Impropriamente chiamata, dal suo stesso autore, “commedia” e talvolta erroneamente definita “inedita”, Guerra ed estate permette di gettare uno sguardo sulla giovinezza di Luca Ronconi, classe 1933, ben prima che lui – tramite l’Orlando furioso o La Torre o Ignorabimus o Quer pasticciacciaccio brutto de via Merulana o Lolita – diventasse, non solo per chi scrive, una delle figure cruciali della cultura dei nostri tempi, dominando il mondo del teatro per mezzo secolo: dagli anni Sessanta del Novecento agli anni Dieci del Duemila. L’autore di Guerra ed estate è invece, a metà degli anni Cinquanta, un giovane attore romano, insoddisfatto del suo mestiere, che pur gli sta portando una certa fama e un certo successo: è percorso da mille inquietudini, non solo quelle canoniche della giovinezza.
Guerra ed estate non è inedita, perché è stata pubblicata su una rivista di cinema nell’agosto 1959 e la testata era una delle più importanti e più vitali: “Filmcritica”, fondata nel 1950 da Edoardo Bruno, un discepolo, non ancora ventenne, dell’antropologo Ernesto De Martino e che aveva nel comunista Umberto Barbaro, scomparso proprio al principio del 1959, uno dei suoi multipli punti di riferimento. Barbaro era il critico cinematografico che, più di ogni altro, aveva fatto propria la visione della storia improntata a quella del suo maestro, Roberto Longhi, il maggiore storico dell’arte del Novecento.
Il fascicolo, il numero 88, che ospita il testo di Ronconi, è lo stesso dove si trova – per dare la rilevanza del contesto – un dibattito sul “nuovo cinema italiano”, a cui prendono parte Mauro Bolognini, Pier Paolo Pasolini, Gillo Pontecorvo, Francesco Rosi e Laurent Terzieff, ma anche un’inchiesta sulla riduzione cinematografica che Pietro Germi stava compiendo dal Pasticciaccio di Gadda, comparso in volume nel 1957. E persino un articolo di Franco Parenti sulla crisi del teatro occidentale. L’immagine di copertina di quel fascicolo è un fotogramma di Orfeo negro di Marcel Camus, quindi nouvelle vague, reduce dalla Palma d’oro a Cannes, mentre la quarta ospita – e il dato, come si vedrà, non è irrilevante per chiudere il cerchio, appena aperto, di questa vicenda – una pubblicità della macchina da scrivere Olivetti Studio 44 [Fig. 1].
1 | Il fascicolo di “Filmcritica” del 1959 su cui è uscito Guerra ed estate.
Il “dramma in 3 atti”, come si autodichiara, è preceduto da un breve testo di Luigi Squarzina, intitolato Una giusta iniziativa:
Se è vero che soltanto la riprova scenica dà all’opera teatrale la dimensione che le è propria, agendo il pubblico quasi da cartina di tornasole a dichiarare con evidenza, appunto “drammatica”, quali sono le componenti dell’opera degne di suscitare una reazione, è anche vero che di pubblico in grado di ricevere e rispondere così, abbiamo perso fino il ricordo e la nozione reale.
Giusta è dunque l’iniziativa di “Filmcritica” per una ricerca del testo inedito e una diffusione di esso tra una collettività di lettori che può ricostruire, di quell’insostituibile ma inafferrabile pubblico, la presenza emotiva e logica. E giusta la scelta del dramma di Luca Ronconi, un giovane che lavora come attore dal 1953 in una delle prime posizioni di quella nuova leva che, uscita dall’Accademia di D’Amico, ne ha talmente imposto e generalizzato il costume di studio, di anti-improvvisazione, di calibratura culturale, da essere ormai non più la coscienza infelice della scena di prosa italiana, ma una costante dialettica del suo sviluppo.
Era stato proprio Squarzina, classe 1922, a vegliare la prima prova di Ronconi come attore, non ancora ventenne e non ancora diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica, alle prese con un testo da lui scritto tra il 1949 e il 1952 e andato in scena, per la prima volta, il 3 marzo 1953, al Teatro Valle di Roma: protagonista Vittorio Gassman, che ne cofirmava la regia, reduce dagli exploit e dal litigio con Luchino Visconti, mentre le scene e i costumi spettavano a Mario Chiari, abituale collaboratore del conte milanese. Era (dopo l’Amleto “integrale”, dopo il risorto Tieste di Seneca) uno degli esiti del Teatro d’Arte Italiano, la compagnia diretta da Gassman e da Squarzina appunto, a cui non mancava l’appoggio di Giulio Andreotti, sottosegretario allo Spettacolo e ammiratore dell’attore, quasi a dare vita a un contraltare della turbevole e irriducibile esperienza viscontiana.
Il dramma, che aveva al centro i problemi del rapporto educativo, si chiamava Tre quarti di luna ed era ambientato tra il 27 e il 28 ottobre 1922, nella provincia romagnola, mentre sta avvenendo la presa del potere da parte dei fascisti: nel ricordo di Ronconi, da vecchio, il testo sarebbe stato “vagamente ispirato all’omicidio di Giovanni Gentile”. Il successo di Tre quarti di luna era stato tale che il dramma sarebbe stato ripreso, due anni dopo, il 24 maggio 1955, addirittura da Giorgio Strehler, al Piccolo Teatro di Milano, con le scene di Luciano Damiani, mutando il cast (per esempio Tino Carraro, al posto di Gassman) ma mantenendo – su suggerimento di Squarzina stesso, a stare alla sua testimonianza – Ronconi nel ruolo del seminarista Mauro Bartoli, interpretato in occasione della prima rappresentazione. E pensare che, per Strehler, il 1955 era l’anno del primo Giardino dei ciliegi, della Casa di Bernarda Alba, della Linea di condotta, dell’Angelo di fuoco, di El nost Milan…; girato il Capodanno sarebbe venuta, il 10 febbraio 1956, l’Opera da tre soldi.
Dopo il debutto in Tre quarti di luna non erano mancate, per il giovanissimo Ronconi, altre occasioni lavorative accanto all’eclettico e fluviale Squarzina (che aveva al suo attivo, tra l’altro, un soggiorno al Drama Department della Yale University, dove era stato allievo di Alois Nagler, e un impegno diuturno per la grandiosa Enciclopedia dello spettacolo messa in piedi da Silvio d’Amico, edita da Sansoni e finanziata da Vittorio Cini), tali da spiegare perché proprio a lui fosse toccato, nel 1959, il ruolo di garante per la pubblicazione di Guerra ed estate.
2 | Luca Ronconi in Tè e simpatia (1955), Archivio Storico della Biennale di Venezia, ASAC, Archivio Luca Ronconi.
3 | Anna Nogara (intorno al 1958), Archivio Storico della Biennale di Venezia, ASAC, Archivio Luca Ronconi.
