"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

224 | maggio 2025

97888948401

Fahrenheit 451. Mettere in scena il futuro

Francesca Rigato

English abstract
Premessa

Gli anni Duemila rappresentano per Luca Ronconi un periodo particolarmente denso di debutti e iniziative, confermando ancora una volta la sua inesauribile attività di ricerca e sperimentazione teatrale. Tuttavia, risulta difficile individuare nella sua carriera un momento che non sia caratterizzato da un fitto intreccio di collaborazioni, impegni teatrali e studi su più ambiti. Sebbene l’inizio del nuovo secolo sia considerato come un’epoca di crisi per il ruolo della regia, il 2007 si distingue come un anno particolarmente significativo per Ronconi, che, infatti, approfondisce ulteriormente la sua ricerca sui linguaggi teatrali e sulla complessità testuale, sia a livello tematico sia sul piano dell’interpretazione dell’opera, basandosi sul presupposto che ogni testo può essere messo in scena.

Reduce da un 2006 ricco di produzioni, tra cui il progetto Domani, un ciclo di cinque spettacoli su temi di attualità in occasione delle Olimpiadi invernali, il regista inaugura la stagione 2006-2007 con Turandot, la celebre opera di Puccini, al Teatro Regio di Torino. La prosa viene ripresa nel gennaio 2007 con il debutto al Teatro Strehler de Il Ventaglio, allestito in occasione del tricentenario goldoniano. A marzo, al Piccolo Teatro Grassi, porta in scena Inventato di sana pianta ovvero gli affari del Barone Laborde di Hermann Broch, mentre il 21 aprile, presso le Limone Fonderie Teatrali di Moncalieri, debutta con Fahrenheit 451, evento inserito nel programma della Fiera Internazionale del Libro di Torino. L’anno teatrale si conclude a settembre con il progetto Odissea doppio ritorno a Ferrara, articolato nei due spettacoli, Itaca e L’antro delle Ninfe.

In particolare, è interessante notare il rapporto di lunga data del regista con Torino dato sia dal fatto che ha diretto lo Stabile dal 1989 al 1994 – anno in cui è chiamato a dirigere lo Stabile di Roma –, sia per le importanti messinscene prodotte dal teatro dove “rispetto ad altre situazioni, Ronconi lavora meno alla destrutturazione degli elementi costitutivi del teatro” (Ponte di Pino 2006, 17). La ricerca del ‘nuovo’ non si concentra tanto sulla scrittura quanto sulla possibilità di ‘leggere’ i testi in maniera innovativa. Più questi ultimi si allontanano da una concezione teatrale tradizionale, più si arricchiscono di dettagli che travalicano le forme sceniche convenzionali, così attraverso il linguaggio e la rappresentazione – intesa come strumento espressivo e non come fine ultimo – si instaura un processo conoscitivo che coinvolge attivamente il pubblico. È con queste premesse che Ronconi affronta Fahrenheit 451, concentrandosi su una dimensione espressiva diversa e più articolata, in cui il testo diviene uno “spiraglio per aprire altri mondi” (Ponte di Pino 2006, 30).

In questo saggio si vuole analizzare a livello produttivo, tecnico e artistico lo spettacolo Fahrenheit 451, riferendosi nello specifico ai materiali concessi dall’archivio del Teatro Stabile di Torino e dall’archivio del Piccolo Teatro di Milano. Il primo ha reso disponibile per la consultazione il video integrale dello spettacolo, l’audio della conferenza stampa di presentazione e due servizi trasmessi su Radio Tre, mentre presso l’archivio milanese è stato possibile consultare il programma di sala, la rassegna stampa, un copione bianco e diversa documentazione tra cui: ordini del giorno e di servizio e alcune relazioni tecniche in merito all’impianto scenografico e scenotecnico (proiettori, attrezzeria etc.). Attraverso l’analisi di questi molteplici materiali è stato possibile ricostruire la genesi e l’allestimento dello spettacolo, esaminando sia le dinamiche produttive dei teatri coinvolti sia le scelte artistiche adottate dal regista, al fine di condurre un’indagine approfondita sulla messinscena.

La produzione di Fahrenheit 451

La base del teatro per Ronconi si fonda su un “patto fra pubblico, committenza e mediatori” (Ronconi, Capitta 2012, 12), in cui questi ultimi – registi e attori – pongono in relazione la drammaturgia con le altre parti coinvolte. La committenza non è quindi un semplice organo amministrativo, ma assume anche una valenza politica, e in questo contesto la produzione di Fahrenheit 451, affidata a quattro teatri stabili, riveste un ruolo cruciale. Durante la conferenza stampa Walter Le Moli, direttore della Fondazione del Teatro Stabile di Torino, sottolinea il valore simbolico del teatro, paragonandolo alla funzione dei libri e al loro ruolo nella conservazione della memoria collettiva: “I libri sono per me un’allegoria del teatro, che cosa serve il teatro? A niente […] il teatro in questo caso ha offerto un’occasione che la politica non offre più, quello di incontrarsi” (Conferenza stampa 2007)[1].

