"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

224 | maggio 2025

97888948401

Bernard Dort e l’enigma Ronconi

Il teatro dell’irrappresentabile

Erica Magris

English abstract

1-2 | Programma di sala, fronte e retro, dell’Orlando furioso al Théâtre des Nations, Parigi, 1970 (Fonds Dort, Université Sorbonne Nouvelle, Théâtrothèque Gaston Baty).

La ricezione di Luca Ronconi in Francia

Al principio, un trionfo di pubblico e di critica: il rapporto di Ronconi con la Francia comincia il 4 maggio 1970, con l’immenso e inatteso successo dell’Orlando furioso presentato alle Halles di Baltard nell’ambito del Théâtre des Nations. Le scene parigine, che costituiscono all’epoca una piattaforma privilegiata di circuitazione, riconoscimento e approfondimento critico per il teatro internazionale (Bradby, Delgado 2002), consacrano allora questo regista italiano ancora sconosciuto oltralpe. Il seguito, però, si configura, a un primo sguardo, come incontro certo non mancato, ma non del tutto compiuto. Se una decina di spettacoli, a cui si aggiungono otto messe in scene liriche (Filacanapa, Magris 2021), trovano spazio in istituzioni importanti (Théâtre des Nations, Festival d’Automne, Théâtre de l’Odéon, Comédie-Française), la presenza di Ronconi sulle scene francesi rimane intermittente, in particolare per il teatro parlato, rispetto alla quale lunghi e ricorrenti sono i periodi di assenza (1976-1986, 1988-1995, 2000-2006, 2008-2015)[1]. Inoltre, le rappresentazioni in Francia provocano frequentemente le reazioni perplesse o apertamente ostili della critica (Filacanapa, Magris 2021), intrappolata nell’orizzonte di attesa generato dal colpo di fulmine ariostesco, che il regista tende puntualmente a spiazzare e contraddire. Nel 1980, Colette Godard, piuma teatrale di Le Monde dal 1970 al 1995, afferma:

Ronconi a beau venir et revenir donner la mesure de son génie délirant, de sa violence, de la complexité de ses recherches avec la maison pièce de XX, les machineries broyeuses de l’Orestie (sept heure de spectacle), il reste l’homme de l’Orlando, un Italien de soleil, d’outrance et de folklore verdien (Godard 1980, 46 e 49).
[Per quanto Ronconi torni e ritorni a dare la misura del suo genio delirante, della sua violenza, della complessità delle sue ricerche con le stanze di XX, i macchinari trituratori dell’Orestea (sette ore di spettacolo), Ronconi resta l’uomo dell’Orlando, un italiano di sole, d’eccesso e di folklore verdiano].

Rispetto ad altri artisti italiani che in Francia hanno trovato un terreno istituzionale fertile per dare una dimensione europea al loro lavoro e degli interlocutori attenti capaci di avviare scambi fecondi e di costruire una memoria vivente dei loro spettacoli – si pensi a Jean-Paul Manganaro per Carmelo Bene, a Bernard Dort, Odette Aslan e Myriam Tanant per Giorgio Strehler – le incursioni nell’ambiente teatrale d’oltralpe sembrano possedere, a un primo esame, una minor rilevanza nel percorso di Ronconi, più incentrato su un fertile nomadismo italiano.

Un’esplorazione più approfondita degli archivi francesi alla ricerca delle tracce lasciate dai passaggi di Ronconi getta una diversa luce su questo quadro a mezze tinte. Tre sono i momenti in cui Ronconi frequenta intensivamente il teatro francese. Il primo, dal 1970 al 1975, fa seguito al successo dell’Orlando e comprende degli spettacoli significativi nel percorso del regista, come XX (Ronconi 2019, 220-224 e 258-261), Orestea, Utopia. Il secondo è più concentrato, nell’autunno del 1987: il Festival d’Automne diretto da Michel Guy programma al Théâtre des Amandiers diretto da Patrice Chéreau due creazioni realizzate in Italia, La serva amorosa (13-17 ottobre) e Amor nello specchio (18-22 novembre), e la Comédie-Française presenta una produzione originale de Le Marchand de Venise (10 novembre 1987-14 gennaio 1988). Infine, il terzo momento, che prende forma nella scia dei molteplici incontri del 1987, è centrato piuttosto sulla trasmissione ed è situato all’inizio degli anni 1990, grazie all’attività dell’Académie Expérimentale des Théâtres, fondata da Michèle Kokosovski, Georges Banu e Alain Crombecque[2]. A livello critico, la bibliografia francese su Ronconi annovera, oltre alle regolari recensioni sulla stampa, diversi articoli specialistici e un numero rilevante interviste che si intensificano in questi periodi – che abbiamo riportato nella nota bibliografica –, ma è priva di studi monografici di rilievo, ad eccezione de Il rito perduto di Franco Quadri, tradotto prontamente nel 1974, e del volume curato da Ginette Herry (1987), specialista di letteratura teatrale italiana, incentrato su La serva amorosa, contenente la traduzione del testo goldoniano, dei saggi di studiosi italiani e due lunghe interviste. La flagrante assenza di pubblicazioni rilevanti nasconde però un terreno di scambi più informali e distribuiti, che, ipotizziamo, hanno contribuito a sostenere il percorso di Ronconi in momenti chiave della sua carriera, determinando dapprima la consacrazione sperimentale nell’alveo del teatro di ricerca internazionale culminata con la nomina alla direzione del Settore Musica e Teatro della Biennale di Venezia nel 1974, e in seguito la consacrazione istituzionale nel pantheon della grande regia, che prelude alla nomina alla direzione del Teatro Stabile di Torino. Infine la valorizzazione della dimensione pedagogica e l’esperienza di atelier agili e intensivi, con giovani attori e registi di orizzonti diversi, ha forse rafforzato la progettualità di Ronconi in questo ambito.

Colette Godard, Bernard Dort, Ginette Herry e Georges Banu sono i critici che in Francia si sono maggiormente interessati a Ronconi e si sono adoperati, non tanto a spiegare – essi affidano piuttosto questo ruolo a Franco Quadri, riconosciuto come un’autorità sull’argomento (Tosetto 2018, 918-919) – quanto a interrogare e cercare di capire il suo lavoro. Questo articolo, parte di una ricerca più ampia, si concentra sulla relazione fra Ronconi e Dort, figura prominente degli studi teatrali della seconda metà del Novecento, grande conoscitore del teatro europeo e italiano in particolare, che ha scritto relativamente poco sul regista, ma che lo ha conosciuto e frequentato dall’Orlando fino alla morte, alla metà degli anni Novanta. Ricostruire il tracciato frastagliato di questo rapporto, che si dipana fra scambi ricorrenti ma irregolari, affinità sotterranee, incomprensioni e acuti varchi interpretativi, permette non solo di rendere conto di una lettura critica della poetica ronconiana, ma anche di entrare nel tessuto delle dinamiche relazionali fra Ronconi e l’ambiente teatrale francese. Confrontando i materiali editi con i documenti d’archivio conservati alla Théâtrothèque Gaston Baty, all’IMEC (Institut Mémoires de l’édition contemporaine) e nell’Archivio Ronconi, tenteremo quindi di ricostruire il percorso di spettatore ronconiano di Dort e il suo legame personale con il regista, per concentrarci poi sullo sguardo critico che egli sviluppa sul suo lavoro nel corso degli anni.

Sopralluogo dortiano. Una relazione ‘carsica’

3-4-5 | Biglietto manoscritto di Luca Ronconi a Bernard Dort, 1991 (Fonds Dort, Université Sorbonne Nouvelle, Théâtrothèque Gaston Baty).