Luca aveva preso parte infatti, in quell’intervallo di tempo, al sontuoso Lorenzaccio di Alfred de Musset, con cui il 23 dicembre 1954, al Valle, si era avviata – Squarzina regista – la gloriosa vicenda della Compagnia dei Giovani, interpretando il ruolo di Tebaldeo, un pittore fiorentino allievo di Raffaello; è poi – prima, di nuovo, al Valle, il 14 dicembre 1955 – uno dei protagonisti, accanto al diciannovenne Corrado Pani, di Tè e simpatia di Robert Anderson [Fig. 2], che aveva debuttato a Broadway nel 1953 e che nel 1956 sarebbe diventato un fortunato film di Vincente Minnelli; è quindi, il 21 agosto 1958, a San Miniato di Pisa, per la XII Festa del Teatro messa in piedi dall’Istituto del Dramma Popolare, inventato da don Giancarlo Ruggini e di cui Silvio d’Amico era stato uno dei principali consulenti, in J. B. di Archibald MacLeish, che aveva appena debuttato a Yale; non manca, il 6 febbraio 1959, al Valle, nel monumentale cast della Romagnola (quasi sessanta attori), scritta dallo stesso Squarzina e prodotta ancora una volta dal Teatro d’Arte Italiano (che dall’estate 1954 era però orfano di Gassman e aveva rivolto il proprio impegno esclusivamente al repertorio nazionale). In questa plurilinguistica “Kermesse in tre parti”, vincitrice nel 1957 del Premio Marzotto (in giuria: Orazio Costa, Eugenio Montale, Anna Proclemer, Giorgio Prosperi, Sergio Tofano), e dedicata a vicende che hanno a che fare con la Resistenza nelle campagne romagnole (ma dove si fa parola pure di Morandi e di Guttuso), Ronconi interpreta Gavinana, un crudele repubblichino, membro delle Brigate Nere ma anche autore di testi teatrali. La contrastata prima del lunghissimo spettacolo – superava le quattro ore – era stata movimentata da proteste dei neofascisti, in sala e fuori; memorabile il resoconto, con la connessa stroncatura, di Alberto Arbasino, che apre il suo Grazie per le magnifiche rose. Ancora nel 1959, ma con la pubblicazione di Guerra ed estate già alle spalle, Ronconi prende parte, al Teatro Olimpico di Vicenza, il 4 settembre, a Il misantropo di Menandro, a partire dal papiro da poco ritrovato tra le sabbie egiziane e appena tradotto dal filologo Benedetto Marzullo, dove le scene e i costumi erano di Corrado Cagli, le musiche di Fiorenzo Carpi e i movimenti mimici di Rosita Lupi, in quel momento ancora la moglie di Strehler. Il sodalizio con Squarzina vede come ultimo atto La congiura di Prosperi, che debutta al Piccolo Teatro di Milano il 7 maggio 1960, con le scene di Damiani, dove Ronconi è Quinto Curio, uno dei seguaci di Catilina.
Ma è proprio Squarzina ad avere tenuto vivo il ricordo di Guerra ed estate, di cui nemmeno il titolo era venuto a galla in quello che resta il più bel libro su Ronconi: Il rito perduto di Franco Quadri, comparso da Einaudi nel 1973, dove si faceva solo fuggevolmente parola di una “commedia” di Ronconi, “che è stata pubblicata e letta in teatro sul finire degli anni Cinquanta”. I ricordi di Squarzina, risalenti al 1999 e al 2005, sono ispirati però a una certa vaghezza. Ecco il primo:
Anche Ronconi ha scritto una commedia (almeno una): Guerra ed estate. Credo di essere tra i pochi a conoscerla e a possederne il copione. È una bella storia di due sorelle, di amori incrociati e insoddisfacenti, fra le illusioni e le stragi del ’44 e le delusioni e i compromessi del dopoguerra. Al tempo della Romagnola non lo sapevo; me la diede, se non sbaglio, nell’estate successiva; mi piacque molto; lui poi non me ne chiese più nulla, probabilmente capiva che allora non ero in grado di proporre niente a nessuno.
Meno esplicito il secondo, quando si limita a fare presente che Ronconi “ha tenuto nel cassetto un suo dramma giovanile ambientato nella Resistenza”. Neanche un ricordo delle righe di “Filmcritica”.
Anche se pubblicato nell’agosto 1959, di Guerra ed estate si era già scritto l’anno precedente: del testo infatti aveva fatto parola Vito Pandolfi, classe 1917, sul fascicolo di “Sipario” dell’ottobre 1958, all’interno di una rubrica Copioni nel cassetto, volta a segnalare testi meritevoli a fare fronte all’annosa questione della carenza di una drammaturgia italiana, per sostenere la quale non mancavano incentivi istituzionali. Pandolfi, che aveva preso parte attiva alla lotta per la Liberazione dell’Italia dai nazifascisti, rimanendone segnato anche nel corpo, vede in Guerra ed estate una conferma della vicenda provata sulla propria pelle, coincidente con la caduta degli ideali e delle speranze di “palingenesi” legati alla fine della guerra mondiale. Pandolfi resta sorpreso di come Ronconi abbia potuto intuire il “dramma di una generazione che ha preceduto la sua”, e ne abbia saputo cogliere una “geografia sociale e psichica”. Proprio per questo il testo gli appare privo di ogni sospetto di autobiografismo; ne avverte una sintonia con il Pavese della Bella estate, l’Antonioni di Cronaca di un amore, del Grido e delle Amiche (ancora una volta tratto da Pavese) e soprattutto con “la lezione di Cecov”, privata però della pietà che caratterizza il grande scrittore russo. Non fatica a cogliere – non si dimentichi – la centralità, nel dramma, di Clara, il personaggio “a cui sembra maggiormente inclinare la tenerezza dell’autore”.
Non mancheranno in futuro, da parte di Pandolfi, testimonianze dell’ammirazione per Ronconi, che gli sembrerà, “fra vittorie e sconfitte”, la punta più avanzata della regia italiana. E sarà proprio al tempo dell’affaticata gestione del Teatro di Roma da parte di Pandolfi che Ronconi avrà modo di mettere in scena, al Valle, il 10 gennaio 1969, la Fedra di Seneca, tradotta ad hoc da Edoardo Sanguineti, su esplicita indicazione del direttore, avvicinatosi nel frattempo al Gruppo 63; è, nella carriera di Luca, lo spettacolo che immediatamente precede l’Orlando furioso: Spoleto, 4 luglio 1969.
Ma quando era stato scritto Guerra ed estate? Quanto prima dell’ottobre 1958? Il termine post quem sono i primi giorni di aprile del 1956 quando Tè e simpatia, reduce dal debutto romano, è approdato a Milano, dal 31 marzo, al Teatro Manzoni. In quell’occasione la diciannovenne milanese Anna Nogara [Fig. 3], neodiplomata alla nuovissima Scuola del Piccolo Teatro, che si era recata allo spettacolo insieme a Franca Tamantini, allora la compagna di Franco Parenti, conosce il ventitreenne Luca Ronconi, che nello spettacolo interpreta il ruolo di Tom Lee, un ragazzo sensibile, amante della musica e della letteratura, che, nel fondo della provincia americana, è per questo sospettato, a torto, di essere omosessuale. È nell’ambito della vicenda sentimentale, subito scoppiata, tra Luca e Anna che va collocata, tra Roma e Milano, tra pensioni e Grand Hotel, Guerra ed estate, la cui protagonista, Clara, ventenne all’inizio del dramma, non è priva di tratti psicologici che l’apparentano alla stessa Nogara. Quindi – verrebbe da dire – Pandolfi aveva torto e ragione insieme nelle sue osservazioni a proposito dell’autobiografismo del testo. Quanto alla Tamantini non le mancherà, quarant’anni dopo, una riapparizione, per quanto minima, nel cosmo ronconiano: sarà, nel 1996, la signora Cucco nel Pasticciaccio romano.
