Interiorizzare la rovina
Il riallestimento del Museo delle Navi romane di Nemi alla luce di nuove fonti d’archivio (1948-1953)
Ilaria Grippa, Christian Toson*
English abstract
*Il presente articolo è il risultato di una riflessione congiunta degli autori. La sezione Introduzione e coordinate di metodo, redatta da entrambi, offre una sintesi sullo stato dell’arte delle ricerche dedicate all’allestimento del Museo delle Navi romane di Nemi tra il 1935 e il 1962, avviate a partire dal numero monografico di Engramma 203 (giugno 2023). Il secondo paragrafo, La ricostruzione del museo. Proposte e programmi di ricostruzione nel Fondo Carla e Guido Ucelli di Nemi, scritto da Ilaria Grippa, propone una rilettura delle fonti d’archivio e dei documenti di Guido Ucelli, mettendo in luce protagonisti e dinamiche della ricostruzione e dell’allestimento del Museo tra il 1948 e il 1953. Il terzo paragrafo, Interiorizzare la rovina, scritto da Christian Toson, riflette invece sulla condizione e sul trauma culturale successivi ai bombardamenti del Secondo Dopoguerra. L’ultimo paragrafo, Conclusioni e prospettive di ricerca, a cura di entrambi gli autori, raccoglie le conclusioni e apre a prospettive di ricerca future.
Introduzione e coordinate
Questo contributo riprende alcune ricerche recenti sulla storia degli allestimenti del Museo delle Navi di Nemi, con l’obiettivo di aggiornarle alla luce di documenti d’archivio finora pubblicati in forma frammentaria e oggi, in parte, conservati nel Fondo Carla e Guido Ucelli di Nemi, presso l’Archivio storico del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano (da ora in poi ASMUST) (vedi anche Grippa, Redemagni in questo stesso numero). Lettere e appunti, messi in dialogo con testi già noti (tra cui Ucelli [1950] 1996; Moretti, Caprino 1957; Ghini 1992; Ghini, Gizzi 1996), consentono di tornare a interrogare l’intricata vicenda del riallestimento del Museo delle Navi romane di Nemi nel decennio 1953-1962, in seguito all’incendio del 1944 (Altamura, Paolucci 2023a; Altamura Paolucci 2023b, 45-60), restituendone la frammentarietà e la profondità storica. L’attenzione per quell’allestimento è stata riaccesa dalla sequenza del film L’assassino di Elio Petri, uscito nell’aprile del 1961, quando il museo era ancora aperto al pubblico: individuata da Altamura e Paolucci (2023a), è stata poi riletta e analizzata nel giugno 2023 (Grippa, Toson 2023, 81-101).
Una sequenza, quella di Petri, che mostra un museo per metà ricostruito e per metà in rovina, che fa da sfondo all’azione dei personaggi, e che pone diverse domande sulla natura dell’allestimento cominciato più di dieci anni prima. Alla luce delle fonti che qui di seguito verranno trattate, la sequenza sembra condensare in poche inquadrature una riflessione diversa e più ampia sul destino culturale di quell’impresa prima archeologica e poi museale.

1 | Furio Fasolo, grafico dimostrativo delle dinamiche dell’incendio all’interno del Museo di Nemi, da Ucelli [1950] 1996, 313.

2 | Un ufficiale del governo militare alleato appoggiato a mucchi di chiodi di rame (in primo piano) e di chiodi di ferro nell’ottobre del 1944, durante la rimozione delle macerie dopo l’incendio, Collezione Albert S. Pennoyer, Princeton University.
A seguito dell’incendio del 1944, che distrusse i preziosi cimeli e danneggiò la struttura museale, si avviò una lunga e complessa fase di verifica e documentazione. Il primo dato documentale, successivo alla distruzione, riguarda il rilievo effettuato dall’architetto Furio Fasolo il 10 giugno 1944, una decina di giorni dopo l’incendio (già pubblicato in Gizzi 2001, 420; Ucelli [1950] 1996, 307-314). In quei dieci giorni l’interno del museo aveva già subito cambiamenti, perché era stato usato come ricovero temporaneo per i soldati che vi avevano apprestato un accampamento. Si vede chiaramente dalla documentazione fotografica dell’inglese AFPU (Army Film and Photographic Unit), che la galleria centrale e i percorsi perimetrali erano stati completamente sgombrati dalle macerie dell’incendio, in buona parte composte da materiale archeologico (Fig. 2, un’analisi accurata della scena contaminata è in Altamura Paolucci 2023, 184-187).
In un momento segnato dalla complessità del contesto bellico e dall’urgenza delle verifiche tecniche, l’allora Soprintendente Salvatore Aurigemma avviò una serie di sopralluoghi per accertare l’entità e le cause dei danni, affidando l’indagine a una squadra composta dal comandante dei Vigili del Fuoco, colonnello Magnotti, dal direttore dei Servizi Tecnici di Artiglieria, colonnello Fuscaldi, e dagli ingegneri Giovannoni e Galeazzi. A questi sopralluoghi parteciparono l’architetto Fasolo, in rappresentanza della Soprintendenza alle Antichità di Roma, il capitano Brown del Governo Militare britannico e Fiorenzo Tassan: alcuni di loro erano già coinvolti sin dal 1929 nelle operazioni di recupero e conservazione delle navi (Ucelli [1950] 1996, 307). Fasolo, in quello stesso periodo, si stava anche occupando di uno dei lavori più importanti della sua carriera: l’allestimento del santuario di Palestrina, reso possibile grazie alla demolizione del centro abitato causata dai bombardamenti.
Il contributo di Fasolo si concretizzò in un rilievo tecnico, pubblicato per la prima volta nella seconda edizione del volume di Guido Ucelli, Le navi di Nemi (Ucelli 1950). Il grafico [Fig. 1] restituisce non solo una mappa sommaria della disposizione originaria degli oggetti esposti, ma indica con precisione i punti d’impatto dei proiettili e i relativi coni di dispersione. Questi dati permettono di distinguere le diverse tipologie di danno: dalla frantumazione delle superfici vetrate, dovuta ai colpi esplosi in prossimità dell’edificio, ai fori passanti rilevati nelle volte dei due padiglioni, documentati con grande accuratezza tecnica (Ucelli [1950] 1996, 313-314).
Nella sua relazione, Fasolo dedica particolare attenzione anche agli effetti termici dell’incendio sui metalli. Il 3 luglio 1944, in occasione di un secondo sopralluogo, osserva – in corrispondenza del foro n. 3 del suo grafico, presso la poppa della seconda nave – una zona in cui i residui metallici risultavano fusi, come testimoniato dai chiodi di rame deformati e inviati successivamente a Roma per ulteriori analisi (Ucelli [1950] 1996, 319). Queste osservazioni non solo restituiscono un quadro tecnico puntuale dello stato del museo nell’immediato dopoguerra, ma costituiscono anche una preziosa testimonianza visiva e analitica delle condizioni in cui prese avvio, a partire dal 1948, il lungo processo di ricostruzione. Condizioni che, come si vedrà, sono determinanti nelle scelte relative alla ricostruzione che durerà almeno cinque anni.
Tra il 1947 e il 1948 il Ministero della Pubblica Istruzione, con l’appoggio del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti, del Ministero dei Lavori Pubblici e del Ministero della Difesa Marina, promosse una serie di incontri con rappresentanti onorari che avevano seguito con impegno l’impresa di recupero delle navi romane e la costruzione del museo (1928-1940). Obiettivo degli incontri era predisporre un piano condiviso per la riparazione e la ricostituzione di quest’ultimo.
Come è possibile constatare dalle lettere e dai documenti d’archivio preservati presso l’ASMUST, Guido Ucelli – tra i principali promotori dell’impresa negli anni Trenta – anche in questa occasione si fece pioniere di questa nuova e difficile fase della storia del museo, in contemporanea a un accurato lavoro di riedizione del suo libro Le navi di Nemi pubblicato nel 1940, che, dopo la perdita dei preziosi scafi, era diventato il riferimento più importante per preservarne la memoria. A sostegno della sua iniziativa intervennero anche Fiorenzo Tassan e Luigi Tursini, in contatto con il Ministero della Difesa Marina e con Guglielmo De Angelis d’Ossat, Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti di Roma.
Nel Secondo Dopoguerra, il nuovo allestimento del Museo delle Navi romane di Nemi – riaperto al pubblico il 25 novembre 1953 – si configurò come una riflessione sulla perdita e sulla memoria, attraverso una strategia museografica descrittiva. Il padiglione sinistro (in origine destinato alla seconda nave) e la galleria centrale furono riallestiti, mentre il padiglione destro fu restaurato solo esternamente. In assenza delle originali, le navi vennero rappresentate in tre modi: i modelli in scala 1:5 realizzati a Castellammare di Stabia; un profilo al vero in tubi metallici bianchi di una linea di cinta da poppa a prua della prima nave, volto a restituirne l’ingombro originario; e una selezione di disegni tecnici e i reperti archeologici che erano stati preventivamente salvati prima dell’incendio, trasferiti nel 1943 nei depositi del Museo Nazionale Romano. L’allestimento richiamava l’impianto originario progettato da Vittorio Morpurgo – con la possibilità di una visione dall’alto e dal basso, e con la conservazione di elementi come l’affaccio sul lago e la disposizione dei bronzi – ma veniva reinterpretato in chiave sobria e commemorativa (vedi anche Incutti, Porretta, in questo stesso numero). Particolarmente significativa fu la decisione di lasciare in rovina una delle due sale, trasformandola in uno spazio di memoria materiale della distruzione bellica. Questa scelta trova riscontro anche nella sequenza del film L’assassino (1961) di Elio Petri, dove la visita al museo è rappresentata come un’esperienza ambivalente, sospesa tra coinvolgimento emotivo e distacco critico (Grippa, Toson 2023, 81-101).