In calce alla fotocopia di una sua recensione di Ignorabimus inviata a Dort, in cui compare una foto di Luca Ronconi, un anonimo collega della Freie Universität di Berlino annota divertito: “Il te ressemble un peu!” (“Un po’ ti assomiglia!”: s.a. 1986). Oltre alla barba brizzolata e poi bianca, Dort e Ronconi, nati a quattro anni di distanza, condividono altre caratteristiche ben più pregnanti: innanzitutto l’estrema prolificità – si contano a centinaia tanto gli articoli, i saggi e le comunicazioni realizzate dal primo che le regie e i progetti creati dal secondo; il gusto per la formazione – per entrambi l’insegnamento è un pilastro della loro attività –; e, infine, una paradossale marginalità, sottolineata dallo stesso Dort. Se egli infatti dice di sé “J’ai toujours été marginal” (“sono sempre stato marginale”: Meyer-Plantureaux 2000, 268), di Ronconi scrive: “À la différence de son ainé, Giorgio Strehler, il est demeuré un marginal. Mais c'est le marginal le plus prolifique, le plus fastueux et le plus déconcertant qui soit” (“A differenza del suo precedessore, Giorgio Strehler, è rimasto un marginale. Ma è il marginale più prolifico, fastoso e sorprendente che esista”: Dort 1988, 504). Entrambi attraversano il loro tempo tracciando traiettorie singolari, allo stesso tempo aperte, multidirezionali, e estremamente coerenti nel loro costruirsi da un punto di vista marcatamente personale.

La figura poliedrica di Bernard Dort – critico, docente universitario e insegnante al Conservatoire e alla scuola del T.N.S., creatore e animatore di riviste, dramaturg, traduttore – ha giocato un ruolo di primo piano nel costruire un territorio comune fra studi teatrali, vita del teatro e preoccupazione politica. Spettatore instancabile, ha contribuito alla comprensione approfondita di poetiche registiche individuali e al riconoscimento – a volte all’anticipazione – di snodi fondamentali della storia del teatro e di tendenze emergenti sulla scena a lui contemporanea. Come testimonia uno dei suoi primi allievi alla Sorbonne, il regista Jacques Lassalle, “Dort se fit intercesseur autant que mémorialiste. Inlassablement, il arpenta, éclaira, mit en rapport et en perspective. Il n’était pas seul, bien sûr, mais à sa manière fraternelle et discrète, il précédait chaque fois” (“Dort è stato tanto un intercessore quanto un memorialista. Instancabilmente, ha esplorato, illuminato, connesso e messo in prospettiva. Naturalmente non era il solo, ma nel suo modo fraterno e discreto, ogni volta precedeva [gli altri]”: Lassalle 1995, 8). Grazie alle sue conoscenze linguistiche, questo “intellectuel singulier, en marge, dont l’influence, le rayonnement, ont dépassé le cercle restreint du théâtre” (“intellettuale singolare, ai margini, la cui influenza, la cui autorevolezza sono andate oltre il cerchio ristretto del teatro”: Meyer-Plantureaux 2001, 8), ha operato, durante tutta la sua carriera, come un mediatore fra la cultura teatrale francese e quelle tedesca e italiana. Il Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, scoperto nel 1958, è un punto fermo della sua riflessione appassionata sul rapporto tra teatro e mondo. A fronte della trentina di pubblicazioni incentrate esplicitamente sugli spettacoli strehleriani, ad esempio, a cui si aggiungono i molteplici riferimenti nei saggi di ordine più generale, i tre articoli su Luca Ronconi che Chantal Meyer-Plantureaux inserisce nella sua copiosa bibliografia postuma paiono aneddotici (Meyer-Plantureaux 1997).

Gli archivi Bernard Dort conservano però tracce di una prolungata e regolare, anche se parziale, frequentazione e osservazione del teatro ronconiano. Nel Fonds Dort alla Gaston Baty – non ancora interamente catalogato – composto da decine di faldoni contenenti un’impressionante memoria del teatro internazionale della seconda metà del Novecento – una scatola, la n° 22, porta il titolo “Luca Ronconi”[3]. Vi si trovano dei dossier che contengono, in maniera piuttosto disordinata, svariati materiali raccolti da Dort, dall’Orlando furioso fino a Gli ultimi giorni dell’umanità: programmi di sala, dossier per la stampa, ritagli di recensioni in francese, italiano, in alcuni casi inglese e tedesco. Nel fondo iconografico figurano inoltre quattro fotografie de La Valchiria, che Dort si fa inviare da uno studio fotografico, e in un altro contenitore un articolo dedicato al ruolo di Vittorio Gassman nel Riccardo III[4]. Se pur con evidenti approssimazioni – sono assenti, ad esempio, i programmi di sala di spettacoli a cui ha sicuramente assistito – è possibile tratteggiare il percorso di Dort attraverso gli spettacoli di Ronconi, che siano visti direttamente o sui quali si sia portata la sua attenzione. In totale trenta spettacoli sono variamente documentati: 17 di teatro parlato, fra cui, oltre a quelli presentati in Francia già citati, L’uccellino azzurro (sicuramente visto), Spettri, Il sogno, Santa Giovanna, Le due commedie in commedia, Ignorabimus (sicuramente visto), Dialoghi delle carmelitane, Tre sorelle, le produzioni torinesi Gli ultimi giorni dell’umanità e L’uomo difficile (sicuramente visto); e 13 di lirica, da La Valkiria (sicuramente visto) fino a Guglielmo Tell, passando per Il barbiere di Siviglia (sicuramente visto), Oberon, Wozzeck (sicuramente visto), Opera (sicuramente visto), Orfeo, Ernani, Moïse et Pharaon, Viaggio a Reims (sicuramente visto), Ifigenia in Tauride, The Fairy Queen, La fiaba dello zar Saltan. Del laboratorio di Prato, inoltre, sono conservati il progetto dettagliato, un ricco opuscolo stampato nel 1978, l’analisi dattiloscritta, curata da Franco Quadri, del Calderon, e il programma delle rappresentazioni del 1978. Ricordiamo infine un programma dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi su Goldoni, in cui Dort cerchia in rosso la proiezione della Bettina televisiva. Due constatazioni si impongono: Dort costituisce un corpus eterogeneo di creazioni realizzate a partire da materiali e in contesti diversi, e segue, coerentemente con il suo interesse per la messa in scena contemporanea d’opera in quanto fattore di innovazione teatrale[5], con quasi uguale intensità l’attività di Ronconi nel teatro parlato e cantato, in una visione globale della poetica registica. Inoltre, il monitoraggio documentario realizzato da Dort suggerisce un’evoluzione qualitativa e quantitativa, in cui, a partire de La Valchiria nel 1974 e in concomitanza poi con gli anni della prima lunga assenza di Ronconi dalle scene francesi, il suo interesse tende a divenire più personale e diversificato.

Fra i differenti dossier conservati della scatola Luca Ronconi a Gaston Baty[6] spicca infine una breve lettera manoscritta di Luca Ronconi spedita a Dort dall’Umbria nell’estate 1991. Egli lo ringrazia per un suo biglietto e soprattutto per essersi recato a Torino, insieme a un’altra persona, a vedere L’uomo difficile. Esprimendo la speranza di incontrarlo nuovamente a Parigi, conclude con una formula affettuosa: “Ti abbraccio con tutta la mia amicizia” [Fig. 4]. Da questo sopralluogo bibliografico e archivistico dortiano, emerge l’immagine di una relazione ‘carsica’ poco visibile, che è mutata nel tempo e in cui la sporadicità degli affioramenti delle pubblicazioni non sarebbe il risultato di una diffusa aridità, ma di uno scorrimento sotterraneo.