La stesura di Guerra ed estate – il cui titolo sembra sorvolato da Summer and smoke di Tennessee Williams, un testo del 1948 che Strehler aveva portato in scena, al Piccolo, nel 1950, mentre del 1955 è Distesa estate, l’esordio narrativo di Arbasino, sul “Paragone” di Longhi e di Anna Banti – dovrebbe essere avvenuta nel corso del 1956, a stare alla data che compare, a penna, e accompagnata dall’indicazione del luogo: Roma, in calce al dattiloscritto posseduto da Squarzina e oggi conservato alla Fondazione Gramsci. Per Ronconi la scrittura di una “commedia” – la parola che, come tanti altri della sua generazione, avrebbe applicato per tutta la vita ai testi teatrali, qualunque ne fosse la natura (aggiungeva semmai un “moderna”, se si trattava di Pasolini o di Parise) – non doveva essere un’assoluta novità: aveva avuto infatti perennemente sotto gli occhi, nella piccola casa di via Simon Boccanegra 8, l’attività indefessa di sua madre, Fernanda Nardi vedova Ronconi (1898-1982). Sono parecchi, all’interno di una produzione torrenziale di poesie, romanzi, pagine di diario…, non di rado approdati alle stampe, i suoi testi teatrali; da non scordare, per di più, che la devotissima Fernanda, a cui non era mancato un passato fascista, era stata anche un’attrice dilettante.
Guerra ed estate si articola in tre atti, di cui il secondo è costituito da due quadri; la vicenda, ambientata tra l’entroterra del Lago di Garda e Venezia, si svolge nell’arco di un decennio, a partire dall’ultima estate di guerra: quindi quella del 1944. Questa è la collocazione cronologica del primo atto, la cui scena è una “casa di campagna sui colli del Garda”, mentre i due quadri del secondo atto, entrambi di ambientazione veneziana, non sono coevi: il primo è all’indomani della Liberazione, il secondo scivola al 1950; il terzo atto, che si svolge nello stesso scenario del primo e di nuovo in estate, è invece sostanzialmente coevo al momento della scrittura. Un ulteriore dato che potrebbe orientare sui tempi della stesura del testo è costituito dal fatto che l’elemento scatenante della situazione drammaturgica messa in atto nel secondo quadro del secondo atto, ambientato tra la fine della notte e il sorgere dell’alba in una casa di Venezia, è un film alla cui prima, al Lido, al Festival del Cinema, quindi tra la fine di agosto e i primi di settembre, hanno preso parte i personaggi del dramma: è un film che rievoca la guerra partigiana, un episodio della storia italiana su cui molti, in quel frangente, già vorrebbero, all’insegna di una pacificazione nazionale, venisse steso un velo di silenzio (“un argomento passato di moda, veramente: non è più né cronaca né storia”, come afferma uno dei personaggi). Non sono il solo a supporre che il film che potrebbe avere stimolato la fantasia di Ronconi sia stato Gli sbandati, l’opera prima di Francesco Maselli, classe 1930, che proprio al Festival di Venezia del 1955 (quello di To Catch a Thief, delle Amiche, del Bidone, di Ordet…), il 29 agosto, era stato presentato.
Gli sbandati è ambientato nell’estate del 1943 in una villa della campagna lombarda, dove una contessa e suo figlio si sono ritirati per sfuggire ai bombardamenti di Milano e dove hanno accolto un cugino del ragazzo e un suo amico; in quella situazione di sospensione, come se la guerra, per quella classe privilegiata, non avesse corso, approdano degli sfollati, che vengono ospitati nella villa. Tra loro c’è un’operaia comunista, interpretata da Lucia Bosé, di cui il protagonista s’innamora, acquisendo nel contempo una consapevolezza della tragicità della situazione del paese. E tragica è la conclusione della pellicola per la debolezza morale del protagonista, che non riesce a sfuggire alla prepotenza emotiva della madre, interpretata da Isa Miranda. Alla sceneggiatura del film aveva preso parte Eriprando Visconti, classe 1932, nipote di Luchino in quanto figlio di suo fratello Edoardo, e lo stesso Luchino aveva contribuito al finanziamento della pellicola, che era stata girata, tra settembre e ottobre del 1954, nella campagna cremasca, a Ripalta Guerina, nella villa del direttore d’orchestra Arturo Toscanini. Gli sbandati è un film che, per l’intensità delle situazioni narrate e per la plausibilità del contesto ricostruito (arredi e costumi erano stati affidati a Emanuela Castelbarco), non lasciava indifferenti; basterebbe ricordare la violenta reazione che aveva provocato in Giangiacomo Feltrinelli, testimoniata da Camilla Cederna. E, sempre per rammentare la diagnostica di Pandolfi a proposito di Guerra ed estate, si può aggiungere che Maselli era stato uno degli sceneggiatori di Cronaca di un amore di Antonioni. Così come non si dovrà dimenticare che Squarzina dà una mano alla sceneggiatura della Donna del giorno, il secondo lungometraggio di Maselli, girato nel 1956, per la quale era stata coinvolta anche Bianca Dalle Nogare, che nel 1947 aveva sposato Feltrinelli (da cui proprio quell’anno si separa, diventando la compagna e poi la moglie di Renato Mieli). Alla ricerca di punti di contatto più oggettivi, al di là di una certa comunanza di atmosfere, tra Gli sbandati e Guerra ed estate si potrebbe aggiungere che in entrambe le opere compare un attentato compiuto dai partigiani a un treno per liberare dei prigionieri diretti in Germania, ma si potrebbe facilmente obiettare che quella era una prassi comune in quel frangente della guerra. La prova provata della bontà di questa supposizione è invece che lo stesso Ronconi aveva fatto, senza successo, un provino con Maselli per prendere parte a Gli sbandati.
Il nume tutelare di Guerra ed estate, una vicenda corale di illusioni perdute, in cui uno dei temi portanti è il passaggio del tempo, con i ragazzi ventenni che si chiedono se sono troppo giovani o troppo vecchi, è certamente Anton Čechov, come già aveva colto Pandolfi: non solo lo si avverte in certi dialoghi (come, se non così, intendere infatti quello tra Clara e Pietro alla fine del primo atto?), nella sospensione delle atmosfere ma persino nella descrizione della partitura dei suoni (dai canti degli ubriachi ai versi degli uccelli, dai fischi delle navi alle mitragliate); non è difficile specificare che si tratta però di un Čechov visto attraverso la lente degli spettacoli di Visconti e, in particolare, delle Tre sorelle e dello Zio Vania, che avevano debuttato, entrambi all’Eliseo, il primo con scene di Franco Zeffirelli e costumi di Marcel Escoffier il 20 dicembre 1952, il secondo con scene e costumi di Piero Tosi il 20 dicembre 1955. D’altronde Ronconi era un patito di Visconti fin dall’adolescenza. Čechov invece farà occasionalmente, e molto più tardi, la propria comparsa nello sterminato repertorio di Ronconi, che mette in scena solo, e antiviscontianamente, le Tre sorelle nel 1989 (e nel 2009 una riscrittura del Gabbiano), tanto da affermare, al principio degli anni Novanta, quando l’io che ha scritto Guerra ed estate è morto e sepolto:
Non sento una particolare sintonia con quest’autore. Quando lo leggo, quando lo studio, sono ammirato dalla sua capacità di definire un personaggio, una situazione, in quattro battute; ma purtroppo i suoi sono personaggi del cui destino non mi importa nulla. Quello che non amo in Čechov è proprio quel suo volere portare sulla scena un realismo per il quale non sento interesse. Lo ammiro, certo, ma rappresentare le persone come sono con la loro storia, con la loro memoria, insomma tutto quello che sta alla base del lavoro di Stanislavskij, non mi interessa, perlomeno come manifestazione di qualcosa che avviene sul palcoscenico. Per questo adoro Ibsen, dove tutto è costruito, fantomatico, dove a venire in scena sono ossessioni, non facsimili di uomini e di donne.