Il nuovo allestimento – attivo dal 1953 al 1962 – può dunque essere letto come una forma di rievocazione misurata e filologica, in netto contrasto con la retorica celebrativa del Ventennio, ma destinata nel tempo a dissolversi in una disposizione incoerente e segnata dalla dispersione dei materiali. Alla luce di queste considerazioni, si delineano almeno tre livelli di lettura che il presente contributo intende affrontare: in primo luogo, il consolidamento di alcune piste e ipotesi di ricerca già avviate; in secondo luogo, l’apertura di nuovi spunti interpretativi, attraverso il confronto tra fonti documentarie e materiali filmici, in particolare la sequenza girata da Elio Petri nel museo; infine, l’inquadramento del caso-Nemi nel più ampio contesto della ricostruzione museale italiana nel Secondo Dopoguerra.
In molte città, la distruzione bellica fu occasione per ripensare radicalmente gli spazi espositivi secondo un linguaggio moderno e innovativo. Nemi, invece, costituisce un’eccezione: l’edificio venne restaurato secondo criteri conservativi, senza che fosse possibile né ricostruire le navi né ripensare l’allestimento secondo logiche nuove. In questo senso, il museo si configura non come laboratorio di modernità, ma come spazio della memoria, in cui la rovina viene accolta e il trauma preservato come parte integrante dell’esperienza museale (Toson [2023] 2024).
II. La ricostruzione del museo. Proposte e programmi di ricostruzione nel Fondo Carla e Guido Ucelli di Nemi
La ricostruzione qui proposta mira a far emergere le dinamiche, le riflessioni e le decisioni – in parte assunte da Guido Ucelli – nei primi anni del Secondo Dopoguerra, in relazione al progetto di riallestimento del Museo delle Navi romane di Nemi. Fin dalle prime lettere relative alla corrispondenza sulla distruzione del museo, conservate nel Fondo Carla e Guido Ucelli di Nemi, presso l’ASMUST (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese), affiora un senso di perdita profonda, legato non solo alla distruzione delle due navi, ma anche allo shock per la devastazione, tanto interna quanto esterna, dell’edificio museale. Ucelli non nasconde il dolore per quella perdita irreparabile, né ignora la consapevolezza che ogni tentativo di ricostruzione debba confrontarsi con un vuoto materiale e simbolico difficilmente colmabile. In una lettera indirizzata a Fiorenzo Tassan, Ucelli scrive parole che condensano un sentimento di sconfitta e lucida consapevolezza del valore documentario del lavoro svolto:
[…] La fotografia delle poche ceneri che rimangono dei due scafi superbi che avevamo recuperato attraverso tante difficoltà; ho la diligente relazione che documenta la distruzione di questi cimeli unici al mondo. […] Non si sono quindi salvati che i cimeli trasportati a Roma e i rilievi utilizzati per il libro! Se non avessimo documentato tutto con tanta meticolosità, ben poco resterebbe di tanto lavoro e di così eccezionali reliquie! Caro Tassan, quando ci ritroveremo rievocheremo tutta la tragica vicenda delle navi, le traversie superate, gli ostacoli vinti e questa fine nella grande tragedia della guerra (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 52, fasc.1, lettera 30 luglio 1945).
In queste righe emerge con chiarezza come, per Guido Ucelli, l’idea stessa di ricostruzione assuma i tratti di un’impresa tanto necessaria quanto utopica: fondamentale per la conservazione della memoria, ma al tempo stesso consapevolmente inadeguata a restituire pienamente ciò che è stato irrimediabilmente perduto. Una visione che Ucelli condivideva anche con il comandante della Difesa Marina Giuseppe Carlo Speziale, cultore di archeologia e storia navale, attivo negli anni Trenta durante l’impresa di recupero delle navi e profondo conoscitore della loro struttura. Speziale, che aveva realizzato accurati rilievi tecnici delle navi, fu tra i primi, dopo l’incendio, a proporre la ricostruzione in scala delle due navi, sulla base dei disegni e dei rilievi conservati presso la Direzione delle Costruzioni Navali di Castellammare di Stabia, redatti da Giovanni Aiello, capo tecnico della Regia Marina, scomparso proprio in quegli anni (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera 30 luglio 1945).
Dalla corrispondenza di Ucelli emergono con chiarezza anche i nomi delle figure maggiormente coinvolte nella nuova fase progettuale, in rappresentanza dei ministeri competenti: Fiorenzo Tassan e Luigi Tursini, tra i collaboratori di Ucelli durante lo scavo, il Soprintendente Salvatore Aurigemma e l’architetto Guglielmo De Angelis d’Ossat, nominato nel 1947 Direttore Generale dell’amministrazione delle Antichità e Belle Arti.
In un promemoria datato 24 maggio 1947, si registra una prima ricognizione condotta al museo, nel quale si delinea l’ipotesi di un possibile riallestimento. Tra le prime proposte discusse, si prendeva in esame la possibilità di ricostruire, in forma documentaria, l’impresa archeologica degli anni Trenta attraverso due modelli in scala “piuttosto grande”, con l’intento di restituire valore e significato all’edificio museale, appositamente costruito sulle rive del lago. Il progetto prevedeva due sale: una per l’esposizione dei reperti provenienti da Lanuvio e Albano, l’altra dedicata ai modelli delle navi di Nemi (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, Promemoria 24 maggio 1947). Nel frattempo, Ucelli si adoperò per raccogliere e ordinare tutta la documentazione tecnica e iconografica disponibile – fotografie, rilievi, disegni – al fine di accelerare le fasi progettuali e facilitare la definizione del nuovo allestimento. In una lettera indirizzata al Ministero della Pubblica Istruzione, datata 13 maggio 1948, sottolineava con urgenza la necessità di ricostruire il museo, ricordando come l’impresa di Nemi avesse rappresentato, fino al momento dell’incendio, “l’unica documentazione della tecnica navale antica esistente” (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera 23 dicembre 1948). L’idea di ricostruire i modelli delle due navi ricevette un’accoglienza positiva e fu rapidamente sostenuta dal Ministero della Marina, che si offrì di finanziare la realizzazione. I lavori per i due modelli in scala iniziarono già nel dicembre del 1948, anticipando sia l’avvio degli interventi strutturali sull’edificio museale, sia la definizione del progetto di riallestimento. Ucelli propose inoltre di affiancare ai modelli anche calchi dei reperti originari provenienti dal Santuario di Diana, ma conservati in musei esteri (sui reperti afferenti alle navi e conservati in musei esteri si veda l’accurato lavoro di mappatura e catalogazione di Eva Dal Bello in questo numero). Prima ancora di definire nel dettaglio il nuovo allestimento, insistette sull’urgenza di intervenire per riparare i gravi danni subiti dall’edificio museale a causa della guerra. A tal fine, suggerì di attingere ai fondi stanziati dal Governo degli Stati Uniti per il restauro dei monumenti danneggiati durante il conflitto.
Nei mesi successivi, Ucelli inviò numerose lettere ai ministeri competenti, sollecitando decisioni rapide e l’assegnazione dei fondi necessari per il ripristino strutturale dell’edificio. Parallelamente, la commissione incaricata del progetto di ricostruzione si riunì per valutare le diverse proposte relative all’allestimento interno del museo. Le attività legate alla ricostruzione dell’apparato espositivo – dalla realizzazione dei modelli delle due navi e del profilo al vero della poppa e della prua della prima nave alla costruzione delle nuove vetrine, dalla produzione dei calchi alla raccolta e organizzazione della documentazione – furono svolte a titolo gratuito dai membri della commissione. Al contrario, i lavori strutturali sull’edificio rientravano nella competenza statale. La documentazione relativa alla pianificazione e alla gestione dei finanziamenti coinvolse una rete articolata di interlocutori istituzionali: la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione, il Ministero della Marina, il Ministero dei Lavori Pubblici, oltre naturalmente a Guido Ucelli e Luigi Tursini. Dalla corrispondenza conservata nel Fondo Carla e Guido Ucelli di Nemi emerge chiaramente come, almeno fino al 1949, la priorità fosse quella di procedere alle opere di riparazione, per restituire agibilità all’edificio destinato a ospitare il nuovo allestimento. Il Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche del Lazio stimò inizialmente in 100 milioni di lire il costo di tutti gli interventi necessari compresi quelli strutturali. Per contenere le spese, fu predisposto un programma che prevedeva l’utilizzo di materiali già disponibili, come i marmi e il travertino precedentemente trasferiti a Roma dalla Soprintendenza. Anche i disegni per la costruzione delle vetrine, messi a disposizione dall’architetto Morpurgo, e i modelli in scala 1:5 delle due navi, realizzati dalla Marina, contribuirono a ridurre i costi. Tutti questi interventi furono offerti gratuitamente, come confermato da una comunicazione ufficiale del Ministero della Difesa Marina (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera 28 marzo 1949; b. 49, fasc. 1, lettera 31 marzo 1949; b. 47, fasc. 2, Comunicazione Ministero della Difesa Marina, s.d.).
Tra il 1948 e il 1949, Guido Ucelli intervenne attivamente in diverse sedi istituzionali, sia italiane che internazionali, con l’intento di richiamare l’attenzione sull’importanza dell’impresa archeologica di recupero e sulla necessità di un intervento tempestivo per la ricostituzione del museo di Nemi. I suoi interventi si configurano come parte integrante di una strategia volta a riaffermare il valore documentario e simbolico dell’impresa di Nemi, promuovendone al tempo stesso la rinascita museale. Tra le principali occasioni in cui Ucelli presentò lo stato del progetto si ricordano: la conferenza dell’International Council of Museums, Icom-UNESCO, di Parigi (28 giugno-3 luglio 1948), con la relazione intitolata Il Museo delle Navi romane del Lago di Nemi distrutto il 31 maggio 1944 (ASMUST, Archivio Icom, Conferenze, b. 6, Prima Conferenza biennale generale dell’ICOM, Parigi 1948); il V Convegno Nazionale di Storia dell’Architettura, tenutosi a Perugia il 23 settembre 1948, dove presentò la relazione Distruzione del Museo delle Navi romane del Lago di Nemi e programma di ricostruzione (Ucelli [1948] 1956); e infine la XLII Riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, svoltasi a Roma tra il 28 novembre e il 1° dicembre 1949, in cui illustrò la relazione sulla Distruzione e ricostituzione del Museo delle Navi romane di Nemi (Ucelli [1949] 1951).