Testimonianza ronconiana. Percorso sotterraneo fra avvicinamenti e incomprensioni

Nel numero di “Biblioteca Teatrale” dedicato allo studioso allora recentemente scomparso, Luca Ronconi offre una testimonianza diretta del suo rapporto con Dort. Fra i ricordi e gli omaggi di colleghi e artisti, fra cui Lassalle, Strehler, Mnouchkine, Squarzina e De Bosio, il suo contributo si presenta nella forma, alquanto eccentrica nella compagine del numero, di intervista con Ginette Herry. Lo scarto è anche sostanziale: rispetto agli encomi e alle parole commosse degli altri testi, Ronconi, con estrema sincerità, usa toni minori, evocando un “rapporto disteso, anche piuttosto amichevole” (Ronconi 1997,114), seguito a un periodo durato una decina di anni di “distanza” e “diffidenza” reciproche. Nel suo ricordo, più che le consonanze, Ronconi mette in rilievo le incomprensioni e le occasioni perse, continuando quasi a confrontarsi con lo studioso francese, spiegando la sua posizione e la sua esperienza di regista italiano abituato a lavorare con la lingua italiana in una tradizione e in un contesto specifici. Egli evoca in particolare due momenti di avvicinamento importanti che, però, non sfociano in un rafforzamento immediato del loro legame, anzi, si interrompono bruscamente.

Agli inizi degli anni Settanta, quando Dort è una figura già riconosciuta[7], mentre egli ha da poco raggiunto la notorietà internazionale, Ronconi racconta di essere stato sospettoso di fronte al rigore ideologico – “seducente e improbabile” (Ronconi 1997, 110) – dello studioso, a sua volta non convinto dallo sperimentalismo del regista. Nel 1974 si presenta l’opportunità di una frequentazione diretta nell’ambito della sezione Musica e Teatro della Biennale di Venezia, di cui l’uno diviene direttore, l’altro consigliere-commissario. Delle riunioni di lavoro regolari sono organizzate per condividere pareri sulle creazioni teatrali internazionali e discutere la programmazione del festival. I lavori però lasciano Dort insoddisfatto. Da una lettera conservata all’IMEC dell’ottobre 1976 (Dort 1976b), che si apre con un “Cher Ami”, si apprende che fin dall’estate, Dort esprime, oralmente e per iscritto, a Ronconi l’esigenza di un confronto di fondo per fare il punto della situazione e valutare le manifestazioni dell’edizione 1976, su cui egli porta uno sguardo piuttosto negativo. Egli lamenta inoltre, in un racconto dettagliato dei problemi sopravvenuti per gli ultimi tre incontri, l’organizzazione approssimativa dei lavori della commissione, che trascura le sue indisponibilità e avverte tardivamente della tenuta delle riunioni. Non si tratta solo di giustificare le sue assenze al direttore, ma di confermare il suo impegno e di reclamare, con una certa frustrazione, una modalità di collaborazione più seria ed efficace. Il cambiamento desiderato non si produce e, al contrario, la situazione istituzionale si deteriora al punto da determinare, nel luglio dell’anno successivo, le dimissioni di Ronconi. Quest’ultimo tiene ad avvertire Dort personalmente, prima che la notizia diventi di dominio pubblico, con una lettera del 7 luglio 1977, in cui, ringraziandolo, si rammarica “che la nostra collaborazione non sia potuta essere, per quest’ultimo anno, stretta e proficua come avrei voluto” (Ronconi 1977a), in particolare intorno a un progetto di Laboratorio di Teatro Italiano (Ronconi 1977b). Nella sua risposta (Dort 1977), Dort, toccato dal gesto di Ronconi nell’avvisarlo personalmente, si duole a sua volta che il lavoro comune alla Biennale non sia stato condotto in maniera “véritablement fructueuse” (“veramente feconda”) ma serba il ricordo “de bonnes discussions et de quelques projets séduisants” (“di buone discussioni e di qualche progetto accattivante”). Afferma di essere stato anche “heureux aussi d’avoir cette occasion de faire un peu mieux ta connaissance” (“felice di aver avuto questa occasione di fare un po’ meglio la tua conoscenza”), auspicando la prosecuzione dei rapporti e chiedendo notizie del lavoro a Prato.

Passeranno invece alcuni anni prima che le strade di Ronconi e Dort tornino ad avvicinarsi. Secondo il regista, è solo dopo averlo visto lavorare con gli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica nel 1983, durante un soggiorno di insegnamento all’Università La Sapienza di Roma, dove è invitato da Franca Angelini, che Dort coglie il suo lavoro diversamente, nella sua processualità e nella relazione con gli attori. Una volta nominato consigliere letterario al Théâtre National de Strasbourg diretto da Jacques Lassalle, Dort pensa immediatamente a Ronconi per realizzarvi uno spettacolo con gli attori della troupe e gliene parla durante una visita di quest’ultimo a Parigi. Poco dopo, nel novembre 1983, Lassalle scrive al regista dicendosi “doublement heureux à l’idée que vous envisagiez favorablement une mise en scène au T.N.S. durant la saison 1984-85” (“doppiamente felice all’idea che consideri con favore una messa in scena al T.N.S. per la stagione 1984-85”: Lassalle 1983) e che la scelta cada su Verso Damasco di Strindberg, un testo “qui répond parfaitement à nos préoccupations actuelles de répertoire” (“che risponde perfettamente alle nostre preoccupazioni attuali di repertorio”).

Nel gennaio 1984, dopo un ulteriore incontro fra Dort e Ronconi a Roma nel dicembre dell’anno precedente, gli scrive nuovamente per esprimere la sua approvazione rispetto al cambiamento del testo prescelto – La sonata degli spettri – alla cui origine si troverebbe un dubbio di Ronconi stesso sulla realizzabilità del progetto originario: “Certes, je regrette que nous ne puissions nous attaquer à l’immense Chemin de Damas, mais je comprends très bien vos raisons: un tel spectacle eut peut-être été démesuré pour notre TNS” (“Certo, mi spiace che non possiamo affrontare l’immenso Verso Damasco, ma capisco bene le sue ragioni: un tale spettacolo sarebbe stato forse smisurato per il nostro T.N.S.”: Lassalle 1984a). Lassalle spiega inoltre l’impossibilità di accettare la proposta avanzata da Ronconi di montare il testo di Stridberg con gli allievi della scuola del T.N.S come saggio finale e rimarca la necessità di ritornare al progetto originario di uno spettacolo professionale del T.N.S, magari in apertura di stagione. E conclude invitando a fissare “le plus rapidement possible les modalités de notre collaboration” (“il più rapidamente possibile le modalità della nostra collaborazione”) e a bloccare le date, affinché lo spettacolo, a cui dice di tenere personalmente, vada in porto. In realtà, le due proposte alternative di Ronconi sono la spia della sua esitazione, di cui Dort e Lassalle non paiono rendersi conto, che conduce al naufragio del progetto, come raccontato da Ronconi stesso: “E io, vittima delle mie solite titubanze, pur avendo un gran desiderio di fare quell’esperienza, non ho avuto il coraggio di decidermi, e lui si seccò molto. […] Ha vissuto il mio atteggiamento come un tradimento, o la prova di una mia sfiducia” (Ronconi 1997, 13). In effetti, come raccontato nella biografia di Dort (Meyer-Plantureaux 2000, 247-248), i mesi seguenti sono particolarmente difficili dal suo punto di vista: durante l’estate – lo testimoniano i diversi fogli su cui annota recapiti telefonici e date di spostamenti – Dort cerca invano di raggiungere Ronconi telefonicamente. A settembre, riesce a parlare con il suo rappresentante legale, l’avvocato Giovanni Arnone, che spiega come, per una serie di circostanze dovute ai suoi impegni in Italia, non sia possibile per Ronconi realizzare lo spettacolo (Dort 1984a)[8]. La lettera ufficiale di diniego, firmata da Arnone e indirizzata all’amministratore del T.N.S., Raymond Wirth, arriva il 9 ottobre. Malgrado l’insistenza sull’incapacità di Ronconi, nelle circostanze di una stagione particolarmente gravosa, di “affrontare un lavoro di regia così impegnativo e che gli sta molto cuore” e la proposta di “concludere al più presto un nuovo per un diverso periodo di tempo” (Arnone 1984), le reazioni di Lassalle e di Dort sono risentite: il primo parla di “tristesse” (“tristezza”), sottolineando l’ammirazione e la fiducia all’origine della collaborazione (Lassalle 1984b), rammaricandosi di un difetto di trasparenza nei loro scambi, il secondo esprime una “déception est profonde” (“delusione profonda”: Dort 1984b). Ronconi gli risponde, sinceramente, confessando la sua insicurezza rispetto al progetto, la sue perplessità e la sua incertezza insite alla sua natura e augurandosi che “le difficoltà che ci sono state in questo primo rapporto […] non compromettano la nostra buona amicizia, alla quale tengo molto” (Ronconi 1984). Malgrado l’amarezza, questo progetto, che i colleghi francesi avevano valutato come concretamente realizzabile in maniera troppo precipitosa, non segna la fine dei rapporti fra Ronconi e Dort. Forse per quella onestà intellettuale che Ronconi stesso gli riconosce – “si sentiva di dare un giudizio su ciò che vedeva, ma non su ciò che vedeva in rapporto a ciò che pensava o a ciò che sapeva, no, mai!” (Ronconi 1997, 115) – o forse proprio perché questa esperienza, per quanto dura, gli permette di entrare nella sensibilità di un regista che pare non conoscere limiti e di toccarne le fragilità, Dort continua a seguire con interesse il lavoro di Ronconi, e, proprio negli anni successivi a questo episodio, a modificare la sua chiave di lettura critica.