In Guerra ed estate, invece, i riferimenti concreti, che felicemente sfuggono il generico e l’assoluto, tanto spesso frequenti nella drammaturgia degli anni Cinquanta, tra cascami pirandelliani e fuga nel mito, sono da intendere all’interno del realismo: quello praticato da Visconti, quello sostenuto da Longhi (del 1951 era la mostra sul Caravaggio, del 1953 quella sui Pittori della realtà). Da qui il ricorso a nomi propri (le letture di Madame Bovary o di Daniele Cortis; la Gioconda sentita alla radio; l’Otello visto all’Arena; la Forgenina somministrata alla signorina Jole; i toponimi, da Malcesine a Sirmione, da Peschiera a San Lorenzo, alle porte di Castelnuovo del Garda, dove avviene l’incidente conclusivo…): un ricorso che era ancora più fitto nella prima redazione del dramma, di cui si dirà tra un momento, dove vengono a galla pure Teresa Venerdì di Vittorio De Sica (1941) e La città d’oro di Veit Harlan (1942), ma c’è persino, tra le signore americane invitate nella casa veneziana di Bona nel primo quadro del secondo atto, una Mrs Dalloway, come quella del romanzo di Virginia Woolf del 1925. Tra gli oggetti presenti in scena era prevista pure una “sofisticatissima collezione di orologi antichi” (come non pensare a quelli, monumentali, che si vedranno, nel 1986, nell’epico Ignorabimus?).
Ronconi è così in grado di mettere a punto una cartografia sociale, descrivendo abitudini e comportamenti di classi, e persino di generazioni, che non sono la sua: in qualche caso ne è in grado di restituire anche i modi di dire, la lingua. D’altra parte, da sempre era entrato in contatto con mondi differenti, soprattutto attraverso la sua forsennata sete di letture, tanto da non farlo percepire come esponente di una classe sociale precisa: a partire, restando alla sua biografia, dalla misteriosa frequentazione, negli anni della guerra, del collegio svizzero di Pratteln. E proprio nella prima stesura del dramma Agostino, il bel giocatore di rugby invaghito di Clara ma destinato a sposare una ricca sudamericana, dichiarava – ancora un colpo all’autobiografismo – di essere stato in collegio in Svizzera, cosicché per lui la guerra “è come se non ci fosse stata”. Sembra già – ma si è prima, poco prima, di D’amore si muore – un personaggio di Patroni Griffi. Un altro autore che si potrebbe richiamare è Franco Brusati, che firmava, insieme a Fabio Mauri, Il benessere, il testo apparentemente un po’ boulevardier che avrebbe debuttato al Valle, il 7 marzo 1959, proprio con la regia di Squarzina. Ma nelle prove di Brusati o di Patroni Griffi sembra mancare il tema politico, l’ingombro della memoria del fascismo (avvertibile semmai nel Branda di Giovanni Testori, immediatamente successivo).
Anomala e sorprendente, se non scandalosa, è un’altra figura del dramma di Ronconi: Pietro Levi, il giovane ebreo che sposerà Clara e che, da perseguitato nel primo atto, si trasformerà in un avvocato complice della riabilitazione, negli atti successivi, di fascisti coinvolti, se non responsabili, in eccidi di partigiani. Sarà Pietro ad abbandonare, alla fine, Clara per intraprendere una relazione “con un’ebrea molto in su. Piena di soldi. Una di Milano”. Viene da pensare a quello che succederà a Rainer Werner Fassbinder, nel 1975, per Der Müll, die Stadt und der Tod, dove compare un ricco speculatore ebreo e a tutte le ingiuste accuse di antisemitismo da cui il mago di Bad Wörishofen si dovrà difendere. Ma curiosamente è un dato che chi ha preso in considerazione il dramma di Ronconi non sembra avere colto.
Il 22 dicembre 1956, alle 16.30, Guerra ed estate era stato presentato a Milano tramite una lettura pubblica integrale al Teatro alle Maschere, in via Borgogna 7, alle spalle della casa dove era cresciuto Luchino Visconti. Era una piccola sala sotterranea, inaugurata il 9 gennaio di quell’anno; ben presto, già nel 1959, avrebbe mutato veste, diventando uno dei primi locali di striptease della città. A questo teatro faceva capo, nella stagione 1956-1957, il Centro italiano ricerche teatrali “I rabdomanti”, fondato nel 1953, con il sostegno di Paolo Grassi, dall’instancabile Angelo Gaudenzi, che aveva lo scopo di scoprire nuovi testi teatrali italiani; a capo della commissione di lettura, a cui era affidata la selezione, stava il poeta Roberto Rebora. I testi scelti venivano letti in pubblico da “attori, quasi tutti provenienti dalle accademie drammatiche”. E così era successo per Guerra ed estate, con 18 interpreti messi a sedere sul piccolissimo palcoscenico, mentre “relatore e avvocato difensore della commedia”, nonché lettore delle didascalie del copione, era stato Franco Parenti, classe 1921, già celebre, se non altro, per il suo Anacleto il gasista, un personaggio radiofonico che aveva avuto l’onore di essere menzionato, accanto alla Signorina snob di Franca Valeri, nel Consuntivo caravaggesco di Longhi. Era stato, del resto, proprio Parenti, all’insaputa dell’autore, a proporre Guerra ed estate ai Rabdomanti; lo stesso Gaudenzi, il 15 dicembre, aveva informato Ronconi del parere positivo della commissione, auspicando una sua presenza all’imminente lettura. Ma Luca è a Genova, per ragioni di lavoro, e da lì, il 20 dicembre, scrive, annunciando che non potrà essere a Milano di lì a due giorni:
Sono un po’ allarmato dalla imminenza della lettura: infatti avrei ritenuto opportuno, per l’occasione, portare al copione certi tagli, aggiunte e modifiche che a una recente rilettura mi sono sembrate assolutamente indispensabili. […] Credo in ogni modo che sia ormai troppo tardi per pensare a un rinvio della lettura, e spero che voi stessi abbiate pensato a portare al copione le modifiche opportune.
E, in risposta alla richiesta di una sorta di curriculum, aggiunge, imbrogliando le carte della cronologia fin qui ricostruita:
Per le notizie sulla mia attività che mi sono state richieste, la mia professione è, come sapete, quella di attore, e Guerra ed estate, che poi ho scritto già da due anni, del tutto occasionalmente, e senza attribuirvi nessuna importanza, è il mio primo e unico esperimento letterario: e credo che non avrà seguito in futuro.
