"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

125 | marzo 2015

9788898260706

“Symbol tut wohl!”

Il simbolo fa bene! Genesi del blocco ABC del Bilderatlas Mnemosyne di Aby Warburg

Silvia De Laude

English abstract

Per monstra ad sphaeram!
(Aby Warburg, l’ex libris di Franz Boll con punto esclamativo, in un appunto, 1925)

Il nostro glorioso Atlante, dai cui singoli fogli altri
potranno poi spigolare la loro insalata di cavolo
(Aby Warburg a Fritz Saxl, 22 settembre 1927)

Per la prima volta con grande dispiacere
non posso condividere un aperçu con
il mio caro Boll.
(Aby Warburg, Diario 1929)

1 | Mnemosyne Atlas, gruppo delle prime tre tavole A B C: le coordinate della memoria; vedi Iter per labyrinthum lettura di A B C.

Se si confrontano le fotografie sopravvissute delle diverse versioni dell’Atlante (oltre naturalmente agli schemi a penna, agli appunti, alle annotazioni programmatiche), il blocco ABC risulta aggiunto alla compagine dell’opera incompiuta di Warburg solo nella fase finale della sua elaborazione. Certo, in ogni caso, dopo la presentazione alla Biblioteca Hertziana di Roma (19 gennaio 1929) dell’Atlante, che prevedeva un diverso inizio, non sull’“orientamento” (Orientierung) ma direttamente su “polarità” e “inversione energetica”, a illustrazione di un pannello dove erano appuntate immagini in seguito dirottate altrove (soprattutto verso la tavola 7).

A Roma non si era parlato di “orientamento”, e neppure di immagini astrali. Una stranezza, per chi conosce gli studi di Warburg e l’ultima versione dell’Atlante (autunno 1929), documentata però in modo incontrovertibile sia dalla traccia della conferenza (in Engramma n. 119) che dalle fotografie dei pannelli esposti nella Sala grande dell’Hertziana.

Quello che dicono per immagini le tavole del blocco ABC, invece, si trova anticipato in due conferenze astrologiche poco note del 1913, in diversi scritti del 1924-1925 (li vedremo in dettaglio) e soprattutto nella conferenza del 1925 sulla Sphaera barbarica di Franz Boll – il primo lavoro importante di Warburg dopo il periodo della malattia, e quello in cui il redux dalla clinica psichiatrica Bellevue, diretta da Ludwig Binswanger, tenta in modo più scoperto un bilancio della sua riflessione e della sua stessa esistenza. È evidente, rileggendone la traccia, come l’oratore in quell’occasione parli di Boll, guida e amico ‘insostituibile’ – dotto conoscitore di astrologia e folklore nel mondo antico, letterato finissimo e arguto, da cui era rimasto affascinato anche Giorgio Pasquali (Pasquali [1953] 2013, 125), ma come parli insieme anche di sé e della sua lotta con i mostri, identificando in quella lotta la matrice di tutto il suo lavoro.

Abbozzi e minute dimostrano che la commemorazione dell’amico scomparso era stata preparata in collaborazione strettissima con Fritz Saxl, come tutti gli altri scritti del periodo di Kreuzlingen – la lettera ad Alfred Doren del 31 marzo 1923 si chiude addirittura con un Addendum di Saxl “sulla ruota della Fortuna e l’idea di evoluzione” (Stimilli-Wedepohl [2008] 2014, 15). E sempre Saxl, nel discorso pronunciato pochi giorni dopo la morte di Warburg, ha scritto una pagina che sembra la precisa descrizione di questo primo blocco dell’Atlante:

La conquista di Kreuzlingen è l’inizio di tutto. Tutto il pensiero dell’uomo aspira all’orientamento. Nel cielo egli cerca di riunire i punti scintillanti in costellazioni, con l’aiuto di forme di animali o di uomini, per orientarsi. E, sulla terra, cerca di cogliere, per mezzo della rappresentazione sulla mappa, la via che collega un paese con un altro paese e, nell’ambito umano, per mezzo di una tavola genealogica, la relazione degli uomini fra di loro: dal padre al figlio fino ai nipoti. (Saxl [1929] 2004, 169-170)

E ancora: 

L’atto fondamentale della conoscenza umana è orientarsi di fronte al caos attraverso la posizione di immagini o di segni.

Nel suo rapporto con il cosmo l’uomo si muove fra due poli: o trae il cosmo giù verso di sé, si pone attraverso la magia come eguale all’universo e sparpaglia i segni zodiacali sul suo corpo per esercitare il proprio influsso sull’universo, oppure pone la distanza attraverso la matematica, e al posto del demone del pianeta Marte con il capo mozzato del nemico, subentra il segno matematico, la curva ellittica dell’orbita planetaria. (Saxl [1929] 2004, 170)

La mia ipotesi è che Saxl sia, in qualche modo, l’ispiratore della scelta di aprire l’Atlante sul tema dell’“orientamento”, e che lui abbia portato Warburg a riprendere e sviluppare quella definita nel discorso commemorativo “la conquista di Kreuzlingen”, “l’inizio di tutto”.

Potrebbe aver contribuito a questo tardivo intervento sull’Atlante – l’aggiunta, intendo, del gruppo ABC – una circostanza. Tornato ad Amburgo dopo l’ultimo viaggio in Italia (1928-1929), Warburg aveva ripreso a lavorare con Saxl in modo più che mai simbiotico, per riordinare i materiali raccolti per Italia e per organizzare una mostra-conferenza di argomento cosmologico, con la quale si sarebbe dovuto inaugurare il Planetario di Amburgo. Warburg non sarebbe riuscito a vederla, sarebbe infatti morto il 26 ottobre 1929, qualche mese prima dell’inaugurazione del Planetario. Il titolo scelto per la mostra comunque – ci torneremo – era Bildersammlung zur Geschichte von Sternglaube und Sternkunde, cioè Una raccolta di immagini per la storia della credenza e la conoscenza delle stelle, con dittologia che riprende il primo termine (Sternglaube) del titolo del libro di Franz Boll e Carl Bezold ispirato proprio da Warburg, e ne varia (con Sternkunde) il secondo (Sterndeutung) (Boll, Bezold [1918] 2011). L’allestimento sarebbe stato portato a termine da Saxl, e rappresenta il punto d’arrivo di un pensiero sull’“orientamento” sviluppato insieme nel corso degli anni.

Non è detto che questa soluzione, alternativa a quella presentata alla Biblioteca Hertziana nel gennaio del 1929, sarebbe stata definitiva: lo è risultata in quanto ultima, e non più sostituibile da altre, ma l’Atlante è un lavoro in fieri, e se la versione che si apre col blocco ABC si considera “definitiva”, è solo perché la morte dell’autore ha impedito che ce ne fossero altre. Mai, insomma, è stata licenziata dall’autore in vita con un ne varietur. Accanto a tavole di grande complessità sintattica, che hanno l’apparenza della compiutezza, ne esistono nell’Atlante di più sperimentali, quasi la rappresentazione visiva di quelle che in filologia sono definite “varianti alternative”: “lezioni concorrenti tra le quali l’autore non sa decidersi, o comunque non dà a intendere per segni certi di sapersi decidere” – di fatto, comunque siano registrate sulla pagina, possibilità rimaste aperte, anche nel caso in cui la lezione a testo non sia cancellata (Isella 1984, XXV). Si è parlato, per questo tipo di interventi ‘sperimentali’ su un testo preesistente, di “varianti ballon d’essai”: modifiche introdotte in un testo in modo provvisorio, a volte anche saltuario, per vedere il loro effetto sull’insieme e senza alcuna certezza che sarebbero state accolte (De Laude 2009).

Credo sia il caso del blocco ABC (preferisco chiamarlo così, piuttosto che insistere sulla singolarità delle tre tavole): una prova, coerente al suo interno, di revisione dell’Atlante come era stato presentato pochi mesi prima a Roma – ma, appunto, una prova. Forse per questo le tre tavole sono contrassegnate da lettere dell’alfabeto e non da numeri: per non cancellare il disegno preesistente, e insieme ribadire il carattere di provvisorietà dell’aggiunta.

Warburg e Saxl, si è detto, nell’autunno del 1929 avevano lavorato insieme con particolare intensità (Warburg [1930] 1993). Il blocco ABC sembra l’effetto di quel lavoro condiviso, che aveva portato Warburg a riprendere – con Saxl – spunti sviluppati e condivisi fin dagli anni di Kreuzlingen: una conferma in atto di cosa intendeva Warburg quando parlava dell’Atlante come di un’opera costruita con l’apporto di più individui appassionati allo stesso problema (si veda il saggio di Joacim Sprung e Monica Centanni in Engramma n. 35); “il nostro glorioso Atlante”, come scriveva proprio a Fritz Saxl il 22 settembre 1927.

Quello che presento qui, dunque, è un tentativo di ricostruire negli scritti di Warburg, con qualche necessaria premessa, l’emergere della nozione di “orientamento” come prima aspirazione del pensiero umano, che subito si traduce nella posizione di immagini o segni. È in questa chiave, almeno negli ultimi mesi del 1929, che Warburg e il suo collaboratore vogliono montare la sequenza dei loro fogli, e offrirla ad altri che “ne potranno spigolare la loro insalata di cavolo”.

1. La presentazione dell’Atlante alla Biblioteca Hertziana di Roma (29 gennaio 1929)

Non coinvolgeva in modo diretto l’idea di “orientamento”, come ho detto, l’allestimento immaginato per la presentazione romana, organizzata da Ernst Steimann per inaugurare la Sala grande della Biblioteca Hertziana – la prima presentazione ufficiale dell’Atlante nel suo insieme, nonostante la riduttività del titolo (L’antichità romana nella bottega di Domenico Ghirlandaio). Così il diario romano tenuto insieme a Gertrud Bing, una volta raggiunta la “disposizione definitiva” delle tavole:

Warburg (11 novembre 1929): stamane alle 5,30 la disposizione definitiva: inversione energetica; magnetizzazione; scissione dei poli: quiete (raccoglimento) + quadro di devozione fiamminga e movimento (trionfo della scultura antica) in Ghirlandaio […].

Warburg (14 gennaio 1929): mattina. Se si concepisse la conferenza sotto l’aspetto puramente storico-espressivo e si scegliesse come titolo: la mneme che forma consapevolmente – mneme (sociale) – il ricordo, antitesi tra vittoria [Sieg] e commozione [Ergriffenheit]; essere vinti / sconfitti [Besiegtheit / Niederlage] come valore espressivo che configura una pre-coniazione, a tutto ciò corrisponderebbe: Introduzione: inversione energetica; determinazione del valore polarizzante [die polarisiende Werbestimmung] (Warburg, Bing [1928-1929] 2005, 40- 42).

Nel diario resta testimonianza di altre soluzioni per l’ouverture, tra cui una, lasciata cadere, incentrata sulla figura di Perseo (“il redentore antico che si redime dal mostro”, “colui che combatte il mostro” – altrove definito il “simbolo della temerarietà energetica dell’umanità eroica”). Quella che pone l’accento sulla polarità e sull’arte antica come repertorio di formule di pathos è effettivamente la chiave scelta per introdurre l’“officina” dell’Atlante e l’“esperimento iconologico” cui come “semplice operaio” l’oratore nell’“officina” dichiara di aver atteso: 

Sento il grande onore di poter parlare oggi per l’inaugurazione della Sala grande della Biblioteca Hertziana come una straordinaria onorificenza. Esprimo perciò un sincero e sentito ringraziamento al generoso spirito collegiale del nostro professor Steinmann. Nell’allestimento così poco formale della serie di immagini che ci circondano, vorrei aderiste benevolmente al mio desiderio di vedere in questo bello spazio un’officina, cui accedo come un operaio. Abbiamo appeso intorno a voi fogli, per così dire, freschi di stampa, nella speranza di una vostra partecipazione critica. Che questo esperimento iconologico possa porsi solo come anticipazione, benché abbia alle spalle trent’anni di lavoro preparatorio, sarà subito chiaro a chi conosca lo stato della scienza della cultura storico-artistica che unisce i saperi più diversi.
Ritengo tuttavia quanto mai fecondo il più stretto contatto tra l’archeologia, la storia dell’arte e un’esatta scienza storico-sociologica. A tutto ciò si aggiunge un nuovo campo di indagine, finora sottovalutato come una mera curiosità. Jacob Burkhardt, che è sempre la nostra guida, ci ha lasciato una chiara direttiva: “L’essenza della festa nella sua forma più alta in Italia è un autentico trapasso della vita nell’arte” (Burkhardt [1860] 2006, 310).

Si impone oggi la missione non ancora adempiuta di dimostrare nella sua importanza per le arti figurative il significato della forza generatrice di stile della vita in movimento. Infatti, solo seguendo la struttura conseguente delle immagini in posa della nostra serie di temi [die konsequente Verfolgung des bildinhaltlichen Gefüges unserer Themenreihe] si perviene ad una sicura comprensione di come nel Quattrocento fiorentino movimenti e costumi della festa abbiano direttamente condizionato l’impronta della creazione artistica. È il momento ora di andare oltre, e di cercare di riconoscere in questa funzione dell’“essenza della festa” un fenomeno più in generale europeo, spingendosi fino all’Olanda.
Alcune rappresentazioni della polarità spirituale, che sopravvive nel ciclo di sofferenza e passione a ogni tentativo di civilizzazione, hanno potuto dare col loro valore euristico un punto fermo centrale a chi osserva con attenzione l’interconnessione storica complessiva.