Uno sguardo critico in evoluzione

I primi riferimenti di Dort al lavoro di Ronconi nei suoi testi editi sono inseriti in discorsi di stampo più generale ed esprimono spesso delle riserve. Egli coglie la novità e l’importanza dell’impianto drammaturgico e spaziale dell’Orlando furioso, ma, negli articoli di quegli anni, non si allinea con le reazioni di sorpresa e meraviglia della critica francese. Ne scrive infatti in relazione a 1789 del Théâtre du Soleil, che viene presentato nei capannoni della Cartoucherie di Vincennes, che l’allora giovane e sconosciuta compagnia usava per le prove, nel dicembre del 1970, dopo aver debuttato al Piccolo Teatro di Milano il mese prima (Peja 2005 e Picon-Vallin, 2025). Dort segue con interesse e simpatia il Soleil e la sua pugnace regista, Ariane Mnouchkine, che pone il “besoin de changer le monde” (“necessità di cambiare il mondo”: Mnouchkine 1968, 119) al centro della creazione teatrale. Di 1789 ammira l’articolazione di teatralità gioiosa e riflessione storico-politica e afferma entusiasticamente: “Devant un tel spectacle, on se remet à croire aux pouvoirs du théâtre, à sa réalité” (“Di fronte a un tale spettacolo, si ricomincia a credere ai poteri del teatro, alla sua realtà”: Dort 1979, 272). Egli riconosce apertamente che Mnouchkine si sia ispirata all’Orlando, al suo spazio multiplo e simultaneo e alla mobilità del pubblico – parla precisamente di “prestiti” e di “citazioni”, evocando anche il Bread and Puppet – ma trova che:

Une différence essentielle sépare pourtant 1789 de l’Orlando. Là où celui-ci restait, en fin de compte, un divertissement exotique de haute qualité, mais sans autre signification que le plaisir de ‘faire du théâtre, 1789 est aussi et surtout une méditation, la plus ingénieuse et la plus colorée possible, sur notre histoire, sur la Révolution (celle de 1789 et bien d’autres encore: Dort [1970] [1973] [1975] 1986, 215).
[Una differenza essenziale separa però 1789 dall’Orlando. Laddove quest’ultimo restava, in fin dei conti, un divertissement esotico di alta qualità, ma senza altro significato che il piacere di “fare teatro”, 1789 è anche e soprattutto una riflessione, più ingegnosa e colorata possibile, sulla nostra storia, sulla Rivoluzione (quella del 1789 e molte altre ancora].

La distanza, come ben indicato da Ronconi stesso, è quindi di ordine ideologico e si apre, a nostro avviso, più sul terreno del discorso sul teatro che del fare teatrale in sé. È interessante a questo proposito ricordare il dibattito che ha luogo durante l’incontro con il regista e gli attori organizzato dal Théâtre des Nations qualche giorno dopo il debutto dell’Orlando[9]. Ronconi spiega la genesi strutturalista dello spettacolo: “Je n’ai pas pensé d’abord à monter un spectacle [à partir] de Orlando furioso, l’intérêt a été plutôt d’essayer de faire un spectacle qui avait cette mécanique […], le choix du texte a été fait en un deuxième temps” (“Inizialmente, non ho pensato di montare uno spettacolo a partire dall’Orlando furioso, l’interesse era piuttosto di provare a fare uno spettacolo che avesse questa meccanica […], la scelta del testo è stata fatta in un secondo tempo”: Théâtre des Nations 1970, 4); afferma infatti – e a più riprese ci tiene a ribadire la sua distanza dal teatro politico – “Nous n’avons jamais dit que le spectacle que nous montions était un théâtre ayant un contenu politique. Ce n’était pas dans nos intentions” (“Non abbiamo mai detto che lo spettacolo che montavamo era teatro che avesse un contenuto politico. Non era nelle nostre intenzioni”(Théâtre des Nations 1970, 13). E precisa inoltre che il coinvolgimento degli spettatori non sia basato sulla trasmissione di un messaggio, ma sulla realizzazione di un dispositivo di comunicazione: “Il s’agit d’un spectacle où le public sent que c’est fait pour lui, non pas parce que nous avons des choses à lui dire, mais simplement parce qu’il a le sentiment d’être plus important que nous, les acteurs” (“Si tratta di uno spettacolo in cui il pubblico sente che è fatto per lui, non perché abbiamo delle cose da dirgli, ma semplicemente perché ha l’impressione di essere già più importante di noi, gli attori”, Théâtre des Nations 1970, 14-15). Ronconi, con il suo atteggiamento controcorrente, appare a Dort come uno straordinario sperimentatore, che però, nella diade teatro-mondo per lui fondamentale, è nettamente sbilanciato verso il primo.