I quattro teatri coproduttori dello spettacolo, oltre al già citato Teatro Stabile di Torino sono il Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, il Teatro di Roma e il Teatro Biondo Stabile di Palermo. Giorgio Albertazzi, allora direttore del Teatro di Roma, sottolinea l’importanza della collaborazione tra queste istituzioni: “Quattro Stabili uniti per un’impresa culturale è come dovrebbe essere, un testo straordinario che pesa sulle nostre coscienze di uomini di spettacolo, uomini di cultura, e se l’arte è vita è prima di tutto etico sostenere un progetto importante che nasce da un’opera letteraria che ci ricorda in cosa consista la qualità della vita” (Conferenza stampa 2007). Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro, conferma questa visione, evidenziando come “la coproduzione non è né un atto coatto né un atto politicamente corretto, ma è un atto teatrale” (Conferenza stampa 2007) ossia, nello specifico, “una coproduzione che sa di politically correct”, ma che in realtà è “basata sul valore assoluto della memoria in un mondo in cui la banalità sta uccidendo la convivenza tra gli uomini” (Cumani 2007, 32-33). Un elemento cruciale di questa quadrupla produzione risiede nella figura di Luca Ronconi, la cui abilità nel tessere e mantenere solide relazioni con le istituzioni culturali ha svolto un ruolo determinante. Le sue esperienze amministrative come direttore del Teatro Stabile di Torino e del Teatro di Roma, e il suo ruolo di consulente artistico al Piccolo Teatro di Milano dal 1999, contribuiscono non solo a consolidare la sua influenza sulla scena teatrale, ma anche a connettere tra loro le istituzioni e a facilitare, in questo caso, la proficua collaborazione.

Questo solido assetto produttivo si riflette anche nella gestione economica dello spettacolo. Il budget complessivo per l’allestimento dello spettacolo ammonta a 750 mila euro, suddiviso tra i quattro teatri coinvolti nella produzione. L’investimento copre le spese per un totale di 67 professionisti impiegati nello spettacolo, distribuiti tra regia, collaboratori e assistenti (11 persone), il cast degli attori (26) e il personale tecnico (30), per un totale di 2380 giornate lavorative. La gestione delle repliche è affidata singolarmente a ciascun teatro, e già al momento del debutto lo spettacolo prevede una programmazione di circa settanta rappresentazioni. Dopo la prima torinese, avvenuta il 21 aprile 2007, la tournée si articola secondo il seguente calendario: dal 13 gennaio al 10 febbraio 2008 al Piccolo Teatro di Milano, dal 15 febbraio al 2 marzo al Teatro Argentina di Roma e, infine, dal 7 al 16 marzo al Teatro Biondo di Palermo.

Tra futuro e memoria

L’idea di mettere in scena Fahrenheit 451 nasce su iniziativa di Elisabetta Pozzi, come conferma lo stesso Walter Le Moli in conferenza stampa, che realizza il suo sogno di “portare la letteratura a teatro […] facendola diventare vita in scena” (Conferenza stampa 2007) con l’intento di far interessare al teatro un pubblico che di solito non è abituale e allo stesso tempo presentarlo a una nuova generazione di spettatori. Con il sostegno della Fondazione, Pozzi propone a Ronconi di curarne la regia. Il testo di riferimento è l’adattamento teatrale che lo stesso Ray Bradbury realizza negli anni Settanta a partire dal suo celebre romanzo Fahrenheit 451, pubblicato nel 1953. Come sottolinea Ronconi: “Il romanzo è molto conosciuto […] non altrettanto conosciuta è la commedia, non si tratta della riduzione del romanzo, ma della rappresentazione del testo che Ray Bradbury ha tratto dal romanzo in anni successivi” (Conferenza stampa 2007). Questa versione viene tradotta per lo spettacolo da Monica Capuani e Daniele D’Angelo e pubblicata nel 2007 da Elliot Edizioni, in concomitanza con il debutto dello spettacolo[2]. Nel copione, la celebre vicenda dei vigili del fuoco – che, anziché spegnere gli incendi, li accendono per bruciare i libri, poiché vivono in un mondo in cui la lettura è proibita – rimane sostanzialmente invariata rispetto al romanzo, con l’unica eccezione del finale: a differenza del testo originale, Clarissa non muore, ma riappare all’interno della comunità degli uomini-libro.

Sebbene il testo messo in scena non sia la trasposizione diretta dal romanzo, ma si configuri a tutti gli effetti come una pièce teatrale autonoma, permangono alcune considerazioni rilevanti date dal rapporto tra letteratura e teatro. Tali riflessioni non riguardano solo e principalmente le scelte registiche, ma si estendono soprattutto alla ricezione del pubblico e all’immaginario collettivo preesistente, plasmato non solo dalla fama del romanzo, ma anche, in parte, dalla sua versione cinematografica. Ogni spettatore si avvicina dunque alla rappresentazione con un bagaglio culturale e conoscitivo dell’opera stratificato, che influisce inevitabilmente sull’esperienza teatrale e sulle modalità di fruizione dello spettacolo.

Risultano pertanto di particolare interesse alcune riflessioni del regista sulla relazione tra il romanzo e la scena. A tal proposito, Ronconi afferma:

Il rapporto che nel Novecento viene a crearsi tra dramma e romanzo non può certo essere ridotto al semplice caso della ‘trasposizione’ drammaturgica di un testo narrativo e solleva piuttosto questioni di linguaggio nell’accezione più ampia del termine (Ronconi [1999] 2016, 48).

