"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

224 | maggio 2025

97888948401

Die Bakchen (Le Baccanti, 1973) e Die Vögel (Gli Uccelli, 1975) al Burgtheater

Sonia Bellavia

English abstract
Introduzione

Lanciando l’intervista rilasciata da Luca Ronconi all’autore e giornalista Gernot Zimmermann, lo speaker dall’emittente radiofonica ORF (la Radiotelevisione nazionale austriaca, con sede a Vienna), in una messa in onda dell’11 novembre 1995 presentava il regista come uno degli uomini di teatro italiani più importanti del Novecento (insieme a Giorgio Strehler); sottolineando il rapporto particolare che lo legava alla cultura austriaca. “Kein Theatereggiseur”, dichiarò la ORF, “hat mehr getan für die Verbreitung der österreichischen Literatur auf italienischen Bühnen als Luca Ronconi” [Nessun regista teatrale ha fatto più di Luca Ronconi, per la diffusione della letteratura austriaca sulle scene italiane][1].

Un rapporto stretto, ‘figlio’, verosimilmente, della prima visita del futuro regista a Salisburgo, negli anni dell’adolescenza – quando vide lo Jedermann di Hofmannsthal “con la regia ripresa da quella di Max Reinhardt” (Ronconi 2019, 49) – e doppiamente declinato: in una serie di allestimenti delle opere dei maggiori, fra gli autori della Jahrhundertwende, per un verso. Basti citare i viennesi Hugo von Hofmannsthal (Der Turm 1978), Arthur Schnitzler (Al Pappagallo verde e la contessina Mizzi nel 1978 e poi, nel 2005 Il Professor Bernardi), Arno Holz (Ignorabimus) e Karl Kraus (Gli ultimi giorni dell’umanità, 1995). Dall’altro, in una serie di allestimenti di opere d’altra matrice geografica e temporale, ma messe in scena in Austria. Ad esempio, Die Riesen vom Berge (I Giganti della montagna) di Pirandello – ricordato dallo speaker della ORF come un successo straordinario – prodotto dai Salzburger Festspiele nel 1994, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede del Pernes Insel; e presentato, tra l’altro, esattamente lo stesso anno in cui Giorgio Strehler lo portava per la seconda volta, dopo 45 anni, al Burgtheater di Vienna[2]. Ed era stato proprio sullo storico palcoscenico della città danubiana, che aveva cominciato tempo prima a rinsaldarsi il legame fra l’Austria e Ronconi. A partire, precisamente, dalla primavera 1973, quando il regista italiano fu invitato dal Burgtheater ad allestire uno degli spettacoli ospiti delle ventitreesime Wiener Festwochen: lo storico festival culturale viennese, nato nel 1927, che si svolge ogni anno per cinque settimane, nei mesi di maggio e giugno. Una kermesse che produce anche allestimenti internazionali e vive dell’alternanza di spettacoli di prosa, opera e danza, provenienti da tutto il mondo. Per un totale di 40 produzioni in media, con 175 spettacoli e 70 concerti.

Nel 1973, quando Ronconi vi è presente la prima volta, l’evento risulta sovvenzionato dalla comunità di Vienna, dal Ministero per l’Istruzione e per l’Arte, dalle Camere del Commercio e del Lavoro e dall’Ente del Turismo viennese. Il programma che quell’anno sarebbe stato presentato fra il 19 maggio e il 17 giugno prevedeva, oltre alle première teatrali, anche mostre, eventi ‘di quartiere’ (dislocati nei Bezirke della città), concerti (anche nelle Chiese), balli (compresi i folkloristici), opere e operette.

Presente con un paio di produzioni proprie, le Wiener Festwochen inglobavano quelle già in essere nel circuito teatrale della città; alcune straniere, altre ‘miste’. Ovvero, produzioni autoctone, ma allestite da registi stranieri: il 29 maggio, al Burgtheater (e con l’ensemble della Burg), il regista fiorentino Roberto Guicciardini presentò Candide, ‘da’ (non ‘di’) Voltaire[3] e sullo stesso palcoscenico, qualche giorno dopo, il 9 giugno[4], debuttò la tragedia euripidea Die Bakchen (Le Baccanti), diretta da Luca Ronconi[5].

Il regista italiano è ancora partecipe delle Wiener Festwochen nel 1975 (24 maggio-22 giugno), l’anno in cui prende la direzione della Sezione Teatro della Biennale di Venezia (che terrà fino al 1977), e sempre con un testo greco antico. Una commedia, questa volta: Die Vögel (Gli Uccelli) di Aristofane, che va in scena al Burgtheater il 19 aprile (con repliche il 9, 12, 15 e 17 giugno) e viene riproposta per l’appunto nel mese di maggio (nei giorni 28, 30 e 31), nel quadro del festival viennese. A completare l’impegno di Ronconi con Vienna e il ‘suo’ teatro antico, arriva infine Die Orestie (L’Orestea): la trilogia tragica di Eschilo (Agamennone, Coefore, Eumenidi), prodotta dal Burgtheater e messa in scena il 20 marzo 1976 (l’anno in cui il teatro festeggiava il proprio bicentenario); per essere anch’essa replicata nell’ambito delle Wiener Festwochen, che quell’anno si svolsero fra il 20 maggio e il 22 giugno.

Non era, quella, la prima volta che Ronconi allestiva la trilogia eschilea. L’aveva già presentata quattro anni prima (il 20 settembre 1972) al Festival di Belgrado, con una produzione interamente italiana. È questo il motivo per cui si è deciso qui di non prenderla in considerazione, preferendo concentrare il focus sulle due produzioni pensate espressamente per Vienna. Considerato anche che la scelta della trilogia eschilea fu, per così dire, ‘imposta’. Giovanni Agosti sostiene infatti che al momento di firmare l’accordo con il Burgtheater, “Ronconi aveva previsto […] che il terzo spettacolo fosse non l’Orestea, ma una riedizione de La tragedia del vendicatore” di Thomas Middleton (1608), che aveva debuttato al Metastasio di Prato il 9 marzo 1970 (Ronconi 2019, 153 nt. 10).

Rappresentative dei generi maggiori della classicità, la tragedia euripidea e la commedia aristofanesca paiono dunque a buon diritto esemplari per saggiare il rapporto del regista col dramma antico e la dimensione internazionale del suo teatro. Sia l’una che l’altra vennero allestite nella capitale austriaca quando il Burgtheater si trovava sotto la guida del viennese Gerhard Klingenberg (al secolo Gerhard Schwabenitzky; 1929-2024), ex attore del Berliner Ensemble e regista presso svariati palcoscenici tedeschi, prima di approdare alla direzione del prestigioso Hoftheater di Vienna, che terrà dal 1971 al 1976.

Le Baccanti

I – Il progetto

L’invito rivolto a Ronconi rispondeva all’idea di un Burgtheater europeo, che Klingenberg – volendo segnare una svolta rispetto alle direzioni precedenti – cercò di realizzare coinvolgendo registi stranieri, di fama internazionale. Uno dei suoi grandi meriti fu in effetti quello di aver portato a Vienna i registi europei d’avanguardia all’epoca: quelli di Claus Peymann (che fra mille polemiche avrebbe guidato il Burgtheater dal 1986 al 1999), di Giorgio Strehler, Luca Ronconi e Jean-Louis Barrault[6] - al quale il regista italiano riconosce di dovere il suo “primo vero spettacolo su una tragedia classica” (Ronconi 2019, 220) – di Roberto Guicciardini e del fondatore della Royal Shakespeare Company (nonché direttore, dal 1973 al 1988, del National Theatre di Londra) Peter Hall, sono solo alcuni dei nomi che allestirono spettacoli sotto la sua direzione. Dirà Klingenberg nel corso di un’intervista:

Ich hatte diese europäische Vision lange, bevor es die Europäische Union gab. Ich finde, das Burgtheater darf nicht einfach ein weiteres bundesdeutsches Großtheater sein. Man muss Regisseure aus ganz Europa suchen. Ich glaube, das wäre der einzige überdurchschnittliche Weg des Burgtheaters (APA 2014).
[Avevo questa visione europea molto prima che esistesse l’Unione Europea. Non credo che il Burgtheater debba essere solo un altro grande teatro tedesco. Bisogna cercare registi da tutta Europa. Credo che questo sia l’unico modo per far[lo] progredire]. 