Il 22 dicembre, alle Maschere, dopo la lunga lettura, di cui restano anche delle fotografie, si era svolto un dibattito, in cui non era mancato chi aveva notato analogie tra Guerra ed estate e la recentissima …e vissero felici e contenti di Enzo Biagi e Giancarlo Fusco, allestita dalla Compagnia dei Giovani con scene e costumi di Pier Luigi Pizzi, che aveva debuttato il 14 settembre 1956 al Teatro Nuovo di Milano: una commedia di costume commissionata ai due giornalisti dalla stessa compagnia e articolata in tre atti, dove si segue la vita di tre personaggi tra il 1940, l’immediato dopoguerra e l’epoca attuale.
Gaudenzi, il 28 dicembre, riferisce così a Ronconi dell’esito della serata:
Parenti è stato un veramente degno e capace interprete, sia come presentatore, che come regista. Ci mancava soltanto Lei […]. Dopo la lettura è sorta una discussione animatissima. Le dico che alle 20.30 il pubblico era ancora in sala, diviso da opposti pareri, ma a me è parso che la parte più intelligente e più viva abbia capito e, nonostante alcune riserve, sentito in Lei un vero Autore teatrale. Non importa, come Lei stesso riconosce, che la Sua commedia abbia dei difetti, importa invece che il Suo dialogo sia vivo, che i Suoi personaggi abbiano una consistenza, che dietro di essi ci sia il fervore di tutto un mondo attraverso cui tutti noi siamo passati. Questo ha capito Parenti e con lui tutti i miei attori. Quindi scriva ancora, perché Lei ha certamente le qualità di un vero e sincero autore teatrale.
Alle perplessità di alcuni spettatori Parenti aveva riferito che Ronconi era “conscio dei difetti del suo copione” e aveva “già provveduto a riscriverlo interamente”. È una spia, se pur minima, della complessa gestazione di Guerra ed estate (di cui ha fornito una traccia la nota di Giovanni Boccardo che ha accompagnato la recente riedizione del dramma). La possiamo seguire attraverso i tre testimoni noti del testo, non coincidenti tra loro: un dattiloscritto, privo di data, fitto di cancellature e di integrazioni a penna con inchiostri differenti, che Ronconi aveva conservato e che fa parte del suo archivio oggi in comodato presso l’ASAC della Biennale di Venezia, un secondo dattiloscritto, a cui si è già accennato, con la data 1956, posseduto da Squarzina, con pochissimi interventi manoscritti, e la versione andata a stampa nell’agosto 1959, che è molto vicina, per quanto non coincidente, con l’esemplare di Squarzina.
Il travaglio sul testo procede parallelo alla vicenda sentimentale con Anna Nogara, il cui diagramma non è privo di conseguenze nella vicenda che si sta ricostruendo. La coppia Luca-Anna vede anche lei progressivamente impegnata a definire una propria identità di attrice: tra il 1956 e il 1957 è coinvolta nella lunga tournée, con Renzo Ricci, Eva Magni, Glauco Mauri e Giancarlo Sbragia, di Lunga giornata verso la notte di Eugene O’Neill. Ma sempre nel corso del 1957 è accanto a Luca nell’unica regia teatrale di Antonioni, Io sono una macchina fotografica di John van Druten, che va in scena al Teatro Eliseo l’11 ottobre. Nel 1958 i due ragazzi compiono insieme un lungo viaggio in Spagna: sono a tutti gli effetti una coppia e Guerra ed estate accompagna questa storia anche perché Luca ha in animo di essere lui stesso a mettere in scena il dramma. A differenza di quello che prevedeva per un altro testo realizzato in questo frangente, ma non sopravvissuto nella sua interezza, dove Anna Nogara sarebbe stata comunque tra gli interpreti: Tre pezzi di cuore, la cui regia sarebbe stata affidata a Virginio Puecher, mentre le scene sarebbero state di Renzo Vespignani, il pittore in quel momento a Roma sulla cresta dell’onda, tra gli impegni per Visconti e quelli per De Lullo e gli apprezzamenti di Pier Paolo Pasolini. Ma la ricostruzione di questo e di altri, forse successivi, copioni di Luca (Los Alamos; Sultani paladini e profeti; Notturno; Notturno segreto; Autodafé, ancora una volta con la Nogara e scene di Vespignani…), in alcuni dei quali prende in considerazione di recitare lui stesso, è ancora da avviare tra i materiali ora a Venezia.
Tra le carte di Ronconi si trovano tre proposte di distribuzione per la messinscena di Guerra ed estate dove sono indicati gli attori che avrebbe voluto coinvolgere, ma non ne sono specificati i ruoli: i tre schemi non coincidono, nemmeno nel numero degli interpreti; e se ne ignorano le date di stesura, mentre la sequenza non è specificata. Le presenze costanti sono solo la veneta Elsa Vazzoler, classe 1920, che evidentemente avrebbe dovuto interpretare Luisa, la sorella maggiore di Clara, sposata con l’industriale fascista Gastone, e Angelo Zanolli, classe 1936, che forse sarebbe dovuto essere, stante la sua prestanza (diventerà un divo dei fotoromanzi), il giovane Agostino. Si avvicendavano, in questi progetti, nomi che sarebbero diventati più o meno celebri nel teatro del secondo Novecento, da Glauco Mauri a Luigi Vannucchi, ma in due di questi schemi fa la sua comparsa pure l’appena nominato Franco Parenti, che si sarebbe trovato ad avere a che fare con Ronconi anche negli anni successivi in tre degli spettacoli di Squarzina già menzionati (J. B.; Romagnola; Il misantropo). In queste liste c’è inoltre il recupero – un po’ come avveniva nei cast di Visconti, un po’ come avverrà in quelli di Bernardo Bertolucci – di famose attrici del cinema sul viale del tramonto, da Isa Pola a Clara Calamai.
Salta agli occhi che solo nei primi due schemi di distribuzione compare Anna Nogara alias Clara; nel terzo il suo nome sparisce, perché nel frattempo la storia d’amore tra i due ragazzi, che avevano in animo di sposarsi, comincia ad andare in crisi. Il 13 maggio 1959 Luca, da Roma, scrive ad Anna, a Milano, richiedendole indietro il testo di Guerra ed estate, mentre il progetto di una vita insieme sta sfumando e lei sta prendendo in considerazione l’ipotesi di lavorare nella stagione successiva nella compagnia di Lida Ferro, che fino a poco prima aveva gestito, insieme al regista Carlo Lari, il Teatro Sant’Erasmo a Milano:
“Perché non mi mandi il copione? Te lo rispedisco appena fatte le copie. Tanto se vai con la Ferro, sarà difficile che potremmo farlo assieme. E questa cosa veramente mi distrugge. O forse non ti piace più? Anche il fatto che tu vada con la Ferro mi dispiace in un certo senso: un po’ per la mia commedia, e poi perché penso quanto sarà difficile vederci”.
Il 10 aprile 1959 aveva debuttato al Teatro Gerolamo di Milano, con la regia di Pippo Crivelli, Giorno di nozze di Gino Negri, un’opera in un atto per voce femminile su libretto dell’autore: e la voce è la Nogara; lo spettacolo ne sanciva le grandi doti d’interprete, apprezzate persino da Montale. Qualche mese dopo Crivelli si fa latore della richiesta di incontrare l’attrice da parte di Roberto Olivetti, classe 1928, il figlio di Adriano, che dal 1958 aveva assunto il ruolo di direttore generale della società di famiglia, ma i cui interessi intellettuali sono già molteplici e tra non molto, nel 1962, con Bobi Bazlen e Luciano Foà e Alberto Zevi, sarà uno dei fondatori della casa editrice Adelphi. Olivetti s’innamora immediatamente della giovane attrice.
