto fatto presentire un tetro annuncio nel Primo conflitto mondiale, affila le sue armi per tornare come protagonista di inedite modalità di eccidio. Il simbolo e il modo effettivo di operare della guerra non è più rappresentato dal solo braccio armato del soldato: ora è la totalità dell’individuo il suo corpo e la sua anima, completamente alienati (III.10) che sono disponibili a essere utilizzati come arma. Tutto ciò è reso possibile dalla sua totale sottomissione alla "legalità" del sistema del lavoro. Analogamente, sul piano collettivo non è sufficiente che la massa sia coinvolta in senso "nazionalistico", bensì è necessario che essa si muti in "massa disciplinata" e cioè che sia assolutamente "disponibile" a funzionare per i nuovi scopi bellici secondo le leggi del lavoro, da intendersi non nei termini di semplice technische Tätigkeit ma quale "totalità dell’esistenza". La mutazione degli individui in “massa disciplinata” deve molto anche al bombardamento confusivo della stampa, il cui ruolo sembra più quello di tenere eccitati i nervi allo spasmo che quello di fornire informazioni circostanziate e magari spunti di riflessione sugli eventi bellici.

È dunque il lavoro la forza che scardina l’architettura statica delle antiche technai e con esso gli stili della guerra, trasformando il terreno della vita civile in uno smisurato e dinamico campo di battaglia, al punto che la figura assunta dalla collettività è quella di essere in generale "esercito del lavoro": ora l’ampiezza dello spazio della guerra è perfettamente sovrapponibile a quello della massa disciplinata dei lavoratori e della loro vita “normale”. Lo stato di pace e l’azione armata si fondono in unico processo, mostrando talora una faccia o l’altra, presentandosi come confortevole Titanic o come terrificante Leviatano.
 Espulso dall'immaginario e anestetizzato il sentimento vitale del dolore e del pericolo, il mondo che esce dalla Prima guerra mondiale ha in sé i germi del trionfo cimiteriale di un totalitario ordine terrificante (III.9).

I tre protagonisti della nostra ricerca esibiscono nella psiche, nel corpo, nelle loro stesse stigmate stilistiche, le cicatrici della Prima e della Seconda di quella lunga catena di guerre che arriva fino alla nostra contemporaneità. Ma la fiducia di Warburg nel poter tornare redux dalla battaglia contro i demoni, il coraggio intellettuale di Jünger, la tenace e indomita resistenza al male del mondo di Brecht, ci insegnano che c'è un modo di reagire al trauma: resistere alla naturale tentazione dell'afasia componendo opere fatte di immagini e di parole. Tra i molti e controversi doni di Prometeo non ci sono soltanto le derive, affascinanti ma minacciose, della tecnica infestante, anestetizzante, deresponsabilizzante: dono di Prometeo è anche la Denktechnik, la tecnica del pensiero dialettico che, ci ricorda Brecht, nasce originariamente come tecnica antagonista dei più deboli verso il potere. Vista così, dall'alto (III.3), anche questa nostra Waste Land, devastata dalle guerra e innervata sempre più pervasivamente dalla tecnica, può mostrarci – come ben vede Gertrud Stein – una sua inedita bellezza.

III.1 Titani e tecnica
III.2 Paesaggi del mondo mutato
III.3 Vista dall’alto
III.4 Rivoluzione scientifica
III.5 Globalizzazione e comunicazione
III.6 Sfondamento e conquista del cielo
III.7 Uomo aperto e uomo di vetro
III.8 Progresso
III.9 Pericolo e ordine
III.10 Tecnica e nichilismo: l’alienzazione del lavoratore
III.11 Massa e individuo
III.12 Globalizzazione, imperialismo, totalitarismo

LA TECNICA POSSIEDE UN SOTTOSUOLO
La tecnica possiede un sottosuolo, sta diventando inquietante per se stessa, si approssima alla realizzazione diretta degli dèi come suole avvenire nei sogni, sembra mancare solo un piccolo passo ancora. Così potrebbe saltare fuori qualcosa dal sogno stesso.
Ernst Jünger (1977)

DEI E TITANI
Ogni passaggio è nel contempo una frattura, ogni conquista anche una perdita. Quando lo si sente nel modo più profondo, anche se non lo si comprende, allora il dolore è particolarmente grande – specialmente se si soffre ancora per il ritrarsi degli dei di fronte ai titani.
Ernst Jünger (1934)

LA CITY: ARCHITETTURE DELLA GUERRA
Proprio nel periodo in cui le cinte murarie venivano spianate e le chiese si trasformavano in musei, nelle nostre grandi città vi era ancora un tipo di edifici dal carattere scopertamente fortificato e difensivo. Per rendersene conto basta mettere piede nel quartiere delle banche, che forma il nocciolo delle città moderne. Ci si domanda qui con stupore quale istinto ha voluto erigere, in uno spazio apparentemente sicuro, queste roccaforti fatte di blocchi di pietra non più utilizzati ormai per altri scopi, con finestre protette da inferriate e caveau blindati all’interno. Qui si coglie anche il senso di quell’atmosfera singolare e solenne che pervade le sfarzose sale degli sportelli come un’aura demoniaca.
Ernst Jünger (1934)