Nel novero dei grandi registi da reclutare rientravano, come si è visto, anche gli italiani, presenti con i loro ‘classici’, nazionali e/o stranieri: il 9 novembre 1974, sul primo palcoscenico di Vienna Giorgio Strehler allestì La trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni e il primo marzo 1977 Guicciardini presenterà la Mandragola di Niccolò Machiavelli (traduzione e adattamento di Rudolf Weys); dividendo in pratica il palcoscenico (ancora) con Strehler, che quell’anno (e fino alla fine di febbraio 1978) sarà presente al Burgtheater con Das Spiel der Mächtigen [Il gioco dei potenti] di Shakespeare, già allestito al Piccolo di Milano nella stagione 1964-1965.

Luca Ronconi, che dal 1969 si era imposto alle cronache teatrali con l’ormai celeberrimo Orlando furioso di Ludovico Ariosto a Spoleto, riprese invece nella capitale austriaca, nel periodo che egli stesso definisce di “volontario esilio” (deciso a seguito di traversie finanziarie legate all’Orestea, Ronconi 2019, 50-51), il discorso aperto l’anno prima con la trilogia di Eschilo a Belgrado; portata poi, nel luglio 1973, a Spoleto, nella Chiesa di San Nicolò. Lavorò cioè – sebbene non per scelta propria, poiché gli spettacoli gli furono commissionati dalla direzione del Burgtheater, che conserva i contratti (non consultabili per ragioni di privacy) – sui testi che la tradizione storiografica colloca agli albori della storia del teatro. A cominciare dal genere tragico, il primo a essere rappresentato nell’antichità. Prima ancora dell’istituzione ad Atene degli agoni dionisiaci (Belardinelli 2023, 3).

Lasciato Eschilo alle spalle, il regista si confrontò dunque con Euripide (dopo Eschilo e Sofocle l’ultimo, in senso cronologico, della triade dei grandi tragici greci) e le sue Baccanti (406-407 a.C. circa): la tragedia che significativamente rimanda, in virtù della presenza di Dioniso, alla fondazione stessa del teatro, dono del dio dell’ebbrezza agli uomini, secondo la leggenda antica. Nell’idea di Ronconi, “questa origine [verrà] assunta come ipotesi” non per celebrare l’origine mitica del teatro, bensì “per mostrare la dissoluzione e l’allontanamento temporale d[e]i due miti – uno culturale e uno religioso – al contempo: la scomparsa della fiducia nella capacità del teatro di comunicare e la perdita di una visione sacra del mondo” (Ronconi 1973, s.p.).

Da qui, insieme allo scenografo e costumista Pier Luigi Pizzi, suo collaboratore dal 1971, quando con lui allestì Carmen di Bizet all’Arena di Verona[7], il regista prese le mosse per realizzare una messa in scena dalla forte valenza metateatrale. Lo spettacolo, affermò nei fatti il regista, “non puntava sulla metamorfosi di un mito, ma sull’evoluzione e sulla permanenza di una tradizione, quella del teatro, di cui mostrare il funzionamento nella convenzione della scena all’italiana” (Ronconi 2019, 230).

Il luogo d’azione non era dunque né una riproduzione del teatro greco delle origini, né il palco del Burgtheater, a scatola ottica “che altera e falsifica le caratteristiche originali della tragedia greca”, ma “un palcoscenico che rappresenta[va] solo sé stesso” (Ronconi 1973, s.p.), facendosi essenza e ‘sintesi’ del teatro. Tutto ciò che di sacrale accadeva ne Le Baccanti era sollecitato dall’essere all’interno di quello spazio (Bizzarri 2016, 15).

La risultante sarebbe stata un allestimento di forte impatto visivo, poiché thèatron è etimologicamente il “luogo per vedere” ed è ormai nota l’attenzione che i drammaturghi antichi (in particolare i tragediografi) rivolgevano “a una messinscena che sollecitasse la vista degli spettatori, cui veniva talora attribuita una maggiore importanza rispetto all’udito” (Belardinelli 2023, 1-2). E a puntare particolarmente sull’assetto visivo fu proprio Euripide, al quale era assai cara la macchina teatrale dell’ekkyklema (Belardinelli 2023, 1-2). Anche per questo, è attraverso la sua opera che Ronconi intende restituire, del teatro, soprattutto la sua origine di luogo della visione, demandando l’assunto all’evidenza delle immagini create da Pizzi e in cui lo scenografo indica la chiave di lettura per il “linguaggio esoterico e dissacrante”[8] utilizzato dal regista. Con il fine di allontanare l’idea consunta e stereotipata che del classico ha consegnato la tradizione. Per mostrare quanto di morto, oggi, essa contenga. Un’intenzione chiaramente espressa nel testo che il regista italiano ha consegnato al Programmheft (programma di sala) del Burgtheater e in cui rivela l’assunto di base del suo spettacolo:

Anstatt Analogien zwischen den Situationen der Tragödie und unserer heutigen Welt zu suchen, ziehe ich es vor, sie bewußt in jene Vergangenheit zurückzustoßen, aus der sie uns überliefert ist […]. An der Entfernung, welche zwischen uns und den Klassikern liegt, läßt sich unser eigenes Fortschreiten erkennen. Unsere Darstellung versteht sich als Parabel der Auflösung einiger Grundelemente unserer durch die Epoche des Humanismus geprägten Kultur. Dies geschieht in Form einer diachronischen Aufführung einer griechischen Tragödie, das heißt, eine Aufführung, die den Zeitraum seit der Renaissance – dem Augenblick der Wiedergewinnung der griechischen Kultur – umfaßt (Ronconi 1973, s.p.).
[Invece di cercare analogie tra le situazioni della tragedia e il nostro mondo di oggi, preferisco respingerla consapevolmente nel passato da cui ci è stata tramandata […]. Il nostro stesso progresso si riconosce dalla distanza che ci separa dai classici. La nostra rappresentazione è una parabola della dissoluzione di alcuni elementi fondamentali della nostra cultura, plasmata dall’era dell’umanesimo. Si tratta di una rappresentazione diacronica di una tragedia greca, cioè di una rappresentazione che copre il periodo successivo al Rinascimento: momento della ripresa della cultura ellenica].

La prospettiva di Ronconi, lo anticipiamo, sarà piuttosto contestata dalla stampa viennese. Il critico di “Die Furche”, Karl Maria Grimme, dirà che il regista si era mostrato incapace di cogliere “das Wesentliche dieser Tragödie”, l’essenza delle Baccanti (Grimme 1973), mentre Piero Rismondo scriverà su “Die Presse”:

Intellektuell und spektakulär zugleich ist die Inszenierung der Bakchen des Euripides durch den Italiener Luca Ronconi am Burgtheater. Eine intensive eigenwillige Stilklitterung. Bewußt keine Spur von ‘Deutung’, bewußt keine Spur eines Versuchs, der Antike nachzugehen. Auch nicht, den Text zu ‘aktualisieren’. Vielmehr unter großem optisch-maschinellem Aufwand ein ostentatives Spiel mit Formen. Das Stück wird zu einer manieristischen Vision. Man beobachtet kühl die Emotionen (Rismondo 1973).
[Al contempo intellettuale e spettacolare è la messinscena di Ronconi delle Baccanti di Euripide. Uno scontro stilistico intenzionalmente idiosincratico. Volutamente nessuna traccia di ‘interpretazione’, volutamente nessuna traccia di un tentativo di risalire all’antichità. Né alcun tentativo di ‘attualizzare’ il testo. Piuttosto: un ostentato gioco di forme con grande sforzo visivo e meccanico. L’opera diventa una visione manierista. Si osservano le emozioni con freddezza]. 

II – L’esito

1 | Bozzetto di Pier Luigi Pizzi per il costume delle Baccanti asiatiche in Die Bakchen. Per gentile concessione di Pier Luigi Pizzi.