Gli accordi tra le diverse istituzioni coinvolte nella ricostruzione del museo si rivelarono complessi, tanto nella definizione delle competenze quanto nella pianificazione degli interventi strutturali. Prima ancora di poter contare su finanziamenti certi e su un piano operativo definito, fu avviato – tra non poche difficoltà – un nuovo progetto di musealizzazione, elaborato in parallelo ai lavori di ristrutturazione architettonica.
In questa fase preliminare, Guido Ucelli ritenne fondamentale coinvolgere alcune figure chiave già attive negli anni Trenta, durante la prima costruzione del museo. Tra queste, l’architetto Vittorio Morpurgo – autore del progetto originario e figura centrale per garantire una continuità architettonica e formale – l’ingegnere del Genio Speciale del Tevere, Antonio Buongiorno, e l’architetto Luigi Angelini. Entrambi avevano già collaborato nel precedente cantiere del museo. A loro si aggiunse Guglielmo Gatti, autore dei disegni e dei rilievi tecnici delle due navi, nonché della documentazione sul loro funzionamento. Il coinvolgimento di questi professionisti, profondamente legati alla storia dell’impresa di Nemi, conferma la volontà di ricostruire e restituire anche una narrazione coerente e rigorosa di una vicenda unica nel panorama archeologico e museale italiano (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera 31 dicembre 1948).
Tra la fine del 1948 e la prima metà del 1949, il Consiglio Superiore – organo della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione – esaminò e prese in considerazione una serie di proposte per il riallestimento e la ricostituzione del Museo di Nemi. Le ipotesi progettuali, sviluppate in particolare tra gennaio e aprile 1949, si articolarono lungo due principali direttrici: da un lato, i programmi ufficiali del Consiglio Superiore; dall’altro, le proposte elaborate congiuntamente da Guido Ucelli e Luigi Tursini, il quale, da ingegnere del Genio navale, divenne uno dei principali promotori di questa seconda fase di progettazione allestitivo-museale.
La ricostruzione delle fasi di elaborazione del progetto di riallestimento del Museo delle Navi è resa possibile dal confronto tra la documentazione conservata nel Fondo Carla e Guido Ucelli di Nemi presso l’ASMUST e i disegni recentemente donati dagli eredi di Tursini al Museo delle Navi romane, confluiti nel Fondo Meschini (vedi in particolare il contributo di De Angelis in questo numero), e permette di ipotizzare che le lettere e i Memorandum del Fondo Ucelli trovino un corrispettivo nei disegni firmati da Tursini, i quali ne costituiscono l’esito grafico e testimoniano una fitta corrispondenza e una visione progettuale condivisa tra i due. Tra i documenti più significativi si segnalano: le proposte formulate in seguito alla seduta dell’8 febbraio 1949 del Consiglio Superiore; due lettere inviate da Ucelli al direttore generale Guglielmo De Angelis d’Ossat (1°e 2 marzo 1949) con i relativi allegati – importante in questa sede è l’Allegato C –; il Memorandum redatto da Tursini il 20 marzo; una relazione tecnico-finanziaria dello stesso Tursini datata 10 aprile; e infine una proposta elaborata dallo stesso Consiglio.
Il primo programma ufficiale approvato dal Consiglio Superiore, a seguito della seduta dell’8 febbraio, accoglieva pienamente l’offerta della Marina Militare per la realizzazione in scala 1:5, in legno, dei due modelli delle navi, nonché per la ricostruzione al vero della prua e della poppa della prima nave. Il progetto includeva inoltre il recupero e la raccolta dei reperti provenienti dalle campagne archeologiche precedenti al 1928 e dei materiali salvati dopo l’incendio del 1944, oltre all’acquisizione – in originale o in copia – di reperti dal Santuario di Diana, con la collaborazione del Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen e del museo di Nottingham. In questo programma, il Consiglio suggeriva e lasciava aperta anche la possibilità di ricostruire integralmente una delle due navi, utilizzando materiali antichi e nuovi, chiaramente distinti. Il documento concludeva con un auspicio operativo: che il Ministero dei Lavori Pubblici e il Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche del Lazio assumessero la responsabilità degli interventi strutturali e della copertura delle spese di riparazione dell’edificio (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, Seduta del Consiglio Superiore, 8 febbraio 1949).
Il 21 febbraio 1949 fu effettuato un importante sopralluogo al museo, al quale parteciparono Ucelli, Morpurgo, Tursini e i custodi Cinelli e Martinelli. Durante l’ispezione venne avanzata una proposta che, per l’epoca, può essere considerata sorprendentemente innovativa: limitare la ricostruzione a uno solo dei due padiglioni, lasciando l’altro nello stato di rovina provocato dai bombardamenti, come testimonianza tangibile della distruzione bellica. Secondo questa visione, il padiglione restaurato avrebbe accolto i modelli in scala delle navi e le attrezzature salvate, e sullo sfondo la ricostruzione al vero della prua e della poppa della prima nave. La scelta rispondeva a un’esigenza non solo espositiva, ma anche narrativa: illustrare, attraverso la compresenza di rovina e ricostruzione, le due fasi fondamentali della vicenda del museo – l’impresa archeologica degli anni Trenta e la sua distruzione nel 1944 (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Promemoria Museo delle Navi romane, 21 febbraio 1949).
Parallelamente all’avanzamento dei sopralluoghi e delle proposte progettuali, Ucelli reagì con fermezza all’ipotesi – avanzata dal Consiglio Superiore nella seduta dell’8 febbraio – di procedere alla ricostruzione “al vero” di una delle due navi. In una lettera datata 1° marzo 1949, seguita il giorno successivo da un allegato esplicativo, egli espresse con decisione la propria contrarietà, definendo il progetto “assurdo” e “praticamente inattuabile” (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, lettera 1° marzo 1949).

3 | Luigi Tursini, Memorandum, 20 marzo 1949. ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1.
Nell’allegato intitolato Ricostruzione del Museo delle Navi romane al Lago di Nemi (2 marzo 1949), egli argomentava le ragioni tecniche ed economiche della propria posizione:
In merito al voto espresso dal Consiglio Superiore del Ministero della P.I. di cui la comunicazione del giornale radio I° corrente, e precisamente circa la eventualità di ricostruire al vero una delle navi di Nemi, se questo può lusingare coloro che hanno attuato l’impresa di ricupero fra le incomprensioni, le diffidenze e le difficoltà, ben note, si fa presente che tale programma non si ritiene possa essere praticamente attuabile. A parte il costo ingentissimo (si tratterebbe di costruire nelle sue parti essenziali una nave di circa 80 metri di lunghezza) si dovrebbero vincere delle difficoltà veramente eccezionali, data la impossibilità di eseguire il lavoro in un cantiere: occorrerebbe creare sulle rive del lago tutta l’attrezzatura necessaria, essendo impossibile il trasporto della nave anche a sezioni, ed è facile immaginare quanto sarà difficile l’approvvigionamento del legname e di tutto il restante materiale (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, Allegato C Ricostruzione del Museo delle Navi romane al lago di Nemi, 2 marzo 1949).
Ucelli ribadiva invece il valore documentario e scientifico dei modelli in scala 1:5, già in corso di realizzazione nei cantieri di Castellammare di Stabia, facendo notare che anche questi, con una lunghezza di circa 14-16 metri, avrebbero posto problemi di trasporto non indifferenti (sul paradosso della ricostruzione ‘al vero’ espressa dalla posizione di Ucelli, vedi anche la riflessione argomentata da Elisabetta Pallottino in questo numero).
Il 20 marzo 1949, Luigi Tursini formalizzò le riflessioni maturate in un articolato Memorandum, corredato da un disegno in scala 1:200 e da uno schizzo planimetrico in scala 1:500 della ricostruzione e dell’allestimento del museo. Il documento, frutto dei sopralluoghi effettuati con Ucelli e l’architetto Morpurgo, e delle decisioni progettuali prese con Ucelli, definiva con precisione gli interventi necessari alla ricostruzione del museo, articolandoli in due linee principali:
a) = la reintegrazione totale di uno dei due padiglioni e della galleria centrale, b) = la reintegrazione parziale del secondo padiglione, che deve prescrittasi al visitatore nelle precise condizioni interne in cui ora si trova (corsivi nostri).

4 | Elio Petri, L’assassino (1961), Alfredo (Marcello Mastroianni) e Nicoletta (Cristina Gajoni) nel padiglione destro, sullo sfondo le rovine delle navi, il corridoio centrale e il padiglione sinistro restaurato e allestito, still (28’ 34”). Da Grippa, Toson 2023, 81-100.

5 | Montaggio del profilo al vero in tubolare d’acciaio della prima nave, padiglione sinistro, Museo delle Navi romane di Nemi, Tav. 4.21 da De Angelis 2025, Archivio del Museo delle Navi romane di Nemi – Fondo Meschini. ©DRMN Lazio – Museo delle Navi romane.

6 | Elio Petri, L’assassino (1961), Alfredo risponde a Nicoletta nel padiglione sinistro sul lato a sud del museo. Alle sue spalle i due modelli delle navi in scala 1:5, frame (29’ 56”). Da Grippa, Toson 2023, 81-100.

7 | Trasporto della nave in scala 1:5 da Castellammare di Stabia al Museo delle Navi romane di Nemi, Tav. 5.38 da De Angelis 2025, Archivio del Museo delle Navi romane di Nemi – Fondo Meschini. ©DRMN Lazio – Museo delle Navi romane.

8 | Percorso della nave sull’attuale via Diana. Sullo sfondo il lago e il Museo delle Navi, Tav. 6.46 da De Angelis 2025, Archivio del Museo delle Navi romane di Nemi – Fondo Meschini. ©DRMN Lazio – Museo delle Navi romane.

9 | L’arrivo del modello della nave davanti al Museo delle Navi, Tav. 6.48 da De Angelis 2025, Archivio del Museo delle Navi romane di Nemi – Fondo Meschini. ©DRMN Lazio – Museo delle Navi romane.