Un riflesso dell’idea di “orientamento” si riconosce nell’idea di un “punto fermo centrale” da cui osservare le “rappresentazioni della polarità spirituale”. E più in generale, come mi suggerisce Alice Barale, dove negli appunti ‘italiani’ è affrontato il tema energetico, che è forse il vero legame e punto di intersezione tra il motivo della rinascita-polarizzazione dell’antico e dell’orientamento – basta pensare, del tema energetico, alle declinazioni di eliotropismo, o ascesa-discesa.

Nel testo presentato all’Hertziana, comunque, il termine comunque non compare, né compare nelle pagine del diario in cui Warburg e la sua assistente prospettano integrazioni da apportare all’“introduzione della conferenza”, perché possa diventare l’introduzione dell’Atlante tout court. Come questa, che porta la data del 28 gennaio 1929, e addirittura ipotizza un allargamento sull’interpretazione “tipologica” o “figurale”:

Bing: Il testo dell’Atlante è stato reso possibile dall’introduzione della conferenza, ma se vuole diventare una introduzione metodologica a tutta l’opera dovrà essere ancora notevolmente ampliata. Così, ad esempio, riguardo al concetto psicologico della polarità come principio euristico, sarà necessario aggiungere una discussione sull’idea di mutamento tra presa di distanza e incorporamento [Einverleibung]

Warburg: metafora e tropi

Bing: […] L’introduzione alla prima tavola mi sembra una delucidazione quasi completa del concetto di ‘inversione’ energetica, alla quale aggiungerei tuttavia l’interpretazione del pensiero tipologico.

Warburg: È altrettanto facile confondere l’imperatore che restituisce la provincia (elemento della donna che giace a terra) col tipo di Cristo che libera i Patriarchi. (Warburg, Bing [1928-1929] 2005, 45-46)

Quasi mai associata al nome di Warburg, l’interpretazione “figurale”, resa celebre nel Novecento nel campo degli studi letterari e artistici da Erich Auerbach, emerge qui in modo meno estemporanea di quanto possa sembrare sulle prime, se si considera uno straordinario testo frammentario scritto a Kreuzlingen nell’aprile del 1924, Le forze del destino riflesse nel simbolismo all’antica (WIA III.93.12.1; sottotitolo: Pensieri sulla funzione polare dell’antichità nella trasformazione energetica della personalità europea nell’epoca), in cui si legge fra l’altro:

Per la pietas medioevale il passato è sub adumbratione (in senso tropologico) il sacrificio volontario di Cristo, il presente risiede nel sacramento sull’altare e il futuro nel giudizio universale.

Grisaille come spazio degli eroi storici. È quasi sempre un segno d’energia positiva. Mantegna, Ghirlandaio, Signorelli (Cristo con la ferita nel costato-Muzio Scevola) […] Giustizia di Traiano (Stimilli-Wedepohl [2008] 2014, 26-27; corsivo mio).

E ancora:

Sulla facciata di San Bernardino a Perugia è raffigurato san Bernardo che risveglia alla vita un bambino annegato. Si vede la madre ritornare a casa, piena di gratitudine, con il bambino riportato a vita. Sopra il suo capo si inarca una veste rigonfia come una vela.
Questa scena di salvataggio è presa di peso da un sarcofago con Medea (proprio di questo sarcofago sappiamo che era murato nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli). La donna in cammino con il bambino salvato è Medea, la quale si allontana con i figli che vuole uccidere. Non si può esprimere in modo più sorprendente la volontà di trasformazione del cristianesimo rispetto alle pratiche orgiastiche. La madre che, pateticamente commossa e piena di gratitudine, riporta a casa il bambino salvato dal santo, si serve del pathos dell’antica infanticida per esprimere il sentimento più estremo (Stimilli-Wedepohl [2008] 2014, 30).

L’allargamento tipologico o figurale è rimasto solo in potenza, ma tutto fa pensare che eventuali trasformazioni dell'Atlante sarebbero andate piuttosto, nella fase romana, in direzione di un approfondimento dell’inversione energetica e del pathos – dato che il “superlativo patetico” delle Pathosformeln ha tra i suoi modelli la teoria del linguista Hermann Osthoff Sulla natura suppletiva delle lingue indogermaniche (1899), e a un “supplettivismo” patetico sul piano dello stile, quello dei dettagli in movimento mutuati dall’antico, è lecito affiancare un “supplettivismo” di tipo iconografico”, come quello che ha il suo exemplum per Warburg nel tema già citato della “Giustizia di Traiano” (Vinco 2004), e illustrato nell’Atlante soprattutto in tavola 5 e tavola 72, la cui didascalia dichiara:

Giustizia di Traiano: inversione energetica dell’atto di travolgere cavalcando. Inversione etica del pathos del vincitore. Continenza di Scipione.

Sarà forse l’effetto della città, parsa anche a Sigmund Freud in una pagina famosa del Disagio della civiltà non tanto “un abitato umano” ma “un’entità psichica dal passato similmente lungo e ricco, un’entità, dunque, in cui nulla di ciò che un tempo ha acquistato esistenza è scomparso, in cui accanto alla più recente fase di sviluppo continuano a sussistere fasi precedenti”:

Nel caso di Roma ciò significherebbe quindi che sul Palatino i palazzi dei Cesari e il Septizonium di Settimio Severo si ergerebbero ancora nella loro antica imponenza, che Castel Sant’Angelo porterebbe ancora sulla sommità le belle statue di cui fu adorno fino all’assedio dei Goti, e così via. Ma non basta: nel posto occupato da palazzo Caffarelli sorgerebbe di nuovo, senza che tale edificio dovesse esser demolito, il tempio di Giove Capitolino, e non soltanto nel solo suo aspetto più recente, quale lo videro i romani dell’epoca imperiale, ma anche in quello originario, quando ancora presentava forme etrusche ed era ornato di antefisse fittili. Dove ora sorge il Colosseo potremmo del pari ammirare la scomparsa Domus aurea di Nerone; sulla piazza del Pantheon troveremmo non solo il Pantheon odierno, quale ci venne lasciato da Adriano, ma, sul medesimo terreno, anche l’edificio originario di Marco Agrippa; sì, lo stesso terreno risulterebbe occupato dalla Chiesa di Santa Maria sopra Minerva e dall’antico tempio su cui fu costruita. E a evocare l’uno o l’altra veduta, basterebbe forse soltanto un cambiamento della direzione dello sguardo, o del punto di vista da parte dell’osservatore. (Freud [1930] 1978, 562-63).

Comunque sia, al Warburg ‘romano’ – o più in generale al Warburg dell’ultimo viaggio in Italia – l’orientamento dell’uomo nel cosmo interessa meno della sopravvivenza dell’antico, o della folgorante coesistenza in Roma della “città dell’alloro e della palma” (l’alloro dell’imperatore trionfante, la palma dei martiri), espressione della conferenza Hertziana ripresa con variazioni in altri scritti coevi compresa la postuma Introduzione a Mnemosyne, iniziata nel 1929, i cui fuochi sono appunto l’ambiguità di Roma e l’antico che si traveste per sopravvivere:

In realtà il Colosseo, situato a pochi passi dall’Arco di Costantino, ricorda impietosamente ai Romani del Medioevo e del Rinascimento che nella Roma pagana l’impulso primordiale al sacrificio umano aveva ottenuto con la forza il suo luogo di culto, e fino ad oggi continua a mostrarsi in una inquietante duplicità: attraverso la corona trionfante dell’imperatore e attraverso il martire.

È in qualche modo un ritorno di fiamma, un ritorno ai temi avevano appassionato di più Warburg all’inizio della sua ricerca, e che poi si erano ampliati, ma si erano ripresentati durante il viaggio in Italia e soprattutto nel lungo periodo trascorso a Roma in modo da poter essere osservati con la complessità di sguardo di chi aveva sconfitto la fase acuta della malattia, ed “era solito parlare di sé come un revenant che era tornato dalla terra dei morti” (Gombrich [1970] 1983, 198).

Per quanto latente, insomma, l’interesse per l’“orientamento” al momento della presentazione romana dell’Atlante non è prioritario. Meno importante comunque di mostrare come un bassorilievo forse proveniente dal foro traianeo in cui un imperatore trionfante è sul punto di travolgere una figura femminile ai suoi piedi, si sia conservata fino a noi grazie a un fenomeno di “inversione” energetica: nell’arco di Costantino, è letta come immagine di clemenza dell’imperatore, che per pietà trattiene il suo cavallo. L’interpretazione “tipologica” innesca una procedura che nel linguaggio giuridico si potrebbe definire di exequatur. L’interdetto è bloccato, anche se il rilievo trova cittadinanza reinterpretato come l’espressione, da parte dell’imperatore, dei due valori eminentemente cristiani di pietà e giustizia.

È la mutata polarizzazione dell’immagine di cui dà il testimonianza il passo di Dante, lungamente discusso nella conferenza, in cui “Traiano imperadore” e la “vedovella” si trovano scolpiti sulla prima cornice del Purgatorio (X, 77-93), sulla quale il poeta si incammina con la sua guida, rapito dai bassorilievi:

I’ dico di Traiano imperadore;
e una vedovella lì era al freno,
di lagrime atteggiata e di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno
di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
sovr’essi in vista si movieno.
La miserella intra tutti costoro
parea dir: “Segnor, fammi vendetta
di mio figliuol ch’è morto, ond’io m’accoro”:
ed elli a lei rispondere: “Or aspetta
Tanto ch’i’ torni”; e quella: “Segnor mio”,
come persona in cui dolor s’affretta,
“se tu non torni?”; ed ei: “Chi fia dov’io,
la ti farà”; ed ella: “L’altrui bene
a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?”;
ond’elli: “Or ti conforta; ch’ei conviene
ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova:
giustizia vuole e pietà mi ritiene”. 

All’interno delle conferenze, la lettura di lunghe citazioni dantesche era nella prassi (si pensi a Boll, Bezold [1918] 2011). Warburg, a Roma, avrà fatto lo stesso, anche se la traccia sopravvissuta conserva solo gli estremi dei versi purgatoriali. Quanto all’immagine – scena la donna che ferma l’imperatore a cavallo gettandoglisi ai piedi, se ne ricorderà Botticelli nell’illustrazione alla Commedia che compare nella tavola 52 dell’Atlante con questa didascalia:

Traiano che si ferma con le truppe per rendere giustizia a una vedova.

Ha senz’altro un’importanza capitale, per Warburg, che la storia dell’imperatore e della vedova si trovi scolpita nel marmo, come esempio sommo di “visibile parlare” (Collareta 2005): concepita come una “sceneggiatura” di cui sono indicati i caratteri, e la scena trascritta sul marmo è “l’inaudita scultura di un dialogo. Il marmo conversa!” (Sermonti 1990, 155).

Warburg, d’altra parte, non ignorava che la tradizione di questo dialogo leggendario risale all’IX secolo, e che la popolarissima biografia di san Gregorio Magno in cui si inaugura lo sketch è integrato da un corollario miracoloso, che riguarda l’osservatore delle immagini

Transitando per il foro di Traiano, papa Gregorio, commosso proprio dall’evocazione della leggenda dell’imperatore (che, onorando la vocazione individuale alla carità, s’è umiliato a consolare e risarcire la pena d’una povera donna), con tanta accensione di zelo prega il buon Dio per la sua salvezza, da ottenerla. Questa, la gran vittoria del santo, che Dante celebra in didascalia. (Sermonti 1990, 155)

Così suona infatti l’introduzione-rubrica al celebre passo dantesco, che al tempo stesso apre uno squarcio sul potere delle immagini e chiude un cerchio: 

Quiv’era storïata l’alta gloria
del roman principato, il cui valore
mosse Gregorio a la sua gran vittoria. (Dante, Purg. X, 73-75)

Un’immagine che nasce con ogni probabilità da un fraintendimento può provocare a sua volta, per un singolo, uno choc che ha capitali ripercussioni esistenziali (e soteriologiche) sulla sua vita.

“Formazioni di compromesso”? Eredità ‘patetiche’ di cui accoglienza nel quadro di una nuova cultura ha l’effetto di disconoscerne la vera natura? Sta di fatto che non siamo molto lontani dal fenomeno studiato per il cambio di radice dei superlativi dal già citato Hermann Osthoff:

In questo caso non è lo stile che ha bisogno di innesti suppletivi provenienti da altre tradizioni figurative, ma è un tema iconografico che rafforza e amplia la propria capacità espressiva venendo a contatto con ambiti culturali diversi da quelli in cui era sorto. (Vinco 2004, 140)

Dopo la conferenza del 29 gennaio, e probabilmente fino alla partenza da Roma – i pannelli erano rimasti esposti all’Hertziana – Warburg lo aveva ottenuto dal direttore della Biblioteca, per poter ripensare e modificare più comodamente la disposizione delle immagini esposte – molto meglio che nella suite dell’Hotel Eden, a pochi passi di piazza di Spagna, quartier generale romano del bricolage delle operazioni ‘atlantiche’.