Sulla base di una non meglio precisata traduzione italiana del testo greco, Ronconi aveva iniziato a concepire l’allestimento della tragedia euripidea nei due mesi antecedenti il debutto. E continuò a elaborarlo e precisarlo a Vienna, durante le prove: momento in cui, nel contatto con gli attori, “lo spettacolo si dispone naturalmente”. “Alle prove”, dichiara Ronconi, “arrivo con un’idea molto precisa di un testo [ma] non ho già in testa lo spettacolo finale bell’e fatto. […] Semmai ho in testa una mappa dello spettacolo che può trasformarsi in una specie di caccia al tesoro con un andamento diverso di prova in prova, pur rimanendo intatta la mappa” (Ronconi 2019, 196). Nella prima fase di costruzione dello spettacolo, il regista italiano ebbe il totale sostegno del personale del Burgtheater, che si dimostrò pienamente collaborativo, una volta superate le discordanze iniziali. Discrepanze, racconta Pier Luigi Pizzi[9], originate da un diverso modus operandi: sia lui che Ronconi tendevano a ritoccare continuamente la scenografia, anche quando – e anzi, proprio per quello – era stata già montata in palcoscenico. Nei teatri d’area germanofona, il lavoro è invece molto più ‘metodico’. Una volta consegnati i bozzetti al laboratorio di scenotecnica e i figurini alla sartoria, le maestranze – considerandoli definitivi – procedono all’esecuzione. In questo caso, invece, si trattava di lavorare pensando a un’opera aperta, un vero e proprio work in progress. Capito questo, l’incomprensione iniziale fu superata, sopraggiunsero l’accordo e una piena collaborazione.

Mentre Pizzi era impegnato con il laboratorio scenografico e la sartoria del teatro – che sotto la sua supervisione realizzò i costumi ‘metafisici’ ispirati alle pitture di Giorgio De Chirico e Alberto Savinio –, Ronconi lavorava assieme alla Burg sull’adattamento delle Baccanti che il filologo classico Wolfgang Schadewaldt (1900-1974) aveva steso nel 1972, in vista dell’allestimento della tragedia firmato da Hansgünther Heyme e previsto per l’inizio dell’anno seguente a Colonia. In uso al Burgtheater e utilizzato dalla sua compagnia stabile, il testo – oltre al merito di avere colmato alcune lacune dell’originale – aveva il vantaggio di essere scritto in un tedesco “facile da parlare ed efficace sulla scena” (Rismondo 1973). Ronconi lo lasciò pressoché invariato: il taglio più vistoso fu quello del coro che avrebbe dovuto aprire la seconda parte, ma per il resto i cambiamenti furono davvero minimi: venne tolto qualche avverbio qui e là, modificato qualche aggettivo e/o sostantivo, di cui si scelse un sinonimo in grado di rafforzare il senso del periodo, e in qualche caso si modificò l’ordine sintattico della frase; ma nulla più di questo[10].

Il regista lavorò con la compagnia della Burg – al cui interno, affermò con orgoglio, c’erano “gli attori di Max Reinhardt” (Ronconi 2019, 154) – attraverso la mediazione di un interprete; senza incontrare, fortunatamente, le resistenze che qualche anno dopo ostacoleranno L’Avaro di Molière del collega Jean-Paul Roussillon (1931-2009), messo in scena al Burgtheater nello stesso anno in cui Ronconi vi allestirà l’Orestea. La presenza di un mediatore linguistico, in quel caso, destò le rimostranze di alcuni degli interpreti, fra i quali l’attrice e danzatrice Susi Nicoletti (1918-2005; al secolo Susanne Emilie Luise Adele Habersack), che abbandonò la parte poiché impossibilitata a comunicare con il regista francese come avrebbe voluto e – a parer suo – dovuto (Pluhar 2017, 25). Nel caso de Le Baccanti, invece, gli attori dell’ensemble di Vienna, come ricorderà lo stesso Ronconi a posteriori, riuscirono a mediare benissimo tra quello che egli chiedeva loro e la loro tradizione (Ronconi 2019, 154).

Tutti, ricorda Pizzi, lavorarono con molta dedizione. E anzi: l’attore e futuro co-direttore del Burgtheater, Joaquim Bissmeier, già protagonista del Candide diretto da Guicciardini[11], interprete di Mann nelle Baccanti e futuro Oreste in Coefore e Eumenidi nel 1976[12], ancora nel 2008 parlerà di Ronconi come uno dei registi che erano stati più significativi per lui (Pluhar 2017, 255); grazie al quale aveva scoperto una prospettiva completamente nuova da cui guardare alla poesia antica e che con il suo stile anticonvenzionale – che aveva finito per guadagnargli l’appellativo di Regisseur des Wahnsinns (regista della follia) – gli aveva permesso di conoscere un modus pensandi inusitato: “einen bis dato unbekannten Blick in ein fremdes Denken […]” (Pluhar 2017, 242).

Con gli attori, compreso il coro delle ventuno Baccanti, fra asiatiche e tebane (alle prime delle quali fu chiesto di superare un certo pudore iniziale, per recitare a seno nudo “ostentando una femminilità dichiarata, originaria e provocante” [Fig. 1][13], Ronconi lavorò in vista di una recitazione “fondata sulla lingua tedesca”, dove “ogni parola deve essere accentata e il senso della frase non dipende dalla scioltezza”, ma dalla misura dell’accentazione “di questa o quella parola, questa o quella sillaba all’interno della parola”. E da cui deriva “un gioco” infinitamente ricco “di sospensioni, di attese, di sottintesi” (Ronconi 2019, 217, n. 4). La cura dei movimenti la lasciò invece al consulente pantomimico: lo straordinario mimo, attore, ballerino ed esperto di comunicazione d’origine israeliana Samy Molcho (classe 1936), professore all’Università per la Musica e l’Arte Drammatica di Vienna e insegnante, fino al 2004, al prestigioso Max Reinhardt Seminar della capitale danubiana.

Alle 19.30 del 9 giugno 1973, il sipario del Burgtheater si alzò sulle massicce strutture lignee progettate da Pizzi: il boccascena di un teatro a scatola ottica, rotante, i cui movimenti determinavano le mutazioni spaziali (le quali, a loro volta, scandivano quelle situazionali); la riproduzione dell’architettura del teatro Olimpico di Vicenza e una cavea greca antica [Fig. 2].

2 | Bozzetto di Pier Luigi Pizzi per la scenografia di Die Bakchen. Per gentile concessione di Pier Luigi Pizzi.

“[…] Riesige Holzkonstruktionen, die sich drehen, sich rumpelnd, knarrend nach links, nach rechts, nach vorne, nach hinten verschieben” [“Enormi costruzioni di legno che girano, rimbombano e scricchiolano spostandosi a sinistra, a destra, in avanti e indietro, immerse in una luce dorata”] (Grimme 1973). Sull’instancabile palcoscenico girevole, Pizzi aveva costruito un altrettanto voluminoso e complicato marchingegno rinascimentale che, dotato qua e là di affascinanti puntelli, con freddo straniamento scricchiolava e gemeva in ogni giuntura; “so daß man zeitweise befürchtet”, scrisse Blaha sul “Kurier”, “dies romanisierte Theben werde nicht als Folge dionysischen Racheaktes, sondern durch die schwerfällige Masse auseinanderbrechen” [“tanto che a volte si teme che questa Tebe romanizzata si sfasci non in conseguenza di un atto vendicativo di Dionisio, ma a causa della pesantezza della massa] (Blaha 1973). Le scenografie, ricorda Ronconi:

Erano pensate come […] piani che giravano su sé stessi, grazie alle scene che scivolavano su ruote, e dove i sipari dai fili visibili, che si aprivano o si chiudevano, potevano mostrare o nascondere gli oggetti di teatro, spezzando e moltiplicando lo spazio. […] Poi […] si fondevano per lasciare il palcoscenico vuoto: un presente che evocava la morte (Ronconi 2019, 231).

A contrappuntare l’ambiente, i mobili: “vom Prunksessel bis zum kahlen Holzstuhl. Rituelle Gegenstände, und zwischendurch ein blecherner Mulleimer. Auch heutige Kleidung” [“dalla poltrona sontuosa a quella spoglia, di legno. Oggetti rituali e, in mezzo, una pattumiera di latta. Anche l’abito contemporaneo”] (Rismondo 1973): quello indossato da Bissmeier nel ruolo di Mann, che su quel palco vuoto, “presente che evoca la morte” (Ronconi 2019, 231), in jeans e maglietta racconta lo strazio di Penteo con aria “straniata”, come se pronunciasse parole a lui stesso incomprensibili.