L’obiettivo era quello di predisporre gli spazi necessari all’esposizione dei due modelli in scala 1:5, fedelmente ricostruiti secondo lo stato in cui le navi erano state ritrovate, e che sarebbero diventati il nucleo sul quale organizzare il nuovo allestimento. All’interno dello stesso ambiente si prevedeva anche la possibilità di inserire – mediante elementi grafici e strutturali – un “simulacro” in grandezza reale della prima nave, oltre a raccogliere e ordinare i cimeli salvati e tutta la documentazione relativa all’impresa di recupero e alla successiva distruzione del museo. Al punto b) vengono elencate con precisione le operazioni previste, che comprendono: la rimozione delle macerie residue, il rifacimento delle coperture, il restauro degli infissi, degli intonaci e dei pavimenti, nonché la ricostruzione e predisposizione degli spazi espositivi destinati ad accogliere i modelli e le attrezzature salvate (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, Memorandum di Luigi Tursini, 20 marzo 1949).
I due disegni tecnici allegati al Memorandum, oggi conservati presso il Museo delle Navi romane grazie alla donazione della famiglia Meschini, costituiscono una fonte preziosa per ricostruire non solo la genesi del nuovo progetto museografico, ma anche le diverse fasi che hanno scandito la ricostruzione del museo.
A questo punto è legittimo interrogarsi sul ruolo effettivo di Guido Ucelli in questa complessa vicenda. Pur non ricoprendo formalmente incarichi istituzionali, Ucelli agì di fatto come coordinatore e promotore delle iniziative legate al recupero e alla riorganizzazione del museo. La conferma di questo ruolo emerge chiaramente in una lettera indirizzata a Tursini il 28 marzo 1949, in cui Ucelli afferma che:
Il Ministero della P. I., riconfermandomi la nomina ad Ispettore onorario per le antichità di Nemi, mi ha pure dato incarico di occuparmi di tutto quanto riguarda il Museo (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera 28 marzo 1949).
A completamento di questo quadro generale relativo all’elaborazione degli interventi per la sistemazione del museo, è utile soffermarsi su un documento particolarmente significativo: il Programma di ricostruzione del Museo delle Navi Romane del Lago di Nemi, redatto nel 1949. Il testo si apre affermando con chiarezza l’obiettivo di ricostituire, per quanto possibile, una documentazione scientificamente fondata dell’impresa di recupero, in gran parte andata distrutta nell’incendio del 1944:
Dato pertanto l’eccezionale interesse per la scienza e la tecnica di ricostruire per quanto possibile le documentazioni barbaramente distrutte, che rappresentavano un “unicum” assoluto, e data la possibilità di riunire nell’ambiente originale, insieme con dette documentazioni i cimeli tempestivamente salvati, si ritiene di poter richiedere la riparazione dei danni di guerra che comporterà prevalente spesa di mano d’opera (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, Programma di ricostruzione del Museo delle Navi romane del lago di Nemi, s.d.).
Il documento fu trasmesso anche al senatore Luigi Einaudi, allora Presidente della Repubblica, che ne fu informato e manifestò un interesse favorevole verso l’iniziativa.
Il programma prevedeva, in primo luogo, la riparazione integrale di uno dei due padiglioni del museo, destinato ad accogliere i modelli in legno in scala 1:5 delle due navi, già in fase di realizzazione grazie all’intervento del Ministero della Difesa Marina. Nello stesso padiglione era prevista anche la collocazione delle ricostruzioni in scala reale della prua e della poppa della prima nave – “coi timoni a pizza, della prima nave, riunite dal profilo dello scafo (opera viva)” – con l’intento di restituire visivamente le dimensioni e l’ingombro originari degli scafi, autentici capolavori della tecnica navale romana. Oltre a questi elementi, lo spazio avrebbe ospitato anche l’ancora in ferro originale, l’ancora in legno ricostruita, e una selezione di frammenti in cotto e resti pavimentali recuperati dopo l’incendio del 1944.
Il progetto contemplava inoltre l’auspicio di poter esporre – in originale o tramite calchi – anche i materiali rinvenuti nel 1827 da Fusconi, conservati nei Musei Vaticani e, in parte, nell’antico Museo Kircheriano, insieme ai cimeli originari salvati e temporaneamente custoditi nei magazzini del Museo delle Terme di Roma.
Nella galleria superiore era prevista la reinstallazione delle vetrine contenenti i bronzi e le attrezzature sopravvissute all’incendio, con l’obiettivo di restituire, in parte, l’allestimento originario. Alle pareti si sarebbe dovuta sviluppare una documentazione visiva dell’evoluzione dell’architettura navale antica, attraverso modelli, calchi, fotografie e disegni.
A differenza dei programmi precedenti, questo progetto non contemplava più l’idea di lasciare uno dei padiglioni in stato di rovina come testimonianza del danno bellico. Al contrario, lo spazio sarebbe stato destinato a una nuova sezione espositiva dedicata sia ai materiali archeologici dei Colli Albani, fino ad allora dislocati in varie sedi, sia ai reperti provenienti dal Santuario di Diana. L’intento era di esporre – in originale o in calco – statue, iscrizioni, oggetti votivi, utensili, suppellettili, mosaici e elementi architettonici provenienti dagli scavi condotti nel 1791 (dal cardinale Despuig), tra il 1885 e il 1889 (da Sir Savile Lumley), tra il 1924 e il 1928, nonché dalle più recenti campagne presso il Santuario di Diana. L’allestimento avrebbe inoltre incluso reperti custoditi nei musei romani (Museo Nazionale Romano e Museo di Valle Giulia) e in collezioni estere, in particolare presso i musei di Nottingham e Copenaghen. L’obiettivo dichiarato in questo programma era quello di facilitare gli studi e i confronti con i materiali recuperati dalle navi, creando le condizioni per un’analisi più ampia del contesto culturale e archeologico di riferimento. La rinascita del museo avrebbe così potuto costituire un impulso decisivo alla ripresa delle indagini archeologiche nell’area del santuario.
A conclusione di questa articolata analisi dei programmi e delle proposte per la ricostruzione del museo e del suo allestimento, è opportuno integrare alcuni dati fondamentali che chiariscono ulteriormente sia la natura dei documenti finora esaminati, sia le procedure finanziarie e operative necessarie al completamento dell’opera.
Di particolare rilievo è un ulteriore, dettagliato Memorandum, probabilmente redatto da Luigi Tursini, datato 10 aprile 1949, che chiarisce diversi aspetti tecnici ed economici. Il documento si apre con la conferma dell’incarico, affidato dal Ministero della Difesa Marina, per la realizzazione dei modelli in scala delle due navi, oltre che del simulacro della prima nave, che avrebbe così potuto accogliere in posizione originaria i calchi della ruota di prora e le strutture di governo poppiere, entrambe sopravvissute all’incendio. Tursini richiama quindi il programma approvato dal Consiglio Superiore l’8 febbraio 1949, menzionando inoltre che la Marina stava già elaborando il piano per il trasporto dei modelli: previsto via mare fino a Terracina o Anzio, e successivamente su strada fino a Nemi.
Il documento illustra anche il piano finanziario, ribadendo – come già fatto da Ucelli – l’urgenza di intervenire sull’edificio museale. In particolare, Tursini propone una revisione del preventivo avanzato dal Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche del Lazio, che stimava la spesa complessiva in 100 milioni di lire. In alternativa, suggerisce un programma più contenuto, limitato alla riparazione di un solo padiglione e della galleria centrale. Il secondo padiglione, destinato a rimanere in stato di rovina, avrebbe richiesto soltanto interventi al tetto e ai serramenti, come già descritto nel Memorandum del 31 marzo 1949. Grazie a una prima valutazione tecnica condotta da Morpurgo, Tursini e Ucelli (21 febbraio 1949) e a un successivo sopralluogo dell’ingegnere Chioni del Genio Civile, fu possibile proporre una riduzione dei costi a una cifra compresa tra i 37 e i 45 milioni di lire (di cui 29 milioni già stanziati nel 1949 nelle richieste di procedura d’urgenza), prevedendo una durata dei lavori di circa tre o quattro mesi (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Memorandum 10 aprile 1949; b. 47, fasc. 2, Promemoria Museo delle Navi romane sul lago di Nemi, 24 luglio 1950).
Alla luce di tali sviluppi, si auspicava l’inaugurazione del museo in occasione dell’Anno Santo del 1950, sottolineando non solo il rilievo scientifico dell’intervento, ma anche il potenziale attrattivo dal punto di vista turistico. Tuttavia, la riapertura non avvenne nei tempi previsti, a causa di ulteriori riesami e valutazioni tecnico-finanziarie da parte dei ministeri coinvolti. Soltanto il 29 settembre 1950, in una lettera di Guglielmo De Angelis d’Ossat, Guido Ucelli fu informato che il Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche del Lazio aveva disposto l’affidamento dei lavori di ripristino tramite una gara d’appalto privata, la cui esecuzione sarebbe potuta iniziare dopo la registrazione del contratto presso la Corte dei Conti (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, lettera 29 settembre 1950).
Un passaggio cruciale fu inoltre la pianificazione del trasporto dei modelli dal cantiere di Castellammare di Stabia al lago di Nemi, che comportò anche lavori di apertura e chiusura di una delle facciate esterne del museo, per consentire l’ingresso dei modelli. Le operazioni furono gestite dall’Esercito e dal Ministero della Difesa Marina. Il primo modello (relativo alla seconda nave) fu trasportato nel giugno 1951, mentre il secondo (quello della prima nave) nell’aprile 1952. Le spese per il trasporto e la manodopera furono interamente a carico dell’Esercito, sotto la supervisione del Segretario Generale della Marina, Franco Zannoni (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività imprese, b. 47, fasc. 2, Comunicazione del Ministero della Difesa Marina, 26 febbraio 1951).