Un mese dopo, il 10 febbraio, un accenno ellittico a “Babilonia” fa supporre per la sequenza dell’Atlante una nuova apertura, con un pannello probabilmente vicino all’attuale tavola 1 della versione “definitiva”:

Il pomeriggio ho allestito Mnemosyne su due supporti di tela di iuta. Ora si ha una visione d’insieme di tutta l’architettura da Babilonia fino a Manet: così la si può sottoporre a una critica spietata. (Warburg, Bing [1928-1929] 2005, 53)

Anche in questo caso, però, l’Atlante ‘babilonico’ non privilegia l’“orientamento”. E pare preminente l’interesse di chiuderlo con Manet.

“Manet, Manebit!”, si legge in un appunto di quel periodo. Amante di aforismi, massime e bon mots, Warburg si era subito appropriato con entusiasmo del motto inventato per Manet dall’editore di Charles Baudelaire, Auguste Poulet-Malassis (Warburg [1928-29], 809).

2. Il filo da seguire

Tutto, insomma, fa pensare che il blocco ABC sia saldato più tardi alla macchina dell’Atlante, certo dopo il ritorno ad Amburgo, anche se il filo che riprende è antico, e fa la sua comparsa, come detto, in due conferenze amburghesi del 1913; si precisa in alcuni appunti del periodo di Kreuzlingen (1924); è sviluppata nella commemorazione di Franz Boll (1925), e riproposta nel 1927, sempre all’interno di un progetto cosmologico (un’esposizione al nuovo Museo della Scienza e della Tecnica di Monaco, mai andata in porto), per essere recuperata due anni dopo, al ritorno dall’ultimo viaggio in Italia, con un’urgenza e un investimento emotivo ancora più grandi, quando a Warburg e ai suoi collaboratori era stato dato l’incarico di allestire per l’inaugurazione del Planetario una mostra sulla “storia della credenze nelle stelle” (Warburg [1930] 1993). 

Dico subito che una conferma della legittimità di questo filo da seguire si trova nello scritto autobiografico Da arsenale a laboratorio. Uno sguardo retrospettivo alla mia vita (1927), relazione indirizzata ai familiari che finanziavano il suo progetto di ricerca (presenti alla lettura della relazione, il 16 dicembre 1927, Max M. Warburg, Fritz Warburg, Erich Warburg, Max A. Warburg, oltre al fido Saxl). Allo scritto, Warburg dà la forma di un’anamnesi delle ossessioni e delle linee di ricerca portanti della propria vita. Gli studi ad Amburgo e Bonn. Il primo periodo fiorentino. L’esperienza fra gli Hopi del New Mexico. L’interesse (nel solco del venerato Burkhardt) per le “feste” come forma di transizione fra l’arte e la vita. È a suo modo una specie di bilancio, che allude fra l’altro, in modo deciso ma con un’esibita reticenza (“e non voglio entrare ora in particolari”), a un allargamento di interessi successivo all’iniziale focalizzazione intorno al “perno” dell’“influenza dell’antichità”: 

Per non rischiare che i miei progetti si disperdessero nell’infinito, mantenni, come perno delle mie ricerche, il tema dell’influenza dell’antichità. Questo proposito fu messo a dura prova quando più tardi – e non voglio entrare ora in particolari – fui posto di fronte al compito di considerare l’opera figurativa non solo come specchio della vita storica, ma anche come strumento per orientarsi nel cosmo celeste. Da quando nel 1907 avevo letto Sphaera del mio indimenticabile amico Boll, avevo infatti potuto includere nelle mie considerazioni lo sviluppo dell’elemento cosmologico con la sua ricchezza di immagini, sicché, assieme al mio amico e fedele assistente Fritz Saxl, riuscimmo a creare una scienza dell’orientamento in forma di immagini che ci autorizzò a parlare di una nuova storia dell’arte scientifico culturale che non avrebbe avuto né limiti temporali, né limiti spaziali, anche se poi cronologicamente concentrammo la nostra attenzione sul periodo dal 2000 a.C. al 1650 d.C., mentre geograficamente ci ritagliammo l’ambito mediterraneo, dovendo analizzare il territorio che va dal Kurasan all’Inghilterra, dall’Egitto alla Norvegia (Warburg [1927] 2002, 142; il corsivo è nel testo).

Messo in evidenza con una marcata sottolineatura a penna nel manoscritto del discorso, il riconoscimento della necessità di considerare l’opera anche quale “strumento per orientarsi nel cosmo celeste” è inequivocabile, come inequivocabile è l’ammissione del debito contratto in questo snodo della ricerca con la Sphaera di Boll, letta e studiata insieme all’“amico e fedele assistente Fritz Saxl”. Una triangolazione – questa di Boll, Warburg, Saxl – su cui torneremo.

Importante in questo discorso alla famiglia, è anche il rinvio al “corso estivo tenuto ad Amburgo nel 1913”, prima che la guerra rendesse impossibile simili ritrovi di studiosi provenienti da “tutte le parti del mondo”:

Strettamente legato a questi eventi [lo studio della Sphaera barbarica di Boll condotto insieme a Saxl] fu il corso estivo tenuto ad Amburgo nel 1913, che fu frequentato da persone provenienti da tutte le parti del mondo. Il corso trovò la sua magnifica conclusione, certo l’ultima per molto tempo, sulla terrazza di Körsterberg. (Warburg 1927, 14)

Un’evocazione del mondo “mondo di ieri” (anche se il fortunatissimo libro di Stefan Zweig è del 1941), ma anche un indizio di come vada retrodatato, almeno nelle sue prime manifestazioni, l’interesse di Warburg per l’“orientamento”, alla base del blocco ABC dell’Atlante. 

3. L’antefatto: un’estate ad Amburgo (1913)

L’astrologia […] continua a vivere […] nell’inesausto anelito
della natura umana a una visione unitaria del mondo
e alla pace della mente.
(Franz Boll, Le stelle, 1918)

Un antefatto nel “mondo di ieri” a questo punto si rende necessario. Era – lo ricorda anche Warburg nel discorso tenuto ai familiari – estate, e si era organizzato ad Amburgo, per iniziativa dello stesso Warburg, un ciclo di lezioni sulla storia dell’astrologia tenute da Franz Boll e dallo studioso di assirologia Carl Bezold (un programma del corso si conserva in WIA, IV 23.1).

Da quelle lezioni, Boll e Bezold avrebbero ricavato in seguito il loro libro su storia e carattere dell’astrologia (Boll, Bezold [1918] 2011), uscito con una dedica a Warburg e una Prefazione del solo Boll, autore di cinque dei sei capitoli che compongono il saggio, attribuito generosamente nel frontespizio ad entrambi (di Bezold, è solo il primo, L’astrologia dei Babilonesi). Così la Prefazione alla prima edizione, datata Heidelberg, agosto 1917:

Il saggio si basa su un ciclo di conferenze che, su invito di Aby Warburg, i due autori hanno tenuto ad Amburgo durante le vacanze estive del 1913. Proprio grazie alle ricerche particolarmente vaste di Warburg si comprende sotto una nuova luce la storia dell’arte e la storia della cultura del tardo Medioevo e del Rinascimento. (Boll-Bezold [1918] 2011, 4-5).

Una seconda edizione apparve due anni dopo. Una terza nel 1926, promossa e finanziata proprio da Warburg (Stimilli-Wedepohl [2009] 2014, 161, n. 90). L’ideatore del corso aveva preso la parola solo alla fine del ciclo, il 5 e il 6 agosto, con due interventi più informali e performativamente innovativi: non due lezioni tradizionali ma due quasi-happening, costruiti sulla proiezione al buio di una serie di immagini, rispettivamente trentadue e quarantadue, commentate dall'oratore dopo una brevissima introduzione mentre venivano fatte scorrere davanti agli occhi del pubblico (Warburg 1913a e 1913b).

Il commento era in gran parte improvvisato. Gli appunti sopravvissuti sono ellittici, ma con precise indicazioni di regia: “Dunkel!”, al momento di spegnere la luce dopo qualche parola di introduzione, e “Licht!”, per riaccenderla alla fine (in WIA 87. 1 e 87.2).

Nel primo dei due interventi, intitolato Die Fixenhimmelsbilder der Sphaera barbarica auf der Wanderung von Ost nach West (ossia Le immagini delle stelle fisse nella Sphaera barbarica nella loro migrazione da Est a Ovest), si incontra una chiara approssimazione alla tavola A:

Bisogna abituarsi all’idea che i segni e le immagini che sono stati creati solo per il loro valore contenutistico ed esclusivamente per lo scopo pratico di orientamento nel cosmo [nur zum praktischen Zweck der Orientierung im Kosmos], sono in realtà gli autentici e veri predecessori di quella creazione artistica così piena di gusto che siamo soliti ammirare solo esteticamente come dono spontaneo del genio. (Ghelardi 2011, XVII-XVIII)

E ancora:

Dello strumentario di cui l’astrologia si serve per il vaticinio, fanno parte due mezzi di orientamento spirituale molto diversi [zwei ganz verschiedene geistige Orientierungsmittel]: il segno e l’immagine, così in contrasto fra di loro che sembra si beffino di qualunque forma artistica unitaria. L’astrologia è insieme matematica e idolatria. Sarebbe impensabile senza la capacità e la padronanza di riflettere in modo molto astratto. Linea e punto sono strumenti sublimi grazie ai quali il senso del ritmo trasforma il caos in cosmo. (Ghelardi 2011, XVIII)

Siamo, ripeto, nell’agosto del 1913. E ad ascoltare Warburg, insieme a diversi studiosi stranieri, c’erano anche i titolari del corso e futuri autori del saggio uscito nel 1918. A differenza di loro, Warburg non aveva pubblicato i suoi interventi. Forse non li considerava nemmeno lui stesso pubblicabili. Certo è che Saxl e Getrud Bing ne avevano riconosciuto l’importanza, e avevano prospettato di includerli, nel 1933, nel volume degli inediti di Warburg, mai andato in porto. Sarebbero apparsi probabilmente con un titolo complessivo documentato nei materiali preparatori dell’edizione: Die antike Sternbilderwelt in der Kunst neuerer Zeiten, ossia L’antico mondo delle immagini astrali nell’arte moderna (cfr. Settis 2012).

4. Libri portati, ordinati e letti a Kreuzlingen, e una doppia diagnosi (1921-1924)

E per quanto riguarda la mia lunga infermità,
non le devo infinitamente di più che alla mia salute?
(Friedrich Nietzsche, Nietzsche contra Wagner, 1889)

Il paziente subisce il suo male,
ma lo costruisce anche,
o lo riceve dall’ambiente.
(Jean Starobinski, L’inchiostro della malinconia, 1960)

…così che dopo un po’ poté pretendere di avere
essenzialmente curato se stesso –
usava dire che, come Münchausen
in quel grande racconto classico,
si era tirato fuori dalla palude
prendendosi per il codino.
(Max A. Warburg, Per il centenario della nascita del padre, 1966) 

Poco dopo l’estate astrologica di Amburgo, si sa, c’era stato lo scoppio del conflitto mondiale – e si può immaginare “quale effetto ebbe la guerra su uno predisposto ad essere ‘comandato dalle idee’” (Warburg [1927] 2002, 142). Un grave crollo psichico, durato dal 1921 al 1924, e il ricovero nella clinica di Kreuzlingen, diretta da Ludwig Binswanger. Il citato “sguardo retrospettivo” del discorso del 1927 (Da arsenale a laboratorio) allude pudicamente al fatto che il “direttore della Biblioteca” era stato assente “durante gli anni della guerra”. Aggiungendo però che il lavoro di ricerca era continuato, grazie al sostegno della famiglia e dei due fedeli ‘dioscuri’, Fritz Saxl e Getrud Bing.

Saxl in particolare – l’amico fedele, “l’uomo di Warburg” (Settis 1985, 9) – risulta dall’epistolario il tramite principale fra il paziente ricoverato in Svizzera e il gruppo di ricerca rimasto ad Amburgo: l’interlocutore a distanza, il pungolo critico, il responsabile di ricerche bibliografiche; quello che a volte aveva il permesso di soggiornare anche per intere settimane a Kreuzlingen, per affiancare Warburg e aiutarlo nel tentativo di non interrompere la sua ricerca. 

A quanto risulta dall’epistolario e dalla cartella clinica, a Kreuzlingen – per quanto possibile, e nel tempo lasciato libero dalla terapia (bagni, sonno, colloqui con il medico curante e occasioni sociali nell’ambito della clinica) – Warburg aveva continuato a leggere e studiare: aveva portato con sé una copia della Sphaera di Boll, e altri libri; si era fatto mandare da Amburgo (tramite Saxl) la trascrizione di tutte le opere di Agrippa; riceveva regolarmente visite (di Boll, di Cassirer, di Saxl, con cui discuteva dei suoi studi), e con Saxl – “Saxl à vapeur, come lo aveva ribattezzato per la sua energia e la sua rapidità di azione – stava alla scrivania durante le visite fino a sei ore al giorno (Stimilli 2005). 