LE GUERRE SONO PUBBLICITÀ DELLE COSE GIÀ COMPIUTE
È una cosa quasi incredibile, ma vera: le guerre sono solo un mezzo per far pubblicità alle cose già compiute. Si è verificato un cambiamento, un totale cambiamento, la gente non pensa più come pensava: ma nessuno lo sa, nessuno se ne rende conto, non lo sa veramente nessuno ad eccezione dei creatori. Gli altri sono troppo occupati con l’occupazione di vivere, non possono sentire cosa è successo; il creatore invece, il vero creatore non fa niente, non è interessato all’attività di esistere, e poiché è inattivo, poiché non è interessato all’attività di esistere, è abbastanza sensibile per capire in che modo pensa la gente: in che modo pensava non lo riguarda, la sua sensibilità è interessata a capire come vive la gente mentre sta vivendo. È cambiato lo spirito di ciascuno, è cambiato lo spirito di un intero popolo, ma nessuno lo sa. La guerra li costringe a rendersene conto, perché durante la guerra l’aspetto di ogni cosa cambia molto più rapidamente; il cambiamento completo era già avvenuto, la guerra è solo qualcosa che costringe tutti a rendersene conto….la guerra è solo un agente di pubblicità, che fa capire a tutti cosa è successo. Proprio così.
Gertrud Stein (1938)

IL CREATORE NON È UN ACCADEMICO
Il creatore non è in anticipo sulla propria generazione; è il primo fra i contemporanei a essere consapevole di quello che sta succedendo alla propria generazione. Il creatore che crea non è un accademico, che non è uno che studia in una scuola dove le regole sono già note e, naturalmente, essendo note, non esistono più; il creatore che crea appartiene di necessità alla propria generazione. La gente della sua generazione vive nel proprio tempo, ma ci vive solamente. In arte, in letteratura, nel teatro, insomma in tutto quello che non contribuisce al suo benessere immediato, essa vive nella generazione precedente.
Gertrud Stein (1938)

SPLENDORE DEL NOVECENTO
Il Novecento è più splendido dell’Ottocento, certo, molto più splendido. Il Novecento ha molto meno buon senso, nella sua esistenza, dell’Ottocento, ma non è il buon senso che fa lo splendore. …Il Novecento è questo: è un’epoca in cui tutto si spacca, in cui tutto si distrugge, tutto si isola dal resto.
Gertrud Stein (1938)

GIOCO DI SCACCHI
È del tutto inutile star lì a studiare quali mosse cambiare, come spostare diversamente alfiere o cavallo, torre o re. Il fatto è che si è ribaltato il tavolo su cui stava la scacchiera: i guerrieri, i combattenti non esistono più come ceto o casta, e il fuoco non viene più dai cannoni, ma è diventato assoluto.
Ernst Jünger (1995)

IL NUOVO SPIRITO CRUDELE CHE PLASMA IL PAESAGGIO DEL MONDO
Lo spirito che da oltre un secolo plasma il nostro paesaggio è senza dubbio uno spirito crudele. Esso imprime le sue tracce anche sulle risorse umane: consuma i punti deboli e indurisce le zone di resistenza. Ci troviamo in una condizione nella quale siamo ancora in grado di vedere la perdita; sentiamo ancora l’azzeramento del valore, l’appiattimento e la semplificazione del mondo. Ma stanno già crescendo nuove generazioni del tutto estranee alle tradizioni in cui noi siamo nati […]. È probabile che già nel Duemila gli ultimi residui dell’età moderna, cioè dell’età copernicana, saranno svaniti. […] Oggi vediamo le valli e le pianure piene di campi militari, di parate ed esercitazioni. Vediamo gli Stati più minacciosi e più armati che mai, intenti a dispiegare in ogni molecola la propria potenza e in possesso di truppe e arsenali sulla cui finalità nessun dubbio è possibile. Vediamo anche il singolo avviarsi sempre più chiaramente a una condizione in cui potrà essere sacrificato senza alcuna remora. […] Ci troviamo forse alle prime battute di quello spettacolo in cui la vita entra in scena come pura volontà di potenza?
Ernst Jünger (1934)

APOCALYPSE NOW
La condizione in cui viviamo è la vera fine del mondo: quella cronica. “Non se ne vede ancora la fine”. “E invece sì”. La guerra in un primo momento è la speranza che a uno possa andar meglio, poi l’attesa che all’altro vada peggio, quindi la soddisfazione perché l’altro non sta per niente meglio e infine la sorpresa perché a tutti e due va peggio. Molti che il I agosto erano pieni di entusiasmo e avevano del burro hanno sperato che il I agosto 1917 ci sarebbe stato ancora più burro. Quell’entusiasmo se lo ricordano ancora.
Karl Kraus (1920 ca.)

LA VIOLABILITÀ DELLA LINEA
In guerra e in pittura l’idea della linea perse la sua inviolabilità come una frontiera che separa due regni distinti. Le due arti assunsero una composizione nuova che incorporava le ambiguità e i contorni irregolari della realtà. I cubisti avevano cercato una nuova unificazione del valore estetico dell’intera superficie pittorica; la guerra riunì elementi disparati di classe, rango, professione e nazione livellando le distinzioni gerarchiche tradizionali.
Stephen Kern (1983)

BELLEZZA DELLA TERRA VISTA DALL’AEREOPLANO
Non si deve dimenticare che la terra vista dall’aeroplano è più bella della terra vista dall’automobile. Con l’automobile finisce il progresso sulla terra. Va più veloce, ma i paesaggi visti dall’automobile sono essenzialmente gli stessi che si vedono da una carrozza, da un treno, da un carro o a piedi. La terra vista dall’aeroplano, invece, è un’altra cosa. Così il Novecento non è la stessa cosa dell’Ottocento. [...] Il Novecento è la terra vista dall’aeroplano.
Gertrud Stein (1938)