È l’incarnazione della distanza incolmabile che ci separa, oggi, dai classici, ma insieme ne istituisce la permanenza: la storia è sempre pronta a ricominciare, in moto circolare e perpetuo, all’alzarsi del sipario. Gli applausi di cui è testimone la registrazione conservata presso la Österreichisches Mediathek di Vienna delle due ore e mezza di spettacolo (la prima di 90, la seconda di 60 minuti), dimostrano l’apprezzamento del pubblico nei confronti della regia ronconiana. A cui la critica, invece, rivolse appunti anche severi. Piero Rismondo parlò di “ein ostentatives Spiel mit Formen” [un ostentato gioco di forme], di un grande sforzo visivo e meccanico; freddo e manierato, per quanto condotto con estrema sapienza (Rismondo 1973). Così scrisse la “Neue Kronen Zeitung”:

Gülden das Licht, gigantisch die Bühnenmaschine, schwelgerisch die Verzückung, affektiert die Sprache, finsteres Sinnes des Treiben, markerschütternd der Wahn, hüllenlos die Brüste, von Schönheit triefend die Dekoration: so zeigt Ronconi Die Bakchen des Euripides (Sebestyén 1973).
[La luce dorata, la macchina scenica gigantesca, l’estasi voluttuosa, il linguaggio affettato, l’andazzo sinistro, la follia sanguinaria, i seni scoperti, la decorazione grondante di bellezza: così Ronconi presenta Le Baccanti di Euripide].

Qualcuno lamentò la dizione sofisticata degli interpreti, i quali – contrariamente, peraltro, alla situazione – furono obbligati a “ein lähmend langsames Sprechen” [“a parlare con una lentezza paralizzante”] (Grimme 1973), deprivando la recitazione della giusta intensità:

In den raffiniert wunderschönen Bühnenbildern und Kostümen von Pier Luigi Pizzi spielen sie ihre Rollen an sich tadellos, aber ganz unpersönlich (Sebestyén 1973).
[Fra le scene e nei costumi meravigliosamente raffinati di Pier Luigi Pizzi recitano i propri ruoli in maniera impeccabile, ma in modo del tutto impersonale].

Altri ritennero che lo sfoggio visivo avesse impedito la penetrazione profonda all’interno del testo euripideo, necessaria per coglierne l’essenza:

Bloß Rhytmik, Eurhythmie und überanstrengte Bühnenmachinerie verstellen den Gedanken. So rührt der Burgtheaterabend an der attischen Tragödie; durchdringt sie nicht. Bleibt ehrenwert, künstlich - und ermüdend an der schönen Oberfläche (Blaha 1973).
[La sola ritmica, l’euritmia e il sovraccarico del marchingegno scenico distorcono il pensiero. La serata del Burgtheater è basata sulla tragedia attica; non la penetra. Resta onorevole, artificiale e faticosa in bella superficie].

Riassuntivo della posizione complessiva della stampa, vale il giudizio di Rismondo su “Die Presse”: “Ronconi, der Italiener, versteht nicht Deutsch. Er versteht, was szeniche Gebärde ist. Sehr intellektuell, das Ganze. Sehr Spektakulär. Und hochgezüchtet. Interessant, ja, nicht für die Dauer” [“Ronconi, italiano, non capisce il tedesco. Capisce cos’è il ritmo. Capisce cos’è il gesto scenico. Il tutto è molto intellettuale. Molto spettacolare. E molto colto. Interessante, sì, ma non alla lunga”] (Rismondo 1973).

3 | Progetto di Luciano Damiani per l’impianto scenico di Die Vögel. Fonte: raccolta privata di Luciano Damiani. Si ringrazia Carla Ceravolo curatrice dell’Archivio Luciano Damiani, Teatro di Documenti – Roma.

Gli Uccelli

A un anno e mezzo da Le Baccanti, Ronconi torna a Vienna per portare sul palco del Burgtheater il maggiore commediografo dell’antichità: quell’Aristofane che ne Le Rane, per bocca di Dioniso, proclamò la superiorità di Eschilo rispetto a Euripide – reo di avere “estremizzato e articolato l’uso della visualità” (Belardinelli 2023, 7) – e che era allora al centro degli interessi del regista (il quale, detto per inciso, allestirà Le Rane per l’Istituto Nazionale del Dramma Antico a Siracusa nel maggio 2002, e al Piccolo di Milano nella stagione 2002-2003).

Il 19 aprile 1975, a due anni appena dall’allestimento di Dieter Dorn allo Schiller Theater di Berlino, che “in Form verpopter Prunkrevue” [“sotto forma di una rivista pomposa”] (Blaha 1975) aveva debuttato il 14 ottobre 1973 riscuotendo un successo straordinario (Greiner 2014, 707), Ronconi mette in scena Die Vögel (Gli Uccelli): l’opera che “gibt einem dem Menschen wohl eingeborenen Evasionsbedürfnis […] hinreißende Bild und Stimme” [“dà voce e immagine all’innato bisogno di evasione dell’essere umano”] (Greiner 2014, 699); la prima (insieme a Lisistrata e Donne all’assemblea) delle tre commedie cosiddette dell’utopia, che solo quattro mesi più tardi, il 25 agosto 1975, il regista allestirà con la Cooperativa Tuscolano a Venezia per la Biennale Teatro, negli ex cantieri della Giudecca: uno spettacolo immenso, realizzato con “un aeroplano, 4 automobili e una limousine, un camion, 25 lettini d’ospedale che si muovevano su rotelle semoventi e 50 attori”, che Gianfranco Capitta considera un vero e proprio capolavoro, con cui attraverso Aristofane e il teatro Ronconi cercò “la via della politica e della democrazia” (Capitta 2021).

Aristofane e Die Vögel erano un autore e un testo cari alla cultura germanofona dal tempo dello Sturm und Drang. E fu forse questa la causa della freddezza con cui, vedremo, verrà accolta la regia ronconiana. I preromantici tedeschi non poterono restare insensibili ai temi e ai caratteri precipui della commedia, sintetizzati efficacemente da Greiner: il bisogno di evasione, l’anelito alla libertà, la dissoluzione dionisiaca dei confini, che consente il piacere di liberare gli oppressi; la “Umkehrung der Verhältnisse von Verfolger und Verfolgten, ebenso von Herrschen und Beherrschten” [“il rovesciamento dei rapporti tra persecutore e perseguitati, così come tra governanti e governati”] (Greiner 2014, 706).

Nella commedia, i due vecchi ateniesi Pisetero ed Evelpide, stanchi della corruzione che governa in città, scappano in cerca di un luogo lontano dalla civiltà. Dopo l’incontro con il re Tereo, trasformato in upupa, decidono tutti insieme di fondare una comunità di uccelli, collocata tra cielo e terra. Nasce, così, Nubicuculia. Gli dèi vorrebbero governarla, molti umani vorrebbero diventarne cittadini, ma tutti vengono respinti da Pisetero. Alla fine, un accordo con gli dèi, sancito da una grande festa, farà sì che Nubicuculia sia sempre protetta dall’alto, mentre – in cambio – proteggerà il culto delle divinità (Belardinelli 2023, 267-268).

4 | Disegno dei costumi per il popolo degli uccelli di Luciano Damiani. Fonte: raccolta privata di Luciano Damiani. Si ringrazia Carla Ceravolo curatrice dell’Archivio Luciano Damiani, Teatro di Documenti – Roma.

5 | Foto di scena di Die Vögel, Burgtheater 1975. Fonte: Theatermuseum Wien - Photosammlung © KHM-Museumsverband, Theatermuseum, FS_PSE122931. 

6 | Disegno dei costumi per i personaggi di Die Vögel di Luciano Damiani. A sinistra: Iride che scende dall’ascensore. Fonte: raccolta privata di Luciano Damiani. Si ringrazia Carla Ceravolo curatrice dell’Archivio Luciano Damiani, Teatro di Documenti – Roma.

7 | Foto di scena di Die Vögel, Burgtheater 1975. Fonte: Theatermuseum Wien – Photosammlung © KHM-Museumsverband, Theatermuseum, FS_PSE122918. 

8 | Foto di scena di Die Vögel, Burgtheater 1975. Fonte: Theatermuseum Wien – Photosammlung © KHM-Museumsverband, Theatermuseum, FS_PSE122921. 