È steso a Kreuzlingen, per esempio, con l’aiuto di Saxl, un testo oscuro e intensissimo dell’aprile 1924, Forze del destino riflesse nel simbolismo all’antica. (Saxl – scrive Aby a Mary Warburg il 2 aprile 1924 – “sistemò il materiale”, cfr. Stimilli [2008] 2014). L’intenzione, come documenta la corrispondenza, era di ricavarne una conferenza da tenere a settembre, dopo il ritorno ad Amburgo. Uno dei Pensieri, per esempio, occupa due fogli in cui è ripetuta a matita nell’angolo a destra la dicitura “Metà aprile 1924 Sfera” (con ovvio riferimento all’opera di Boll), e già vi si incontra l’espressione “tentativi di orientamento figurato” [Bildhafte Orientierungversuche], che l’anno dopo tornerà nella commemorazione di Boll; questo anzi il titolo del frammento: Tentativi di orientamento figurato (Stimilli [2008] 2014), 26).

Continua dunque, durante il ricovero, la riflessione intorno alla Sphaera, che acquista nella fase più grave della malattia un’urgenza nuova. Il concetto dello statuto non solo artistico ma psichicamente ‘orientativo’ dell’immagine non suona allo stesso modo nell’estate astrologica di Amburgo e nella clinica svizzera del professor Binswanger:

Da malato Warburg ebbe il coraggio di uscire completamente da quel circolo di pensiero che lo aveva portato alla malattia e di iniziare da un punto più remoto, che giaceva molto più indietro nella storia dell’umanità. Per la prima volta nella sua vita si svincolò dal fatto storico e iniziò a affrontare il problema generale. E parlò della psicologia dell’uomo primitivo (Saxl [1929] 2004).

Si è già ricordato il passo di Saxl che precede di poco questo, sui tipi di “orientamento” basato su sistemi di relazioni (quelli illustrati nella tavola A – riconoscere costellazioni, tracciare mappe e tavole genealogiche):

Tutto il pensiero dell’uomo aspira all’orientamento. Nel cielo egli cerca di riunire i punti scintillanti in costellazioni, con l’aiuto di forme di animali o di uomini, per orientarsi. E, sulla terra, cerca di cogliere, per mezzo della rappresentazione sulla mappa, la via che collega un paese con un altro paese e, nell’ambito di una tavola genealogica, la relazione degli uomini fra di loro: dal padre al figlio fino ai nipoti.(Saxl [1929] 2004, 169-170)

Con il discorso sulla malattia (le conquiste di Warburg “da malato”), Saxl introduce un elemento nuovo: la continuità fra l’aspirazione all’“orientamento” cosmico e l’aspirazione a un equilibrato sistema di relazioni interne. Non siamo lontani dai temi della tavola B: i “diversi gradi di proiezioni cosmiche sull’uomo” (così la didascalia), e quindi i rapporti fra parti del corpo e segni zodiacali, la corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo. Su questi temi, fra l’altro, Saxl aveva allestito nel 1924 in Biblioteca una piccola mostra (si veda Grazioli 2005) già erano state esposte immagini poi confluite in B, certo per festeggiare il ritorno del redux e la sua guarigione, ritrovato orientamento interiore dell’uomo nel cosmo.

È un altro ponte gettato da Kreuzlingen e i pensieri fatti a Kreuzlingen verso il blocco ABC, e in particolare verso la tavola B, il cui soggetto è l’homo cosmicus: l’uomo inserito nel cosmo, a volte misura del cosmo ma a volte schiacciato dolorosamente dalla sua influenza. Un diffuso libro illustrato francese sull’Uomo-Zodiaco ha come sottotitolo L’astrologie témoin de noces de l’homme et de l’univers (Fachan 1991). Chi ha allestito la tavola (e forse già la mostra che Warburg ha trovato ad accoglierlo al ritorno ad Amburgo dopo il ricovero) ha chiara la consapevolezza delle possibili difficoltà di queste ‘nozze’, e di quale conquista sia ripianarle. La didascalia generale della tavola parla di “diversi gradi della proiezione del sistema armonico sull’uomo”. Alcune sono nate con un fine pratico, indicare i momenti giusti e sbagliati in cui praticare salassi o altri interventi terapeutici. Altre non riescono a nascondere la fatica del peso del cosmo sull’uomo. In un manoscritto greco del Quattrocento, il personaggio (Ercole) sembra trafitto da lance che sono in realtà linee di raccordo tra le parti del corpo e i segni dello Zodiaco (B 2). In un altro, l’ordine dei segni è stato scambiato per raggruppare i segni maschili (o caldi) e i segni femminili (o freddi) da una parte e dell’altra dell’uomo Zodiaco: c’è un senso (l’energia dei primi ha ruolo di agente, la materia il ruolo di paziente, che subisce l’azione) ma il personaggio sembra trafitto come un san Sebastiano o alcune delle Donne Sebastiane studiate da Carlo Severi (Severi 2005, 239-300). Anche alcuni manoscritti destinati a medici e cerusici hanno un aspetto inquietante. In quello ripreso nella tavola B della Bayerische Staatsbibliothek (B 5), l’uomo sembra soffocato dagli animali, e le figure dello Zodiaco lo immobilizzano, aggrappandoglisi addosso.

Si è già visto il passo della commemorazione di Saxl in cui sono evocati i due poli fra cui si muove il rapporto dell’uomo con il cosmo, traendo il cosmo verso di sé o sparpagliando sul suo corpo i segni zodiacali, prima di porre una distanza fra sé e il mondo attraverso la matematica, facendo subentrare il segno matematico, la curva elittica dell’orbita planetaria, al “demone del pianeta Marte con il capo mozzato del nemico” (Saxl [1929] 2004, 170) Che è già un bel modo, fra parentesi, di descrivere il passaggio da B a C.

Ma restiamo per ora sul corpo, con o senza segni zodiacali ‘sparpagliati’ addosso. Non so quanto l'effetto di inquietudine di alcune immagini confluite in B sia voluto. Come non so se nella “conquista di Kreuzlingen” possa aver contato, oltre al resto, una diagnosi sbagliata, e poi rettificata. La prima è quella riportata sul registro dei ricoveri della clinica di Kreuzlingen alla data del 16 aprile 1921, e qualifica il nuovo paziente come affetto da Dem.[entia] Pr.[aecox], poi corretto in Schizofrenie (schizofrenia). I due termini, dementia praecox e Schizofrenie, erano considerati all’epoca quasi come sinonimi. Ha fatto notare Roberto Calasso nel saggio sul caso Schreber che “l’equivoca espressione dementia praecox”, più antica, si era pressoché dileguata, confluendo dopo l’uscita del grande trattato di Eugen Bleuler nel “fatale termine schizofrenia” (Calasso 2007). 

Il titolo del trattato di Breuler, infatti, Dementia praecox oder Gruppe der Schizofrenien (Bleuler [1911] 1985): comunque la si formulasse, una diagnosi senza speranza, per tipi di malattia mentali “dal corso ora cronico ora a poussées, le quali ad ogni stadio possono arrestarsi o regredire, ma non consentono mai una completa restitutio ad integrum” (Bleuler [1911] 1985, 31).

Warburg d’altra parte era già arrivato a Kreuzlingen con una prognosi meno precisa ma “assolutamente sfavorevole [durchaus ungüstig]” (così sempre stando alla cartella clinica), formulata da Hans Berger, pioniere dell’encefalogramma, che lo aveva avuto in cura alla clinica psichiatrica universitaria di Jena, ma aveva ritenuto opportuno indirizzarlo a Kreuzlingen (Stimilli 2005, 9-10): luogo di cura quasi d’élite, votato alla pratica di “una psichiatria umana, fondata sull’ascolto e sull’empatia (Einfühlung), sull’incontro e sulla ‘comunicazione esistenziale’ fra medico e paziente” (Marazia 2005, 248). (In molti hanno notato che i pazienti di Binswanger, oltre che abbienti, erano per lo più professionisti, artisti, studiosi: “nati sotto Saturno”, diciamo.)

La seconda diagnosi si deve a Emil Kraepelin, allora massima autorità in materia psichiatrica, che la famiglia di Warburg aveva consultato all’inizio del 1923 e poi nel 1924, quando il paziente, come ammesso dall’équipe di Kreuzlingen, stava attraversando “una pessima fase”. (Anche Binswanger aveva pensato in quel periodo a un consulto, e intendeva convocare a Kreuzlingen Sigmund Freud, ma aveva prevalso in questo caso il parere della famiglia). Tra il paziente e il nuovo medico non era scattata, stando ai dati raccolti nella cartella clinica, grande simpatia: 

9 aprile [1924]
Consulto del Geheimrat Kraepelin da Monaco, il quale accerta a sua volta un innegabile miglioramento del quadro clinico. Successivamente il paziente si è lamentato che “quel vecchio ispettore del mattatoio” sia rimasto così a lungo. (Stimilli 2005, 141)

Eppure il consulto si sarebbe rivelato decisivo. Non molti anni prima di visitare Warburg, Kraepelin aveva rivoluzionato la manualistica nosografica introducendo un nuovo tipo di disturbo polare misto, “maniaco-depressivo”. In Warburg, ne riconosce immediatamente i sintomi, e la cartella aggiorna la diagnosi, registrando nel malato, appunto, uno “stato misto maniaco-depressivo [manisch-depressiver Mischzustand]”). All’inizio Binswanger non era affatto convinto della nuova diagnosi. Così il già citato Hans Berger, cui Binswanger la aveva riferita: “Non si possono gettare casi del genere nel grande calderone della sindrome maniaco-depressiva [in der grossen Topf des manisch-depressiven Irresein]”, era stato il commento del direttore della clinica psichiatrica universitaria di Jena (lettera di Berger a Binswanger, cit. in Stimilli 2005, 16).

Non è solo una questione di termini o di dettaglio. A differenza della schizofrenia ‘classica’ (di Bleuler), gli stati maniaco-depressivi possono in qualche modo risolversi. A posteriori, quindi, si può dire che sul ‘caso Warburg’ si sia rivelato nel giusto il vecchio Kraepelin, se il paziente, dopo la prova quasi ‘iniziatica’ della famosa “conferenza sugli Indiani”, riuscì ad essere dimesso dalla clinica, e a tornare al lavoro. Lo stesso Binswanger, d’altra parte, si sarebbe ricreduto sul paziente citato qualche anno dopo in La Fuga delle idee come A. B. (Aby!), nascondendone l’identità secondo l’uso della letteratura clinica (Binswanger [1933] 2003, 106 n. 14). Lo dirà ancora nel Caso Ellen West, ricordando un celebre paziente “affetto da uno stato misto maniaco-depressivo durato cinque anni e che si risolse in una completa guarigione”:

era già diagnosticato come delirio presenile di nocumento, per lungo tempo io pensai che si trattasse di schizofrenia, ma poi venne a ragione riconosciuto da Kraepelin appunto come uno stato misto maniaco-depressivo. (Binswanger [1955] 2001, 12)

Quello che Warburg non dice, è se e in che modo la nuova diagnosi abbia favorito la guarigione del paziente, oltre a contemplarne la possibilità. Dopo il consulto di Kraepelin, il trattamento di Warburg continua, stando alla cartella clinica, come sempre. Non cambia insomma la terapia: i bagni, i calmanti somministrati in caso di agitazione, le ore di riposo obbligato, la socialità. Secondo alcuni, come Carl Geog Heise, il metodo di Kreuzlingen era “superato” [altmodisch], e faceva affidamento soprattutto sull’“autoguarigione”:

Se vedo bene, egli [Binswanger] non si è dato troppo da fare, ha solo sorvegliato e cautamente promosso il processo di autoguarigione [Prozess der Selbstheilung]. E ha avuto ragione, anche se la perdita di energie e tempo (sei anni interi) ci appare esageratamente grande. (B. 1947, 48).

Lo stesso Binswanger, per la guarigione di Ellen West, ammette di aver contato soprattutto sul “tempo” e sul “riposo” (Marazia 2005, 246-248). Ma non potrebbe essere stata determinante, per quello che Heise chiama “processo di auto-guarigione”, proprio la nuova diagnosi, così suggestiva nella sua stessa formulazione, per uno che fin dall’inizio della sua ricerca aveva riconosciuto come determinante dell’antico (die Antike) l’oscillazione tra il polo della mania (l’entusiasmo orgiastico, di cui è figura la Menade) e il polo di una contemplazione disforica (quasi una depressione, spesso associata alle giacenti divinità fluviali)?

Lo “stato misto maniaco-depressivo” sembra una malattia fatta apposta per lui. Per rinforzare la sua consapevolezza di “sismografo”, particolarmente sensibile a scosse che vivono anche gli altri uomini. E forse per indurlo a ripensare anche in termini di guarigione la questione dell’“orientamento”, che lo aveva tanto interessato fin dalla lettura della Sphaera barbarica di Boll.