Dort ne scrive, regolarmente anche se brevemente, nei compendi dedicati agli avvenimenti e alle tendenze di ogni anno teatrale, dal 1970 al 1977, inserendolo così nel panorama della regia europea. Nel 1971, esprime un giudizio severo su XX, che considera “un jeu un peu trop compliqué et gratuit” (“un gioco un po’ troppo complicato e gratuito”: Dort 1979, 280), mentre l’anno seguente osserva che il regista, “non content de réaliser un film à partir d’Orlando furioso, Luca Ronconi multiplie les expériences sur l’espace et les machineries scéniques” (“non contento di realizzare un film a partire dall’Orlando furioso, […] moltiplica le sperimentazioni sullo spazio e le macchine sceniche”: Dort 1979, 285), citando il fallimento di Das Kätchen von Heilbronn sul lago di Costanza, la “piège à mémoire” (“trappola della memoria”) fabbricata e manipolata da tecnici e attori nell’Orestea, e l’“essai de reconstitution du théâtre baroque” (“il tentativo di ricostituzione del teatro barocco” nella Centaura montata con gli allievi dell’Accademia. Nel 1975, accenna appena a Utopia a proposito del “mélange de fête et de réalité, d’utopie et de constat critique” (“combinazione di festa e di realtà, d’utopia e di valutazione critica”, (Dort 1979, 308) osservata ne L’Age d’Or du Soleil e in Faust-Salpetrière di Klaus Michael Grüber. Due anni più tardi, Dort menziona Ronconi, insieme allo Strehler dell’Arlecchino e di Re Lear, riflettendo sulla tendenza della regia contemporanea ad appesantirsi e ripiegarsi su un universo autoreferenziale. “L’expérience menée par Luca Ronconi au Laboratorio di progettazione teatrale de Prato n’aboutira-t-elle pas, aussi, à une clôture du théâtre sur lui-même ?” (“L’esperienza condotta da Luca Ronconi al Laboratorio di progettazione teatrale di Prato non sfocerà anch’essa su una chiusura del teatro su sé stesso?”: Dort 1979, 319), si interroga Dort, esprimendo dubbi sull’intenzione, espressa a suo avviso nel “jargon intellectuel à la mode” (“gergo intellettuale alla moda”) di “décoder parallèlement le langage théâtral et le territoire" (“decodificare parallelamente il linguaggio teatrale e il territorio”: tracciando il programma dell’ambizioso progetto, che definisce come “une sorte de mise à nu du théâtre, dans et selon des lieux divers” (“una sorta di messa a nudo del teatro in e secondo luoghi diversi”), Dort osserva che esso “risque de ne toucher que les initiés” (“rischia di toccare solamente gli iniziati”). Nell’ulteriore produzione di Ronconi, che stupisce lo studioso per la sua infaticabilità, il ruolo dello spazio scenico prevale a suo avviso sugli attori. "Le jeu du théâtre avec l’espace, avec tous ses espaces possibles” (“Il gioco del teatro con lo spazio, con tutti i suoi spazi possibili” (Dort 1979, 327) è per lo studioso centrale anche nei risultati del laboratorio presentati al pubblico l’anno seguente, Le Baccanti, Calderon e La Torre, il cui valore sembra, in questo momento, sfuggirgli. Pur senza esprimere giudizi, Dort sottolinea il carattere inevitabilmente elitario dell’esperienza e il suo costo elevato, evocando le incertezze sulla sua prosecuzione a causa delle riserve delle autorità locali di Prato. Nonostante la rigida severità di questi cenni, negli scritti di questi anni emerge però anche una fascinazione per la capacità che Ronconi dimostra di sviluppare attraverso la scena una riflessione sulle forme e sulla storia del teatro, come nelle Die Bachken al Burgtheater di Vienna, che egli descrive come “un compendium de tout le théâtre occidental, de la scène élisabéthaine au jeu pirandellien, en passant par l’évocation du Teatro Olimpico de Vicence et par la déclamation des grands acteurs du XIXè siècle (dont Sarah Bernhardt)” (“un compendio di tutto il teatro occidentale, dalla scena elisabettiana alla recitazione pirandelliana, passando per l’evocazione del Teatro Olimpico di Vicenza e per la declamazione dei grandi attori del XIX secolo (fra cui Sarah Bernhardt)”: Dort 1979, 289). La dinamica di spostamento temporale e di concentrazione ossimorica sono centrali nelle due recensioni che Dort scrive, a dieci anni l’una dall’altra, di due messe in scena ronconiane, la prima d’opera, la seconda di prosa.

Nella rubrica Actuelles della rivista “Travail Théâtral”, di cui sono conservati gli appunti manoscritti alla Théâtrothèque Gaston Baty, Dort si sofferma sulla Valchiria realizzata alla Scala di Milano nel 1974. Egli è intrigato da questo Wagner “réfléchi et relativisé” (“ragionato e relativizzato”: Dort 1976a,137) ambientato in una dimora borghese ottocentesca dove, fra specchi, ghisa, mattoni e boiseries, l’immaginario mitologico del dramma sopravvive in “signes de théâtre” (“segni teatrali”: Dort 1976a, 136) così restituiti alla loro dimensione storica: la capanna di Hunding appare a intermittenza dietro uno specchio unidirezionale e si materializza in una maquette posata su un tavolo; la cavalcata delle Valchirie è evocata da “un rideau sur lequel est peint un ciel tourmenté” (“un sipario sul quale è dipinto un cielo tormentato”) e la Valchiria da una “statua equestre”. La “soluzione radicale” del regista mette il luce quanto “d’intime, de familial et, donc, de fantasmatique” (“di intimo, famigliare e, quindi, di fantasmatico”: Dort 1976a, 137) è presente nell’opera, trasformandola, senza intenzione né parodica, né politica – sottolinea Dort –, in una “pseudo-tragédie grecque […] du secret et de l’interdit” (“pseudo-tragedia greca […] del segreto e del proibito”). Di Ignorabimus, su cui pubblica un breve testo nella rubrica Coups de cœur di “Théâtre en Europe”, lo affascina la maniera in cui Ronconi abbraccia le “dimensions insensées” (“dimensioni insensate”: Dort 1986, 131) di un testo “mostruoso”, che combina naturalismo e spiritismo, tragedia famigliare e disquisizione scientifica, dramma di conversazione e citazionismo sonoro e letterario. Nello spettacolo, scrive:

Tout est vrai et tout est faux. Des bruits d’automobiles et des cris d’oiseaux couvrent parfois les voix. On parle à n’en plus finir; les phrases sont hachées et suspendues sur du vide. La mort peu à peu pétrifie le bruit et la fureur. Reste le tic-tac de huit horloges. La virtuosité des comédiennes écarte tout soupçon de naturalisme. Et, avec humour, ouvre sur le vertige (Dort 1986, 131).
[Tutto è vero e tutto è falso. Dei rumori d’automobili e delle grida di uccelli coprono a tratti le voci. Si parla a non finire; le frasi sono spezzate e sospese sul vuoto. Poco a poco, la morte pietrifica il rumore e il furore. Resta solo il tic-tac di otto orologi. La virtuosità delle attrici evita ogni sospetto di naturalismo. E, con humour, apre alla vertigine].

Nel 1986 lo sguardo di Dort è cambiato, per diverse ragioni. Su un piano generale, la ‘vocazione politica’ del teatro ha assunto, nel suo pensiero, un’inflessione meno ideologica, più aperta, come dimostra, rispetto all’apprezzamento del lavoro di Ronconi, un articolo pubblicato su “Le Monde” nel 1980, in cui rivaluta l’Orlando furioso, mettendolo sullo stesso piano di 1789 e ricordando vividamente la sua straordinaria esperienza di spettatore con “les jambes rompues (la soirée était longue), la tête abasourdie (des vers de l’Arioste au fracas des chariots, c’était un beau tintamarre), le regard saturé de monstres et de merveilles” (“le gambe rotte (la serata era lunga), la testa rintronata (dai versi dell’Ariosto al rumore dei carrelli, era un bel frastuono), lo sguardo saturo di mostri e meraviglie”: Dort [1980] 1988, 71-72). Inoltre, la conoscenza più ravvicinata dei procedimenti artistici di Ronconi e della sua personalità, lo rendono, a nostro avviso, aperto alla comprensione dello spaesamento che instillano i suoi spettacoli. La grande stagione ronconiana a Parigi del 1987 gli fornisce l’occasione di penetrare in maniera più organica in questo teatro enigmatico e sfuggente, come il suo creatore.