IL VENTESIMO SECOLO VEDE LA TERRA COME NESSUNO L’HA MAI VISTA
Quando fui in America, per la prima volta viaggiai quasi sempre in aereo, e guardando la terra vedevo tutte le linee del cubismo fatte quando ancora nessun pittore era mai salito su un aereo. Giù sulla terra vedevo le linee intrecciate di Picasso, che andavano, venivano, si sviluppavano, si distruggevano. Vidi le semplici soluzioni di Braque, vedevo le linee sinuose di Masson. Le vidi sì, e ancora una volta riconobbi che un creatore è contemporaneo, capisce cosa è contemporaneo quando ancora i suoi contemporanei non lo sanno, ma lui è contemporaneo. Il ventesimo secolo è un secolo che vede la terra come nessun altro l’ha mai vista, la terra ha uno splendore che non ha mai avuto. Nel Novecento ogni cosa si autodistrugge e nulla continua, allora il ventesimo secolo ha uno splendore che appartiene solo a lui.
Gertrud Stein (1938)

AD SPHAERAM
L’aereo arriva volando e getta le sue bombe, oppure attacca scendendo a volo radente e quindi riprende quota: in entrambi i casi adempie alla sua funzione di annientamento e abbandona quindi immediatamente al suo destino (vale a dire: alle sue autorità statali) il territorio bombardato, con le persone e le cose che vi si trovano. La considerazione della connessione esistente tra protezione e obbedienza, esattamente come quella del rapporto tra tipo di guerra e preda, mostra l’assoluto disorientamento spaziale e il carattere di puro annientamento della guerra moderna.
Carl Schmitt (1948)

IL NOMOS DEL CIELO
Oggi non concepiamo più lo spazio come una mera dimensione in profondità, vuota di qualsiasi contenuto pensabile. Lo spazio è diventato per noi il campo di forze dell’energia, dell’attività e del lavoro dell’uomo. Soltanto oggi diventa per noi possibile un pensiero che in ogni altra epoca sarebbe stato impossibile, e che un filosofo tedesco contemporaneo ha così espresso: non è il mondo a essere nello spazio, bensì è lo spazio a essere nel mondo
Carl Schmitt (1942)

TRE INVENZIONI
La stampa, la polvere da sparo e la bussola: queste tre invenzioni hanno completamente cambiato la faccia e lo stato delle cose in tutto il mondo; la prima in letteratura, la seconda nella guerra, la terza nella navigazione; esse hanno portato tanti cambiamenti, così profondi, che nessun impero, nessuna setta, nessuna stella sembra aver esercitato tanto potere ed influenza nella vita dell'uomo quanto queste scoperte meccaniche".
Francis Bacon (1620)

POLVERE DA SPARO, INCHIOSTRO DA STAMPA
Riguardo all’invenzione della polvere da sparo e dell’inchiostro da stampa ciò che andrebbe subito ammesso è il notevole significato che la simultaneità della loro invenzione ha avuto per il genere umano.
Karl Kraus (1920 ca.)

La polvere da sparo, la bussola e la pressa da stampa furono le tre grandi invenzioni che hanno origine alla società borghese. La polvere da sparo spazzò via la classe dei cavalieri, la bussola scoprì il mercato mondiale e fondò le colonie, e la pressa da stampa fu lo strumento del Protestantesimo e della rigenerazione della scienza in generale; la più potente leva per creare i prerequisiti intellettuali.
Karl Marx (1861-1863)

TRA DIVINAZIONE PROFETICA E VISIONE SCIENTIFICA
Tra l’epatoscopia, il globo terreste e quello celeste è racchiuso il calvario della dubbia intelligenza umana.
Aby Warburg (1923)

L'INCUBO DI LEONARDO DA VINCI NEL TEATRO DI MARTE
LEONARDO DA VINCI. ... come e perché io non iscrivo il mio modo di star sotto l’acqua, finché rimanervi io posso, questo io non voglio divulgare né pubblicare per le male nature degli uomini che l’userebbero solo per assassinare nel fondo dei mari, rompendo i navigli e sommergendoli con gli uomini che vi son dentro …
Karl Kraus (1922)

LA LUCE DELLA SCIENZA
Custodite perciò la luce della scienza
fatene uso e non fatene spreco
perché non avvenga che una pioggia di fuoco
un giorno ci divori tutti quanti,
sì, tutti quanti.
Bertolt Brecht (1941)

ALLE SOGLIE DI UNA NUOVA ERA
GALILEO: Sono sempre convinto che siamo alle soglie di una nuova era. Essa può anche presentarsi con un aspetto simile a quello di una puttana insanguinata. Il giorno spunta fra le tenebre più fitte. Mentre in certi luoghi vengono fatte le più grandi scoperte, che accrescono incommensurabilmente il benessere dell’umanità, un’immensa parte del mondo vive nelle tenebre più profonde, e anzi esse possono infittirsi ancora di più. Stai bene attento quando passi il confine con la Germania con la verità sotto il tuo mantello!
Bertolt Brecht (1941)