Di tale ampliamento del concetto di linguaggio teatrale fanno parte la scienza e la tecnologia, le quali contribuiscono a ridefinire la grammatica della scena, incidendo sulle coordinate spazio-temporali dell’azione drammatica. Parallelamente, si inserisce il linguaggio cinematografico, in particolare attraverso l’uso del montaggio, tecnica di cui Ronconi si avvale in numerose produzioni, tra cui spicca Orlando furioso (1969). La ricerca nello sviluppo di una nuova sintassi teatrale trova conferma nell’idea che l’essenza del teatro risieda nella sua capacità di configurarsi come “luogo deputato al maturarsi di una conoscenza complessa mediata dal concreto farsi di un’esperienza” (Ronconi [1999] 2016, 50); in tal senso, il teatro non solo si confronta con la realtà, ma evolve con essa, adattandosi alle trasformazioni del tempo e rinnovando continuamente i propri codici espressivi. In aggiunta, dare corpo a un testo non scritto appositamente per la scena significa capirlo veramente in ogni significato.

Sebbene, dunque, in questo caso il testo sia a tutti gli effetti una commedia per il teatro, aleggia inevitabilmente l’ombra del romanzo, soprattutto per quanto riguarda l’analisi dei contenuti, che si traduce in un’attenta indagine delle tematiche sottese all’opera originaria, quali, nel caso di Fahrenheit, la memoria, il rapporto con la tecnologia e l’uso del linguaggio. Ronconi afferma che “il tono messianico del romanzo sarebbe stato insopportabile alla rappresentazione. Battute del romanzo portate in scena sarebbero stati sermoni moralistici. Il film di Truffaut ha troppe svenevolezze sentimentali. Perciò ho optato per la commedia, con tutti i pregi e i difetti che ha la commedia, senza cercare di mascherare l’invecchiato” (Guerrieri 2007a, 39).

Il regista affronta l’interpretazione di Fahrenheit 451 innanzitutto discostandosi dall’inserimento di riferimenti ad altri romanzi di Bradbury e dal film del 1966 di Truffaut, che considera troppo romantico; così, con una maturità artistica maggiormente consolidata nelle riflessioni sul linguaggio teatrale e sull’adattamento scenico del romanzo, per questo allestimento l’intento è quello di superare l’immaginario tradizionalmente associato all’opera, creando una nuova visione che non si limiti a rielaborare l’estetica del testo, ma ne ridefinisca le coordinate interpretative, offrendo una lettura profondamente connessa al contesto culturale degli anni 2000. In questa prospettiva, l’ambientazione dell’opera, originariamente connotata da una visione distopica e apocalittica, viene riletta alla luce di una riflessione che interroga il presente, ponendo l’accento sulle dinamiche di controllo culturale e sulla funzione della memoria collettiva. “Sono portato a vedere Fahrenheit come una metafora o come sollecitazione o monito alla necessità della memoria”: afferma Luca Ronconi (Gregori 2011, 113). Anche Sergio Escobar aggiunge una riflessione sulla tematica: “Ci sia più meraviglia nella memoria che non nel futuro […] noi non viviamo neanche la cultura del presente, è una promessa continua di un futuro svuotato, […] il teatro è parola, memoria e quello che ci sta succedendo intorno è banalità e furbizia” (Conferenza stampa 2007).

La rilettura che il regista propone circa cinquant’anni dopo la pubblicazione del romanzo si concentra sull’elaborazione di quel futuro ormai trascorso come spazio di memoria. Tale concetto si articola su più livelli: da un lato, i libri come custodi della memoria individuale e collettiva; dall’altro, una riflessione più ampia sulla memoria storica e teatrale. Questa tematica, profondamente cara al regista, si inserisce al centro delle sue riflessioni sul teatro e sulla sua natura effimera, legata inscindibilmente all’hic et nunc della rappresentazione. Nello specifico, l’importanza della memoria è rappresentata nello spettacolo dall’oggetto libro che, però, deve essere distrutto.

Già dalla prima didascalia che si legge nel copione, che indica le coordinate spazio-temporali in cui si deve svolgere l’azione, è chiara la natura distopica del testo: “tempo: il futuro. Luogo: una città” (Copione 2007)[3].

La domanda sorge spontanea: come è possibile rappresentare il futuro a teatro? Ronconi risponde concentrandosi sulla necessità della memoria:

In fondo la gente ha smesso di leggere i libri di propria volontà, […] è alla volontà del singolo che dobbiamo fare ricorso […] senza puntare il dito contro la televisione o la comunicazione di massa, io non credo che cultura e informazione siano necessariamente antitetiche” (Conferenza stampa 2007).

L’unico modo possibile per mettere in scena il futuro sembra quindi quello di usare gli strumenti del teatro e, quindi, trattare “il palcoscenico per quello che è, ossia una macchina, un luogo di artificio, proprio come talvolta avrei trattato una strada per quello che è, un luogo di traffico e di passaggio” (Capitta 2012, 55). Non solo la scena, ma è necessario ripensare anche chi la attraversa: ecco che i personaggi sono riadattati secondo un nuovo schema di rapporti basato sull’approfondimento della ‘figura’ che si delinea dal romanzo, così la lettura di Ronconi del testo ha come indicazione principale data agli attori quella di “trattarlo come un testo elisabettiano, cioè un testo in cui le parole non si dicono tanto per dire, ma in quanto corrispondenti a immagini interiori reali […] questi personaggi assurgono [sic] una dignità importantissima” (Conferenza stampa 2007).