La comunicazione relativa al primo trasporto giunse a Ucelli tramite Tursini l’8 giugno 1951 e la comunicazione ufficiale il 16 giugno da Guglielmo De Angelis d’Ossat. Il convoglio partì il 21 giugno e giunse a Nemi nel pomeriggio del 22 giugno. L’impresa fu accompagnata da quattro decreti di interruzione del traffico e due ordini di marcia, con il supporto della Polizia Stradale e della Motorizzazione Civile. L’Istituto Luce documentò l’evento con riprese cinematografiche (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, lettera 16 giugno 1951). La documentazione del trasporto del modello della nave è visibile sul sito online dell’Archivio dell’Istituto Luce e il primo trasporto, relativo al modello della seconda nave avvenuto nel giugno 1951, è intitolato Trasporto di navi al Museo.
Per il trasporto del secondo modello si dovette attendere la primavera del 1952. Un dettagliato piano operativo fu redatto dal Ministero della Difesa Marina, diretto dal generale Nicola Tucci. Il convoglio lasciò la Corderia della Marina di Castellammare il 26 aprile 1952, partì ufficialmente il 28 aprile alle ore 16.00, raggiunse la località di Garigliano, il confine tra Campania e Lazio, nel tardo pomeriggio e, dopo una sosta notturna, proseguì il giorno successivo con arrivo previsto a Nemi nel pomeriggio del 29 aprile. Il trasporto, realizzato con mezzi messi a disposizione da Maridipart di Napoli e dalla Scuola Truppe Corazzate di Caserta, prevedeva l’uso di un traino Scherman ed era nuovamente scortato dalla Polizia Stradale e dai reparti motociclisti dei compartimenti di Roma e Napoli (ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Comunicazione Ministero della Difesa Marina, 30 marzo 1952). Anche il trasporto del secondo modello è documentato da un cinegiornale Luce visibile online e intitolato Ricostruita la seconda nave.
Il museo venne infine ultimato poco prima della sua inaugurazione, che si tenne il 25 novembre 1953. Un ruolo importante in questa fase finale fu rivestito anche da Pietro Romanelli, che fino al 1946 aveva ricoperto l’incarico di ispettore centrale per l’archeologia presso la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, e che durante gli anni del secondo conflitto mondiale si era occupato della protezione e della salvaguardia dei monumenti e delle opere d’arte. A lui si deve la supervisione dei reperti provenienti dal museo di Nemi, messi in salvo e temporaneamente trasferiti nel 1943 presso il Museo Nazionale Romano.
III. Interiorizzare la rovina
Il rifacimento del Museo delle Navi di Nemi si colloca nel panorama della ricostruzione dei musei italiani nel Secondo Dopoguerra in una posizione decisamente eccentrica. Dopo i devastanti bombardamenti angloamericani, che avevano raso al suolo interi quartieri con la pratica dell’area bombing, quasi ogni città italiana aveva un museo da ricostruire, molto spesso collocato all’interno di un edificio di valore storico (per un approfondimento sulla capillarità e l’estensione delle distruzioni dei bombardamenti alleati, si rimanda a Ciancabilla 2008 e Gioannini, Massobrio 2021). L’atteggiamento generale negli anni immediatamente successivi al conflitto era quello di riparare al più presto le ferite della guerra, sia per evitare ulteriori danni, sia per allontanare lo spettro della guerra e proiettarsi verso un nuovo capitolo della propria storia. Bisognava fare presto, e con quello che si aveva a disposizione, come si può evincere da accorate testimonianze come quella di Emilio Lavagnino nella lista Cinquanta monumenti italiani danneggiati dalla guerra, pubblicata nel 1947 (Lavagnino 1947). La priorità era quella di riportare nei musei le opere d’arte che, dopo essere state nascoste in fienili e cascine, in sotterranei e nascondigli, salvate grazie all’abnegazione e ai sacrifici dei soprintendenti in tempo di guerra, dovevano ritornare al proprio posto, pubblicamente accessibili, a segnare simbolicamente la fine dell’emergenza e il ritorno alla normalità. Ma riportare le opere nei musei così com’erano si rivelò non solo impossibile, ma anche non desiderabile. Per usare le parole di Maria Cecilia Mazzi, che ha dedicato uno studio monografico sulla ricostruzione dei musei italiani:
La devastazione era tale da richiedere un modo radicale di pensare il futuro, la cesura sembrava troppo forte e dolorosa per consentire un impossibile ripristino di “com’era” e “dov’era” […]. Il museo, nel Dopoguerra e negli anni Cinquanta in Italia diviene il simbolo di un riscatto possibile, di una recuperata identità; una nobile palestra per allestimenti di grande rilievo; una sfida alle capacità comunicative dell’arte, testimone e frutto di un ‘progetto’ di ampia portata (Mazzi 2009, 26).
I temi della riabilitazione della nazione, tipici della ricostruzione italiana, sono quanto più amplificati quando si applicano ai musei. È attraverso la cultura e l’arte che si poteva condensare un nucleo di orgoglio e redenzione che fosse libero dalle retoriche nazionaliste, dall’umiliazione di tre anni di occupazione e dai problemi pubblici e privati della vita quotidiana.
Tuttavia, la distruzione diventava l’occasione per sperimentare un rinnovamento delle pratiche allestitive, funzionale a un generale rinnovamento, come sostiene Maria Dalai Emiliani, un altro punto di riferimento nella storia dei musei italiani del Dopoguerra: “Un’opera di valorizzazione e rinnovamento che rappresentava prima di tutto l’occasione per recuperare un ritardo culturale e tecnologico che nessun responsabile di museo, nemmeno il più provinciale, era ormai disposto a tollerare” (Dalai Emiliani 2009, 78). In sintesi, i danni bellici avevano creato le condizioni per un aggiornamento tecnologico e museografico. Questo spirito si è manifestato in particolar modo nelle ricostruzioni autoriali di Carlo Scarpa a Palazzo Abatellis (Palermo), e successivamente Castelvecchio (Verona), di Franco Albini a Palazzo Bianco (Genova), dove si sono introdotte componenti moderne nelle parti danneggiate dal conflitto, e similmente a Napoli, con il completo riassetto dei musei da parte di Bruno Molajoli, oppure a Torino, dove la nuovissima Galleria Civica progettata da Carlo Bassi e Goffredo Boschetti ricuciva un isolato completamente raso al suolo. Anche Milano, fra le città più pesantemente bombardate in Italia, vissuta da Guido Ucelli in prima persona (per approfondire: ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, San Vittore e la Resistenza, b. 72, fasc.3; Savoia 2023) i soprintendenti Ettore Modigliani e Fernanda Wittgens stavano approntando una serie di progetti di “ripristino ammodernato”: al Castello Sforzesco, la Pinacoteca di Brera, il Museo Poldi Pezzoli, la Pinacoteca Ambrosiana e la Galleria d’Arte Moderna a Villa Reale coinvolgendo architetti come il già citato Albini e Piero Portaluppi.
All’interno di questo panorama il Museo di Nemi nella sua condizione successiva all’incendio si collocava in una posizione molto diversa (per un’analisi dettagliata sugli allestimenti del Museo di Nemi vedi Incutti, Porretta in questo numero). In primo luogo, si trattava di un museo costruito di recente, da poco più di una decina di anni, e quindi molto diverso dai chiostri medievali e dai palazzi nobiliari tipici dei musei italiani. Inoltre, il museo era chiaramente legato alla retorica fascista, sia per l’impresa alla quale era legato, sia per la sua architettura. Infine, a differenza di tutti gli altri musei, si trovava in un luogo periferico e slegato da un contesto urbano. Ad allontanare questa ricostruzione dal panorama italiano è inoltre la poca partecipazione al processo di ricostruzione del soprintendente Gugliemo De Angelis d’Ossat, e quindi la mancanza di una guida museografica istituzionale, e l’assenza di un vero architetto: Vittorio Morpurgo venne interpellato, ma dai documenti sopracitati sembra discosto e non risulta prendere parte attiva alla progettazione. L’altro grande architetto, Furio Fasolo, si occupa solo dei danni immediatamente successivi all’incendio, e non sembra particolarmente attivo, probabilmente perché impegnato al ben più grande e prestigioso lavoro al santuario di Palestrina. Restano seduti intorno al tavolo da disegno, quindi, due non professionisti: Guido Ucelli e Luigi Tursini. Non c’è il ricambio generazionale tipico negli altri casi nella gestione del museo: l’imprenditore milanese resta di fatto la mente dietro il nuovo allestimento, così come lo era stato fin dall’inizio dello scavo, aiutato nella direzione dei lavori da Luigi Tursini, suo collaboratore, esperto ingegnere navale e depositario dei disegni di rilievo e ricostruzione dei vascelli. I principali interlocutori restano, come prima della guerra, la Marina Militare e il Genio Civile. Ucelli continua a essere il regista di questo progetto: sue sono le lettere, la ricerca dei fondi, le discussioni sui nuovi principi dell’allestimento e il suo fermo proposito di non ricostruire la nave al vero. Bisogna tuttavia puntualizzare che Ucelli, pur non essendo un architetto o un direttore che si occupa di musei, ha maturato fin dagli anni Venti una notevole e ricca esperienza in campo museografico, in particolare per quanto riguarda le esposizioni di scienza e tecnologia. Come si evince dalla ricostruzione di Paola Redemagni, Ucelli, nel suo lungo percorso di avvicinamento alla creazione del primo museo nazionale della scienza ha avuto la possibilità non solo di visitare e studiare gli allestimenti del Deutsches Museum di Monaco, dell’Esposizione Internazionale di Chicago del 1933, e dei principali musei tecnici di Londra, Dusseldorf e Vienna (Redemagni 2009, 142), ma anche di confrontarsi e collaborare con soprintendenti aggiornati in campo museografico durante la costruzione del museo nemorense, come Valerio Mariani, e con architetti come Vittorio Morpurgo e Piero Portaluppi.