Nietzsche sosteneva di aver imparato più dalla sua malattia, che dalla sua salute. Non potrebbe essere stato lo stesso, per Warburg? O non potrebbe aver imparato, lui, più dalla sua guarigione, che dalla sua salute? Per un paziente come Warburg, – tanto “predisposto” (sono parole sue) “ad essere ‘comandato dalle idee’”, – è davvero così diverso cercare un orientamento nel cosmo per scoprire che non fa paura, e proiettare in quello stesso cosmo e sulle figure che lo popolano le dramatis personae del proprio teatro interiore, cui la nuova diagnosi conferisce precise fattezze (la Menade, la divinità disforica)?

Alcuni fatti certi. Sull’Handexemplar della Sphaera di Boll, che aveva portato con sé a Kreuzlingen, Warburg annota in una pagina bianca del colophon questo appunto, dove “orgiasmo” e “contemplazione” fanno pensare ai due poli della malattia, tra cui è necessario un “Orientamento”:

Orientamento
dall’orgiasmo alla contemplazione
Dalla pratica del culto, la quale delimita, attraverso la Mneme,
in quanto formazione catalitica, e polarmente sutura
dell'Antico, il mostro che lotta affannosamente per la kinesi, fino alla divinazione cosmologica, il cui strumento è la figura matematica.
16. II. 965.

In altri appunti, presi in clinica ma anche dopo il ritorno a casa, si riconoscono tracce della metafora alla base del conio linguistico di Kraepelin. Diversi coinvolgono in modo più o meno esplicito la nozione di “orientamento”:

Costituzione del problema espressivo. Polarità del problema energetico. Menade, dalla cacciatrice di teste fino all’assennato dio fluviale, vale a dire la schizofrenia nello specchio del movimento stilistico (Warburg [1928-29], 809).

Talvolta ho l’impressione di cercare di dedurre come uno psicostorico la schizofrenia del mondo occidentale dal figurativo e con un riflesso autobiografico: da un lato la Ninfa estatica (maniacale), dall’altra il luttuoso dio fluviale (depressivo) (Warburg [1928-29], 813).

Maniaco – Depressivo – Bipolarità (Warburg [1928-29], 809).

Tutti sono impressionanti ma colpisce, in particolare, l’appunto sul colophon della Sphaera. Dato eminentemente esistenziale, l’alternanza di “orgiasmo” e “contemplazione” (o mania e depressione) è qualificato qui come disturbo dell’“orientamento”.

Verrebbe la tentazione di andare anche più avanti. Si sa che Warburg amava motti, etimologie, aforismi, motti, bons mots, al punto che il fratello Max subito dopo la sua morte aveva cominciato a trascrivere i più caratteristici, raccolti poi dal figlio Max Adolf in un florilegio intitolato Warburgismen (in WIA, III.17.2, su cui Stimilli 2004, 101). Un’etimologia da Warburghismen potrebbe essere quella di desiderium, voce dell’antica lingua augurale, che “rinvia, a quanto pare, a sidus, cioè all’astro, alla costellazione”. Perdere l’“orientamento” o un equilibrato rapporto con il cosmo può essere all'idea di un “dis-astro”, che è assai più di uno spaesamento, ma una specie di “perdita delle protezioni cosmiche” (Starobinski [1960] 2014, 232).

Prima di lasciare Kreuzlingen, un’ultima considerazione. La conferenza da tenere in pubblico, senza perdere il controllo e il filo del discorso, ha il valore di una prova iniziatica. Non è solo una dimostrazione delle ritrovate capacità intellettuali, ma un “rituale della salvezza” (Marazia 2005) – un modo per bloccare la “fuga delle idee” e, appunto, per ‘orientarlo’ (Binswanger [1933] 2003). I materiali di Kreuzlingen autorizzano a sospettare che qualche parte nella scelta dell’argomento la abbia avuta (con Saxl) anche Binswanger, che già nel 1923 aveva scritto alla moglie di Warburg chiedendole di insistere con il marito perché finisse di preparare il discorso “sugli Indiani” (Stimilli 2005).

Quanto ad Heise, critico nei confronti dei metodi di Kreuzlingen, trovo nello scritto di memoria dedicato a Warburg un ricordo molto bello. Warburg, racconta, era stato profondamente colpito dalla follia di Nietzsche, e negli ultimi anni della sua vita teneva un ritratto a carboncino del filosofo malato “appeso bene in vista alla parete della sua stanza” (Heise 1947, 54).

5. Una parentesi (ma necessaria). Un “bollettino di guerra”, una forma di “orientamento” per il parto fra le donne Kuna, la parodia di una pubblicità.

Quelle immagini che l’uomo pone nel cielo per il suo bisogno di orientamento,
come il serpente in cielo o nella mano dell’indiano o, nel caso della cultura greca,
la figura della menade infuriata che fa a brani un animale, conducono giù
nella profondità della passione e della sofferenza umana.
(Fritz Saxl, Commemorazione di Aby Warburg, 1929)

a. Un “bollettino di guerra”

Ha scritto l’antropologo Ulrich Raullf:

Dopo aver lottato per anni contro i demoni, Warburg vede ora la vittoria a portata di mano, e si arrischia a tradurre in un simbolo le potenze fobiche di cui è stato vittima: tiene una conferenza sulla quintessenza stessa del terrore, ovvero sul serpente. Trasforma così il simbolo della minaccia estrema alla razionalità umana nel banco di prova della sua ratio personale. Gli Indiani d’America – il tema della sua conferenza – offrivano a Warburg in certo qual modo una maschera protettiva dietro la quale nascondersi per poter affrontare un'impresa assai rischiosa: dimostrare che cosa significhi esorcizzare la paura mediante i simboli. La conferenza di Kreuzlingen non è solo un manifesto terapeutico, è anche, in senso letterale, un bollettino di guerra. (Raulff 1989, 99)

La “quintessenza stessa del terrore”, quindi. E un “manifesto terapeutico” che “è anche, in senso letterale, un bollettino di guerra”. O il racconto mascherato da indagine antropologica di come un uomo si sia “tirato fuori dalla palude prendendosi per il codino”.

b. Le partorienti Kuna e l’“orientamento” del dolore

Non volevo svegliare nessuno, aprii la finestra, era il 15 giugno;
Tutto fioriva, ronzava, cantava. Guardavo gli alberi, ascoltavo gli uccelli;
non avevo affatto paura. Erano ormai le 5 e avevo forti dolori.
Entrai nella camera di Mahler; egli si spaventò, si vestì subito e andò a chiamare l’ostetrica.
Poi tentò di tutto per farmi cessare i dolori con la suggestione.
Gli venne la folle idea di leggermi Kant ad alta voce.
Io ero seduta su una scrivania, mi torcevo dal dolore
e il monotono mormorio della lettura mi faceva impazzire.
Non ero più in grado di capire una sola parola di quel che leggeva.
Era troppo! Ora so che Mahler aveva perfettamente ragione
E che esiste un unico modo di vincere il dolore,
Precisamente la concentrazione spirituale. Solo l’oggetto era stato scelto male,
Era troppo difficile da afferrare.
(Alma Mahler, Ricordi, 1940) 

Come Warburg ha studiato gli Hopi, nel saggio sul rituale del serpente ma anche in altri lavori, come Bilder aus dem Gebiet der Pueblo-Indianer in Nord Amerika (Immagini della regione degli Indiani Pueblo in Nord America: ma un appunto più suggestivamente parla di Ricordi di viaggio nella regione degli Indiani Pueblo nell’America del Nord. Frammenti, polverosi materiali per la psicologia della pratica artistica primitiva, in WIA 93.4.), l’antropologo Carlo Severi ha studiato fra l’altro, per molti anni, le abitudini e le credenze degli indiani Kuna del centro America.

Un capitolo del suo ultimo libro è dedicato ad alcuni canti in uso presso i Kuna in occasione di parti difficili, dei quali già si era occupato Claude Lévi-Strauss. A guidarne l’esecuzione sono gli sciamani. I canti sono formulati in una lingua speciale, il cui apprendimento richiede una lunga iniziazione, e nessun paziente, soprattutto in uno stato di intensa sofferenza, può comprenderli, se non per sommi capi. Lo sciamano ‘diventa’ la malata, e compie per interpositum un viaggio mitico che progressivamente delinea la storia dell’insorgere e dello svilupparsi della sofferenza nel corpo di lei. Usa, naturalmente, dei simboli:

La lingua fornita dallo sciamano, dove gli stati informulabili dovevano trovare la propria espressione immediata (e dunque un effetto terapeutico), si scopre una lingua esterna, riservata ad altri. […] La conclusione inevitabile è che tutta la parte dell’argomentazione empirica di Lévi-Strauss sull’efficacia dei canti Kuna, che veicolava sulla premessa di una veicolazione di senso tra sciamano e malata è, allo stato dei fatti, semplicemente infondato, e quindi inagibile. (Severi 2012)

Per manipolare psicologicamente il dolore corporeo della partoriente, insomma, lo sciamano costruisce una catena di rappresentazioni in cui il dolore diventa, pur nella sua terribilità, esprimibile attraverso un simbolismo adeguato. La madre orienta il suo dolore e può aiutare il figlio a trovare una strada per uscire da lei senza squarciare il suo corpo o devastare la sua mente dall’angoscia (Severi 1998; Severi 2005, 213).

Nel corso dell’evocazione di un canto sciamanico, la familiarità del canovaccio elementare che tutti conoscono (il viaggio nell’aldilà; il duello con gli spiriti; il ritrovamento dell’anima perduta; il suo ristabilimento nel corpo del paziente) si combina con una zona bianca, incomprensibile e segreta, in cui si costituisce progressivamente, per il paziente, uno spazio proiettivo. Noi, che possiamo leggere il testo del canto, vediamo che la vicenda del viaggio sciamanico è minuziosissimamente descritta […] quel che il paziente percepisce di quest’immagine è però soltanto un abbozzo costruito per cenni: come i rari colpi di pannello di una pittura cinese, separato da larghi spazi bianchi. È certamente che in quegli spazi bianchi, come ci indicano le ricerche di Roi, che l’elaborazione dell’esperienza dolorosa del paziente, elaborazione risvegliata dalla generazione di un campo proiettivo, è più intensa. […] La forza magica (l’efficacité symbolique) del canto kuna destinato alla terapia del parto difficile, viene dunque non dal terapeuta che “incarna”, come voleva Lévi-Strauss, la vicenda corporea della sua paziente, ma dalla paziente stessa, che attribuisce senso agli aspetti latenti di quanto il terapeuta enuncia. Prima di credere, la paziente dello sciamano proietta. Che è nel caso kuna come in quello dei pazienti di Roi [Roi 1998], pur nelle loro evidenti differenze, accomunato da un tratto onnipresente, forse quello che segna l’origine più profonda dell’altro chiamare […]. È, quel tratto comune, una delle pochissime cose che si ribellano al linguaggio, e ne minacciano l’esistenza: il dolore estremo (Severi 2005, 236).

Ci sono schermi propizi alla proiezione. Possono essere, nel canto degli sciamani, segni noti o parole-indizio:

La partoriente dello sciamano kuna proietta prima di credere, ed è dunque, in senso proprio, la vera autrice dell’efficacia simbolica del canto (Severi 2005, 236).

Io credo che il nome della malattia attribuita a Warburg dal vecchio Kraepelin abbia funzionato così: come un luogo privilegiato di una proiezione.

c. “Il simbolo fa bene!”

2 | Carmol tut wohl, slogan pubblicitario

Non lasciamo subito le partorienti kuna. Alle dimissioni da Kreuzlingen, dopo la conferenza sul rituale del serpente, Warburg aveva indirizzato un biglietto a Binswanger, ringraziandolo di essere stato “una brava levatrice”:

Cordiali saluti e ringraziamenti per aver assistito al parto di questa mostruosità come una brava levatrice. (Warburg [1923, 1939] 1988, 68)

Nel saggio sull’“efficacia simbolica” in cui Lévi-Strauss aveva cominciato lo studio dei canti sciamanici Kuna, l’anziano antropologo aveva scritto di pharmaka che fanno appello alla psiche, richiamando alla necessità di non liquidare la questione dell’“efficacia simbolica”:

È comodo sbarazzarsi di queste difficoltà dichiarando che si tratta di cure psicologiche. Ma questo termine resterà privo di senso fino a quando non verrà definito il modo in cui determinate rappresentazioni psicologiche sono invocate per combattere dei disturbi psicologici (Lévi Strauss [1949] 1966).

Tra gli aforismi di Warburg che compaiono nel florilegio raccolto dal figlio Max Adolf uno è proprio Symbol tut wohl, il simbolo fa bene:

Symbol tut wohl, Il simbolo fa bene, era un warburgismo, una variazione su uno slogan pubblicitario allora onnipresente, “Carmol tut wohl” (penso che si trattasse di una medicina che prometteva di curare quasi tutto). (Max Adolf Warburg [1930] 2012, 180)

Un altro slogan pubblicitario, quello di una specie di “pubblicità progresso” mirata a incrementare il consumo del pesce, è incluso nella tavola 47, protagonisti Tobiolo e l’Angelo.