LA SCOPERTA DEL MONDO
GALILEO: Io ho in mente che tutto sia incominciato dalle navi. Sempre, a memoria d'uomo, le navi avevano strisciato lungo le coste: a un tratto se ne allontanarono e si slanciarono fuori, attraversando il mare. Sul nostro vecchio continente allora si sparse una voce: esistono nuovi continenti! E da quando le nostre navi vi approdano, i continenti ridendo dicono: il grande e temuto mare non è che un po' d'acqua. E c'è una gran voglia d'investigare le cause prime di tutto: per quale ragione un sasso, lasciato andare, cade, e gettato in alto, sale. Ogni giorno si trova qualcosa di nuovo. Perfino i centenari si fanno gridare all'orecchio dai giovani le ultime scoperte. Molto è già stato trovato, ma quello che è ancora da trovare, è di più. E questo significa altro lavoro per le nuove generazioni.
Bertolt Brecht (1941)

INIZIO DELLA CONTEMPORANEITÀ
La scoperta dei poli è la prima data che segna la fine del mondo moderno.
Ernst Jünger (1934)

L’ETA’ DI FAUST: SALVARE ATENE DA ALESSANDRIA
Siamo nell’età di Faust, nella quale lo scienziato moderno, oscillando fra pratica magica e matematica cosmologica, cerca di conquistare al proprio pensiero lo spazio fra se stesso e l’oggetto per una contemplazione spassionata. Occorre sempre di nuovo salvare Atene da Alessandria […]. Che menti chiare e dotte, cui sia concesso giungere più lontano di me, possano trovarsi insieme ad un tavolo comune di lavoro nell’officina di una storia delle arti figurative svolta come parte di una scienza della civiltà!
Aby Warburg (1920)

L'INVENZIONE MALEFICA DEI FRATELLI WRIGHT
Il moderno Prometeo e il moderno Icaro, Franklin e i fratelli Wright, inventori dell'aeroplano: sono loro quei funesti distruttori del senso della distanza che minacciano di far ripiombare il mondo nel caos.
Il telegrafo e il telefono distruggono il cosmo. Il pensiero mitico e il pensiero simbolico, nel loro sforzo per spiritualizzare il rapporto fra l'uomo e il pensiero circostante, creano lo spazio per la preghiera o per il pensiero, che il contatto elettrico istantaneo uccide.
Aby Warburg (1923)

PROGRESSO E DISTRUZIONE
Con il primo fuoco acceso sulla terra tutte le foreste furono in pericolo.
Ernst Jünger (1934)

CIVILTA' DELLE MACCHINE E SCIENZA NATURALE DERIVATA DAL MITO
Il fulmine imprigionato nel filo – l'elettricità catturata – ha prodotto una civiltà che fa piazza pulita del paganesimo. Ma che cosa mette al suo posto? Le forze della natura non sono più concepite come entità biomorfe o antropomorfe, ma come onde infinite che obbediscono docili al comando dell'uomo. In questo modo la civiltà delle macchine distrugge ciò che la scienza naturale derivata dal mito aveva faticosamente conquistato: lo spazio per la preghiera, poi trasformatosi in spazio per il pensiero.
Aby Warburg (1923)

LA STAMPA
I giornali hanno con la vita all’incirca lo stesso rapporto che hanno le cartomanti con la metafisica.
Karl Kraus (1920 ca.)

Il parrucchiere racconta le novità mentre dovrebbe solo pettinare. Il giornalista è pieno di spirito, mentre dovrebbe solo raccontare le novità. Sono due tipi che mirano in alto.
Karl Kraus (1920 ca.)

Come viene governato il mondo e com’è che viene condotto in guerra? Dei diplomatici ingannano dei giornalisti e ci credono quando poi leggono il giornale.
Karl Kraus (1920 ca.)

EDIZIONE DELLA SERA!
“Edizione della sera! Della sera! Della sera!
Italia! Germania! Austria!”
E sulla piazza listata a lutto,
scorse un rivolo di sangue purpureo.
Vladimir Majakovky (1914)

IL MODERNO AVIATORE, ALESSANDRO MAGNO E L'ASSOGGETTAMENTO DEL FUOCO
La regione del fuoco appare a quest'uomo [l'uomo del primo Rinascimento] ancora inavvicinabile, perfino per la forza demonica di favolosi esseri orientali. Eppure egli ha già sottomesso e ha al suo servizio nelle bocche del cannone l'elemento del fuoco. Perciò non mi sembra affatto menzognero che al moderno aviatore, il quale studia il problema “attuale” del raffreddamento del motore, sia rivelato che il suo albero genealogico spirituale risale ben oltre Carlo il Temerario, [risale cioè a Alessandro Magno,] il quale con spugne intrise aveva cercato di rinfrescare le zampe infuocate dei suoi grifoni.
Aby Warburg (1913)

NUOVE ARMI: LA CONQUISTA DEL CIELO
OTTIMISTA: L’uno vale l’altro, è un modo lecito di fare la guerra, e una volta conquistato il cielo ...
CRITICONE: ... l’uomo gaglioffo coglie subito l’occasione per rendere insicura anche la terra. Legga l’ascensione di una mongolfiera descritta da Jean Paul nella Valle di Campan. Queste cinque pagine oggi non si potrebbero più scrivere, perché l’ospite dell’aria non porta più con sé, non conserva il timore reverenziale per il cielo divenuto più vicino. Al contrario, scassinatore dell’aria, sfrutta la sua sicura distanza dalla terra per un attentato contro di essa. [...] la bomba aerea significa armare la viltà, anche se la usa l’‘Ardito dell’aria’, una cosa infame come il sommergibile, che rappresenta il principio della perfidia armata, quel principio che fa sì che il nano trionfi del gigante in armi. Ma i lattanti che l’aviatore uccide non sono armati, e se lo fossero non potrebbero colpirlo con lo stessa sicurezza con cui li colpisce lui. Di tutte le ignominie della guerra, la più grande è il fatto che quell’unica invenzione che ha portato l’umanità più vicina alle stelle è servita soltanto a dar prova della sua bassezza anche nei cieli, quasi che in terra non ci fosse spazio abbastanza.
Karl Kraus (1920)