Già nel 1780, Goethe realizzò un adattamento della commedia per una compagnia di Corte amatoriale e quasi quindici anni dopo Friedrich Schlegel celebrava Aristofane come il modello perfetto, ideale, di composizione ‘comica’ drammatica (Schlegel [1794] 1979, 19-33). Da allora in avanti, osserva Greiner, innumerevoli furono le traduzioni e i tentativi di adattamento di Die Vögel. Fino al Novecento, in cui videro la luce (fra le altre) due versioni che è doveroso quantomeno menzionare. La prima è l’opera satirica Wolkenkukucksheim del viennese Karl Kraus (1874-1936), il quale nell’ottobre 1923 (dunque un anno dopo aver steso la seconda versione de Gli ultimi giorni dell’umanità, che Ronconi allestirà la prima volta al Lingotto di Torino il 29 novembre 1990) la pubblicò sulla sua celebre “Die Fackel” (La Fiaccola). Mai rappresentata, ma letta dall’autore stesso ad alta voce – la prima volta nel Mittlerer Konzerthaussaal di Vienna, l’11 novembre 1923; l’ultima il 27 novembre 1929 a Berlino[14] -, muovendo dal testo di Aristofane la satira fa dei due emigranti null’altro che dei reazionari, i quali tingono di ‘nero’ il mondo degli uccelli, rendendolo degno solo di perire il più rapidamente possibile (Greiner 2014, 715-720 e 726); finché, finalmente, non intervengono gli dèi.

Superata la prima metà del secolo comparve poi la traduzione di Wolfgang Schadewaldt, il quale ancora prima che alle Baccanti euripidee aveva dunque lavorato – fra il 1969 e il 1970 – a questa commedia aristofanesca, adattandola per una messinscena del Deutsches Theater di Göttingen, firmata dal direttore stesso del teatro: il regista Günther Fleckenstein (1924-2020). Al suo pubblico, egli presentò Die Vögel insieme ad altre sei commedie di Aristofane, tutte parti di un intero ciclo dedicato ai drammi antichi (Schadewaldt 1970).

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, quando Ronconi si accinse ad allestire l’opera a Vienna, la traduzione in uso al Burgtheater non era di Schadewaldt, ma quella firmata a ridosso dei moti rivoluzionari tedeschi del 1848 dallo scrittore, giornalista e politico Ludwig Seeger (1810-1864): uno dei membri più importanti e rispettati, a quel tempo, di svariate organizzazioni patriottiche. Fu la sua versione della commedia (Seeger 1846) a costituire la base della regia ronconiana, che la seguì piuttosto fedelmente.

Diversamente che per Le Baccanti, in occasione de Gli Uccelli – come testimonia il programma di sala (Programmheft 1975) – il regista italiano non mise nero su bianco la propria, personale concezione della commedia; che egli, sappiamo, considerava “non come un contrasto tra due mondi – quello degli uomini e quello degli dèi, come un sopra e un sotto – ma come una chimera, come l’impossibilità di due amici di tentare un’evasione ridicola” (Ronconi 2019, 234).

Era questa l’idea registica, realizzata visivamente dal grande scenografo e costumista Luciano Damiani (1923-2007; lo stesso di Utopia): l’artista che Vienna conosceva bene come collaboratore storico di Strehler – per il quale aveva già realizzato le scene di Vita di Galileo di Bertolt Brecht (1963) e Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov (1974) – e che dodici anni prima aveva corteggiato invano perché succedesse a Caspar Nehar (1897-1963) come direttore del corso di scenografia dell’Accademia di Belle Arti[15]. Ricordato dal collega tedesco Karl-Hernst Herrmann (1936-2018; collaboratore di registi del calibro di Peter Stein e Peter Zadek) il suo maggior modello, Damiani trasformerà l’incontro con Ronconi in una solida, reale collaborazione. Come Pizzi prima di lui ne Le Baccanti, si fece pienamente co-autore di Die Vögel, contribuendo a far sì che la messinscena risultasse “ins kleinste Detail und durchaus phantasievoll durchziseliert” (“cesellata fin nel più piccolo dettaglio e assolutamente fantasiosa”: Rismondo 1975). Lo stesso farà l’anno dopo, sempre a Vienna (dove tornerà nel 1988 come scenografo del Guglielmo Tell di Claus Peymann, che era allora anche il direttore del Burgtheater), per l’Orestea. Così come nelle grandi regie operistiche degli anni seguenti, in Italia e nelle principali città d’Europa.

D’altronde, osserva Capitta, negli spettacoli di Ronconi – di cui lo spazio, con il testo e gli attori, è una direttrice costitutiva fondamentale – lo scenografo è sempre un co-autore, “dovendo comprendere e narrare con lui i suoi racconti teatrali”. E la scenografia non è un’arte immobile, ma “un tessuto vivente, che si muove in orizzontale e verticale, che sprofonda sotto passando attraverso botole, si innalza con ascensori e sfonda verso il cielo” (Capitta 2021). Tanto più, questo vale per spettacoli come Die Bakchen e Die Vögel, in cui – per ovvie ragioni, dettate dall’utilizzo di un idioma straniero – il lavoro di Ronconi sul testo e la parola ha una valenza diversa rispetto al consueto. In questi casi egli trova traduzioni e adattamenti già pronti, a cui praticamente non mette mano e di conseguenza, oltre che attraverso la recitazione degli attori, la sua regia parla soprattutto per immagini.

Come impianto generale per quella “rhythmisch, gestisch, rhetorisch dichte […] Darstellung” [“rappresentazione ritmicamente, gestualmente e retoricamente densa”] (Rismondo, 21 aprile 1975) di Die Vögel pensata da Ronconi, Damiani progettò un’architettura utopica: un grande cubo [Fig. 3], in cui la pièce veniva agita “in einer riesigen offenen Kiste […], die in einer noch größeren Kiste […] steht” [“in un’enorme scatola aperta, inserita in una ancora più grande”] (Grimme 1975), con le pareti lisce e lucide intervallate da centinaia di aperture rettangolari, nicchie e finestre cieche: la “scatola-stanza di Evelpide e Pisetero con una finestra, che […] si apriva su un muro altissimo tutto loculi”, ricorda Ronconi (Ronconi 2019, 234). Una sorta, secondo alcuni, di “Innere eines futuristischen Theaters […] als Bühne auf der Bühne” [“di interno di un teatro futuristico. […] Come un palcoscenico sul palcoscenico”] (Blaha 1975), che faceva pensare a una gabbia per uccelli.

Damiani, scrisse Gunther Martin (l’unico a bocciare senz’appello il lavoro dello scenografo) aveva imprigionato il sogno di Nubicuculia in “eine Art Columbarium […], nichts als Wände und Nischen wie aus abgeschundenem Metall minderer alter Teekannen. Eine blecherne Großfieldsiedelung” [“una sorta di colombaia solo pareti e nicchie, come fatte del metallo scheggiato di vecchie teiere. Un grande insediamento in un fazzoletto”] (Martin 1975), che poteva anche apparire un manicomio, dove all’inizio i due ateniesi erano rinchiusi “vom Wahn besessen, daß ihre Mitbürger Vögel seien, für die sie das Vogelreich der Freiheit suchen müssen” [“posseduti dall’illusione che i loro concittadini siano volatili, per i quali cercare il regno della libertà”] (Reimann 1975). Un Genieblitz, un lampo di genio, che rese l’inizio “das einfallsreichste in der Inszenierung” [“la parte più fantasiosa dello spettacolo”] (Reimann 1975).

L’apertura del sipario svelava lo spazio, che grazie ai mille espedienti tecnici progettati da Damiani verrà interamente agito dalle gag degli oltre cinquanta interpreti che formavano il corteo carnevalesco, da cui emergeva “das bizarre Vogelsvolk” [“il bizzarro stormo di uccelli”] (Blaha 1975) [Fig. 4].

Fin da subito, il canto delicatamente nostalgico dispiegato sulle note di Giancarlo Chiaramello[16] evocava l’atmosfera in cui Ronconi aveva precipitato la commedia greca: quella decadente della finis Austriae, che nel crollo progressivo di ogni supposta certezza continuava a coltivare sogni d’arte e vivere a tempo di valzer, al riparo della Chiesa e all’ombra della Corte di Francesco Giuseppe. Una scelta ritenuta assurda dal critico Karl Maria Grimme, il quale si premurò anche di elencare le contraddizioni della regia ronconiana con il testo antico:

Gar wenn Poseidon in Admiralsuniform, Herakles mit Pickelhaube auftritt […] Wiedehopf kommt in Frack und Zylinder, die viele anderen Vögel tragen fast dauernd die Kleider oder lediglich die Unterwäsche jener noch keine hundert Jahre zurückliegenden Zeit, vollig unbegründer verhüllen sie sich nur vorübergehend in Umhänge mit Vögelköpfen, lüften sie mitunter ohne Anlaß (Grimme 1975).
[Come quando Poseidone appare in uniforme da ammiraglio ed Eracle con un elmo chiodato […]. L’upupa si presenta in frac e cilindro, molti altri uccelli indossano gli abiti o semplicemente la biancheria intima di allora, meno di cento anni fa; ogni tanto, del tutto immotivatamente, si avvolgono in mantelli sormontati da teste di uccello].