6. La conferenza in memoria di Franz Boll (25 aprile 1925), con inevitabili strascichi di Kreuzlingen

Già deciso a commemorare l’amico stellare che gli aveva fatto da guida nello studio dell’astrologia, Warburg trova ad accoglierlo in biblioteca una sorpresa:

Un allestimento di riproduzioni fotografiche delle opere d’arte che figuravano nelle sue ricerche, nella giustificata attesa dell’effetto che questa visione panoramica avrebbe avuto su uno studioso il cui unico desiderio era di riprendere i fili del suo lavoro. Ampie e leggere cornici di legno, sulle quali erano tese delle tele nere, servivano da fondo per le fotografie appese con semplici fermagli. Warburg si mostrò subito d’accordo e usò questo sistema per riunire insieme tutti i motivi che lo interessavano (Gombrich [1970, 1983] 2003, 224).

Era, si è detto, una specie di benvenuto al direttore della Biblioteca dopo sei anni di assenza, e comprendeva una serie di immagini dedicate a macrocosmo e microcosmo: alcune presto riutilizzate al primo appuntamento pubblico in Biblioteca: la commemorazione di Franz Boll.

Warburg era stato dimesso da Kreuzlingen nel 1924, nel mese di agosto. Boll, che era stato varie volte a trovarlo, era morto poco prima. Binswanger si era preoccupato che quella morte improvvisa, per infarto, di uno degli amici più cari, avrebbe potuto avere effetti negativi sullo stato del paziente. Apparentemente non era stato così: 

12 luglio 1924. Ha reagito alla morte dell’amico Boll molto virilmente […]. Si occupa già adesso dei dettagli della sua partenza (carrozza salone) e ha un’intensa vita intellettuale. 

19 luglio: Il processo di rasserenamento prosegue. […] Rencentemente ha tenuto davanti a un pubblico ristretto una relazione sul suo lavoro di Botticelli ecc; essendo però particolarmente sconclusionato, e soltanto abbozzando tematiche isolate, unite semplicemente da una pratica logica mentale.

12 agosto. Stamani è partito in compagnia del sottoscritto per Frankfurt, dove è stato accolto dal dottor Embden, per proseguire il viaggio per Amburgo. […] Ha accolto come una persona sana la notizia, che lo tocca molto da vicino, della morte del suo amico, il professor Boll. Ho subito mosso i passi necessari per acquisirne la biblioteca, pensando con estrema prontezza e ragionevolezza. Sino all’ultimo è rimasto immerso nelle sue problematiche artistico-psicologiche. Vuole farne un grande libro.

A Warburg, che già aveva tenuto a Kreuzlingen la conferenza sul rituale del serpente, la scomparsa di Boll aveva dato piuttosto la voglia di lavorare, risarcire, spiegare, qualunque fosse il progetto che Binswanger qualifica come “grande libro”. Sentiva l’urgenza, anche, di occuparsi di cose pratiche, come la complicata acquisizione per Amburgo della biblioteca dell’amico scomparso. I libri di Boll sarebbero stati acquisiti ma avrebbero conservato la loro identità, ribadita da un ex libris appositamente concepito da Warburg: “Per monstra ad sphaeram”, giocato su un verso dell’Hercules furens di Seneca (“Per aspera ad astra”), ma con sostituzione di “astra” a “sphaeram”, e di “aspera” a “monstra”, per rendere omaggio all’opera dell’amico (la Sphaera, appunto), e rendere meno astratto “aspera”: non difficoltà, ma mostri.

La conferenza era stata fissata, con largo anticipo, il 25 maggio 1925. Il luogo, sarebbe stato ancora la casa-biblioteca privata, dato che l’edificio della Kunstwissenschaftliche Bibliothek Warburg di Heilwilgstrasse 116, contiguo all’abitazione, sarebbe stato pronto solo l’anno successivo (Stockhausen 1992 e Calandra di Roccolino 2014)

Il manoscritto sopravvissuto dimostra che il lavoro, diventasse o no come riteneva Binswanger “un grande libro”, è tra quelli cui Warburg dedica un maggior dispendio di entusiasmo ed energie (ripensamenti, correzioni; e un’ingente quantità di materiali preparatori: schemi, elenchi di immagini, ripensamenti e riscritture accanto alle parti scritte in pulito).

La redazione più avanzata è quella di un quaderno nero con attaccato sulla copertina l’ex libris di Boll, fatto realizzare da Warburg attaccato in copertina, “Per monstra ad sphaeram”(Stimilli 2012):

Contenuto

Introduzione
La lotta per lo spazio del pensiero nella storia dell’orientamento cosmico
Sphaera Bianchini (Teucro)
Dado oracolare
Microcosmo, cosmologia applicata
Uomo dello Zodiaco
Abu ma’sar e Teucro. Pianeti

Index Zodiaco
I figli dei pianeti
Padova
Teucro, Abano, Angeli
Cosmologia applicata – Ermetismo
Padova, Salone
Schifanoia
Manilio
Ariete Pallade dei Medici
Decano con la fune
[…]
Epatoscopia
Boghazghöi
Piacenza
[…]
L'armonia delle sfere 1589
Il Mysterium cosmographicum di Keplero e l’ellisse
Riforma della figuratività
Bollwerk

4 | Ex-libris di Franz Boll.

All’ultimo punto dell’indice, Bollwerk è uno dei giochi di parole che divertivano Warburg. Allude ovviamente all’opera (Werk) di Boll e alla sua importanza – ma il termine tedesco (das Bollwerk) significa ‘baluardo’, ‘fortificazione’, qualcosa come un riparo che sphaerae astra possono garantire nei confronti dei monstra.

L’immagine dell’ex libris di Boll doveva essere proiettata in sala proprio alla fine della conferenza, stando a un elenco di diapositive che si conserva alla fine del fascicolo (Warburg [1925] 2012, 393). Dovevano esserci immagini esposte e proiettate, e sarebbe stato, quell’astronomo proiettato con tanto di compasso e astrolabio, il gran finale di una storia nata coi primi confusi movimenti della “lotta per lo spazio del pensiero nella storia dell’orientamento cosmico”. Vicina a quella dell’ex libris, stando all’elenco, quella dell’ispiratore e dedicatario, Franz Boll. Il ritratto dell’amico e l’ex libris dedicato a lui dovevano essere il gran finale della conferenza.

Questa, il 25 maggio 1925, l’allocuzione ai presenti:

Signore e Signori,
ad una prospettiva di ricerca che intende occuparsi dell’arte e del Rinascimento italiano nulla sembra più lontano della discesa nelle oscure regioni della superstizione tardo-antica. Il bello in sé e l’Antico […] sembrano trovare proprio nel fatalismo astrologico il loro più serio avversario. In realtà, solo apparentemente! […] Del resto, se questa Biblioteca è divenuta un museo per la storia della psicologia dell’orientamento spirituale, allora l’astrologia reca la testimonianza più importante proprio su un punto essenziale, dato che nella conoscenza del Cielo noi ci imbattiamo nella più ampia questione dell’orientamento spirituale di fronte all’universo (Warburg [1925] 2012, 299; il corsivo è mio).

E ancora:

Tutto quello che questa sera apparirà in immagine e in parola come testimonianza nota e ignota, ci mostra l’uomo nell’atteggiamento di un osservatore che lotta per uno spazio del pensiero.

È il concetto espresso per figure nelle tavole del blocco ABC, e la figura dell’“uomo nell’atteggiamento di un osservatore che lotta per uno spazio del pensiero” (Denkraum) pare la più adatta per questo Warburg post Kreuzlingen, che dopo (e attraverso) Kreuzlingen ha maturato una precisa consapevolezza esistenziale di quanto sia centrale la “questione dell’orientamento”, con l’effetto non secondario di utilizzarla, insieme alla diagnosi di Kraepelin accolta da Binswanger, per definire la “stessa personalità di ricercatore”:

Pencolando tra una causa originaria che si presenta nelle immagini mitologiche, e una causa originaria numericamente calcolabile, le costellazioni assumono per lui – in una stessa personalità di ricercatore, quale è ad esempio perfino Tolomeo – un carattere ambivalente, polare, che per un verso esige una venerazione cultuale nella pratica magica, dall’altro ha il valore di una determinazione dell’estensione distaccata e obiettiva riguardo ai corpi lucenti nello spazio dell’universo, nella volta del Cielo. Si potrebbe dire che tutta la tragicità prometeica sia racchiusa in queste parole: non esiste una volta fissa sopra di noi. Malgrado ciò, noi dobbiamo utilizzare ancora questa immagine somma per poter avere una sia pur arbitraria costruzione che sostenga il nostro occhio, inetto a fronteggiare l’infinito (Warburg [1925] 2012, 301, corsivo mio).

Per motivi diversi, la conferenza del 1925 sulla Sphaera barbarica condivide alcune caratteristiche di quella più perigliosa che aveva avuto luogo a Kreuzlingen sul rituale del serpente. Anche la commemorazione dell’amico ‘stellare’ Boll coincide per l’oratore con una prova carica di pathos (il discorso in memoria di uno degli amici più amati), e con una cerimonia pubblica decisiva sul piano personale, come la prima uscita pubblica, nella propria casa-biblioteca, dopo le dimissioni dalla clinica psichiatrica.

Non sorprende allora che si riconoscano, nella conferenza, echi ben precisi del periodo appena trascorso a Kreuzlingen, vissuto da Warburg – si è visto – con estrema lucidità e interesse quasi scientifico nei confronti della sua stessa storia clinica. Interessante è che il professor Binswanger, con la sua diagnosi, faccia capolino fra gli astri.

Era previsto che il direttore della clinica partecipasse il 25 maggio 1925 alla conferenza in memoria di Boll. L’invito gli era stato comunicato con largo anticipo (nel novembre del 1924), ma all’ultimo momento Warburg aveva ricevuto la notizia di una rinuncia. Il pretesto, questioni di turni fra medici:

Caro Professore!
Ho sempre temuto che qualcosa mi avrebbe ancora giocato un brutto tiro e mi avrebbe impedito di venire ad Amburgo per la Sua conferenza. Questo qualcosa si è presentato otto giorni fa, in forma di una convocazione militare del dottor Kurz [Kurz Binswanger, cugino di Ludwig, che Warburg detestava] dal 20 aprile al 5 maggio. Non c’è nulla da fare, dato che si tratta di un corso di aggiornamento per il suo battaglione. D’altra parte non posso lasciare Benda e Colpe [gli altri due medici dello staff] a lungo da soli, tanto più che avremo di nuovo molto da fare. È veramente un peccato che il nostro bel progetto debba così sfumare. Si sarebbe trattato poi di più che di un semplice ritrovarsi, vale a dire di una sorta di conclusione ufficiale del Suo essere malato. Con il pensiero sarò comunque con Lei, e forse potrò recuperare la visita durante l’anno. (Stimilli 2005, 195; la lettera è del 10 febbraio 1925)

Per Warburg, un piccolo dramma, con tanto di rimostranze sottilmente accusatorie:

Caro dottor Binswanger,
Devo ringraziarLa per due lettere molto cordiali, anche se la prima mi ha portato la notizia, per me molto penosa, della Sua rinuncia per il 25 aprile. Due ragioni mi hanno consentito di rassegnarmi più facilmente: per prima cosa, il Suo scritto precedente mi faceva sospettare una fuga; che il dottor Kurt si debba di nuovo dipingere con i colori della guerra, ma da guerriero di riserva, non mi sembra un motivo sufficiente […]. Per seconda cosa, avrò d’altra parte l’opportunità, grazie alla Sua rinuncia, di potermi mostrare un giorno di fronte a Lei in condizioni di salute auspicabilmente migliori […]. (Stimilli 2005, 199; lettera del 30 marzo 1925)

La cortesia con cui Binswanger liquida il suo ex paziente può sembrare un’arma a doppio taglio. Del non ‘esser più malato’ di Warburg, all’inizio, non era così convinto. E lo aveva ammesso, in una lettera di qualche mese successiva: dimettere Warburg era stato un azzardo, per quanto apparentemente fortunato; lo studioso di Amburgo – ricorda Chantal Marazia – era stato “congedato alla normalità”, e non “definitivamente dimesso”, come Binswanger scrive in una lettera lettera del 14 agosto 1925 (Marazia 2005, 252).

7. Una proposta del Deutsches Museum di Monaco (1927)

La mostra di raffigurazioni astrologiche organizzata in concomitanza con la conferenza tenuta in memoria di Franz Boll il 25 aprile del 1925 venne riallestita per il Congresso degli Orientalisti il 30 settembre del 1926, e riprogettata, senza però essere esposta, per il Deutsches Museum di Monaco nel 1927.