La messinscena di Fahrenheit 451

Lo spettacolo, della durata complessiva di 3 ore e 15 minuti, intervallo incluso, è descritto nel frontespizio del copione come “un dramma in due atti, per sette uomini, cinque donne, uomini-libro assortiti e voci”. All’alzarsi del sipario la scena che compare è illuminata da una luce bianca e fredda, il palco è vuoto, riempito da soli due elementi scenici, due tavoli di cui uno più grande che si infiamma e uno più piccolo su cui è appoggiato Montag (il vigile del fuoco interpretato da Fausto Russo Alesi) che, solo in scena, pronuncia le prime battute: “C’è qualcosa in un incendio? È così bello, completo, così perfetto. E poi c’è la questione del potere, la consapevolezza di possederla tutta questa bellezza poterla dispensare a piene mani, intatta, darle un posto a cui vivere” (Archivio del Teatro Stabile di Torino).

1 | Tiziano Santi, Bozzetto di scena di Fahrenheit 451, su concessione dello scenografo Tiziano Santi e dell’Archivio del Teatro Stabile di Torino.

La struttura del palco è concepita da Tiziano Santi con un impianto di grate, funzionale alla realizzazione di roghi direttamente in scena, i quali restano accesi per un arco di tempo significativo, consentendo così la visibile propagazione delle fiamme che bruciano i libri sparsi sul pavimento. La luce rende tutto freddo, quasi a ricreare un mondo in bianco e nero dove tutto ciò che si muove o si sposta è a colori come i mobili, gli impermeabili gialli dei vigili e il fuoco. Nella scheda tecnica dello spettacolo sono dettagliate le specifiche relative agli effetti speciali, con particolare attenzione alla gestione del fuoco e dell’acqua, elementi scenografici fondamentali per la resa visiva della messinscena.

2 | Tiziano Santi, Bozzetto di scena di Fahrenheit 451, su concessione dello scenografo Tiziano Santi e dell’Archivio del Teatro Stabile di Torino.

Queste le note per l’allestimento:

Effetto fuoco: ai fini scenografici durante la rappresentazione saranno simulati alcuni roghi. In particolare saranno realizzati n 24 fiamme mediante gel composto da alcool isopropilico denaturato con una base di gel inerte e n 1 fiamma mediante polvere pirica alla nitrocellulosa. Tali materiali, esattamente dosati sulla base di quanto necessario per ogni rappresentazione sono contenuti in pellicole metalliche munite di adeguati bordi e sono accesi mediante inneschi elettrici a bassissima tensione (24V). Si segnala che la presenza dei fuochi necessita la rapida evacuazione dei fumi che ne conseguono.
Effetto pioggia: Al fine di realizzare un effetto pioggia sono state utilizzate alcune tubazioni forate poste sulle strutture sospese. L’alimentazione idrica a tali tubazioni avviene da alcuni contenitori muniti di rubinetto. Al fine di evitare spandimenti, l’acqua che precipita sul palcoscenico, una volta attraversato il grigliato di calpestio, sarà raccolta all’interno di vaschette adeguatamente predisposte (Archivio del Piccolo teatro di Milano – Teatro d’Europa). 

3 | Tiziano Santi, Bozzetto di scena di Fahrenheit 451, su concessione dello scenografo Tiziano Santi e dell’Archivio del Teatro Stabile di Torino.

Un ulteriore elemento scenografico di rilievo è la parete di fondo, concepita come una grande parete-televisore, che richiama il dispositivo ormai onnipresente nelle abitazioni dei personaggi, ad eccezione di quella di Clarissa. Sul palco, questo enorme schermo prende forma in una struttura tripartita, divenendo a tutti gli effetti la scenografia di fondo. Su di esso vengono proiettati filmati in bianco e nero di ipotetiche pellicole americane, raffiguranti un’esistenza ideale e di successo per i personaggi, come nel caso di Mildred (Melania Giglio), la moglie di Montag, che si vede come una grande diva del cinema in un ‘Mildred show’. Gli elementi mobili della scenografia, invece, che rappresentano gli interni delle case e ambienti, vengono di volta in volta portati sul palco e spostati da dei muletti azionati da uomini vestiti di nero.

4 | Tiziano Santi, Bozzetto di scena di Fahrenheit 451, su concessione dello scenografo Tiziano Santi e dell’Archivio del Teatro Stabile di Torino.

Un altro elemento particolarmente significativo per delineare l’ambientazione di questo futuro tecnologico è la presenza del cane mastino a due teste, una creatura meccanica e inquietante, programmata per individuare i libri e i loro lettori, conducendo i vigili del fuoco alla loro distruzione. Come una specie di occhio del ‘Grande Fratello’ che vede tutto, Baskerville 9, nome che ironicamente fa riferimento al mastino di Arthur Conan Doyle, accentua ulteriormente la duplicità presente in tutto il testo tra tecnologia e cultura. Il cane diviene così il simbolo estremo di un sistema in cui la meccanizzazione rappresenta una forza ostile, finalizzata all’annientamento della memoria e del passato. Infatti, la scena successiva a quella della presentazione del mastino è l’uccisione di una donna (Grazia Mandruzzato) che non vuole rinunciare ai suoi libri e paragonata a una nuova Giovanna D’Arco.