Un tentativo di comprensione globale

In concomitanza con la venuta di Ronconi in Francia, l’attività critica ed editoriale intorno a Luca Ronconi si intensifica. Sulle riviste “Théâtre/Public” e “Théâtre en Europe” escono diversi articoli e interviste con il regista. L’associazione e casa editrice Drammaturgia, fondata da José Guinot (attore, regista e editore, 1936-2011) con l’obiettivo di favorire la circolazione del teatro italiano contemporaneo, si incarica di prolungare questo “exceptionnel projet artistique” (“eccezionale progetto artistico”: Guinot 1987) con due iniziative. Oltre alla pubblicazione del già citato volume su La serva amorosa, Drammaturgia, con il sostegno dell’ETI e del Centro Internazionale di Drammaturgia di Roma, promuove un seminario internazionale nei locali dell’Odéon dal 27 al 29 novembre – qualche settimana dopo prima de Le Marchand de Venise – per la cui supervisione e animazione viene sollecitato, insieme a Renzo Tian, Bernard Dort. Il denso programma, alla cui strutturazione, come testimoniano alcuni documenti, Dort contribuisce, si articola in tre lunghe (di quattro o tre ore) sessioni tematiche – “Le projet ronconien”, “Aux confins des classiques”, “La langue, la société, le mythe” – ed è completato dalla proiezione delle opere televisive Bettina e John Gabriel Borkman, e di un estratto de Il viaggio a Reims. Vengono riuniti critici e studiosi italiani – oltre a Tian, Franco Quadri, Fulvio Fo, Franca Angelini, Roberto Tessari –, francesi, in particolare italianisti e traduttori – insieme a Dort intervengono Georges Banu, Ginette Herry, Jacques Joly, Jean-Michel Déprats – e i traduttori norvegese e irlandese Terje Sinding, ex allievo di Dort, e Una Crowley. Dall’elenco dattiloscritto degli invitati (s.a. 1987), l’evento mira a coinvolgere figure rilevanti e diversificate dell’ambiente teatrale francese: registi, attori, critici, studiosi, direttori e funzionari, fra cui Robert Abirached, allora alla testa della direzione delle arti dello spettacolo[10]. Di questo evento resta, nel fondo José Guinot conservato al Département des Arts du Spectacle della BnF, una preziosa, se pur incompleta, registrazione audio (AA.VV. 1987), che permette di prendere conoscenza delle comunicazioni e ascoltare gli scambi, vivaci e informali, fra i relatori, il pubblico e Luca Ronconi stesso, che assiste e partecipa attivamente alle giornate. Nella sessione di apertura, Franco Quadri ripercorre l’opera ronconiana, Fulvio Fo si interessa alle sue peculiarità organizzative, Georges Banu riflette sulle macchine, sottolineandone il carattere arcaico, non tecnologico (poi pubblicato in Banu 1993), Franca Angelini esplora il rapporto con il teatro barocco e la sua tradizione. Dort si misura invece con il nodo dei limiti della rappresentazione.

Il suo intervento, intitolato Ronconi: un théâtre de l’irrépresentable, che purtroppo è stato registrato solo nella parte conclusiva, ma di cui si conservano le note manoscritte (Dort 1987), parte da un riferimento di Franco Quadri a “sa fascination constante pour ce qui est impossible à représenter” (“la costante fascinazione [di Ronconi] per ciò è impossibile da rappresentare”: Quadri 1987a, 4), rapportandola in prima istanza alla propria esperienza di spettatore. Dort esordisce infatti dichiarando il proprio imbarazzo a parlare del teatro di Ronconi, di cui afferma di aver visto solo una ventina di spettacoli sul centinaio realizzato e di aver mancato delle creazioni capitali come il ciclo Ibsen, le altre opere del Ring oltre alla Valchiria, e di aver visto a Prato solo le Baccanti e una parte del Calderon. Non si tratta però, secondo Dort, solo di un problema quantitativo. Egli sottolinea la “difficulté à saisir” (“difficoltà ad afferrare”: Dort 1987, 1) gli spettacoli ronconiani, che tendono per lui a "se dérober” (“sottrarsi”). E questo tanto “in senso proprio”, a causa della complessità logistica che conduce a modificarne, a volte, la programmazione, spiazzando lo spettatore-viaggiatore – Dort racconta i suoi inseguimenti, a volte falliti, a Prato, Reggio Emilia, Milano… – che “in senso figurato”, perché, pur riconoscendone l’eccezionale riuscita teatrale, rimane complicato capire cosa vi si rappresenti, al punto che talvolta, l’interesse profondo e duraturo provato ad esempio per Ignorabimus, La serva amorosa, Le Baccanti, nasce proprio dagli interrogativi che essi hanno suscitato. Per verificare l’ipotesi di un teatro dell’irrappresentabile, Dort costruisce un percorso che parte dall’inafferrabilità del teatro ronconiano – sia rispetto alla vastità ed eterogeneità del suo repertorio, sia per la presenza di stili di regia e contesti di creazione differenti – per individuarne alcuni “traits remarquables” (“tratti distintivi”) e paradossali – aggiungiamo noi – , alcuni dei quali già rilevati nelle recensioni precedentemente pubblicate: il gusto per i testi atipici, “ribelli”, che resistono alla rappresentazione; la lunghezza degli spettacoli, legata al “sogno” di una coincidenza perfetta fra tempo dell’azione e tempo della rappresentazione; la coesistenza sulla scena di epoche diverse; la coesistenza di stili differenti, spesso contradditori; la frammentazione e la trasformabilità dello spazio; infine, la coesistenza di più scene simultanee. Citando Ronconi stesso che spiega a Ginette Herry la sua inclinazione per una scena onnipresente, “qui se fait, qui se défait pour se refaire ailleurs et dans plusieurs endroits à la fois, si possible, pour que se déroule le spectacle” (“che si fa, che si disfa per rifarsi altrove e in più luoghi contemporaneamente, se possibile, perché si svolga lo spettacolo”: Herry 1987, 202), Dort osserva come essere spettatore di una messa in scena del regista italiano significhi assistere “moins un spectacle que plusieurs spectacles, qu’une succession, qu’un déroulement de spectacles” (“meno [a] uno spettacolo, che [a] più spettacoli, che [a] una successione, […] uno svolgimento di spettacoli”: Dort 1987, 4). La nozione d’irrappresentabile si precisa allora per Dort: si tratterebbe di un teatro dell’eccesso che, proprio attraverso la ‘coesistenza di più sistemi di rappresentazione’ dichiara la sua impossibilità a esaurire il testo. L’atteggiamento di Ronconi si discosta, secondo lo studioso, sia da un teatro “innocente” come quello di Peter Brook, in cui si compie una convergenza “totale, naturelle, miraculeuse, entre la vie et le texte” (“totale, naturale, miracolosa, […] della vita e del testo”: AA.VV. 1987) nella rappresentazione, sia da “un théâtre de la totalité baroque, […] où toutes les interprétations s’emboitent et proposent une sorte de vision globale” (“un teatro barocco della totalità, […] in cui tutte le interpretazioni si incastrano le une nelle altre e propongono una sorta di visione totale”: AA.VV. 1987). Il teatro di Ronconi infatti, conclude Dort, è “centauresco”, in riferimento all’eponimo testo di Andreini, definito dall’autore stesso come mostruoso: composto di parti di corpi diversi, fa della contraddizione permanente il suo principale motore. Un teatro quindi, che contiene, nella dismisura, il segreto di ciò che non può essere rappresentato.