Da queste considerazioni è comprensibile quanto sia originale e differente la ricostruzione del Museo delle Navi di Nemi. Se, nello spirito generale, il progetto di rinnovamento del museo risponde alla comune volontà di un riscatto morale e spirituale, la scelta di mantenere la rovina è del tutto insolita e difficile da collocare nel panorama italiano. Che la rovina sia intenzionalmente esibita in un contesto museale, per la volontà di Guido Ucelli, è chiaro dal già citato Memorandum del 20 marzo 1949, dove il secondo padiglione “deve presentarsi al visitatore nelle precise condizioni interne in cui ora si trova” e ribadito nella seconda edizione del libro Le navi di Nemi:
Le riparazioni da eseguirsi dal Ministero dei Lavori Pubblici, Provveditorato Regionale alle Opere Pubbliche per il Lazio, comprenderanno la reintegrazione totale di uno dei due padiglioni e della galleria centrale, mentre nell’altro padiglione si ha in programma di eseguire solo le riparazioni protettive del tetto, degli intonaci esterni e degli infissi, lasciando l’interno come è stato ridotto dall’incendio (Ucelli [1950] 1996, 326).
Non esiste tuttavia un documento dello stesso Ucelli che elabori questa scelta da un punto di vista teorico o concettuale. A prima vista potrebbe sembrare semplicemente una soluzione dettata dalla mancanza di fondi. È poco plausibile, tuttavia, che si investano somme ingenti per il ripristino dell’involucro esterno senza nemmeno rimuovere le macerie in fase di cantiere, quando i nuovi serramenti non sono stati ancora montati, soprattutto se l’altra metà è stata svuotata. Così come l’opzione di allestire il secondo padiglione con i resti archeologici dell’area dei Colli Albani (condizione attuale del museo) sembra perdersi nel vuoto. Le motivazioni quindi di una scelta così forte, inusuale, e per certi versi radicale, restano ancora poco chiare. Una chiave di lettura si può tuttavia ricercare nei principi che regolano l’allestimento del padiglione ristrutturato con i modelli di navi.
La strategia allestitiva del padiglione della prima nave si basa volutamente sul dispositivo della didascalia, visiva o grafica, riprendendo le istanze dell’allestimento originale in forma più semplificata e spoglia di monumentalità. Si ripropone la possibilità di girare intorno, passare sotto alle navi, osservarle dall’alto, con un’opera notevole di scavo del piano pavimento, con scala di accesso, i modelli montati su alti e esili cavalletti di morpurghiana memoria. L’idea delle navi sospese, reali o modelli che siano, ha avuto un particolare successo nella nostra modernità con il Cutty Sark a Greenwich, progettato da Grimshaw architects, dove la nave galleggia in una grande goccia di vetro, e che, per ironia della sorte, ha subito un devastante incendio nel 2007. Oltre al modo di esporre le navi, che costituisce il principio museografico fondante, lo stesso processo di recupero dell’allestimento vale per gli oggetti nascosti a Roma e riportati a Nemi: la balaustra e i bronzi, non più sovrapposti alle grandi vetrate sul lago nella galleria rialzata, ma portati ma abbasati allo stesso piano dove sono collocati i modelli in scala, a riempire il vuoto lasciato dalla nave, le ancore per metà ricostruite e riposizionate nella galleria centrale, il montaggio delle protome ferine su quattro semplici travi incrociati. Il profilo metallico al vero di una linea della nave occupa quasi metà del padiglione, e cerca di ricontestualizzare i calchi della ruota di prua e i pochi rimasugli della poppa, ed è una goffa riproposizione degli esili tondini metallici montati da Morpurgo per suggerire le forme delle navi.
In sintesi, si riutilizzano gli stessi elementi dell’allestimento precedente, ma con un altro spirito. I modelli, unico elemento di novità rispetto all’allestimento precedente, si basano anch’essi su esperienze passate. Il dispositivo del modello era stato usato anche prima della guerra per visualizzare le navi, era stato esposto alla mostra della Civiltà Romana all’EUR e, insieme ai disegni ricostruttivi di Tursini, usato come supporto anche per la divulgazione (si veda ad esempio il cinegiornale dell’Istituto Luce Modello delle navi, venute in luce nel lago di Nemi, ricostruito dal Ministero della Marina Navi romane nel lago di Nemi: modelli ricostruiti dalla Regia Marina). Il ricorso a modelli è uno dei capisaldi dei principi dell’allestimento del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica al quale Ucelli stava lavorando febbrilmente negli stessi anni in cui si stava occupando della ricostruzione nemorense e della Mostra Leonardesca che aveva riscosso un successo internazionale (si rimanda a Redemagni 2009, 151). Sembra quindi abbastanza plausibile che vi sia un collegamento fra Nemi e Milano, che vi sia un’estensione del pensiero che organizza il museo milanese nella proposta di ricostruzione del Museo delle Navi. Se già prima della guerra il museo archeologico era atipico, per l’assenza di grandi opere artistiche e la predominanza della componente tecnico-ingegneristica antica declinata in forma propagandistica, dopo l’allestimento diventa sempre più un insieme di dispositivi didattici per comprendere il funzionamento delle navi e entrare nei dettagli nelle loro caratteristiche costruttive. Si tratta di una rielaborazione di ciò che era e si è perso per sempre, volta a conoscere e comprendere attraverso la ricostruzione mentale e l’immaginazione. Forse, nel modo di pensare di Ucelli, il padiglione bruciato è assimilabile concettualmente a un “simulacro” o modello in sezione del meccanismo della storia, destinato, come i modellini leonardeschi, a raccontare in forma tangibile e interattiva un evento.
Interessanti e incentrati sulla memoria sono anche i sentieri che si ripercorrono nei lavori di riallestimento del museo. Basta confrontare i cinegiornali dell’Istituto Luce che documentano lo spostamento delle navi nel museo, dai toni epici e monumentali (ad esempio: Istituto Luce, La seconda nave imperiale romana, 1932), con il festoso ma velato di malinconia arrivo dei modelli in scala nel museo nel 1952 (Istituto Luce, Ricostruita la seconda nave di Nemi, 1952). Le piccole navi modello, costruite a Castellamare, sbarcano, come le truppe alleate, ad Anzio, e, trasportate da un mezzo americano, attraversano i centri abitati che si trovavano lungo la linea Gustav, che portano ancora i segni evidenti della guerra: buchi di proiettile, edifici puntellati, persino il primo ponte sospeso del mondo, il Real Ferdinando, affondato nel Garigliano. Il convoglio vi passa simbolicamente a fianco, sul nuovo ponte ad arco in calcestruzzo progettato dall’ingegnere Giulio Krall per arrivare, fra rovine moderne e antiche, di nuovo nel cratere nemorense, dove il modello di nave, così come l’originale, entra nel museo attraverso un varco nella facciata. Si tratta di un evento che oggi chiameremmo di reenactment: si ripercorrono le fasi dell’impresa nemorense per recuperarne la storia e l’energia vitale, e riscattare la perdita dovuta al conflitto, epurandola dai toni propagandistici e epici nel contesto semantico ben definito della ricostruzione (con i fondi del piano Marshall).
È chiaro, dallo sviluppo cronologico delle vicende documentate nel paragrafo precedente, che Ucelli sostenga fermamente l’idea di inserire una funzione memoriale a fianco di quella espositiva. Una necessità che poco ha a che vedere con quella del museo, e che raramente si incontra nei musei italiani, se non in modo marginale (targhe, dediche, etc.). Come emerge dalla storia dei casi più celebri dei musei italiani dagli Uffizi, Palazzo Abatellis fino a Castelvecchio, la ferita della guerra e il trauma si curano con una sartoriale ricucitura degli spazi, la scelta di un linguaggio moderno che porta alla sublimazione dell’esperienza estetica, tanto in Scarpa quanto in Albini, quanto nei riallestimenti curati da Wittgens. Il Museo di Nemi è invece estraneo a questa operazione, è museo tutto di contenuto, dove anche la forma è testimonianza, e dove la strabordante componente emotiva non è imbrigliata da un linguaggio architettonico che media e cura. La sua posizione periferica, lontana dall’agone politico, come poteva essere il centro di Milano o Roma o Torino, lo ha reso in un certo senso meno curabile, sia per la difficile eredità insita nella sua concezione, sia per l’impossibilità di ammodernare un museo che era già di per sé nato molto più moderno dei suoi contemporanei. Ucelli trasforma il museo in un memoriale di sè stesso, insistendo sull’eloquenza della sua stessa materialità, bloccandolo in un momento storico, permettendogli così di continuare a vivere.

10 | La Guernica nell’allestimento del Salone delle Cariatidi, 1953.
Esperienze simili in Italia sono rarissime, e l’unica per la quale ci potrebbe essere un collegamento, che meriterebbe un approfondimento specifico, è il restauro a Palazzo Reale a Milano, del Salone delle Cariatidi, progettato da Gian Carlo Menichetti con Portaluppi, con il quale Ucelli era in stretto contatto per la progettazione del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica. In quel caso si è deciso di lasciare volutamente i segni delle schegge delle bombe, mentre il soffitto e la copertura sono stati rifatti in semplice intonaco bianco. A legare Nemi e Milano è anche la straordinaria mostra di Picasso che viene allestita nella sala delle Cariatidi nel 1953 per volere di Fernanda Wittgens. Per la prima volta Guernica, Guerra, Pace, Il Carnaio, Massacro in Corea sono appoggiati in maniera apparentemente casuale nel grande salone, “simbolo ancora bruciante della Milano lacerata dalla Guerra” (Fabbrizzi 2022, 173) circondati dalle sculture sfregiate delle Cariatidi, a segnare una giustapposizione diretta fra la testimonianza materiale del bombardamento e la sua rielaborazione emotiva, combinando, in un caso più unico che raro, musealizzazione e memorializzazione. Quella stessa Milano che Ucelli, ripetiamo, aveva vissuto in prima persona.