L’AEROSTATO DI PLATONE E IL TRADIMENTO DI ARISTOTELE (O DELLA PREFIGURAZIONE FILOSOFICA DELLO ZEPPELIN)
Conveniva trovare un μηχάνημα per sollevarsi fino al sole, ma – ingannando la gravità – senza perdere il peso, il corpo, la vita; lungo tempo meditò e inventò il macrocosmo. La parte principale della strana macchina era un grande globo rigido, d’acciaio, che con le sue cure più affettuose per l’alto Platone aveva riempito d’Assoluto – gli aveva levato l’aria, diciamo noi ora. – Con questo mirabile sistema egli si sarebbe sollevato senza perdere del proprio peso – senza diminuir la propria vita.
La partenza fu lieta d’ardite speranze; e l’areostato si sollevò rapidamente dai bassi strati dell’atmosfera. «Vedete come noi saliamo per la sola volontà dell’assoluto» esclamava Platone ai suoi discepoli ch’erano con lui, e accennava al globo scintillante che li trascinava nella sua rapida salita. «È per sua virtù che noi andiamo verso il sole dove la gravità non domina più, e dai legami di questa, via via ci liberiamo».
Veramente noi diciamo ora che la causa della salita dell’areostato non è «il suo voler salire» bensì la caduta dell’aria più pesante di lui. Ma Platone esultava per l’ebbrezza dell’esaltarsi e accennando al globo pieno d’assoluto esclamava: «mirate l’anima nostra!».
E i discepoli che non capivano ma sentivano le vertigini e la nausea della salita, guardavano sbigottiti il maestro, e il globo, e la terra che fuggiva sempre di sotto.
Quando giunsero ai limiti dell’atmosfera però l’areostato diminuì la sua velocità, ondeggiò e si fermò del tutto, equilibrato nel mare d’aria. Fuori dell’atmosfera non si va – bisognerà accontentarsi di galleggiare. E le speranze? e il sole? e l’indipendenza? I discepoli guardarono il maestro con muta richiesta. […] Passavano i giorni, i mesi, gli anni, la vita dall’aerostato non mutava, i discepoli e Platone invecchiavano: il regno del sole era lontano e lo splendore riflesso della macchina piena d’Assoluto, come non dava né la gioia né la pace né la libertà così non dava l’eterna giovinezza che aveva invece promesso il maestro. I discepoli quindi s’erano abbruttiti in un oscuro torpore disperato. Un giorno però, uno di loro più ardito e meno riverente, si curvò dal parapetto e vide il vuoto; sforzò il suo sguardo in ogni maniera per discernere qualche cosa ma non vide altro che, come una nebbia lontana, il luccicare delle acque alternato con le masse oscure della terra; e riconobbe che ciò non aveva la più lontana somiglianza con quello che il maestro descriveva. Ma non era egli persona da dissolversi per paura del vuoto come gli altri compagni. Così fermò fra sé il proponimento di trovare un modo per poter tornar sulla terra. Da quel giorno egli si mise a studiare con ogni attenzione la macchina geniale e con abili domande ottenne dal maestro le informazioni necessarie. Fu allora che Platone comprese: lo guardò a lungo negli occhi miopi coi suoi occhi che vedevano lontano, e vide ch’egli lo tradiva.
Carlo Michelstaedter (1910)

Viva la Macchina che meccanizza la vita! Vi resta ancora, o signori, un po’ d ́anima, un po ́di cuore e di mente? Date, date qua alle macchine voraci, che aspettano! Vedrete e sentirete, che prodotto di deliziose stupidità ne sapranno cavare (...) e per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni. La macchina è fatta per agire, per muoversi, ha bisogno di ingoiarsi la nostra anima, di divorar la nostra vita. E come volete che ce le ridiano, l ́anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine?“
Luigi Pirandello (1925)

CORPO DA APRIRE E DA RIEMPIRE
Voglio farti ubriacare e tirarti fuori il fegato e metterti un buon fegato italiano e farti ritornare un uomo.
Ernest Hemingway (1929)

CHIRURGO E MAGO
Il chirurgo incarna il polo di un ordinamento, al polo opposto del quale c’è il mago. L’atteggiamento del mago che guarisce un ammalato mediante l’imposizione delle mani, è diverso da quello del chirurgo, il quale intraprende invece un intervento sull’ammalato. Il mago conserva la distanza tra sé e il paziente; in termini più precisi: la riduce – grazie all’apposizione delle sue mani – soltanto di poco e l’accresce – mediante la sua autorità – di molto. Il chirurgo procede alla rovescia: riduce la sua distanza dal paziente di molto – penetrando al suo interno, e l’accresce di poco – mediante la cautela con cui la sua mano si muove tra gli organi. In una parola: a differenza del mago (che ancora si nasconde nel medico comune), nel momento decisivo, il chirurgo rinuncia a porsi di fronte all’ammalato da uomo a uomo; piuttosto penetra nel suo interno operativamente. Il mago e il chirurgo si comportano rispettivamente come il pittore e l’operatore. Nel suo lavoro, il pittore osserva una distanza naturale da ciò che gli è dato, l’operatore invece penetra profondamente nel tessuto dei dati.
Walter Benjamin (1936)