Le grandi linee del percorso tracciato nell’intervento sono riprese nella rubrica che Dort scrive su Ronconi per il volume Universalia 1987 dell’Encyclopedia Universalis. Se nell’immediatezza del confronto orale il punto di partenza è la sua esperienza limitata di spettatore, nell’articolo la prospettiva si allarga alla Francia intera. Egli esordisce con una diagnosi paradossale, che ben si adatta all’opera ronconiana: “En France, Luca Ronconi est célèbre. Pourtant nous ne le connaissons guère” (“In Francia, Luca Ronconi è famoso. Però, non lo conosciamo affatto”: Dort 1988, 504), e questo a causa della scarsa proporzione di suoi spettacoli presentati sulle scene francesi, e dell’assenza, in questo insieme, di lavori fondamentali, ma intrasportabili. Nell’offrire una sintesi della sua carriera, Dort puntualizza l’incessante lavoro di Ronconi sul “répertoire ignoré” (“repertorio ignorato”: Dort 1988, 505) e l’eterogeneità spiazzante delle sue regie appoggiandosi su un’analisi approfondita dei tre spettacoli presentati nella stagione parigina: il risultato di un progetto pedagogico, uno spettacolo professionale ma piuttosto artigianale e una creazione con grandi mezzi, in cui “tutto è macchina”. In maniera diversa, le tre creazioni illustrano la capacità ronconiana di dissezionare i testi e di spostarli dai binari delle interpretazioni usuali. Accantonando l’idea dell’irrappresentabilità, forse non opportuna in un articolo non destinato agli specialisti, Dort identifica piuttosto il motore interno del lavoro di Ronconi, che consiste nel “faire un théâtre qui s’offre à nous non comme un simple spectacle mais comme une expérience vitale à partager, avec tout ce que cela peut comporter de contradictoire, voire d’opaque” (“fare un teatro che ci si offre non come un semplice spettacolo ma come un’esperienza vitale da condividere, con tutto ciò che questo può comportare di contraddittorio, se non di opaco”: Dort 1988, 506). E conclude:

Vingt ans après son Orlando furioso, Ronconi expérimente toujours. Rien, pour lui, n’est jamais acquis. Dans le luxe des superproductions ou dans la pauvreté des exercices pédagogiques, il s’acharne à monter et à démonter, chaque fois différemment, la grande machine du théâtre. La fête est loin : reste le plaisir de comprendre et de faire comprendre. Avec tous les risques d’incompréhension qui s’y attachent (Dort 1988, 506).
[Venti anni dopo il suo Orlando furioso, Ronconi continua a sperimentare. Per lui, niente è mai acquisito. Nel lusso delle superproduzioni o nella povertà degli esercizi pedagogici, si sforza di montare e di smontare, ogni volta in modo diverso, la grande macchina del teatro. La festa è lontana: resta il piacere di comprendere e far comprendere. Con tutti i rischi di incomprensione che vi sono associati].

Definendo così il non-metodo ronconiano, Dort scioglie il nodo del suo stesso percorso spettatoriale e personale, con la sua contrastante mescolanza di dubbi e entusiasmi, perplessità e ammirazione: capire Ronconi significa accettare la contraddizione e farsi trasportare in un’esperienza estetica e cognitiva reale, profonda, ma inafferrabile.

La stagione interrotta della riconciliazione

All’inizio degli anni 1990, una nuova fase che potremmo definire di riconciliazione prende forma, favorita da un’inevitabile affinità legata all’età, come ipotizza Ronconi (Ronconi 1997, 111), e forse anche dalla posizione del regista, divenuta più istituzionale, più stanziale, alla direzione del Teatro Stabile di Torino. Il biglietto affettuoso di Ronconi emerso dal sopralluogo risale a quest’epoca. Se ne trova un riscontro nell’archivio Ronconi a Venezia, dove è conservata la missiva, dattiloscritta, a cui esso risponde, datata 21 giugno 1991. Dort vi esordisce:

J’ai pris du retard… Je veux tout de même te dire combien nous avons aimé ton Uomo difficile. La pièce et le spectacle sont singuliers. Ils ne se découvrent que progressivement. Mais, alors, sous la froideur du lieu et le glacis des paroles, quel feu! (Dort 1991).
[Anche se con ritardo… ci tengo a dirti quanto abbiamo amato il tuo Uomo difficile. Il testo e lo spettacolo sono singolari. Si scoprono solo progressivamente. Ma, allora, sotto la freddezza del luogo e la lucida apparenza delle parole, che fuoco!].

Seppure in poche righe, Dort delinea con acume un abbozzo di analisi drammaturgica e non si priva di esprimere – esaminando le brutte conservate all’IMEC scopriamo infatti che si tratta di un aggiunta posteriore alla prima redazione – una perplessità critica rispetto all’impianto scenografico che Margherita Palli immagina per il terzo atto, un incrocio diagonale di rampe di scale: “Peut-être est-ce un peu trop ‘volontaire’. Mais il fallait aussi que les enjeux, soudain, sautent aux yeux” (“Forse è un po’ troppo ‘intenzionale’. Ma bisognava anche che la posta in gioco, all’improvviso, saltasse agli occhi”: Dort 1991). Proseguendo la lettura, si scopre allora che il misterioso accompagnatore è Jacques Lassalle, diventato nel frattempo amministratore generale alla Comédie-Française. Dort ringrazia Ronconi per l’accoglienza e afferma di essere sempre felice di rivederlo, prima di concludere confermandogli i suoi “sentimenti di ammirazione e di amicizia” (Dort 1991).

L’anno seguente, si profila la possibilità di una nuova collaborazione. Dort propone all’INA la realizzazione di una serie di documentari che prenderà il titolo definitivo di Théâtre Présent/Passé. Il progetto prevede di partire da una creazione in corso di un testo drammatico classico per spiegare il contesto in cui è stato scritto e portato in scena, nonché le sue successive rappresentazioni. Nei numerosi appunti di lavoro e nella corrispondenza con Claude Guisard, direttore dei programmi di creazione e ricerca all’INA, si evince che Dort pensa immediatamente a coinvolgere Ronconi – insieme a Lassalle, Peter Stein, Ingmar Bergman, Jean-Pierre Vincent – che assocerebbe auspicabilmente a una commedia di Goldoni. Nella primavera del 1992, Guisard prende contatto con il regista, che risponde prontamente e positivamente, comunicando la sua nuova produzione per la stagione 1992-1993 al Teatro Stabile di Torino, Affabulazione di Pasolini. Forse a causa del testo e del calendario[11], Dort non prosegue in questa direzione e riuscirà alla fine a realizzare solo un episodio della serie, sul Dom Juan di Molière messo in scena da Lassalle al Festival di Avignone.

Il 12 giugno dello stesso anno, infine, si tiene un ciclo di incontri organizzato da Georges Banu per l’Académie Expérimentale des Théâtres sur La mise en scène contemporaine: voyager entre le théâtre et l’opéra di cui è conservata la registrazione all’IMEC. Dort è invitato ad animare lo scambio con Ronconi, e ha così l’occasione di tornare sul duplice originario interesse per il suo lavoro. Nel discorso introduttivo lo definisce come “un metteur en scène alternatif” (“un regista alterno”), attivo sia nell’ambito del teatro parlato che cantato e descrivendo l’Orlando furioso ne parla come di uno spettacolo “a mezza strada” fra queste due forme (Dort, 1992). La conversazione, distesa, ma mai compiaciuta, verte sul repertorio, sul rapporto con la committenza, i direttori, i cantanti, il pubblico; Ronconi, come spesso in Francia, si sofferma a spiegare le caratteristiche della tradizione operistica italiana e cosa significhi muoversi all’interno di essa.