Possiamo collocare sia il Salone delle Cariatidi che il riallestimento del Museo delle Navi di Nemi nella tradizione italiana del “museo interno”, ovvero un museo avviluppato su sé stesso, che riflette sulle sue stesse condizioni, seguendo il concetto sviluppato da Marco Mulazzani (Huber, Mulazzani, 77-87). Il Museo di Nemi, dall’esterno perfettamente riparato, pulito e funzionale, riconnesso al contesto, al paesaggio del lago, come progettato da Morpurgo, manteneva le stesse caratteristiche del periodo precedente alla guerra. La distruzione non viene trattata come un oggetto estraneo, esposta all’aperto a creare un contrasto con la vita quotidiana, ma è tenuta dentro, allestita come un oggetto, opprtunamente domesticata. È una nuova stratificazione nella storia del museo, una nuova condizione museale che congela simbolicamente lo stato transitorio di quella notte fatale del 31 maggio 1944. La rovina diventa interno e lo spazio della distruzione interiorizzato. Ne consegue un ritratto-autoritratto del museo che è tutto basato sulla rielaborazione del trauma: da un lato l’indicibile e soverchiante immagine della distruzione, dall’altra la dimessa raccolta di cosa è sopravvissuto e la semplice e scolastica spiegazione di cosa si è perduto. Ma l’interiorizzazione della rovina non è solo un modo per superare il trauma della guerra, ma anche uno strumento per trasformarla in un messaggio costruttivo. Le parole che Fabio Fabbrizzi usa per descrivere l’effetto prodotto dalla mostra di Picasso a Milano si potrebbero adattare, con pochi cambiamenti per l’allestimento delle rovine nel museo di Nemi:
Nel gioco delle luci artificiali che in maniera radente mettono in risalto le crepe dei muri, i pezzi mancanti di intonaco, le colonne sconnesse e i lacerti delle opere scultoree e delle decorazioni, tutto appare fermo, come congelato in un momento di grande tensione e di grande emozione, nel quale le contorsioni e le grida emanate dai quadri di Picasso, paiono anch’esse rarefarsi in una generale sensazione di grande attonimento. Ma è una sensazione che invita alla riflessione, al riscatto, all’azione e non una semplice constatazione di fallimento e di impotenza, perché nella semplicità della loro collocazione, nella forza dei loro contenuti e nella straniante relazione con il contenitore nel quale vengono mostrate, queste opere cosiddette civili, paiono trasformarsi in un grido – seppur silenzioso e per questo quindi più forte e duraturo – contro i soprusi e le dittature di ogni colore e di ogni bandiera (Fabbrizzi 2022, 174).
È quella stessa sconcertante sensazione di attonimento, di afasia prodotta dalla distruzione, di straniamento prodotto dalla scena dell’incendio racchiusa nel grande contenitore del Museo delle Navi, che non viene lasciata inerte, ma accompagnata dalla positiva proposta di Ucelli e Tursini di continuare a studiare le navi con i mezzi che si hanno a disposizione, senza abbandonarsi alla sensazione di impotenza, o alla facile rievocazione nostalgica. Richiama, come dice Fabbrizzi, a una riflessione “civile”, con un tono che oggi forse potremmo ritrovare nelle opere di Anselm Kiefer.
Dagli scheletri anneriti in controluce parte anche la sequenza cinematografica del museo nel film L’assassino di Petri, unica testimonianza, per ora, della ricezione del riallestimento del museo nemorense nel decennio 1952-1962, dove, in un contesto completamente diverso, la forza dell’allestimento emerge in contrasto con la superficialità con cui vi si muovono i personaggi. Sarebbe molto utile indagare in futuro l’impatto del museo riallestito a livello locale, ed eventualmente, nel dibattito nazionale.
Letta con gli occhi di oggi, sia nel caso di Nemi che nel caso di Milano la relazione genetica fra contenuto e contenitore, l’interconnessione forte fra storia, materia e forma in un museo è di una modernità sconcertante, se pensiamo ad esempio alla risonanza mondiale che ha avuto la realizzazione del National September 11 Memorial & Museum a Ground Zero.
IV. Conclusioni e prospettive di ricerca
L’analisi della documentazione conservata nel Fondo Carla e Guido Ucelli di Nemi presso l’ASMUST ha reso possibile ricostruire in parte le tappe, le difficoltà e le strategie che segnarono la ricostruzione del Museo delle Navi romane di Nemi nel Secondo Dopoguerra. Le considerazioni che seguono propongono una sintesi dei principali risultati emersi, con alcune riflessioni sull’elaborazione della memoria e sulla definizione dell’identità museale in un’Italia segnata dal conflitto.
In filigrana, attraverso le lettere, la documentazione visiva e testuale, e le principali pubblicazioni affrontate, affiora la complessità di restituire un allestimento museale capace di mantenere in equilibrio due esigenze difficilmente conciliabili: da un lato, la memoria dell’impresa archeologica degli anni Trenta; dall’altro, il trauma della loro perdita, che rendeva impossibile una piena restituzione e imponeva un confronto costante con l’assenza.
Una prima ipotesi che emerge dal confronto tra le fonti riguarda la possibilità di individuare una certa coerenza tra il progetto di riallestimento effettivamente realizzato – documentato nei programmi ufficiali approvati dal Consiglio Superiore (come la seduta dell’8 febbraio 1949 e il Programma di ricostruzione del Museo delle Navi romane del Lago di Nemi) – e alcune pubblicazioni, tra queste, si segnalano l’articolo scritto da Giuseppe Moretti nel 1940 sul museo di Nemi, arricchito e confluito poi nell’itinerario Il Museo delle Navi romane di Nemi, a cura di Catia Caprino (Moretti 1940; Moretti, Caprino 1957), e infine il saggio di Giuseppina Ghini, pubblicato nel 1992 nel volume Museo Navi romane – Santuario di Diana a Nemi, che restituisce un quadro dettagliato dell’allestimento nella sua forma definitiva tra il 1953 e il 1962.
Un’ulteriore ipotesi interpretativa – qui solo accennata ma che meriterebbe uno sviluppo autonomo – riguarda la possibilità di rintracciare analogie tra la costruzione della sequenza ambientata da Elio Petri nel film L’assassino (1961) e le soluzioni museografiche studiate da Guido Ucelli e Luigi Tursini. È plausibile ipotizzare che, al di là di ogni intento, la scelta di ambientare la sequenza nel Museo di Nemi risponda all’esigenza di costruire uno spazio fortemente simbolico e coerente con l’atmosfera sospesa tanto del film quanto della complessità narrativa ed espositiva dell’epoca. In questa chiave, il museo diventa qualcosa di più di un semplice sfondo: si configura come un vero e proprio palinsesto visivo e narrativo, in cui la memoria si stratifica, si frammenta e si espone, rispecchiando la complessità della ricostruzione storica affrontata nel presente studio. Il confronto tra gli stills della sequenza filmica e i documenti progettuali – in particolare i Memorandum di Tursini – rivela così sorprendenti punti di contatto: il padiglione in rovina affiancato da quello restaurato, la presenza dei modelli delle navi e dei reperti bronzei, l’organizzazione spaziale interna dell’allestimento. Questi elementi non solo contribuiscono a confermare la verosimiglianza della scena cinematografica rispetto allo stato reale del museo negli anni precedenti alla sua riapertura, o meglio al desiderio e allo studio museografico e allestitivo proposto da Guido Ucelli e Luigi Tursini nel 1949, ma aprono anche alla possibilità di leggere quel frammento filmico come una testimonianza visiva della complessa stratificazione semantica del museo stesso.
Nel panorama italiano della ricostruzione dei musei, fra la necessità di ricostruire e rimarginare le ferite della guerra e quella di modernizzare un linguaggio proiettato verso un rinnovamento generale della cultura, il Museo di Nemi assume una posizione ambigua e difficile da collocare. In particolare, la scelta di mantenere in stato di rovina solo l’interno di un padiglione, trasformandolo di fatto in allestimento, pone inevitabilmente delle riflessioni nel rapporto tra museo e memoriale, in un processo che abbiamo definito ‘interiorizzare la rovina’.
La sequenza filmica è da considerarsi come la fine di un percorso, in buona parte qui ricostruito attraverso i documenti, che ha permesso di restituire per la prima volta in modo organico la genesi, gli sviluppi e le tensioni che hanno attraversato il progetto di riallestimento del Museo delle Navi nel Secondo Dopoguerra. Al contempo, si aprono nuove prospettive di ricerca sull’intreccio tra memoria, immaginario e rappresentazione museale, del tutto inedite nella storia della ricostruzione dei musei italiani, con la quale il museo nemorense ha forti continuità, ma anche una spiccata eccentricità, e che meriterebbero ulteriori approfondimenti, anche in relazione alle modalità contemporanee di narrazione e valorizzazione del patrimonio culturale.
Bibliografia
Fonti d’archivio
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Comunicazione Ministero della Difesa Marina a Luigi Tursini, al Ministero della Pubblica Istruzione, al Ministero dei LL.PP. e a Guido Ucelli, (s.d.).
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, Programma di ricostruzione del Museo delle Navi romane del lago di Nemi, (s.d.).
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 52, fasc.1, lettera (di Guido Ucelli a Fiorenzo Tassan), 30 luglio 1945.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera (di Giuseppe Carlo Speziale a Guido Ucelli), 30 luglio 1945.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, lettera (di Guido Ucelli al Ministero della Pubblica Istruzione), 13 maggio 1948.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, Promemoria 24 maggio 1947.
- ASMUST, Archivio Icom, Conferenze, b. 6, Prima Conferenza biennale generale dell’ICOM, Parigi 1948.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera (di Fiorenzo Tassan a Guido Ucelli) 23 dicembre 1948.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera (di Guido Ucelli a Fiorenzo Tassan) 31 dicembre 1948.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, Seduta del Consiglio Superiore, 8 febbraio 1949.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Promemoria Museo delle Navi romane, 21 febbraio 1949.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, lettera (di Guido Ucelli a Guglielmo De Angelis d’Ossar), 1° marzo 1949.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, Allegato C) Ricostruzione del Museo delle Navi romane al lago di Nemi, 2 marzo 1949.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, Memorandum di Luigi Tursini, 20 marzo 1949.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera (di Guido Ucelli a Luigi Tursini) 28 marzo 1949.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 49, fasc. 1, lettera (di Guido Ucelli a Luigi Tursini) 31 marzo 1949.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Memorandum 10 aprile 1949.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Promemoria Museo delle Navi romane sul lago di Nemi, 24 luglio 1950.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, (lettera di Guglielmo De Angelis d’Ossat a Guido Ucelli), lettera 29 settembre 1950.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività imprese, b. 47, fasc. 2, Comunicazione del Ministero della Difesa Marina, 26 febbraio 1951.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Ministero della Pubblica Istruzione, lettera (di Guglielmo De Angelis d’Ossat a Guido Ucelli), 16 giugno 1951.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, Vita professionale, attività e imprese, b. 47, fasc. 2, Comunicazione Ministero della Difesa Marina, 30 marzo 1952.