ILLUSIONE OTTICA E SUPERSTIZIONE DEL PROGRESSO
Non staremo a discutere in quale ambito ricada l’illusione ottica del progresso, perché il nostro studio si rivolge a un lettore del XX secolo e non è un lavoro di demonologia. Certo è, tuttavia, che solo [..] una fede poteva spingersi al punto di estendere all’infinito la prospettiva della ragione strumentale. E chi potrebbe mettere in dubbio che il progresso sia la grande religione popolare del XIX secolo, la sola a godere di una vera autorità e di una fede senza limiti?
Ernst Jünger (1930)

IL PROGRESSO TECNICO E LA FRAGILITÀ DELLA NATURA UMANA
Il progresso tecnico lascerà aperto un solo problema: la fragilità della natura umana.
Lo spirito umanitario in guerra, la filosofia nelle trincee, il senso artistico davanti a una cattedrale bombardata e altre virtù del genere, la cui presenza vale a rendere la guerra un barbarismo, non dovrebbero essere messe in rilievo tanto spesso. Peggiori della ferocia in guerra sono certi fenomeni che rendono insoffribile quell’altro ancor più pervicace male: la pace. Piedi sudati? Ma che; questa sarebbe opinione dell’esteta (anche se sono una caratteristica spirituale). La tecnica non dovrebbe finire col produrre nuovi emblemi? O deve continuare a non trovare altre risorse che derivarli dai vecchi ideali e montarli sulla nuova cosa? Un tempo la guerra era un torneo di pochi e ogni esempio aveva la sua forza. Ora è un rischio macchinale di tutti e ogni esempio va sul giornale. D’accordo. L’evoluzione delle armi non avrebbe potuto restare indietro rispetto alle scoperte tecniche dei tempi moderni. Indietro doveva restare solo la fantasia dell’umanità. “Ma forse che le guerre si fanno con la fantasia?”. Certo che no, perché se la si avesse ancora, non si farebbero affatto. Perché allora non si avrebbe la macchina. Perché allora si saprebbe che l’uomo, che ha inventato la macchina, ne viene sopraffatto, e che è peccato esporre la vita al caso e degradare la morte facendone un caso.
Karl Kraus (1920 ca.)

LOGICA E IMMAGINAZIONE
Viviamo ancora sotto il regno della logica: questo, naturalmente, è il punto cui volevo arrivare. ma ai giorni nostri, i procedimenti logici non si applicano più se non alla soluzione di problemi di interesse secondario. Il razionalismo assoluto che rimane di moda ci permette di considerare soltanto fatti strettamente connessi alla nostra esperienza. I fini logici, invece, ci sfuggono. Inutile aggiungere che l'esperienza stessa si è vista assegnare dei limiti. Gira dentro una gabbia dalla quale è sempre più difficile farla uscire. Anch'essa poggia sull'utile immediato, ed è sorvegliata dal buon senso. In nome della civiltà, sotto pretesto di progresso, si è arrivati a bandire dallo spirito tutto ciò che, a torto o a ragione, può essere tacciato di superstizione, di chimera; a proscrivere qualsiasi modo di ricerca della verità che non sia conforme all'uso. Si direbbe che si debba a un caso fortuito se di recente è stata riportata alla luce una parte del mondo intellettuale, a mio parere di gran lunga la più importante, di cui si ostentava di non tenere più conto. Bisogna rendere grazie alle scoperte di Freud. In forza di queste scoperte, si delinea finalmente una corrente d'opinione grazie alla quale l'esploratore umano potrà spingere più avanti le proprie investigazioni, sentendosi ormai autorizzato a non considerare soltanto le realtà sommarie. L'immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti
André Breton (1924)

LA MAGIA DELLA TECNICA
Si può osservare ovunque il fascino magico delle immagini tecniche: possiamo vedere come esse carichino la vita di magia, come noi stessi viviamo, conosciamo, valutiamo e agiamo in funzione di queste immagini. È però importante chiederci con che genere di magia abbiamo a che fare.
La differenza fra la vecchia e la nuova magia la si può esprimere nel modo seguente: la magia preistorica è la ritualizzazione di modelli detti “mito”, la magia attuale è una ritualizzazione di modelli detti “programma”. I miti sono modelli trasmessi oralmente, il cui autore -un dio- sta al di là del processo di comunicazione. I programmi, invece, sono modelli trasmessi per iscritto, i cui autori -“i funzionari”- stanno all’interno del processo di comunicazione.
La funzione delle immagini tecniche è affrancare magicamente i destinatari della necessità di un pensiero concettuale. Sostituendo la coscienza storica con una coscienza magica di secondo grado e la facoltà concettuale con un’immagine di secondo grado. Ecco che cosa intendiamo quando affermiamo che le immagini tecniche soppiantano i testi.
Vilém M. Flusser (1983)

PERICOLO E ORDINE
Quel che caratterizza in maniera particolare il tempo nel quale ci troviamo, e in cui ogni giorno più profondamente ci addentriamo, è la stretta relazione che sussiste tra il pericolo e l'ordine. La cosa si può esprimere solo rendendo evidente come il pericolo appaia quale un'altra faccia del nostro ordine. L'intero composto dalle due facce assomiglia alla nostra rappresentazione dell'atomo: al tempo stesso assolutamente mobile e assolutamente stabile.
Ernst Jünger (1930)