Il 1926 era stato dedicato soprattutto ai lavori per nuova Biblioteca al 116 della Heilwigstrasse, pensata essa stessa come analogon di una “storia delle forme espressive della coscienza umana per mezzo delle imagini e delle parole”. Nell’edificio i libri che prima affollavano ogni angolo della casa di Warburg avrebbero dovuto essere ordinati secondo quattro parole-chiave: Orientamento / Parola / Immagine /Azione (Dromenon):

Un percorso obbligato, bilanciato tra l’orientamento dell’uomo nel cosmo (mediante il passaggio dalla superstizione alla religione, dalla scienza alla magia) e la sua espressione (articolata in immagine e parola), che costituisce e tramanda i modelli del suo comportamento sociale e delle sue azioni storiche (dromena). (Settis [1997] 2004, 33)

Lo ha scritto Settis, precisando sulla sequenza delle ‘parole d’ordine’ – Orientierung (I piano); Wort (II piano); Bild (III piano); Dromenon (IV piano):

L’ultima parola indica una direzione interpretativa, poiché è tolta dal linguaggio greco dei misteri, in particolare eleusini. In essi, i testi antichi distinguono “ciò che è mostrato” durante i riti misterici (δεικνύμενον), “ciò che viene detto” (λεγόμενον) e “ciò che viene fatto, performed” (appunto, δρόμενον). Il gioco fu probabilmente di alludere a Bild e a Wort attraverso il richiamo implicito, rispettivamente, a δεικνύμενον e a λεγόμενον. In tale sequenza, la ricerca di Orientierung da parte dell’uomo nel mondo mediante la costruzione emotiva e/o intellettuale di determinate rappresentazioni del cosmo e di corrispettivi meccanismi di conoscenza, di controllo e di comportamento è presentata come il presupposto della produzione di parole (Wort) e di immagini (Bild); mentre i modelli dell’organizzazione sociale e i fatti della storia sono presentati, nella sezione Dromenon come conseguenti a quella Orientierung, in un mondo, per così dire, già popolato di parole e di immagini. Nella sezione Orientierung, trovano posto la religione e la filosofia, ma anche la scienza: la storia della magia e della cosmologia, che illustra lo sviluppo dall’alchimia alla chimica, dalla stregoneria alla medicina, dall’astrologia all’astronomia. Religione, filosofia e scienza sono dunque meccanismi di controllo dell’uomo sul mondo, che orientano le sue azioni, e l’espressione (per immagini o per parole), Ausdruck, trova il suo quadro interpretativo nello studio dei meccanismi della memoria sociale, che si muovono fra i poli opposti di Orientierung e Dromenon (Settis [1997] 2004).

Mentre si lavora per mettere a punto (nel segno dell’“orientamento”), il piano della Biblioteca, a Warburg arriva una proposta che è occasione di tornare su alcuni nodi del discorso tenuto nel 1925 in memoria di Boll: una mostra di argomento cosmologico da allestire per il nuovo Museo della Scienza e delle Tecnica di Monaco, voluto e in gran parte finanziato dall’ingegnere e mecenate bavarese Oskar von Miller, che era riuscito ad aggiudicarsi un Planetario Zeiss, e intendeva valorizzarlo con una mostra-conferenza, per la quale Warburg aveva proposto il titolo Kosmologie, o Menschengleichnis am Himmel (Cosmologia, o Corrispondenza fra l’uomo e il cielo) – anche se è attestato una volta, negli appunti, Der Modelle. Das Buch als Pfadfinder (Il modello. Il libro come manuale del giovane esploratore), in linea con gli appellativi scherzosi che piacevano a Warburg (la “signorina Schnellbring”, o “Eilbring” – o Brigitta-porta-in-fretta e simili).

Magnifico, quest’ultimo titolo, se Pfadfinder significa letteralmente ‘cercatore di tracce’, ma più comunemente boy scout. Basta un’occhiata a qualunque dizionario: l’esploratore è in tedesco Forscher,o Erforscher; Pfadfinder sono i “giovani esploratori”, e “Buch als Pfadfinder” richiama irresistibilmente a noi posteri il “manuale delle giovani marmotte” di Topolino.

Altri sottotitoli della mostra, registrati nel diario, sono Eine bildgeschichtliche Voruntersuchung zu einer Technologik der seelichen Orientierung (Una ricerca storica sulle immagini preparatoria a una tecnica dell’orientamento spirituale); oppure: “Kritik der reinen Unvernuft” als techniker Positivismus (“Critica della irragione pura” come positivismo tecnico); o ancora: Sternbildgestaltung als seelische Orientierungstechnik des Europaers in der Jahrhunderten seiner Auseinandersetzung mit den Kosmologien des Ostens (La credenza delle stelle come tecnica di orientamento europeo nei millenni della sua contesa con la cosmologia orientale) (Warburg [1926-1929] 2001, 143-145).

Sottotitoli involuti, bisogna dire, ma non privi di efficacia. E giocati ancora una volta (come potessero essere sinonimi) sull’idea di tecnologia o tecnica dell’“orientamento spirituale” (Technologik der seeliche Orientierung; o seelische Orientierungstechnik).

Il progetto di Monaco, alla fine, non era andato in porto, soprattutto per incomprensioni con il committente, di cui dà conto il diario (Michaels e Scholl-Glass 2001). Warburg, però, aveva predisposto nella Biblioteca di Amburgo un allestimento provvisorio di 20 pannelli, da mostrare al suo committente, e di 11 si conserva una riproduzione fotografica, oltre a una traccia del discorso preparato per presentarli (due immagini delle tavole di Amburgo sono pubblicate nel saggio di Joacim Sprung in questo stesso numero di Engramma).

Discorso che inizia, a sua volta, sul tema dell’“orientamento”, e con un esplicito riferimento a Kant (Warburg [1927] 2012, 691-736):

Sui venti pannelli saranno esposti materiali riguardanti la storia della concezione cosmologica del mondo dai primitivi adoratori delle stelle fino all’astronomo che usa la matematica.
Questi pannelli dovrebbero costituire la storia delle evoluzioni dello spirito umano che si occupa dell’orientamento (Kant).
Essi saranno limitati contenutisticamente più o meno in questo modo, anche se si tratta solo di un raggruppamento provvisorio che ci riserviamo di cambiare durante la preparazione del materiale.

Eurasia
14/III/1927
extraeuropeo carta della migrazione
rappresentazione dei simboli astrologici
Letteratura 

Il nome di Kant è lasciato cadere nella traccia di discorso quasi en passant, tra parentesi e senza riferimenti precisi, ma l'allusione è certo al saggio del 1786 Was heisst sich im Denken orientieren? (Che cosa significa orientarsi nel pensiero), in cui compare il famoso esempio della camera buia:

Nell'oscurità sono in grado di orientarmi in una stanza a me nota toccando un unico oggetto di cui ricordo la posizione. Ma è chiaro che in questo caso mi giovo esclusivamente della facoltà di determinare le posizioni in base a un criterio di distinzione soggettivo, dal momento che non vedo affatto gli oggetti di cui devo determinare la posizione; e se per scherzo qualcuno li avesse disposti tutti nello stesso ordine fra loro, collocando però a sinistra quelli che prima erano a destra, non riuscirei più a raccapezzarmi nella stanza, anche se per il resto tutte le pareti fossero assolutamente identiche. Ma in tal caso mi oriento ben presto in base al puro sentimento della differenza fra i miei due lati, destro e sinistro. Lo stesso mi accade di notte, quando sono costretto a camminare e a svoltare al punto giusto per strade che conosco, ma in cui al momento non distinguo nemmeno una casa. (Kant [1786] 1996, 48-49)

Cosa abbia colpito Warburg in queste pagine è chiaro. Trovare un orientamento, è “orientarsi nel pensiero”, o trovare nel pensiero uno spazio in cui sconfiggere le tenebre – Denkraum, appunto.

Il pannello 1, di cui non è conservata la fotografia, era intitolato al “trasferimento delle figure umanizzate nel cosmo” (Warburg 1927, 695):

Animazione umanizzata       esperienza umanizzata
della singola persona      

Monstra                                 come fondamento originario

“Esercito selvaggio”              della astrologia figurata

Organizzazione                    dei primitivi
umanizzata del Cielo

Parallelamente, il pannello 2 trattava del “trasferimento del cosmo sui singoli uomini” (Warburg 1927, 697):

La nascita del dio universale persiano nello Zodiaco, la suddivisione delle parti del corpo (sulle stelle presso i maori e i messicani) nei cinesi, negli antichi (Ercole), nell’alto e basso Medioevo.

Calendario 1728
Proporzione (Iran-Bundahish)

L’accenno finale all’Iran-Bundahish (secondo lo zoroastrismo, il più autorevole e antico testo basato sul “Principio della Creazione e Partizione deil Mondo”) dimostra che Warburg aveva in mente l’articolo su Platone e Zaratustra di Richard Reitzenstein, apparso da poco nei “Vorträge der Bibliothek Warburg” (Reizenstein 1924-1925). Ma teniemo presenti, nell'animazione del cielo, mostri e “eserciti selvaggi”.

Dal diario e dalle lettere risulta che Warburg teneva molto al progetto della mostra-conferenza di Monaco. Al centro – scriveva a un amico – doveva essere il “giudizio umano”, presentato sia nel suo aspetto religioso-figurativo, sia in quello contemplativo, attraverso segni e simboli matematici. Doveva risultarne illustrato il processo di “orientamento” dal “mitico uovo originario” all’ellisse di Keplero, e come la memoria ne conservi l’impronta. Una specie di mappa: “una grande carta geografica in grado di indicare le linee fondamentali della migrazione dei simboli e le tappe dell’orientamento umano” (Ghelardi 2012, 373).

Anche scrivendo a Saxl, e sempre in rapporto al progetto dell’esposizione di Monaco, Warburg individua in Keplero “un capolinea”: il punto di transizione tra pensiero mitico e pensiero matematico, che sarà al centro della tavola C.

A un altro amico, Karl Umlauf, Warburg aveva presentato quella di Monaco, che ancora credeva (il 13 ottobre del 1928) di poter realizzare, come un’esposizione di immagini per la storia e “la psicologia dell’orientamento umano nel cosmo” [die Psychologie der menschlichen Orientierung im Kosmos] – la vecchia idea sviluppata con Saxl, che negli spazi messi a disposizione dal Museo di Monaco avrebbe preso la forma di una sequenza di immagini, un viaggio nello spazio ma anche nel tempo:

Prendere le mosse da Oriente e poi seguire le irradiazioni verso Nord fino all’epoca di Keplero, transitando per la Spagna, l’Italia e la Germania (Ghelardi 2012, 373).

Franz Boll non è citato, ma si capisce che c’è lui, sullo sfondo, come è chiarissimo in uno scritto quasi coevo:

[…] anzitutto dobbiamo di nuovo ricordare in modo esplicito quell’uomo senza il quale sarebbe stato impossibile far girare il nostro faro verso Est. La Biblioteca deve esclusivamente al mio amico Boll l’ampliamento del campo di studio della migrazione del mondo degli dèi pagani lungo la coordinata Est-Ovest che oggi tocca la Spagna e giunge fino all’India, mentre quella Nord-Sud […] era già stata tracciata prima che nel 1907 conoscessi la sua opera Sphaera (Warburg [1929] 2007 b, 879).

La restituzione visiva del viaggio nello spazio e nel tempo – si legge ancora nella lettera a Karl Laufer – richiede un dispositivo senza precedenti:

uno strumento del tutto nuovo che la società europea ancora non possiede poiché l’intero percorso dalla spiegazione figurativo-religiosa fino a quella a quella concettuale-matematica può essere memorizzato e segnato in tutta la sua tragica complessità, o se si preferisce nella infinita potenzialità di sviluppo della sua ciclicità periodica (Warburg 1993, 60-61).

La lettera è molto bella. L’euforia per lo “strumento del tutto nuovo” (l’Atlante) non esorcizza la consapevolezza che il pericolo è sempre in agguato, e appena si perde l’“orientamento”, riaffiora la magia primitiva (Warburg 1993, 60-61, su cui Ghelardi 2012, 375).

È di questo periodo uno scritto sul Metodo della scienza della cultura, che rievocate le “forme di inquietudine” all’origine dell’espressione artistica, sorprende alla fine con un’immagine:

In tal modo, abbiamo avuto la possibilità di soffermarci brevemente nei saloni inquietanti dove le intime commozioni psichiche si sono trasformate in una forma artistica duratura. E ciò non per trovare una soluzione ai misteri dell’animo umano, ma per mettere nuovamente a punto a domanda eterna: perché il destino assegna all’uomo creativo le sfere dell’eterna inquietudine, rimettendo al suo giudizio la libertà di trovare la sua educazione nell’Inferno, nel Purgatorio o nel Paradiso? (Warburg [1927-1929] 2012, 918)

Forse non è indebita, allora, l’associazione tra quanto si è detto e il tentativo di fare ordine che presiede ad un altro tipo di carte geografiche, quelle che illustrano l’architettura dell’Aldilà nella Commedia dantesca. Una mappa di Inferno e Purgatorio è inclusa nella tavola 23 dell’Atlante, la cui didascalia generale presenta il Salone di Padova come “gigantesca pagina di un libro per la determinazione del destino”.