Il dialogo sereno di questi incontri si riflette anche negli articoli che Dort scrive fra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta, in cui, nell’ambito di riflessioni generali sull’evoluzione del teatro nei decenni precedenti, scrive a più riprese sul fare regia di Ronconi, riprendendo e precisando alcune delle idee interpretative dell’intervento inedito del 1987. In particolare, Dort mette in evidenza il suo specifico rapporto al tempo, inteso sia come lunghezza degli spettacoli, che come stratificazione interna. Ricorda i casi estremi della dilatazione della durata dell’azione in Ignorabimus e della simultaneità ne Gli ultimi giorni dell’umanità, dove il tempo è “annulé. Ou transformé en un seul moment de grinçante Apocalypse” (“annullato. O trasformato in un solo istante di stridente Apocalisse”: Dort [1991-1992] 1995, 36-37). Inoltre, per Dort, Ronconi è il regista “qui a tenté, de la façon la plus large et la plus systématique, de substituer au présent du théâtre le mouvement même de son passé - ou de subvertir ce présent par ce passé remis en mouvement” (“che ha tentato, nel modo più ampio e più sistematico, di sostituire al presente del teatro il movimento stesso del suo passato – o di sovvertire questo presente con questo passato rimesso in moto”: Dort [1989] 1995, 234), in spettacoli che si ergono come torri di Babele “mostruose e irraggiungibili”. Anche l’approccio critico di Dort si stratifica a sua volta e il suo sguardo intreccia osservazione e memoria. L’Orlando furioso e il “souvenir ébloui” (“ricordo incantato, vivo”: Dort [1993-1994] 1995, 77) del primo incontro con il teatro ronconiano tornano in uno dei suoi ultimi scritti, come traccia dell’utopia teatrale di uno spettatore liberato : “Une des raisons de notre jubilation était, bel et bien, le sentiment, une illusion poétique, sans doute, d’être mêlé au spectacle, de pouvoir le vivre, tous ensemble mais chacun à sa manière, sans avoir à prendre la pose” (“Una delle ragioni del nostro giubilo era, infatti, la sensazione – un'illusione poetica, senza dubbio – di essere parte dello spettacolo, di poterlo vivere, tutti insieme ma ognuno a modo suo, senza prendere pose”: Dort [1993-1994] 1995, 77).

Dort scompare prematuramente nel maggio 1994. La parabola del suo rapporto con Ronconi è in parte paradigmatica della ricezione del lavoro di quest’ultimo in Francia. Illustra l’iniziale malinteso e la parzialità con cui il regista italiano viene accolto e mostra, soprattutto durante gli anni Settanta, come Ronconi resista all’orizzonte d’attesa estetico e politico francese, restando sempre ‘straniero’. Nel decennio successivo, questa diversità affascina la critica e suscita un interessante dialogo con il regista, ma si frappone alla produzione di un’analisi completa ed articolata della sua opera. Lo sguardo di Dort esprime in questo la sua straordinaria singolarità, perché egli fa della difficoltà ad afferrare Ronconi e il suo teatro il perno della sua lettura: proprio nell’alternanza dinamica di avvicinamenti e allontanamenti a livello personale, nella prolificità soverchiante del regista che quasi lo travolge a livello spettatoriale, egli trova una chiave per definirne la poetica originale della complessità, del movimento permanente, della conoscenza necessaria ma per sua stessa natura incontenibile. Ci si chiede oggi come avrebbe guardato alle grandi creazioni ronconiane a venire – pensiamo ad esempio gli adattamenti di romanzi, come il Pasticciaccio e I fratelli Karamazov, il ritorno metariflessivo a Ibsen con Verso Peer Gynt, gli spazi concettuali di Infinities, solo per citarne alcuni – alla pedagogia come ricerca del Centro Teatrale Santacristina, fino all’eredità di quel Piccolo Teatro che egli aveva tanto amato.

Note
  • 1. Ricordiamo però i progetti non realizzati de La Sonate des spectres au T.N.S. nel 1984, su cui torneremo, e Les Oiseaux, previsto alla Comédie-Française nel 2010.
  • 2. In questo periodo, precisamente il 19 febbraio 1993, Luca Ronconi viene nominato Commandeur des arts et des lettres. La documentazione relativa a questa onorificenza, conservata presso gli Archives nationales, non è ancora consultabile.
  • 3. Ci teniamo a ringraziare la direttrice della Théâtrothèque Gaston Baty, Céline Hersant, che ci ha permesso di accedere al fondo e di constatarne materialmente l’estensione. Ringraziamo inoltre la Théâtrothèque Gaston Baty per avec concesso la riproduzione dei documenti che accompagnano l’articolo.
  • 4. Nel fondo fotografico generale della Théâtrothèque sono presenti anche delle fotografie della messa in scena genovese de L’anitra selvatica, forse ordinate ugualmente da Dort.
  • 5. Nel 1965, Dort scrive: “la re-théâtralisation de l’opéra […] joue, par sa radicalité même, un rôle moteur dans l’activité théâtrale actuelle” (“la riteatralizzazione dell’opera […], a causa della sua stessa radicalità, gioca un ruolo motore nell’attività teatrale attuale”: Dort 1965, 4).
  • 6. Come già rilevato da Emmanuel Barbeau, della Théâtrothèque Gaston Baty, durante le giornate di studio Il filo del presente | Il teatro tra memoria e realtà, Centro Teatrale Santacristina, 22-23 luglio 2019.
  • 7. Il volume di Dort Théâtre public è prontamente tradotto in italiano (Teatro pubblico: 1953-1966, Padova 1967) ed egli partecipa regolarmente a convegni e eventi in Italia; si tratta del solo libro di Dort a risultare presente nella biblioteca di Luca Ronconi depositata alla Biennale di Venezia.
  • 8. Dai documenti si evince che probabilmente, in questa circostanza, o poco dopo, Dort ha anche una chiarificazione orale con Ronconi stesso.
  • 9. L’evento è realizzato con la collaborazione dell’Institut d’Etudes Théâtrales, dove insegnava Dort, ma non sappiamo se egli vi abbia assistito.
  • 10. Sottolineiamo però, l’assenza dell’équipe del Laboratoire des arts du spectacle du CNRS, allora guidata da Denis Bablet.
  • 11. Ricordiamo che Ronconi lavorerà però su Gli amori di Zelinda e Lindoro, tradotti da Ginette Herry, all’Académie Expérimentale des Théâtres dall’8 al 13 febbraio 1993, al Théâtre de l’Odéon.
Bibliografia
Fonti d’archivio

Per questo contributo sono stati consultati diversi documenti d’archivio conservati presso: IMEC - Institut Mémoires de l’édition contemporaine (Fonds Dort e Fonds Académie expérimentale des théâtres); Théâtrothèque Gaston Baty (Fonds Dort); Archivio Luca Ronconi depositato presso ASAC – Archivio Storico delle Arti Contemporanee (Venezia), Département des Arts du spectacle, BnF (Fonds José Guinot) e Archives Nationales (Fonds Théâtre de l’Odéon).

  • AA.VV. 1987
    AA.VV., Rencontre autour de Luca Ronconi, registrazione parziale del convegno, Théâtre de l’Odéon, 1987 (Fonds José Guinot, Département des Arts du spectacle, BnF).
  • Arnone 1984
    G. Arnone, Lettera a Raymond Wirth, 9 ottobre 1984 (Fonds Dort, IMEC).
  • Dort 1976b
    B. Dort, Lettera a Luca Ronconi, copia dattiloscritta, 14 ottobre 1976 (Fonds Dort, IMEC).
  • Dort 1977
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  • Dort 1987
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    L. Ronconi, Lettera di dimissioni dalla direzione della sezione Teatro e Musica della Biennale di Venezia, fotocopia inviata in allegato alla missiva per Dort del 7/7/1977, 4 luglio 1977 (Fonds Dort, IMEC).
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English abstract

This article explores the relationship between Luca Ronconi and the French critic Bernard Dort, from the 1970s until Dort’s death in 1994, within the broader context of the complex and often ambivalent recognition of the Italian director in France. Through a combined analysis of Dort’s published writings and archival materials, the study traces the intertwining of a personal dynamic – marked by admiration and mistrust, collaborative enthusiasm and abrupt silences – and the critical perspective Dort developed on Ronconi’s theatrical work. At the heart of this perspective lies the notion of unrepresentability, conceived as a tension between cognitive excess and the impossibility of grasping and composing a totality – an aesthetic category that resonates with Ronconi’s own elusive and enigmatic persona.

keywords | Luca Ronconi; Bernard Dort; Critical reception.

La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e giudizio questo saggio
(v. Albo dei referee di Engramma)

Per citare questo articolo / To cite this article: Erica Magris, Bernard Dort e l’enigma Ronconi. Il teatro dell’irrappresentabile, “La Rivista di Engramma” n. 224, maggio 2025.