In questa altalena sentimentale Luca, a Roma, si è legato momentaneamente a Olghina di Robilant, classe 1934, aristocratica veneziana e versatile comparsa della café society dell’epoca, diventata celebre perché, in occasione del suo ventiquattresimo compleanno, il 5 novembre 1958, al ristorante Rugantino, in Trastevere, si era svolto uno spogliarello della libanese Aïché Nana. Ronconi era presente alla scena, che sarà resa immortale nella Dolce vita di Fellini, che – definendo con quell’espressione tanto felice un clima e un mondo – ne sanciva contemporaneamente la fine. Di quel mondo anche Ronconi aveva fatto parte: vi era stato introdotto da Enrico Lucherini, classe 1932, suo compagno d’Accademia, che stava rinunciando alla carriera d’attore per diventare, insieme a Matteo Spinola, il maggiore ufficio stampa dello spettacolo italiano.
Molti anni dopo, a giochi ormai fatti, Olghina ricorderà:
Tra le nuove promesse, avevo visto Luca Ronconi in Tè e simpatia e lo incontrai a casa di Laura Betti. Era un pulcino allora. Delicato e impaurito dal mondo dello spettacolo. Giocammo a fare i fidanzatini di Peynet, ma lui era già sposato da sempre, per carattere, per natura, per vocazione a sua madre e ai personaggi più forti del suo stesso sesso. Cercava con cauto coraggio di non apparire mai quale l’ombra di artisti confermati e di conquistare una sua autorità. Serio, borghese fino alla sofferenza, in sapore proustiano, fan di Maria Callas e di Visconti, sognava una cattedra tutta sua. Ce l’ha fatta. Bravo Luca.
Il capolavoro di Fellini usciva nel febbraio del 1960 e il 14 dicembre Anna Nogara sposava, a Londra, Roberto Olivetti: la sua inquieta traiettoria l’avrebbe portata presto su altre rive, venendo a condividere, per un lungo tratto, la vicenda artistica e umana di un regista di genio come Klaus Michael Grüber, senza escludere di ritornare, per un altro tratto, a lavorare con Ronconi, dalla ripresa a New York dell’Orlando a XX, dall’Orestea alla sfortunata Kätchen von Heilbronn, fino a Opera di Luciano Berio. Per un totale di sette spettacoli, fino al termine degli anni Settanta.
Nel frattempo su Guerra ed estate era definitivamente calato il sipario: Luca Ronconi il 7 maggio 1960 aveva debuttato, come si è già detto, nella Congiura di Prosperi, al Piccolo di Milano, regia di Squarzina. Del foltissimo cast di questa commedia (come l’avrebbero chiamata allora), dedicata alla congiura di Catilina, con Valentina Cortese a fare da Livia Sempronia, facevano parte Gianmaria Volonté, nel ruolo di Lucio Cornelio, e Paolo Radaelli, nel ruolo di Gabinio. Erano entrambi dei congiurati.
Con il primo, classe 1933, Ronconi farà la sua prima regia – La buona moglie, abbinata alla Putta onorata, di Carlo Goldoni – che debutta l’11 dicembre 1963 al Teatro Valle per la Compagnia Gravina Occhini Pani Ronconi Volonté (anche questo spettacolo non godrà dell’apprezzamento di Arbasino). Il secondo, classe 1934, appartenente a una famiglia della buona borghesia milanese, che aveva malvisto il suo darsi al teatro fino al punto di diventare, per più spettacoli, un assistente di Luchino Visconti (oltre a esserlo stato di Giorgio Strehler), occuperà un posto stabile nel sistema affettivo di Luca, fino alla sua morte che avverrà nel 2007. Nelle parole di Ronconi stesso: “la persona a cui, senza dubbio, dopo mia madre, ho voluto più bene”. Un’affermazione sorprendentemente semplice per una persona dai sentimenti tanto intricati.
A questo punto il mondo di Guerra ed estate è ormai finito per sempre, ma a tirare le fila della vicenda qui ricostruita tentativamente e a fornire una sorta di morale della favola si possono aggiungere due corollari. Tra le carte di Ronconi risalenti al passaggio tra gli anni Cinquanta e Sessanta, prima di tuffarsi definitivamente nel mondo della regia cambiando, per sempre, le regole della comunicazione teatrale, si trova un paio di liste di progetti di testi da rappresentare; salta agli occhi che in una delle due facciano la loro comparsa – oltre al Troilo e Cressida di Shakespeare, ai Masnadieri di Schiller e a un dramma di Ostrovskij, Anche il più furbo ci può cascare – due voci che hanno a che fare, in un certo senso, con quanto raccontato fin qui: La sua parte di storia di Squarzina, un dramma giudiziario, dalle coloriture ibseniane, scritto tra il 1952 e il 1955, ambientato nella Sardegna contemporanea e che avrebbe dovuto mettere in scena Strehler nel 1955, e Il processo di Maria Tarnowska, la sceneggiatura di Antonioni, Pietrangeli, Piovene e Visconti per un film mai realizzato sulla femme fatale al centro di un caso giudiziario che aveva sconvolto l’Europa al principio del XX secolo e che costituiva, fin dal 1943, una delle ossessioni del regista milanese, che lo accompagnerà fino ai suoi ultimi giorni di vita. Per Ronconi quest’indicazione, pur così sommaria, è già la prova di un interesse per una forma drammaturgica nuova, non sperimentata sui palcoscenici italiani, a cui farà in seguito riferimento, dando vita a un capolavoro come Lolita; è difficile non supporre che avesse conosciuto Il processo di Maria Tarnowska, inedito fino al 2006, dopo avere lavorato nel 1957, pur senza apprezzarlo particolarmente, con Antonioni.
Il secondo corollario si svolge nel 1966 e vede ancora una volta Luca e Anna. Lui è ormai un regista, in cerca di affermazione, che ha già al suo attivo il successo dei Lunatici, in bilico tra Peter Brook e Michel Foucault, mentre lei è impegnata a girare un anomalo film in costume di Francesco Rosi, C’era una volta, tratto dal Cunto de li cunti di Giambattista Basile (come, tanti anni dopo, Il racconto dei racconti di Matteo Garrone), i cui protagonisti sono Sofia Loren e Omar Sharif. Luca ricerca la signora Olivetti, dopo anni, perché le vuole leggere un testo che ha appena scritto, con protagonisti tre personaggi, di cui uno destinato a Marisa Fabbri, classe 1931, che sta per diventare una delle protagoniste del suo teatro nonché una delle sue più ardenti apostole. Non sono stato capace di individuare questo dramma di Ronconi tra le carte mescolate dell’archivio: so solo, dai ricordi di Anna, che riguardava Rocco Scotellaro. Il regista dei Lunatici, tanto apprezzati da Testori, si sarà ricordato che Rocco e i suoi fratelli si chiamava così proprio per via dello scrittore di Tricarico, morto trentenne nel 1953, dopo una drammatica esistenza, che a un certo punto sembrava avere trovato una sponda nella “Comunità” di Adriano Olivetti?