TERRORE E LIBERTA'
il mondo in cui viviamo è caratterizzato in ogni ambito da una ferrea necessità che assume sempre più spesso tratti perfetti, tecnocratici, disumani, terrifici; tuttavia è solo all’interno di questa necessità, in un costante contatto e confronto con essa che è possibile per l’uomo dare forma alla propria libertà.
La necessità in cui oggi è inserito l’essere umano è l’«impero mondiale», una macchina planetaria del lavoro e dell’amministrazione dei popoli che penetra fin dentro alla vita del singolo e della specie; in questo senso la dimensione della libertà e della lotta per essa, tende a spostarsi oltre la linea descritta dal confine della politica classica e della storia: su questo terreno sconfinato «al muro del tempo» è dato oggi all’uomo un bene e un male, qui l’uomo deve trovare anche la forma della propria libertà.
È uno spettacolo grandioso e terribile vedere i movimenti delle masse sempre più omologati, su cui lo spirito del mondo getta la sua rete. Ciascuno di questi movimenti non fa che rendere la presa più stretta e più implacabile, e qui agiscono forme di costrizione che sono più forti della tortura: così forti che l’uomo le saluta con giubilo.
Ernst Jünger (1930)

SULL’AMORE PER L’ORDINE
ZIFFEL: In nessun posto si bada tanto all’ordine come in prigione o nell’esercito. È sempre stato proverbiale. Quel generale francese che al principio della guerra del settanta annunciò all’imperatore Napoleone che l’esercito era pronto e tutto in ordine fino all’ultimo bottone, non avrebbe promesso roba da poco, se fosse stato vero. Difatti è proprio l’ultimo bottone che conta. Devono essere a posto tutti, i bottoni. Con l’ultimo bottone si vince la guerra. Anche l’ultima goccia di sangue è importante, ma non quanto l’ultimo bottone. Difatti, è l’ordine che fa vincere la guerra. Nel sangue non si può mai mettere lo stesso ordine come nei bottoni. Lo stato maggiore non sa mai così di preciso se l’ultima goccia di sangue è stata versata, come sa tutto invece dei bottoni.
…neppure nel mondo degli affari l’ordine ha una parte tanto importante quanto nell’esercito, anche se negli affari applicando quest’ordine meticoloso si ricavano profitti, mentre in guerra si hanno soltanto perdite. Si potrebbe pensare che conta di più ogni centesimo in affari che ogni bottone in guerra. … È il disordine che ha già salvato la vita a migliaia di individui. In guerra spesso basta la più piccola deviazione da un ordine perché uno porti in salvo la pelle.
KALLE: La metta così: dove niente sta al posto giusto, c’è disordine. Dove al posto giusto non c’è niente, lì c’è ordine.
Bertolt Brecht (1940-41)

IL PURO PROGREDIRE DELLA MACCHINA BELLICA
Se si osserva l’uomo nella sua condizione solitaria, esposto al pericolo e disponibile al sacrificio, viene spontaneo domandarsi a che cosa questa disponibilità sia rivolta. Grande deve essere quel potere capace di piegare l’uomo ai compiti di una macchina. E tuttavia sarebbe inutile cercare con lo sguardo un luogo che domini dall’alto, e al riparo da qualsiasi dubbio, il puro progredire della macchina bellica. Quel che è indiscutibile è piuttosto l’azzeramento degli antichi culti, l’impotenza creativa delle culture e la grigia mediocrità che contraddistingue gli attori sulla scena. […] Ci troviamo in un’ultima, e singolarissima, fase del nichilismo, nella quale […] tecnica ed ethos sono divenuti soprendentemente sinonimi.
Ernst Jünger (1934)

EBBREZZA DELLA CONOSCENZA
Le grandi scuole del pensiero progressista sono contrassegnate dalla mancanza, al loro interno, di qualsiasi rapporto con le forze primigenie. La loro dinamica è fondata sulla successione temporale del movimento. Per questo le loro conclusioni sono convincenti in sé, eppure è come se una matematica diabolica le condannasse a sfociare nel nichilismo […]. Il rapporto dell’idea di progresso con la realtà è di natura deduttiva. Ciò che si vede è la proiezione della realtà alla periferia dei fenomeni […]. Eppure, come l’Illuminismo non è soltanto l’illuminismo ma qualcosa di più profondo, così anche il progresso non è privo di retroscena e di spessore. […] C’è un’ebbrezza della conoscenza, la cui origine non è soltanto logica, e c’è un orgoglio di conquiste tecniche, l’orgoglio del primo passo verso uno sconfinato dominio dello spazio, in cui si avverte un presagio di recondita volontà di pitenza, ancora in germe. A questa volontà tutte le conquiste tecniche servono semplicemente da armatura per impreviste battaglie e insospettate rivolte, e proprio per questo sono tanto più preziose ed esigono cure più amorevoli di quante mai un guerriero abbia dedicato alle proprie armi.
Ernst Jünger (1932)

PRESTAZIONE LAVORATIVA
Ormai il processo di lavoro, in particolare da quando è stato normato dalla catena di montaggio, fa sì che tutti i giorni abbiano luogo innumerevoli prestazioni di verifica meccanica. Queste prestazioni avvengono in modo palese: chi non le supera, viene escluso dal processo lavorativo. Ma avvengono anche intenzionalmente: nelle prove di attitudine professionale. In entrambi i casi ci si imbatte nella stessa barriera.
Walter Benjamin (1936)