Il rapporto tra Clarissa (Elisabetta Pozzi) e Montag costituisce l’elemento cardine tanto del romanzo quanto dello spettacolo di Ronconi. Clarissa rappresenta l’innesco del processo di trasformazione interiore del protagonista: attraverso le loro conversazioni, specialmente durante il primo dialogo, quando Clarissa chiede a Montag se sia felice, la domanda innesca in lui un’incrinatura interiore, che riesce a insinuare il dubbio sulla natura del sistema in cui opera, conducendolo a riconoscere nei libri non un pericolo, bensì una necessità per la sopravvivenza del pensiero critico. Emblematica, in tal senso, è l’affermazione che Clarissa pronuncia notando che anche Montag sta cambiando e che è passato dal “desiderio di sapere come accadono le cose” al “desiderio di sapere perché”[4]. Tale crisi conoscitiva si acuisce ulteriormente quando Clarissa annuncia la sua partenza dalla città, di cui solo il nonno, Faber, un vecchio professore, interpretato sempre da Elisabetta Pozzi, è a conoscenza. Questo momento segna l’inizio della frattura definitiva nell’adesione di Montag alla razionalità tecnologica, spingendolo verso una dimensione segnata dall’irrazionalità e dalla necessità di sottrarsi alla logica imposta dal sistema. Neppure Beatty (Alessandro Benvenuti), il capo dei vigili del fuoco, riesce a ricondurlo all’ordine con il suo celebre monologo contro le distrazioni della cultura:

Svuota i teatri. Chiudi i cinema. Perché? Non vorrai mica che la gente si metta a chiacchierare per strada dopo aver visto uno spettacolo o un film, no? O si? No! No! Allora che le case abbiano pareti di vetro. Che le pareti siano schermi televisivi. Che il soffitto garantistica il Dolby surround. Che la gente se ne stia per conto suo. Uccidi Amleto! E poi che altro? (Copione 2007).

L’andamento recitativo iniziale è caratterizzato da un ritmo lento e cadenzato, con pause calibrate che conferiscono al testo una musicalità insolita, quasi ipnotica e straniante, come se i personaggi fossero automi, macchine programmate per eseguire azioni predefinite. Tuttavia, con il progredire dello spettacolo, il ritmo si intensifica e la recitazione assume toni più naturali, per poi regredire alla rigidità iniziale ogni volta che un nuovo personaggio viene introdotto. Allo stesso modo Franco Quadri osserva, a proposito dello stile recitativo dello spettacolo, che “nella prima parte è rallentato da dizioni troppo compiaciute” e successivamente è caratterizzato “da un grido eccessivo” (Quadri 2007, 37). Il secondo atto si apre con l’incontro tra Faber e Montag, nel quale quest’ultimo cerca di scoprire la destinazione di Clarissa per raggiungerla e la motivazione che spinge a salvare i libri. Il vigile è un uomo diverso, vulnerabile, e nel lungo dialogo col professore, che occupa la prima mezzora del nuovo atto, si riscopre amante di quei libri che ha, fino ad allora, bruciato.

5 | Tiziano Santi, Bozzetto di scena di Fahrenheit 451, su concessione dello scenografo Tiziano Santi e dell’Archivio del Teatro Stabile di Torino.

Quando torna a casa con un volume di poesie tra le mani e trova la moglie Mildred immersa, con le amiche, in uno stato di quasi totale alienazione indotto dalla televisione, le legge ad alta voce, nel tentativo di risvegliare in lei un barlume di sensibilità ed emozione. I video proiettati sono un’alternanza di diversi frame tra cui “stacchi di Suspiria di Argento e statici quadri desunti dalla Nostalgia di Veronica Voss di Fassbinder” (Groppali 2007, 23). Montag non è più un vigile del fuoco: la sua azione è stata scoperta. L’allarme della caserma risuona annunciando il prossimo intervento, e l’indirizzo da raggiungere per bruciare i libri è proprio il suo; a denunciarlo è stata sua moglie. Così, lui è costretto ad andarsene e segue le indicazioni di Faber per raggiungere il posto fuori città dove si nascondono gli uomini-libro che hanno memorizzato un libro ciascuno per mantenerlo in vita perché, come ricordava Beatty, “un libro se non è letto non esiste” (Copione 2007). Il finale dello spettacolo si svolge in una penombra suggestiva, dove, dalla platea, emergono gli uomini-libro che salendo sul palco si presentano uno dopo l’altro. Il legame che Ronconi crea tra pubblico e uomini-libro dà vita a una “comunità anticonformista, di disobbedienti, di disertatori, di caparbi lettori” (Canziani 2007, 31) e immediatamente ogni spettatore si trova a essere parte dello spettacolo, ma inevitabilmente dal lato della memoria e della sua conservazione. Tra loro riappare anche Clarissa, avvolta nella stessa atmosfera rarefatta e sospesa. Queste figure, simili ad anime erranti, vagano sussurrando le parole dei libri che hanno imparato a memoria, custodendoli come un atto di resistenza contro l’oblio. L’ultima immagine, evocata dalla voce di Clarissa, conclude lo spettacolo, e narra della fenice, un animale che ogni 400-500 anni si immola in un rogo per poi rinascere dalle sue stesse ceneri e ricominciare.