Ronconi, scrisse più benevolo Paula Blaha,

Schildert grundsätzlich nahendes Gesellschaftsende. Versetzt den […] Vogelkrieg ins 19. Jahrhundert, führt ihn in dekadenter, melancholisch wunderschön angefaulter Bürgeratmosphäre als aparten Mummenschanz, als eleganten, anzünglichen Fastnachtsspuck (Blaha 1975).
[Descrive l’approssimarsi della fine della società. Traspone la […] guerra degli uccelli nel XIX secolo, presentandola in un’atmosfera decadente, malinconicamente bella e putridamente borghese, come una danza mummificata; un’elegante e ruffiana infestazione carnevalesca].

Ronconi ricorda: “Gli dèi non si vedevano ma comparivano alla fine come personaggi di una città (il sindaco eccetera). Il mondo in una stanza che si trasformava, di volta in volta, in una rappresentazione di luoghi proibiti: una fumeria d’oppio, un teatro, un bordello, un ristorante. Qualcosa di molto simile alla Cagnotte di [Eugène] Labiche[17] dove i borghesucci sognano un viaggio che non possono fare” (Ronconi 2019, 234).

Tutto era accompagnato e contrappuntato dalla musica – al cui uso nel teatro di prosa, peraltro, Ronconi era ancora, in questa fase, sempre restio (Ronconi 2019, 178 n. 4) – che qui, più che nelle Baccanti, giocò un ruolo essenziale. Lo spettacolo si apre e si chiude sulle note, cantate, di quello che sembra una sorta di valzer, o una musica da operetta, e tutti i momenti salienti della rappresentazione (come l’arrivo di Iride, nella seconda parte) sono sottolineati dalla partitura di Chiaramello; il quale, nel corso di un colloquio telefonico nei mesi scorsi, ha purtroppo dichiarato di non essere più in possesso della partitura elaborata per Die Vögel. E di non ricordare neanche gli spunti da cui a suo tempo partì per scrivere la musica.

Fortunatamente però, come per le Baccanti, presso la Österreichisches Mediathek di Vienna è conservata la registrazione audio dello spettacolo. Anch’esso, come l’altro, diviso in due parti di circa un’ora e dieci ciascuna (dunque leggermente più breve). L’ascolto rivela, come sempre, “der zart nostalgische Gesang, der verwehte Arienklang, der sich in Chörale mischte” [“il canto teneramente nostalgico, il suono soffuso delle arie, che si mescola ai cori”] (Blaha 1975) accompagnasse il chiacchiericcio, il sussurro, il cinguettio, il salto e la lallazione degli attori, vestiti da Damiani – disse qualcuno – “in betonte Muffigkeit ausstrahlenden Fin de siècle-Kostümen, samt grotesken Gaties” [“in costumi fin de siècle ostentatamente ammuffuti, con tanto di grotteschi Gaties”] (Martin 1975). Il tutto all’interno di uno spazio in cui, agli occhi del critico Gunther Martin – al quale lo spettacolo proprio non piacque – parve regnare l’improvvisazione artificiosa:

Stühle werden hurtig herumgeschoben, da kurbelt einer was herauf oder herunter, dort steigt einer durch den Einschlupf, andere wieder stelzen über Balken oder versuchen sich auf Kippbrettern. Es geht zu wie am Rande eines Jahrmarktes, ehe die Artisten ihre Vortellung geben (Martin 1975) [Fig. 5].
[Sedie vengono sospinte in fretta e furia, qualcuno alza o abbassa una manovella, qualcuno sale dalla botola, altri si arrampicano sulle travi o si cimentano su tavole basculanti. È come ai margini di una fiera, dove una volta gli artisti davano la loro rappresentazione].

Era tutta un’esplosione di cilindri e pleureses, boa piumati e frac, di ventagli di piume di struzzo, come quello con cui giocava Iride (Hilke Ruthner), “à la Revue-Diva” [diva della rivista], coprendosi o enfatizzando il seno, mentre usciva da un’ascensore in stile belle époque, volata giù “aus dem Olymp” [dall’Olimpo] [Fig. 6].

Scelte assurde per qualcuno; per altri, segno di una regia ipertrofica, in cui “das Aufgebot an Stilisierung Arrangements, Divertissements” [la gamma di stili, arrangiamenti, divertissement] – così come le scene superbe di Damiani – finivano per apparire, dopo lo stupore iniziale, solo uno spreco di idee e materiali. Ronconi, in buona sostanza, si era allontanato troppo dall’opera di Aristofane, “ein kleines, ein sprödes, ein zerbrechlisches Stück” (Blaha 1975): una pièce piccola, fragile e friabile, che non tollera troppe piume estranee. “Es lebe die Regie, Tod den Autoren!” [Lunga vita alla regia, morte agli autori!] scrisse ironicamente Reimann nella sua recensione, affermando che a causa di tutti gli espedienti tecnici e le gag di messa in scena lo spettacolo aveva perso il suo ‘spirito’ (Reimann 1975) [Fig. 7].

Il clou, poi, fu l’inversione del tutto ‘modaiola’ del finale, da positivo a negativo (Grimme 1975): durante il banchetto per celebrare il matrimonio fra gli abitanti di Nubicuculia e gli dèi [Fig. 8], “Pisetero si mangiava una schiodata di uccelli, fra i quali il povero Evelpide” (Ronconi 2019, 235). Nello spettacolo di Ronconi, scrisse un recensore, “die unbotmäßigen Vögel werden am Spieß geröstet und verzehrt – von den Vögeln und den in Vögel verwandelten Menschen” [“gli uccelli indisciplinati vengono arrostiti e mangiati allo spiedo. Dagli uccelli e dai cittadini trasformati in uccelli”], che sono e restano intrappolati. Sognano, addormentati nei loro letti. Vorrebbero fuggire in un utopico regno della libertà, ma non sanno uscire da sé stessi, “aus ihrem Macht und Profitstreben, ihrem grausamen, das geradezu zum Kannibalismus führte” [“dalla propria tensione verso il potere e il profitto, dalla loro crudeltà, che conduceva quasi al cannibalismo”] (Rismondo 1975).

Perché quello che attraverso la commedia antica di Aristofane lo spettacolo vuole raccontare, è la tragedia eterna dell’illusione delle utopie, che il regista avrebbe ribadito nell’allestimento degli Uccelli commissionatogli dalla Comédie-Française nel 2008-2009. Ne resta traccia nell’archivio di proprietà di Roberta Carlotto[18] e in quello privato dello scenografo Tiziano Santi, che ringrazio per il prezioso colloquio telefonico che mi ha concesso nell’aprile 2024. Collaboratore di Ronconi dal 2006 (per le Olimpiadi della Cultura di Torino) e fino alla scomparsa del regista nel 2015, Santi progettò tutte le scenografie dello spettacolo (mentre la realizzazione dei costumi sarebbe stata affidata a Meyer di G.P. 11), che però, a causa delle condizioni di salute del regista, non andò mai in scena.

9 | Bozzetto di Tiziano Santi per Les Oiseaux di Luca Ronconi, spettacolo commissionato dalla Comédie-Française per la stagione 2008-2009 e mai realizzato. Fonte: raccolta privata di Tiziano Santi, che si ringrazia per la gentile concessione.

Proseguendo lo sfondamento del palco che era iniziato con Damiani, Ronconi aveva chiesto a Santi uno spazio che non avesse frontiere. Un mondo aereo, senza limiti, nel ‘dominio delle luci’ di sapore surrealista; in cui le radici degli alberi sono nel cielo e le loro cime precipitano dal soffitto aperto in un luogo-non luogo, animato qui e là dagli oggetti di scena: un pianoforte, sedie e poltrone, un lettino che dal pavimento s’innalza verso il cielo. Un vuoto entro cui costruire l’ipotesi di qualcosa che, alla fine, verrà distrutta [Fig. 9].