Nota bibliografica
- Un contesto per quest’introduzione si recupera dal testo e dalle note di L. Ronconi, Prove di autobiografia raccolte da Maria Grazia Gregori, a cura di G. Agosti, Milano 2019. L’intervista Esiste un cinema italiano?, in “Filmcritica”, X, 88 (1959), 5-11, che risulta condotta da Pasolini (impegnato a prendere le distanze, in nome del realismo, dalla nouvelle vague incipiente e a dichiarare la propria ammirazione per la lingua della Terra trema), non compare in P.P. Pasolini, Per il cinema, a cura di W. Siti, F. Zabagli, Milano 2001: risulta precedente a tutte quelle lì comparse, che decorrono dal 1962. Non so quanto sia noto negli studi sul Pasticciaccio di Gadda – sulle cui vicende editoriali sono rilevanti le notizie ora fornite in T. Tovaglieri, Roberto Longhi. Il mito del più grande storico dell’arte del Novecento, Milano 2024, 347-348, dove si apprende che, all’altezza del 1951, il romanzo sarebbe dovuto uscire nella “Biblioteca di Paragone” – l’articolo di E. Zocaro, Gadda, un caso particolare, in “Filmcritica”, X, 88 (1959), 30-33, che contiene più dichiarazioni dello scrittore sul carattere visivo della sua scrittura (costituito di “immagini piene di fatti, secondo lo stile usato dal Manzoni e dalla migliore scuola lombarda”): sono state appena valorizzate in Gadda, Germi e ‘Un maledetto imbroglio’. Un’intervista di Ettore Zocaro, a cura di F. Venturi, in Censura e autocensura tra Otto e Novecento, a cura di G.B. Boccardo e L.C. Rossi, in “Autografo”, XXXII, 71 (2024), 141-155. Inutile dire quanto sarebbe opportuna una raccolta degli scritti di Franco Parenti, di cui mi pare che non esista nemmeno una bibliografia. Guerra ed estate e la premessa di Squarzina, Una giusta iniziativa, occupano le pagine 42-85 del fascicolo; da quel momento in poi e per un po’ di numeri la rivista pubblicherà, regolarmente, dei testi teatrali inediti. Sulle vicende di “Filmcritica”: F. Segatori, L’avventura estetica. “Filmcritica” 1950-1995, Milano, 1996 (dove a pagina 76 è menzionato il testo di Ronconi). Per i rapporti tra Longhi e Barbaro: A. Uccelli, Due film, la filologia e un cane. Sui documentari di Umberto Barbaro e Roberto Longhi, in “Prospettiva”, 129 (2008), 2-40.
- Sul nodo Squarzina-Ronconi, su cui resta parecchio da riflettere e da indagare, è di un certo interesse l’osservazione di Giorgio Albertazzi, in Passione e dialettica della scena. Studi in onore di Luigi Squarzina, a cura di C. Meldolesi, A. Picchi, P. Puppa, Roma 1994, 17.
- La prima della Romagnola è vivacemente descritta in A. Arbasino, Grazie per le magnifiche rose, Milano, 1965, 9-11 (il testo risale al 1959); in questo volume, che ripercorre “tutte le avventure della drammaturgia contemporanea”, si trova anche alle pagine 338-340, una crudele stroncatura della prima regia goldoniana di Ronconi (“le idee, sostituite dai carrelli, che vanno e vengono incessantemente presentando una ridicola Venezia fra Masaccio e Rosai, quando è risaputo cosa deve succedere a quei Compagni di Strada dell’Incompetenza che sono i carrelli nel teatro moderno” e così via). Sono brani che non si vedono mai citati, non solo per rispetto o delicatezza: ma perché i nomi di Ronconi e di Squarzina non compaiono nell’indice, nutritissimo, del volume, di cui è stata fatta una recente ristampa antologica (Milano 2020), da cui l’indice, chissà perché, è stato del tutto omesso.
- Della Congiura, la tragedia in tre atti di Giorgio Prosperi, vincitrice nel 1959 del Premio Marzotto, edita nel 1960 da Feltrinelli nell’Universale Economica, esiste un diario illustrato delle prove, dove compare anche Ronconi e si possono leggere le indicazioni che, in un caso almeno, gli vengono fornite da Squarzina: Una prova registrata de La congiura di Giorgio Prosperi, in “Sipario”, 169 (maggio 1960), 19-23, in particolare le pagine 21-22.
- Guerra ed estate è ellitticamente menzionato in F. Quadri, Il rito perduto. Saggio su Luca Ronconi, Torino 1973, 15 (che fa parola anche di un altro testo “più recente” restato “nel cassetto”, forse quello dedicato a Rocco Scotellaro, a cui si accenna in chiusura). Per i ricordi di Squarzina su Guerra ed estate: L’attore Ronconi, in Luca Ronconi, la ricerca di un metodo. L’opera di un maestro raccontata al Premio Europa per il Teatro, a cura di F. Quadri, Milano 1999, 35; Il romanzo della regia. Duecento anni di trionfi e sconfitte, Pisa 2005, 395.
- Alla ormai ricchissima bibliografia su Squarzina può essere aggiunta, a testimonianza di un contatto con il mondo di “Paragone”, e in particolare con Longhi, la vicenda della mostra su Artemisia Gentileschi (e sarebbe stata la prima in assoluto), che doveva essere allestita nel 1963, a Genova, a Palazzo Bianco, in occasione della regia di Corte Savella di Anna Banti, che debutta il 4 ottobre 1963 al Politeama Genovese; un avvio è in G. Agosti, Quando anche le donne si misero a dipingere, in Fede Galizia mirabile pittoressa, catalogo della mostra, a cura di G. Agosti, L. Giacomelli, J. Stoppa, Trento, Provincia Autonoma di Trento 2022 (I edizione Trento, Provincia Autonoma di Trento, 2021), 7, ma molti nuovi dati si leggono in Tovaglieri Milano 2025, 257-258.
- Il rapporto tra Tre quarti di luna, che va a stampa nello stesso 1953, a Bologna, da Cappelli, in un volume ad hoc provvisto di foto di scena, e l’omicidio di Gentile è ricordato da L. Ronconi, in Luigi Squarzina. Studioso, drammaturgo e regista teatrale (Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 4-6 ottobre 2012), Roma 2013, 443; ma conta pure, su questa linea, A. D’Amico, La mia parte di storia, in Passione 1994, 64 (dove si riferiscono le reazioni al dramma in casa Gentile).
- Per il giudizio di Pandolfi su Guerra ed estate: Copioni nel cassetto, in “Sipario”, 150 (ottobre 1958) 3, 56. Un primo accenno al profilo intellettuale di Fernanda Ronconi l’ho fornito in Ronconi 2019, 32-34, nota 4.
- Sul film d’esordio di Maselli: Gli sbandati di Francesco Maselli. Un film generazionale, a cura di L. Miccichè, Torino 1998; per la reazione di Giangiacomo Feltrinelli: J. Duflot, Feltrinelli. Le condottiere rouge, Paris 1974, 212 (dove “Blasetti” è da correggere in “Maselli”), ma anche G. De Vincenti, Conversazione sul cinema con Francesco Maselli, in Gli sbandati 1998, 27 (con la dichiarazione di Maselli secondo cui Giangiacomo sarebbe stato “molto intrigato” dal film e “riportato alla sua adolescenza”; da qui si apprende anche che spetta a un suggerimento del giovane regista, proprio all’altezza della Donna del giorno, il passaggio di “Cinema Nuovo” alla neonata casa editrice Feltrinelli). Per il provino di Ronconi: T. Kezich, Nove registi (quasi dieci) nella villa di Toscanini, in Gli sbandati, Torino 1998, 90.