La ricezione critica dello spettacolo: attualità di un testo invecchiato

La rassegna stampa conservata presso l’Archivio del Piccolo Teatro di Milano e l’Archivio del Teatro Stabile di Torino documenta ampiamente la ricezione dello spettacolo, raccogliendo sia gli articoli relativi al debutto, sia quelli dedicati alla tournée. L’analisi di questo materiale consente di ricostruire il dibattito critico che ha accompagnato la messinscena, caratterizzato da un duplice registro interpretativo: da un lato, il riconoscimento della maestria della trasposizione teatrale; dall’altro, le perplessità legate a un testo che, nel 2007, veniva da alcuni ritenuto ormai invecchiato. Tra le voci più significative, quella di Renato Palazzi solleva interrogativi sulla tenuta del testo nel tempo, osservando che “niente invecchia più in fretta della letteratura di fantascienza. Non è questione di previsioni che non si avverano, di prodigiose invenzioni tecnologiche che non verranno mai realizzate: è il linguaggio stesso di questi autori […] che, nel giro di pochi anni, rischia di farsi inesorabilmente retorico” (Palazzi 2007, 46). Lo stesso critico, comunque, riconosce il valore della regia di Ronconi, individuando nel lungo monologo di Beatty il fulcro concettuale dello spettacolo, che assume la funzione di un monito: “per offrirci questo specchio angoscioso: e non certo per ricavarne un ‘bello’ spettacolo” (Palazzi 2007, 46). Ancora più severo è Enrico Groppali, secondo cui Ronconi avrebbe accettato la messa in scena “solo per l’aspetto formale e l’uso degli effetti speciali indispensabili alla rappresentazione dell’eccentrica parabola” (Groppali 2007, 23), arrivando a negare il valore del testo a favore di una scelta dettata da un puro gusto per la teatralità. Benché meno dura, anche la critica milanese esprime alcune perplessità riguardo allo spettacolo e Osvaldo Guerrieri, ad esempio, scrive:

Da Luca Ronconi questa non ce la saremmo aspettata. È vero che la musa di ogni artista a volte sonnecchia, ma Fahrenheit 451 è andato molto al di là della pennichella. È apparso appassito e immotivato. Sarà anche stata colpa di Ray Bradbury e della sua commedia che nessuno, per decenni, ha sentito il bisogno di cavare dal cassetto della dimenticanza, ma Ronconi ci ha aggiunto del suo. Proiettando in teatro quel che soltanto la letteratura o il cinema rende plausibili, ha montato un giocattolo fiacco popolato da cani meccanici, surriscaldato dalle fiamme con cui un esercito di pompieri-aguzzini incendia i libri, tutti i libri, gli autentici nemici di un potere che vuol abolire il pensiero e ottunde i cittadini con tv e psicofarmaci. Ronconi, che di solito è di due o tre passi davanti agli altri, questa volta è andato nelle retrovie, dove ha segnato il passo senza neppure stimolare a dovere i suoi attori, soprattutto senza dare una fisionomia credibile ad Alessandro Benvenuti, il più spaesato di tutti (Guerrieri 2007b, 39).

Nonostante le riserve sulla tenuta del testo e sulla sua attualità, lo spettacolo si è rivelato significativo nella misura in cui ha saputo restituire una metafora della società contemporanea al 2007. Infatti, come afferma Ronconi in un’intervista, non è necessario bruciare fisicamente i libri per eliminarli: “una biblioteca sigillata, che nessuno frequenta, è come se fosse bruciata” (Porcheddu 2007, 12). Il regista non intende dunque proiettare in scena un mondo fantascientifico, ma piuttosto un presente visto attraverso la lente di un futuro già trascorso: “un futuro che abbiamo già alle spalle, accettando di vedere il nostro presente come fosse già il nostro passato” (Capitta 2007, 13).

L’abilità di Ronconi emerge proprio nella capacità di “individuare un nucleo forte in una drammaturgia che il tempo ha reso fragile” (Poli 2007, 33) portando così in scena la “non conoscenza che genera mostri” e “la necessità della memoria, qui ed ora, in una spiazzante e per nulla edificante ‘favola’ che ci riguarda” (Gregori 2007, 21). Le recensioni più favorevoli provenienti dalla piazza milanese possono essere ricondotte, in parte, alla familiarità del pubblico e della critica con il linguaggio registico e con la struttura degli spettacoli di Ronconi, spesso caratterizzati da una durata estesa, rispetto ad altre città. In questo contesto, si rileva un’attenzione particolare alla capacità del regista di modulare il proprio approccio in funzione del testo messo in scena e della richiesta della committenza. Se, infatti, le sue produzioni vengono talvolta percepite come imponenti e di difficile accesso, nel caso di Fahrenheit 451 tale rischio appare scongiurato, come sottolinea Luca Marchesi nel suo articolo: “Tre ore e mezza di spettacolo teatrale fanno paura a tutti. Ma questa volta a sipario abbassato, si potrà dire che ne è valsa la pena. Ronconi spara spesso addosso al pubblico spettacoli elefantiaci, producendo a volte, nei soggetti più giovani e inesperti, sconcerto e fuga da tutto ciò che riguardi il teatro di prosa. Ma, evviva, non è il caso di Fahrenheit 451” (Marchesi 2008, 50). L’accoglienza entusiasta dello spettacolo da parte della critica e del pubblico milanese trova ulteriore conferma nella recensione di Ugo Ronfani, il quale elogia non solo la scelta registica di Ronconi di rileggere il romanzo come una “favola nera”, ma anche l’eccellenza interpretativa del cast.