Nel 1975, sul palco del Burgtheater, gli uccelli di Ronconi finivano arrostiti. Il pubblico della Comédie Française, oltre trent’anni dopo, li avrebbe visti sfilare davanti ai propri occhi, su un nastro trasportatore. Morti [Fig. 10].

10 | Bozzetto di Tiziano Santi per Les Oiseaux di Luca Ronconi, spettacolo commissionato dalla Comédie-Française per la stagione 2008-2009 e mai realizzato. Fonte: raccolta privata di Tiziano Santi, che si ringrazia per la gentile concessione.

Note

[1] L’intervista alla ÖRF è conservata presso la Österreichische Mediathek di Vienna, udibile previa richiesta del link.

[2] Debutto: 15.11.1994. Era stato Giorgio Strehler, peraltro, a portare per primo il testo pirandelliano su un palcoscenico di lingua tedesca: il 1° ottobre 1949, allo Schauspielhaus di Zurigo. Al Burgtheater, lo portò la prima volta nel 1967 e lì lo avrebbe riproposto sotto la direzione di Klaus Peymann, nella stagione 1977/1978.

[3] Protagonisti erano gli attori della Burg: Joachim Bissmeier e Sonja Sutter. Contestualmente all’inizio delle prove, nel mese di aprile, il regista rilasciò un’intervista alla ORF.

[4] C’è in effetti una discrasia nelle fonti, circa la data del debutto: il programma di sala del Burgtheater riporta, come data della prima de Le Baccanti ronconiane, il 9 giugno; il programma delle Wiener Festwochen, invece, riporta il 2 giugno. Considerato che tutte le recensioni più autorevoli sono datate 12 e 13 giugno, è verosimile che la data effettiva sia stata quella riportata nel programma di sala del teatro (Programmheft 1973).

[5] Si ricorda che durante il Festival il prezzo di un biglietto per il Burgtheater andava dai 6 ai 300 scellini austriaci, corrispondenti – rispettivamente – agli odierni 1,50 e 75 euro.

[6] Jean-Louis Barrault (1910-1994), attore, regista e mimo francese (dopo l’incontro con Étienne Decroux) fu nei primi anni Trenta allievo di Charles Dullin (membro del Cartel des Quatres fondato nel 1927 con Jouvet, Baty e Pitoëff,) e dal 1940 collaboratore della Comédie Française. Dal 1959 al 1968 diresse l’Odéon di Parigi. Intensa anche l’attività cinematografica, che Barrault abbandonò però nel secondo dopoguerra, per dedicarsi pressoché esclusivamente al teatro. Si ricorda che in collaborazione con Barrault (e avvalendosi della partecipazione del Teatro di Belgrado – Atelier 212), nel 1973 Ronconi metterà in scena l’Orestea di Eschilo (Gran Premio Bitef).

[7] Dopo Carmen, il regista chiese allo scenografo di impegnarsi come art director per la versione televisiva di Orlando furioso e poi lo volle con sé al Burgtheater. L’ultimo progetto che li vede assieme risale al 1981, dopodiché Pizzi decide di dedicarsi anch’egli alla regia e dunque di produrre scene e costumi unicamente per i suoi allestimenti. Ringrazio Pier Luigi Pizzi per il colloquio privato che mi ha concesso il 5 aprile 2024 e da cui ho ricavato questa e altre preziose informazioni, riportate qui all’interno dell’articolo.

[8] Da un colloquio privato con Pizzi, 5 aprile 2024.

[9] Da un colloquio privato con Pizzi, 5 aprile 2024.

[10] L’adattamento di Schadewaldt non è pubblicato, ma messo a disposizione – dietro richiesta – dalla casa editrice Suhrkamp. Ho avuto modo di confrontarlo con la registrazione audio dello spettacolo e appurare che è stato messo in scena, nello spettacolo ronconiano, pressoché pedissequamente.

[11] Presso la Österreichisches Mediathek di Vienna è conservata una breve intervista rilasciata da Bissmeier e dalla sua collega Sonja Sutter (anche lei fra gli interpreti di Candide diretto da Guicciardini) il 29 settembre 1972, in cui i due attori esternano le loro impressioni circa l’impegno con il regista italiano.

[12] Al Burgtheater la trilogia di Eschilo allestita da Ronconi andò in scena in anteprima così suddivisa: Agamennone, la prima parte, veniva rappresentata nel pomeriggio, seguita la sera da Coefore e Eumenidi, assemblate. Queste due parti dellOrestea venivano anche rappresentate singolarmente, in serate diverse. Sembra che la produzione abbia incontrato scarso favore, quantomeno presso la critica (Pluhar 2017, 211).

[13] La citazione è di Pier Luigi Pizzi, rilasciata nel colloquio privato del 5 aprile 2024, già citato. Pizzi ammette che alcune delle attrici indossavano costumi piuttosto discinti e che dopo un imbarazzo iniziale hanno accettato la scelta di buon grado, comprendendone l’utilità per la resa del clima ‘orgiastico’ delle Baccanti, sottolineato anche dagli interventi musicali, dal sapore ‘liturgico’, di Giancarlo Chiaramello.

[14] Il titolo per esteso dell’adattamento de Gli Uccelli firmato da Karl Kraus è: Wolkenkukucksheim: Phantastisches Versspiel in drei Akten auf der Grundlage der ‚Vögel‘ von Aristophanes mit Beibehaltung einiger Stellen der Chöre in der Schinck’schen Übersetzung (Greiner 2014, 715 ss.).

[15] Ricordiamo che assieme a Ronconi e al maestro Giuseppe Sinopoli, Damiani fonderà nel 1982 il ‘suo’ Teatro di Documenti, nella zona delle grotte seicentesche di Monte Testaccio a Roma. Il Teatro di Documenti è oggi sotto la direzione artistica della scenografa e costumista Carla Ceravolo, per oltre vent’anni collaboratrice di Damiani, alla quale va il mio più sentito ringraziamento per avere messo a disposizione i disegni dello scenografo per Die Vögel.

[16] Classe 1939, Chiaramello ha partecipato a svariati festival di musica contemporanea, vincendo numerosi premi. Nel 1961 divenne musicista e arrangiatore per la Fonit Cetra e negli anni seguenti compose musiche per film (si ricordano quelle di Un borghese piccolo piccolo, nel 1977) e sceneggiati televisivi. La collaborazione con Ronconi lo portò a prestare la propria opera per la versione televisiva dell’Orlando furioso, con cui vinse nel 1975 il nastro d’argento per la migliore colonna sonora. In seguito, si è dedicato prevalentemente alla musica leggera. Oggi vive in Provenza.

[17] La Cagnotte (il gruzzolo) è uno dei vaudeville più celebri dell’autore francese, datato 1864. Protagonista è una combriccola di borghesi che si annoiano a morte e decidono di partire per Parigi, la capitale, con una cassa piena zeppa di sogni. Ciò che conta è “divertirsi, litigare per divertirsi, viaggiare per divertirsi, divertirsi per non morire”. Da qui, Labiche mette in moto “un labirinto di eventi, scoppi, musiche […]. La Cagnotte è un capitombolo continuo, un esercizio per funamboli senza filo. E il pubblico assiste alla crudele commedia della vita, vede restituita sulla scena la clowneria stanca e rituale delle chiacchiere, delle risate, degli stratagemmi e delle trappole che, come poveri uomini, ordiamo alle spalle dei nostri simili, alle spalle di noi stessi”.

[18] Nell’archivio, dislocato a Venezia, sono conservate le fotocopie rilegate de Les Oiseaux (compreso nel tomo 2 del teatro completo di Aristofane a cura di Victor-Henry Debidour per Gallimard, 1987) e un copione dattiloscritto della commedia dello studioso e traduttore Pascal Thiercy (66 pp.), fondatore e direttore della compagnia del teatro antico del centro drammatico di Brest. Accanto, sette fotografie che riproducono i bozzetti di scena pensati da Tiziano Santi (coll.: 2.1 Teatro [1966-2015], b 8).