L’ERA DELLA MACCHINA E DEL LAVORATORE
Lo spettacolo della nostra vita nel suo esuberante dispiegarsi e nella sua disciplina implacabile, con le sue aree produttive fumanti e scintillanti di luci, con la fisica e metafisica del suo traffico, i suoi motori, aereoplani e metropoli brulicanti di gente, per intuire con un senso di sgomento e di ebbrezza che qui non c’è un solo atomo che non sia al lavoro, e che questo processo delirante è, in profondità, il nostro destino. La Mobilitazione Totale non è una misura da eseguire, ma qualcosa che si compie da sé, essa è, in guerra come in pace, l’espressione della legge misteriosa e inesorabile a cui ci consegna l’età delle masse e delle macchine. Succede allora che ogni singola vita tenda sempre più indiscutibilmente alla condizione del Lavoratore, e che alle guerre dei cavalieri, dei re e dei cittadini, succedano le guerre dei Lavoratori, guerre della cui struttura razionale e della cui implacabilità il primo grande conflitto del XX secolo ci ha già dato un’idea.
Ernst Jünger (1930)

ARMI CONTRO LA PERSONA, ARMI CONTRO IL TIPO UMANO
Il tipo e l’impiego delle armi mutano a seconda che esse siano dirette contro la persona, contro l’individuo o contro il tipo umano. Dove è la persona che si dispone a combattere, lo scontro è condotto secondo le regole del duello tra due contendenti, e poca importa che si scontrino dei singoli oppure compatte unità dell’esercito. Quando questo avviene, ciascuno cerca di colpire l’avversario con armi portatili [Handwaffe]. Persino l’antico artigliere, l’ispettore di ordinanza è una specie di artigiano [Handwerker]. L’individuo entra in scena en masse; egli deve essere raggiunto con mezzi che implicano un effetto di massa. Contemporaneamente alla sua scomparsa nello spazio del combattimento appare perciò la “batteria di grosso calibro”, e più tardi, grazie all’industrializzazione la mitragliatrice.
Ernst Jünger (1932)

UNA MONOTONA TURBINA ALIMENTATA A SANGUE
I paesi si trasformano in fabbriche gigantesche destinate a produrre alla catena di montaggio armate da spedire senza tregua sui campi di battaglia, dove un consumo altrettanto meccanico e cruento provvede a eliminarle. Se la monotonia di questa visione, che ricorda il lavorio meticoloso di una turbina alimentata a sangue, risulta penosa per l’animo eroico, non può esservi tuttavia alcun dubbio sul suo significato simbolico. Si manifesta qui una logica rigorosa, la dura impronta dell’epoca nel linguaggio della guerra”
Ernst Jünger (1930)

UNA TURBINA ALIMENTATA COL SANGUE
In realtà, la guerra si sarebbe rivelata non troppo lontana dal lavoro in fabbrica, dal “preciso ritmo di lavoro di una turbina alimentata col sangue.
Ernst Jünger (1930)

STATO MONDIALE
L’ordine planetario, così nel tipo come nella strumentazione, s’è già compiuto. Attende solo di essere riconosciuto e denunciato come tale [...]. Il progressivo estendersi dei grandi spazi fino a configurare un ordine globale, il confluire degli Stati mondiali nello Stato mondiale, o per meglio dire nell’impero mondiale, si connette al timore che d’ora in avanti la perfezione attinga le sue forme definitive a spese della libera volontà.
Ernst Jünger (1960)

STILE DELLA GUERRA MONDIALE
La Mobilitazione totale è un atto con cui il complesso e ramificato pulsare della vita moderna viene convogliato con un sol colpo di leva nella grande corrente della energia bellica».
Ernst Jünger (1930)

MOBILITAZIONE E GUERRA TOTALE
L’immagine stessa della guerra come azione armata finisce per sfociare in quella, ben più ampia, di un gigantesco processo lavorativo. Accanto agli eserciti che si scontrano sui campi di battaglia nascono i nuovi eserciti delle comunicazioni, dei vettovagliamenti, dell’industria militare: l’esercito del lavoro in assoluto […] Non vi è più alcun movimento – fosse anche quello di una lavoratrice a domicilio dietro la sua macchina da cucire – che non possieda almeno indirettamente un significato bellico. […] Realizzare questo scopo è il compito della Mobilitazione Totale, un atto con cui il complesso e ramificato pulsare della vita moderna viene convogliato con un sol colpo di leva nella grande corrente dell’energia bellica.
Ernst Jünger (1930)

GARBUGLI MITOLOGICI
Ma che cos’è questo garbuglio mitologico? Da quando in qua Marte è il dio del commercio e Mercurio il dio della guerra?
Karl Kraus (1920 ca.)

IL LAVORO DELLA GUERRA
Diventa sempre più arduo stabilire in quali luoghi venga compiuto in modo decisivo il lavoro della guerra [Kriegsarbeit]. Pensiamo soprattutto a come proprio nel corso della guerra entrino in campo, imprevedibili, nuove categorie di armi e nuovi metodi di combattimento, ciò ancora una volta dimostra il fatto principale, che il fronte della guerra e il fronte del lavoro sono identici.
Ernst Jünger (1932)

English Abstract

In the Gallery we present a selection of the rich choice of images and texts selected by the Seminar Mnemosyne in view of the exhibition. Texts and images were mounted in the exhibition in the side niches and grouped in three main thematic groups: I. War; II. Photography and cutting; III. Technological development and globalization. Texts and images were mounted according to the device of the 'dialectical theca' , developed experimentally just for "Figli di Marte". Both the choice of the three main themes and the selection of quotes and images, both the thematic groups – indicated below – are proposed as an open project, with the availability of new acquisitions and inevitable losses : a material in continuous evolution.