- Per il nesso tra Visconti e Ronconi, con dati e punti di vista: G. Agosti, Una fantasia su temi viscontiani, in G. Testori, Luchino, a cura di G. Agosti, Milano 2022, 359-362. Il passo citato di Ronconi su Čechov è in Ronconi 2019, 264-265.
- Della lettura di Guerra ed estate da parte dei Rabdomanti sono venuto a conoscenza grazie a C. Longhi, Marisa Fabbri. Lungo viaggio attraverso il teatro di regia, Firenze 2010, 120, nota 107. Devo ad Alberto Bentoglio la segnalazione dell’articolo Rabdomanti al lavoro. Cercano “petrolio” per la vita del teatro, in “Corriere d’Informazione” (24-25 dicembre 1956), che ha permesso di identificare il luogo preciso, gli attori coinvolti e la data della lettura, mentre le fotografie riprodotte in “Hystrio”, VI, 4 (1994), 84-85 (dove si trova anche, alle pagine 77-92, una ricostruzione, a più voci, della storia dei Rabdomanti), mi sono state segnalate da Giovanni Boccardo, a cui devo anche la conoscenza del carteggio con Angelo Gaudenzi; dalla lettera del 28 dicembre si deduce che sarebbe dovuto uscire un articolo sulla “Prealpina”, fin qui non identificato. I lettori di Guerra ed estate al Teatro alle Maschere erano, oltre a Franco Parenti: Anna Serra, Lina Bolis Maffi, Corrado Aprile, Dora Morini, Lucio Morelli, Fabio Carraresi, Paola Boccardo, Amilcare Casati, Giovanna Forlivesi, Luigi Carletti, Adolfo Ferrari, Emma Poli, Ebe Ghielmetti e Rosalba Corino. Per la menzione longhiana di Parenti: R. Longhi, Consuntivo caravaggesco [1951], in Studi caravaggeschi. Tomo I. 1943-1968, Firenze 1999, 39; per il contesto: P. Aiello, Caravaggio 1951, Roma (I edizione, Milano 2019) 2020.
- Tra i materiali dell’Archivio Ronconi, riordinati da Rossella Santolamazza e oggi depositati da Roberta Carlotto presso l’ASAC della Biennale di Venezia, in AG 12 si trovano, accanto al dattiloscritto di Guerra ed estate, alcuni disegni, a penna, di costumi e schemi di scenografia, che tuttavia non possono essere riconducibili, per ragioni di iconografia, al testo in questione: alcuni sono riprodotti, a corredo di un articolo di Anna Bandettini, Un mistero lungo 50 anni, in “la Repubblica. Robinson” (20 maggio 2018), 35-37; in AG 12 sono pure le prove di locandina di Guerra ed estate e quella per Tre pezzi di cuore, con l’indicazione di Vespignani, per i cui accrediti e contatti con il mondo del teatro: Agosti, Una fantasia su temi viscontiani, 354-355 (a cui sono da aggiungere le scene per I sette peccati capitali di Bertolt Brecht e Kurt Weill con la regia di Squarzina, che debuttano all’Eliseo il 14 maggio 1961, e l’effetto provocato dalla sua pittura degli esordi sul giovane Maselli: De Vincenti, Conversazione sul cinema con Francesco Maselli, 20). Gli altri testi teatrali di Ronconi menzionati sopra sono in AG 14.
- Gli attori che Luca prevedeva di coinvolgere nell’allestimento di Guerra ed estate sono i seguenti (il numero romano che segue ciascun nome fa riferimento alle tre proposte di distribuzione di cui resta testimonianza in archivio): Anna Maria Alegiani (III); Wanda Benedetti (II, III); Gino Buzzanca (II, III); Clara Calamai (I); Pina Cei (I); Giovanna Galletti (II); Renzo Giovampietro (II); Glauco Mauri (I); Camillo Milli (II, III); Achille Millo (III); Gastone Moschin (I); Anna Nogara (I, II); Franco Parenti (II, III); Vera Pescarolo (I); Marisa Pizzardi (II, III); Isa Pola (III); Giusi Raspani Dandolo (II, III); Winni Riva (II, III); Luigi Vannucchi (I); Elsa Vazzoler (I, II, III); Angelo Zanolli (I, II, III).
- Per Giorno di nozze, che era presentato insieme a un’altra opera di Negri, Il tè delle tre, entrambi con scene di Maria Grazia Crespi, e per la collaborazione di Anna Nogara con il musicista, reduce dall’aver arrangiato le musiche di Weill dell’Opera da tre soldi per Strehler: M. Moiraghi, Voglio un monumento in Piazza della Scala. La Milano musicale di Gino Negri, Roma 2011, 25-26, 59-63. Conosco la lettera di Ronconi del 13 maggio 1959 grazie alla disponibilità della destinataria.
- La citazione di Olghina di Robilant è tratta da Sangue blu, Milano 1991, 305. Non sono più stato in grado di rintracciare il bellissimo necrologio di Ronconi scritto dalla stessa Olghina per il suo blog, oggi irrecuperabile sull’internet: l’avevo segnalato, provvisto di indirizzo, in Ronconi 2019, 335-336, nota 7. Per il matrimonio di Anna Nogara: C. Cederna, Il lato debole. Diario italiano 1956-1962, Milano 1977, 243, ma vedi anche Il lato debole. Diario italiano 1963-1968, Milano 1977, 64-65 (“Anna Olivetti Nogara, una giovane e attraente signora, nemica del trucco, amante del vestire insolito e bizzarro, dotata d’una gran bella voce, che a periodi è anche attrice, dicitrice, cantante”). Su Roberto Olivetti un mosaico di testimonianze – da Aldo Bassetti a Piero Dorazio, da Dorothy Monet a Inge Feltrinelli – è contenuto in Roberto Olivetti, a cura di D. Olivetti, Roma 2003, 87-168. Continuo ad auspicare che, prima o poi, si arrivi a stilare un profilo della vicenda intellettuale di Paolo Radaelli: getterebbe una luce, non indifferente, su quella di Ronconi.
- Per queste poche pagine devo ringraziare più persone, a partire da Roberta Carlotto e Anna Nogara: Alberto Bentoglio, Giovanni Battista Boccardo, Giovanna Bosman, Silvia Danesi Squarzina, Claudia Di Giacomo, Sandro Lombardi, Riccardo Ripani, Giorgio Sangati, Jacopo Stoppa, Tommaso Tovaglieri, Maria Zinno.
English abstract
Written by Ronconi in 1956 and published in “Filmcritica” in 1959, Guerra ed estate, a “drama in 3 acts”, is the director’s only dramatic work. In this expanded introduction, compared to the version published by Feltrinelli in 2024, we intend to reconstruct the context in which the play was written, from his acting debut with Squarzina to his artistic and intellectual circles in 1950s Italy.
keywords | Luca Ronconi; Guerra ed estate; theatrical comedy.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)
Per citare questo articolo / To cite this article: Giovanni Agosti, Intorno a Guerra ed estate, “La Rivista di Engramma” n. 224, maggio 2025.