Bibliografia
Fonti documentarie e archivistiche
  • Die Vögel, 1975
    Die Vögel, Burghtheater (28 novembre 1975), locandina Wiener Stadt-und Landesbibliothek, Vienna, Plakate Depot Simmering P-202485; PS-A1-0888.
  • Programmheft 1973
    Euripides. Die Bakchen [Programmheft], Burgtheater 1973, s.p., Theatergrafik, Plakate und Programme Theatermuseum im Palais Lobkowitz. Coll. TM_PA_BU_1973_Bakchen_Programmheft, Museo Teatrale di Vienna.
  • Programmheft 1975
    Aristophanes. Die Vögel [Programmheft], Burgtheater 1975, s.p., Theatergrafik, Plakate und Programme Theatermuseum im Palais Lobkowitz. Coll. TM_PA_BU_1975_Vögel_Programmheft, Museo Teatrale di Vienna.
  • Ronconi 1973
    L. Ronconi, Notizen zur Inszenierung, in Euripides. Die Bakchen [Programmheft], Burgtheater 1973, s.p., Theatergrafik, Plakate und Programme Theatermuseum im Palais Lobkowitz. Coll. TM_PA_BU_1973_Bakchen_Programmheft, Museo Teatrale di Vienna.
Riferimenti bibliografici
  • APA 2014
    APA, Ex-Burgtheater-Direktor Klingenberg ist “sehr wütend über das, was passiert ist”, “Vienna.AT” (8 maggio 2014), 11:37.
  • Belardinelli 2023
    A.M. Belardinelli, Lo spettacolo teatrale dei greci. Tecniche drammatiche e messa in scena, Milano 2023.
  • Blaha 1973
    P. Blaha, “Die Bakchen”. Premiere am Burgtheater. Oberfläche statt Aufruhr, “Kurier” (12 giugno 1973).
  • Blaha 1975
    P. Blaha, Zum Geier mit den “Vögeln”, “Kurier” (21 aprile 1975).
  • Bizzarri 2015-2016
    G. Bizzarri, Laboratorio Baccanti. Tre regie euripidee di Luca Ronconi, tesi di laurea in Scienze dell’Antichità, Università degli Studi di Milano, 2015-2016. 
  • Greiner 2014
    B. Greiner, Polos und Polis: Aristophane’s Vögel und deren Bearbeitung durch Goethe, Karl Kraus und Peter Hacks, in S. Douglas Olson (ed.), Ancient Comedy and Reception. Essays in Honor of Jeffrey Henderson, Berlin-Boston 2014.
  • Grimme 1973
    K.M. Grimme, Fragwürdige Regie, “Die Furche” (21 giugno 1973).
  • Grimme 1975
    K.M. Grimme, Aristophanes im Burgtheater. Kaputt gemacht, “Die Furche” (26 aprile 1975). 
  • Koselka 1973
    F. Koselka, Vom schrecklichen Dyonisos. „Die Bakchen“ von Euripides in aparter Inszenierung am Burgtheater,“Wiener Zeitung” (13 giugno 1973), 4.
  • Martin 1973
    G. Martin, Müssen Traumreiche so häßlich sein?, “Wiener Zeitung” (22 aprile 1975).
  • Martin 1975
    G. Martin, Müssen Traumreiche so häßlich sein? Luca Ronconis Burgtheater-Inszenierung der “Vögel” von Aristophanes hatte Premiere, “Wiener Zeitung” (22 aprile 1975).
  • Pluhar 2017
    B. Pluhar, Burgtheaterkarrieren – Ernst Anders und Joaquim Bissmeier, tesi di dottorato, Universität Wien 2017. 
  • Reimann 1975
    V. Reimann, Burg: Aristophanes’ “Vögel” in Ronconi-Regie. Genieblitz ohne Zündkraft, “Neue Kronen Zeitung” (21 aprile 1975).
  • Rismondo 1973
    P. Rismondo, Ein intellektuelles Spektakel. Ronconis manieristische Insezenierung der “Bakchen” des Euripides an der Burg, “Die Presse” (12 giugno 1973).
  • Rismondo 1975
    P. Rismondo, Die Illusione einer Utopie. Luca Ronconis manieristische Inszenierung der “Vögel” des Aristophanes an der Burg, “Die Presse” (21 aprile 1975).
  • Ronconi 2019
    L. Ronconi. Prove di autobiografia, a cura di G. Agosti, Roma 2019.
  • Schadewaldt 1970
    W. Schadewaldt, [Hrsg.], Aristophanes, “Die Vögel”. Bühnenfassung. Übersetzung und Bearbeitung von Wolfgang Schadewaldt, Frankfurt am Main 1970.
  • Schlegel [1794] 1979
    F. Schlegel, Vom ästhetischen Werte der griechischen Komödie, 1794 in Kritische Friedrich Schlegel Ausgabe, Bd. I [E. Behlerr Hrsg, 1958], F. Schöningh (Hrsg), München 1979.
  • Seeger 1846
    L. Seeger, Aristophanes, Bd. II (Die Wespen; Der Frieden; Die Vögel), Literarische Anstalt, Frankfurt a.M. 1846.
  • Sebestyén 1973
    G. Sebestyén, Burgtheater: “Bakchen” in Ronconi-Regie. Der Gott im Boudoir, “Neue Kronen Zeitung” (12 giugno 1973).
Materiale audiovisivo
  • G. Capitta, In viaggio con Luca, RAI 2021, RaiPlay.
  • L. Ronconi, Die Bakchen, 1973, I. und II. Teil, Österreichische Mediathek. Audiovisuelles Archiv – Technisches Museum Wien.
  • L. Ronconi, Die Vögel, 1976, I. und II. Teil, Österreichische Mediathek. Audiovisuelles Archiv – Technisches Museum Wien.
  • Interview mit dem italienischen Starregisseur Luca Ronconi, ORF [Österreichischer Rundfunk], Mittagsjournal 1995.11.17, 47’12”-51’30” Österreichische Mediathek. Audiovisuelles Archiv – Technisches Museum Wien. 
Nota sulle immagini

Presso la Fotosammlung dell’Österreichisches Theatermuseums Wien sono conservate circa 40 fotografie di scena di entrambe le regie, della fotografa, Elisabeth Hausmann. Il materiale non è catalogato. Collocazione delle foto considerate all’interno del saggio:
Die Bakchen: FS_PSE120712; FS_PSE120715; FS_PSE120716; FS_PSE120718; FS_PSE120722; FS_PSE120726; FS_PSE120728.
Die Vögel: FS_PSE122913; FS_PSE122918; FS_PSE122919; FS_PSE122921; FS_PSE122924; FS_PSE122931.

Altri archivi consultati.
Raccolta privata di Pier Luigi Pizzi, proprietà dello stesso. La raccolta conserva i disegni per le scene e i costumi realizzati per Die Bakchen da Pizzi.

Raccolta privata di Luciano Damiani, proprietà di Carla Ceravolo. Nella raccolta sono conservati la locandina del debutto di Die Vögel al Burgtheater (19 aprile 1975) e i disegni di scene e i costumi realizzati per lo spettacolo da Damiani.

Raccolta privata di Tiziano Santi, proprietà dello stesso. Nella raccolta sono conservati i sette bozzetti realizzati per la messinscena parigina de Gli Uccelli, commissionata a Ronconi dalla Comédie-Française nel 2008-2009 e mai realizzata.

English abstract

In the spring of 1973, after signing a contract with the management of the Burgtheater, Luca Ronconi curated the direction of Euripides’ tragedy Die Bakchen (The Bacchae) for the first stage in Vienna; assisted in the production of sets and costumes by Pier Luigi Pizzi. Two years later, again with the Burg company, the director staged Aristophanes’ comedy Die Vögel (The Birds) - joined, this time, by set designer Luciano Damiani - and in 1976 Aeschylus’ trilogy Die Oriestie, presented four years earlier at the Belgrade Festival. Of the above three performances, the result of Ronconi’s reflection on ancient dramaturgy, only the first two were thus conceived expressly for Vienna. This is the reason for making them the focus of this contribution, where they are also considered the junction of the Italian director’s special relationship with Austrian theater and culture. Making use of archival material (primarily that preserved in Vienna, at the Österreichische Nationalbibliothek, the Wiener Theatermuseum and the Österreichische Mediathek - Archiv für Ton-und Videoaufnahmen aus Kultur- und Zeitgeschichte), documentation belonging to private collections and direct testimonies, the article reconstructs not only the elaboration and staging of the two plays, but also their reception by the Viennese public and - above all - by the Viennese critics.

keywords | Ronconi; Theater; Italy-Austria; Directing; Twentieth Century.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Sonia Bellavia, Die Bakchen (Le Baccanti, 1973) e Die Vögel (Gli Uccelli, 1975) al Burgtheater, “La Rivista di Engramma” n. 224, maggio 2025.