Con una perizia dei mezzi tecnici del teatro che induce all’ammirazione, Ronconi chiede, e ottiene, che i personaggi rappresentino l’allegoria epica di una società ignorante e smemorata. Ed ecco Elisabetta Pozzi intelligentemente applicata nei due ruoli di Clarisse […] e in quello del nonno-filosofo Faber […] Ecco Alessandro Benvenuti che è Beatty, il tonitruante capo dei pompieri che dà clandestino rifugio ai libri invece di bruciarli e, straordinariamente efficace, si prende un lungo applauso a scena aperta. Ecco Fausto Russo Alesi, inquieto pompiere nevrotico nel deserto del mondo smemorato, in conflitto con l’ottusa moglie teledipendente (efficacemente Melania Giglio) […] ed ecco Maria Grazia Mandruzzato, vecchia signora degna che vuole morire con i suoi libri. Numerosi gli applausi a tutti (Ronfani 2008, 37).

Anche per le repliche di Roma e Palermo, i giudizi sono generalmente positivi nei confronti di uno spettacolo considerato “di ottima fattura, lucido nell’analisi, visivamente ricercato, un po’ altalenante nel ritmo, affascinante in alcune scene che hanno il sapore della metafora e della favola, ma che – pur affrontando un tema ricco di sollecitazioni – mantiene pallido l'indice di creatività e di sconfinamento fantastico” (Valdini 2008, 16). In definitiva, Fahrenheit 451 suscita reazioni contrastanti sia nel pubblico che nella critica, rivelandosi uno spettacolo divisivo ma che proprio in questo trova il suo valore: se da un lato alcuni lo hanno ritenuto superfluo e prolisso, dall’altro è stato considerato un lavoro di studiata attualità, capace di stimolare una riflessione sul presente attraverso il filtro di una distopia solo apparentemente lontana.

Note

[1] La trascrizione della conferenza stampa è stata effettuata direttamente dall’audio della stessa gentilmente fornito dall’Archivio del Teatro Stabile di Torino.

[2] R. Bradbury, Fahrenheit 451, adattamento teatrale di Ray Bradbury, collana Reading Theatre, Elliot edizioni, 2007.

[3] Le citazioni delle battute presenti nel saggio sono state trascritte dal copione bianco n° 280 conservato presso l’Archivio del Piccolo Teatro di Milano e consultato in data 12 dicembre 2024.

[4] Tutte le trascrizioni delle battute e le descrizioni delle scene sono state effettuate grazie al video integrale di Fahrenheit 451, concesso dall’Archivio del Teatro Stabile di Torino. In particolare, il riferimento qui riportato si riferisce al segmento compreso tra il minuto 48’01’’ e 48’11’’ del video dello spettacolo.

Bibliografia
Materiali d’archivio

Archivio del Piccolo Teatro di Milano

  • Cartelle rassegna stampa: 
    Stagione 2006/2007, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, regia di Luca Ronconi, Prima messinscena, Torino (21 aprile 2007).
    Stagione 2007/2008, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, regia di Luca Ronconi, Teatro Strehler, 13 gennaio 2008 e tournée. 
  • Cartelle:
    Fahrenheit 451 Calendari
    Fahrenheit 451 Tecnica
    Fahrenheit 451 Ordine del giorno/Ordine di servizio
    Copione n° 280