Antichità italiana meridionale-araba. Il Salone come gigantesca pagina di un libro per la determinazione del destino. Schema di Dante. […] (Warburg 2002, 36)

Della singola immagine si legge: 

Nella Divina Commedia il Purgatorio sopra la terra. In alto, le dieci sfere celesti con le rispettive scienze, virtù, ecc.

Quanto al progetto di Monaco, il naufragio per incomprensioni con il committente su spazi e mezzi era previsto lucidamente da Saxl fin dall’agosto del 1927. Al 26 di quel mese risale nel diario della Kunstwissenschaftliche Bibliothek questa sintesi, laconica e istituzionale:

È un peccato che al Deutches Museum lo spazio architettonico a disposizione sia così modesto: a parte le foto e i 4 modelli non possiamo portare alcun materiale da esporre [Ausstellungsgegestände]. Le foto non fanno un grande effetto, perché a visitatori distratti passano inosservate. Il Museo del Folklore di Anversa è riuscito a procurarsi modelli dell’intera raccolta archeologica in modelli: calchi dei pianeti coi loro colori, l’Uomo-Cielo di Agrippa di Nettensheim in bronzo, carte da gioco e così via (Warburg [1926-1929] 2001).

8. Un’altra digressione. Divergenze planetarie

Dal fallimento del progetto di Monaco (1927) era rimasto a Warburg il rammarico di un’occasione perduta, e una punta di fastidio per quel Planetario Zeiss così poco valorizzato dal Deutsches Museum di Monaco: uno spreco, ai suoi occhi, diventato una piccola ossessione. Ancora nel novembre del 1928, da Roma, ne aveva scritto al fratello Max: Monaco non era stata in grado di gestire degnamente il Planetario, e a Roma Benito Mussolini aveva copiato l’idea, ricavando un Planetario dalle Terme di Diocleziano. Polemicamente, alla lettera erano allegati due articoli di giornale del 16 e del 30 ottobre, relativi alla pubblicizzatissima inaugurazione romana, il 2 ottobre 1828 (cfr. Michaels e Scholl-Glass 2001, 61; 68-69; 74; 135; 145-146) [immagini, foto e filmati dell’Istituto Luce su Youtube].

Alle condizioni poste da Oskar von Miller, rinunciare al progetto di Monaco era stato inevitabile, ma Warburg lo aveva fatto controvoglia. Di lì, appunto, il fastidio per il Planetario di Roma, che Warburg si sarebbe sempre rifiutato di visitare. In tenuta da cerimonia, il Duce aveva presenziato all’inaugurazione un mese circa prima che paio di settimane prima dell’arrivo di Warburg in città (il 17 novembre).

A Roma, sembra, non si parlava d’altro, ma il professore di Amburgo aveva manifestato platealmente il suo disinteresse. Mai visitato il nuovo monumento, stando al diario, neanche in occasione di una giornata passata alle Terme di Diocleziano, in compagnia dell’archeologo Gioacchino Mancini, professore all’Università di Roma e collega di Roberto Paribeni, direttore generale delle Antichità e Belle Arti a Roma, che del nuovo Planetario aveva appena pubblicato una guida turistica (Paribeni 1929). Questo il resoconto, che al nuovo Planetario non dedica neppure un cenno: 

Warburg: 22. XI. 1928. Alle Terme di Diocleziano. L’entusiasmo è cresciuto solo lentamente. Trovo un frammento di rilievo in stile egizio con i misteri. Il prof. Mancini racconta che Paribeni lo ha messo in relazione ai – suppongo – dipinti parietali di Iside (Moresca!) di Ercolano (dove?). Si vede inoltre (sala VI) un frammento in pietra grigia di un Ratto di Proserpina con una Athena con corazza (attestato anche in altri luoghi? […]). – Tipi di pittura parietale antica di rara bellezza completano l’impressione avuta in Vaticano (Warburg-Bing [1928-1929] 2005, 8).

9. Il Planetario di Amburgo

L'appoggio alla costruzione di un Planetario nella sua città, ricavato da una torre dell’acqua già esistente nel parco cittadino, è tra le prime iniziative di Warburg al ritorno dal viaggio in Italia.

Il disegno qui riprodotto è uno schizzo di Warburg, dopo un sopralluogo nel parco al quale avevano partecipato fra gli altri Joachim Ernst Krause, esponente del senato cittadino, con delega ai beni paesaggistici, e Fritz Schumacher, tornato da poco ad Amburgo dopo un impegno triennale a Colonia per assumere il ruolo di Oberbaudirektor, qualcosa come un assessore plenipotenziario (Calandra di Roccolino 2014). L’idea del comitato era di ricavare uno spazio simile al Pantheon (ein Pantheon-Raum), con cupola di 4 metri e 21 di diametro.

Incaricato di occuparsi di una mostra-conferenza per l’inaugurazione e degli apparati didattici del nuovo Planetario, Warburg recuperà alcuni materiali preparati per il Deutsches Museum di Monaco. Putroppo, si è detto, morirà prima di concludere il lavoro, che sarà portato a termine da Saxl (Warburg 1993). Anche in questo caso, della mostra è sopravvissuta una parziale, preziosissima documentazione fotografica (Warburg 1930-1931).

Centrale, ancora, la questione dell’“orientamento”, che proprio il lavoro per il Planetario, credo, fa tornare in primo piano, dopo la parentesi italiana. 

10. Agenda

Potrebbe essere utile a questo punto (e andrà approfondito) un esercizio ‘stratigrafico’, cercando di verificare per quanto possibile la provenienza delle singole immagini: le tavole precedenti, intendo, da cui siano state tratte, o le mostre in cui siano state esposte. Mi limito a qualche esempio, a conferma dell’ipotesi ‘genetica’ che si è delineata. La maggior parte delle immagini riproposte nel blocco ABC erano comparse, prima che nell’Atlante, nei pannelli per la conferenza in memoria di Boll (1925), in quelli previsti per la mostra destinata al Deutsches Museum di Monaco (1927) o quella effettivamente realizzata al Planetario di Amburgo (1930).

L’immagine d’apertura della tavola A, per esempio, è un’incisione seicentesca olandese su rame di proprietà dello stesso Warburg, che arriva direttamente dalla mostra al Planetario di Amburgo, cui in seguito è stata donata (vedi la fotografia del pannello preparato per il Planetario, in WIA1000.3. 3. 1-2).

Quasi tutte le immagini della tavola B erano state esposte e commentate nella conferenza del 1925 in memoria di Boll. E molte, già esposte nella mostra di festeggiamento per il ritorno di Warburg ad Amburgo, dopo le dimissioni dalla clinica di Kreuzlingen.

Anche gran parte delle immagini esposte nella tavola C erano state proiettate durante la commemorazione su Boll. Così l’immagine dell’Orbita di Marte secondo le osservazioni di Keplero [C 2], tratta dall’Astronomia nova de motibus stellae Martis (1609), e l’immagine tratta dal Mysterium cosmographicum (1621), in alto a sinistra [C 1], posta accanto alla più tranquillizzante rappresentazione delle Orbite planetarie secondo la concezione moderna dell’Enciclopedia Brockhaus (1895) [c 3].

Al pubblico della commemorazione di Boll era stata anche mostrata l’impressionante rappresentazione quattrocentesca di Marte e dei suoi figli che chiude la prima fila della tavola C [C 4], con un Perseo, sulla sinistra, rappresentato per metà come un guerriero e per metà come una costellazione. Aveva detto, allora:

Keplero era consapevole che proprio dalla ingovernabile funzione della sua coscienza di ricercatore – che non si acquietava neppure di fronte agli otto gradi di errore nel calcolo dell’orbita di Marte – dipendeva l’ingresso di una nuova epoca che significava il superamento sia interno che esterno della Sphera barbarica. Ciò nonostante egli parla del pianeta Marte come di un antico sacerdote i cui sbandati seguaci possiamo vedere in un codice illustrato a Tubinga ( Warburg [1925] 2012, 387 e tav. 351).

Sempre nel 1925, ricordando l’amico scomparso, Warburg aveva citato il passo dell’Astronomia nova in cui Keplero sosteneva di essere riuscito, calcolandone l’orbita, a placare il pianeta (o il dio) più feroce:

Ho circuito tutte le sue storture. Alla fine ha riconosciuto il mio coraggio, ha rinunciato alla sua ostilità e si è mostrato leale” (Keplero 1609, 117).

Non solo uno scherzo o una forma di superstizione, per chi, come Warburg, “durante la malattia, interpretò la sua sofferenza come una vendetta dei sinistri demoni che aveva cercato di esorcizzare” (M.A. Warburg [1930] 2004, 182).

I tre Zeppelin della tavola C sono tutti del 1929: un disegno tratto da una notizia giornalistica, un po’ nello stile della “Domenica del Corriere” (5. 1), un ritaglio di giornale (5. 2) e un altro in cui è specificata la spedizione dell’immagine via telegrafo (5. 3). Non è da escludere che nella diversa tipologia delle immagini sia da riconoscere una specie di valore aggiunto: dire i molti mezzi di trasmissione moderna delle immagini non tanto per evidenziare l’eterogeneità dei pezzi esposti nelle singole tavole, ma per ribadire anche attraverso la forma il potere della tecnica. Marte, come diceva Keplero, può “rinunciare alla sua ostilità, e mostrarsi leale”.

Un disegno, dunque, una fotografia di quotidiano e una fotografia presentata come trasmessa al telegrafo (“Telegrafierte Bilder”precisa la didascalia a penna, sopra un’immagine dello Zeppelin che arriva a sovrapporsi, testa in giù, ai titoli della testata: “Hamburger Illustrierte”).

Non compare in C un altro Zeppelin, più antico, che Warburg aveva mostrato in diapositiva nel corso della commemorazione di Boll – ed anche quello allora attualissimo: una fotografia apparsa sull’“Hamburger Fremdenblatt” il 17 aprile 1925, pochi giorni prima della conferenza, per dare notizia della prodezza di un pilota inglese, riuscito ad evitare una tempesta e ad atterrare grazie alla moderna strumentazione del suo velivolo. Nell’ambito della conferenza, lo Zeppelin era stato chiamato in causa all’interno di una digressione sulla navigazione marina e aerea, e l’uso italiano di chiamare “fortunale” la tempesta, con riferimento inequivocabile e insieme sorprendente alla vecchia dea Fortuna:

Gettare l’ancora nella tempesta fino a che la Fortuna – che qui è resa in modo sorprendentemente analogo all’uso nella lingua italiana, viene usata per designare la tempesta – sia cessata, appare come una specie di nautica che non avrebbe condotto in ogni caso alla navigazione aerea.
Quando si tratta del dominio degli elementi, il potere crescente della natura sembra stia in rapporto inverso alle esigenze primordiali della causa che eccita e che ne è percettibilmente afferrabile. Solo nel momento in cui vengono prodotti dei suoni causati da un produttore che resta invisibile, l’uomo riceve al posto di comando come sicura bussola solo questi aridi numeri. Ma adesso egli può combattere il vento in quanto personalità ostile o superarlo, benché nessuna ciocca si offra alla sua ciocca di Perseo.
Il dirigibile danneggiato comunicò: “sono giunto in salvo perché sono riuscito, grazie alla elaborazione di dati, a dirigermi alle spalle della tempesta attraverso il mare del Nord verso la costa inglese” (Warburg 1905 [2012] 380-381; il passo fra parentesi uncinate è soppresso ma con cancellato nell’autografo).

Lo Zeppelin del 1925 se ne va, ma lascia il posto ad altri, più nuovi. È l’ulteriore conferma di una trama che si tesse a poco a poco, anche con materiali di reimpiego, e disegna nelle tavole configurazioni leggibili con maggiore chiarezza se si cerca di analizzarne l’origine e l’ordito.

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English abstract

The three first introductive plates of Mnemosyne Bilderatlas (A, B, C) have been assembled after the rest of work was completed – probably in the last months of Aby Warburg’s life, retour de his last yourney in Italy (1928-1929). Still yet in January 1929, he has in mind another solution for the ouverture of his work, as it result from the text and the panels prepared for the Hertztana Lecture in Sala Grande (January 19th 1929), the first really public and ‘official’ presentation of the Atlas. The new block, otherwise, returns to an old subject, corresponding with one of the more strict collaboration between Aby Warburg and Fritz Saxl, connecting Fritz Boll and his Sphaera barbarica. The paper try to show the role played by Fritz Saxl in the last trasformation of last Warburg’s work: “our glorious Atlas”, as himself wrote in 1927 just to his friend and collaborator Fritz Saxl.

keywords | Panel A; Panel B; Panel C; Warburg; Mnemosyne Atlas; Fritz Saxl.

 

Per citare questo articolo / To cite this article: S. De Laude, “Symbol tut wohl!”. Il simbolo fa bene! Genesi del blocco ABC del Bilderatlas Mnemosyne di Aby Warburg, “La Rivista di Engramma” n. 125, marzo 2015, pp. 30-79 | PDF of the article 

doi: https://doi.org/10.25432/1826-901X/2015.125.0005