Archivio del Teatro Stabile di Torino

  • Video dello spettacolo Fahrenheit 451, regia di L. Ronconi, 2007. 
  • Audio della conferenza stampa di presentazione dello spettacolo avvenuta venerdì 13 aprile 2007, ore 12.00 presso le Limone Fonderie Teatrali, Moncalieri (To).
  • Trasmissione radiofonica, Fahrenheit 451, Rai Radio Tre, (28 febbraio 2007).
  • Trasmissione radiofonica, Rumori fuori scena, Rai Radio Tre, (16 aprile 2007).
Riferimenti bibliografici
  • AA. VV.
    AA. VV., Speciale. Luca Ronconi, l’utopia del teatro, “Hystrio”, 2/XXVIII (2015), 2-19.
  • Canziani 2007
    R. Canziani, ‘Fahrenheit 451’ messa al rogo in scena dall’ultimo Ronconi, “Il Piccolo” (23 aprile 2007), 31.
  • Capitta 2007
    G. Capitta, Il presente gettato nel fuoco del passato, “il manifesto” (24 aprile 2007), 13.
  • Copione 2007
    Copione n° 280 di Fahrenheit 451, regia di Luca Ronconi, consultato e conservato presso l’archivio del Piccolo Teatro di Milano.
  • Conferenza stampa 2007
    Audio della conferenza stampa di presentazione dello spettacolo (13 aprile 2007, ore 12.00) presso le Limone Fonderie Teatrali, materiale concesso dall’Archivio del Teatro Stabile di Torino, intervengono Walter Le Moli, Sergio Escobar, Giorgio Albertazzi, Pietro Carriglio, Luca Ronconi, Elisabetta Pozzi, Alessandro Benvenuti, Fausto Russo Alesi, Melania Giglio, Maria Grazia Mandruzzato. 
  • Cumani 2007
    C. Cumani, “Fahrenheit 451”, leggere è pericoloso, “Quotidiano Nazionale” (13 aprile 2007), 32-33.
  • Gregori 2011
    M.G. Gregori, Luca Ronconi al Piccolo, Mantova 2011.
  • Gregori 2007
    M.G. Gregori (a cura di), Libri tra roghi virtuali e rumor di chiodi, “l’Unità” (23 aprile 2007).
  • Groppali 2007
    E. Groppali, Ronconi perde la sfida con “Fahrenheit”, “Il Giornale” (6 maggio 2007), 23.
  • Guerrieri 2007a
    O. Guerrieri, Che spettacolo bruciare un libro. Intervista, “La Stampa” (4 aprile 2007), 39.
  • Guerrieri 2007b
    O. Guerrieri, Il fuoco spento di Ronconi, “La Stampa” (29 dicembre 2007), 39.
  • Marchesi 2008
    L. Marchesi, Torna ‘Fahrenheit 451’ firmata Ronconi. Ossessione, fuoco e rivolta d’artista, “Libero Milano” (20 gennaio 2008), 50.
  • Marchetti 2007
    M. Marchetti, Guardare il romanzo. Ronconi e la parola in scena, Soveria Mannelli (Cz) 2016.
  • Mello 2016
    L. Mello, Ronconi secondo Quadri, Roma 2016
  • Palazzi 2007
    R. Palazzi, Questa apocalissi non è così lontana, “Il Sole 24 Ore” (29 aprile 2007), 46.
  • Poli 2007
    M. Poli, Fahrenheit, il rogo dei libri di Ronconi, “Corriere della Sera” (23 aprile 2007), 33.
  • Ponte di Pino 2006
    O. Ponte di Pino, Semplicemente complicato, in A. Fontana, A. Allemandi (a cura di), Ronconi gli spettacoli per Torino, Torino 2006.
  • Porcheddu 2007
    A. Porcheddu, Fahrenheit 451, la memoria, la lingua i maestri, Intervista a Luca Ronconi, Programma di sala 2007, 12.
  • Quadri 2007
    F. Quadri, Senza libri e tutti intercettati nel mondo di ‘Fahrenheit 451’, “La Repubblica” (23 aprile 2007), 37.
  • Quadri, Martinez 1999
    F. Quadri, A. Martinez (a cura di), Luca Ronconi, la ricerca di un metodo: l’opera di un maestro raccontata al Premio Europa per il teatro: con una sezione dedicata a Christoph Marthaler, Premio Europa nuove realtà teatrali, Milano 1999.
  • Ronconi, Capitta 2012
    L. Ronconi, G. Capitta, Teatro della conoscenza, Roma-Bari 2012.
  • Ronconi [1999] 2016
    L. Ronconi, Il mio teatro, lectio magistralis tenuta il 29 aprile 1999 all’Università di Bologna in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo Spettacolo, in C. Longhi (a cura di), La Regia in Italia, oggi. Per Luca Ronconi, “Culture Teatrali. Studi, interventi e scritture sullo spettacolo”, 25 (2016), 41-51. 
  • Ronfani 2008
    U. Ronfani, Ronconi racconta l’orrore di un mondo dove i libri bruciano a “Fahrenheit 451”, “Il Giorno” (23 gennaio 2008), 37.
  • Segre 1984
    C. Segre, Teatro e romanzo. Due tipi di comunicazione letteraria, Torino 1984.
  • Valdini 2008
    G. Valdini, Ronconi brucia l’utopia senza azzardi creativi, “La Repubblica” (11 marzo 2008), 16.
English abstract

This essay examines Luca Ronconi’s 2007 stage adaptation of Fahrenheit 451, analysing its production, artistic choices, and critical reception. The study is based on materials from the archives of the Piccolo Teatro di Milano and the Teatro Stabile di Torino, including video recordings, press reviews, technical documentation, and the director’s statements. Produced as a collaboration between four major Italian theatres, Fahrenheit 451 was a large-scale project with significant institutional backing, involving a substantial budget and a complex technical setup. This adaptation does not merely recreate Bradbury’s dystopian world but transforms it into a reflection on contemporary society. Moving beyond the futuristic imagery of the novel, Ronconi reinterprets the play as an exploration of memory and cultural erosion. His direction underscores the idea that books need not be burned to disappear; a sealed, abandoned library serves the same purpose. Through an intricate scenic design – featuring mechanical elements, immersive projections, and a cold, metallic aesthetic – the performance suggests that the future imagined by Bradbury is not ahead of us but already part of our present. The production received mixed reviews. Some critics praised its visual impact and thematic relevance, while others questioned the text’s aging and Ronconi’s approach. Despite the divided opinions, Fahrenheit 451 proved to be a thought-provoking theatrical event, demonstrating Ronconi’s ability to reinterpret canonical texts through an innovative and unsettling lens.

keywords | Fahrenheit 451; Luca Ronconi; Memory.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Francesca Rigato, Fahrenheit 451. Mettere in scena il futuro, “La Rivista di Engramma” n. 224, maggio 2025.