- ASMUST, Archivio Carla e Guido Ucelli di Nemi, San Vittore e la Resistenza, b. 72, fasc.3., G. Ucelli, La nostra famiglia durante l’occupazione tedesca, Milano 1963
- Archivio Luce, Modello delle navi, venute in luce nel lago di Nemi, ricostruito dal Ministero della Marina Navi romane nel lago di Nemi: modelli ricostruiti dalla Regia Marina, b/n, muto, M000401, 1924-1931.
- Archivio Luce, La seconda nave imperiale romana, b/n, muto, A101703, 1932.
- Archivio Luce, Trasporto di navi al Museo di Nemi, b/n, sonoro, ML002502, 1951.
- Archivio Luce, Ricostruita la seconda nave di Nemi, b/n, sonoro, I076705, 1952.
Riferimenti
- Altamura, Paolucci 2023a
F. Altamura, S. Paolucci, L’incendio delle navi di Nemi. Indagine su un cold case della Seconda guerra mondiale, Grottaferrata 2023. - Altamura, Paolucci 2023b
F. Altamura, S. Paolucci, Una lente sull’incendio delle navi romane di Nemi, “La Rivista di Engramma” 203 (giugno 2023), 45-60. - Azzarita 1959
M. Azzarita, Sorgerà presso il lago di Nemi il nuovo Museo navale delle antichità, “Il Messaggero” (26 giugno 1959). - Ballio Morpurgo 1940
V. Ballio Morpurgo, Museo delle Navi di Roma sulle rive del lago di Nemi, “Architettura. Rivista del sindacato nazionale fascista architetti” XIX/fasc. VII (1940), 371-376. - Barbanera 2009
M. Barbanera (a cura di), Relitti riletti. Metamorfosi delle rovine e identità culturale, Torino 2009. - Bassani, Toson 2023
M. Bassani, C. Toson (a cura di), Guerra, archeologia e architettura. Le Navi di Nemi, “La Rivista di Engramma” 203 (giugno 2023), 7-14. - Bergamo 2013
M. Bergamo, Bombe sulle rovine. Bombardamenti dei siti archeologici in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale e ricostruzioni postbelliche: status quaestionis e prima ricognizione bibliografica, “La Rivista di Engramma” 103 (gennaio/febbraio 2023), 47-57. - Chiarelli 1953
F. Chiarelli, Il pubblico rivedrà a Nemi le famose navi di Caligola, “Il Corriere della Sera” (19 giugno 1953). - Ciancabilla 2008
L. Ciancabilla, La guerra contro l’arte. Dall’Associazione Nazionale per il Restauro dei Monumenti danneggiati dalla Guerra alla ricostruzione del patrimonio artistico in Italia, “La Rivista di Engramma” 61 (gennaio 2008), 12-25. - Dalai Emiliani 2009
M. Dalai Emiliani, Per una critica della museografia del Novecento in Italia, Venezia 2009. - De Angelis 2025
D. De Angelis, Nuovi documenti sul riallestimento del Museo delle Navi romane (1953), “La Rivista di Engramma” 228 (ottobre 2025). - De Angelis d’Ossat 1948
G. De Angelis d’Ossat, Danni di guerra e restauro dei monumenti, Atti del V Convegno Nazionale di Storia dell’Architettura, Perugia 1948. - De Angelis d’Ossat 1950
G. De Angelis d’Ossat, La ricostruzione del patrimonio artistico italiano, Roma 1950. - Fabbrizzi 2022
F. Fabbrizzi, Lezione italiana. Allestimento e museografia nelle opere e nei progetti dei maestri del dopoguerra, Firenze 2022. - Gallo, Morselli 2022
L. Gallo, R. Morselli (a cura di), Arte liberata. Capolavori salvati dalla guerra, Gallerie del Quirinale, Milano 2022. - Ghini 1992
G. Ghini, Museo Navi Romane Santuario di Diana a Nemi, Roma 1992. - Ghini, Gizzi 1996
G. Ghini, S. Gizzi, Il Lago di Nemi & il suo Museo, Roma 1996. - Gizzi 2001
S. Gizzi, Tra università e istituzioni di tutela: Vittorio Ballio Morpurgo, Furio Fasolo e Bruno Maria Apollonj-Ghetti, in V. Fianchetti Pardo (a cura di), La facoltà di architettura dell'università "La Sapienza" dalle origini al Duemila. Discipline, docenti, studenti, Roma 2001. - Gioannini, Massobrio 2021
M. Gioannini, G. Massobrio, L’Italia bombardata. Storia della guerra di distruzione aerea 1940-1945, Milano 2021. - Grippa 2025 c.p.
I. Grippa, Guido Ucelli e il recupero delle navi di Nemi. Archeologia, industria e cinema nel Novecento italiano. Un percorso tra innovazione tecnica, documentazione visiva e patrimonio culturale, “Schermi” a. IX/15 (2025) [in corso di pubblicazione]. - Grippa, Toson 2023
I. Grippa, C. Toson, “Le Navi romane si possono vedere anche in tre”. Il Museo di Nemi nella sequenza del film L’assassino di Elio Petri (1961), “La Rivista di Engramma” 203 (giugno 2023), 81-101. - Grippa, Redemagni 2025
I. Grippa, P. Redemagni, I film di Guido Ucelli. Film, fotografie e documentazione preservati nell’Archivio del Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia di Milano, “La Rivista di Engramma” 228 (ottobre 2025). - Incutti, Palottino, Porretta 2023
A. Incutti, E. Pallottino, P. Porretta, Paesaggio sacro, pittura di paesaggio, paesaggio costruito. Ricerche in corso sul paesaggio nemorense e il Museo delle Navi romane, “La Rivista di Engramma” 203 (giugno 2023), 35-44. - Incutti, Porretta 2024
A. Incutti, P. Porretta, Il Museo della Navi Romane e il paesaggio nemorense: in cerca di una rinnovata relazione, “Ricerche di storia dell’arte” 142 (maggio 2024), 40-50. - Incutti, Porretta 2025
A. Incutti, P. Porretta, Architettura e allestimenti del Museo delle Navi romane di Nemi. Il progetto di Vittorio Morpurgo, le successive fasi di trasformazione e il paesaggio nemorense (1940-2000), “La Rivista di Engramma” 228 (ottobre 2025). - Ministero della Pubblica Istruzione 1950
La ricostruzione del patrimonio artistico italiano, Roma 1950. - Lavagnino 1947
E. Lavagnino, Cinquanta monumenti italiani danneggiati dalla guerra, Roma 1947. - Mazzi 2009
M.C. Mazzi, Musei anni ‘50. Spazio, forma, funzione, Firenze 2009. - Moretti 1940
G. Moretti, Il Museo delle Navi Romane di Nemi, “L’Illustrazione Italiana” a. LXVII, 18 (5 maggio), Roma 1940, 614-617. - Moretti, Caprino 1957
G. Moretti, C. Caprino, Il Museo delle Navi Romane di Nemi. 30 illustrazioni, Roma 1957. - Mulazzani 1997
M. Mulazzani, La tradizione italiana del “museo interno”, in A. Huber, Il Museo italiano, Milano 1997, 59-90. - Pallottino 2025
E. Pallottino, Le navi di Nemi e la nave di Teseo, “La Rivista di Engramma” 228 (ottobre 2025). - Petri 2007
E. Petri, Scritti di cinema e di vita, a cura di J.A. Gili, Roma 2007. - Procino 2014
M. Procino, Un personaggio ‘scomodo’. Elio Petri illumina il grande cinema. Ammirato a livello internazionale e quasi dimenticato in Italia, “Prometeo” a. 32/128 (dicembre 2014), 72-81. - Redemagni 2011
P. Redemagni, La nascita del museo, in Guido Ucelli di Nemi, industriale, umanista, innovatore, Milano 2011, 127-163. - Savoia 2023
U. Savoia, Dalla parte giusta. La storia di Gudo Ucelli di Nemi e Carla Tosi che sfidarono le SS e il regime per aiutare gli amici ebrei, Vicenza 2023. - Toson [2023] 2024
C. Toson, The Post-war Reconstruction of Nemi Ships Museum: Pushing the Boundaries between Museography and Memorialisation, “HPA” 13/VI, University of Bologna 2023, published 30.12.24. - Toson 2024
C. Toson, Dallo scavo all’architettura, “Ricerche di storia dell’arte” 142 (maggio 2024), 59-67. - Ucelli [1948] 1956
G. Ucelli, Distruzione del Museo delle navi romane del lago di Nemi e il programma di ricostruzione, Estratto dagli Atti del V Convegno Nazionale di Storia dell’Architettura [Perugia, 23-26 settembre 1948], Firenze 1956. - Ucelli [1949] 1951
G. Ucelli, Distruzione e ricostituzione del Museo delle Navi romane di Nemi, Comunicazione svolta alla XLII riunione della Società Italiana per il progresso delle Scienze (Roma, 28 novembre – 1° dicembre 1949), Roma 1951. - Ucelli 1950
G. Ucelli, Le navi di Nemi, II. ed., Roma 1950. - Ucelli [1950] 1996
G. Ucelli, Le navi di Nemi, II ed., Roma 1950, terza ristampa, Roma 1996.
English abstract
This essay examines the reconstruction of the Museo delle Navi romane at Nemi between 1953 and 1962, based on a critical review of both published and unpublished documents. Through letters, project notes, and technical materials related to the museum’s reconstruction, the analysis highlights the symbolic, operational, and political tensions that shaped the postwar recovery efforts following the 1944 fire. One section focuses on the sequence shot inside the museum by Elio Petri in his film L’assassino (1961), interpreted as a visual reflection on memory, ruin, and representation. Finally, the case of Nemi is situated within the broader context of postwar museum reconstruction in Italy, of which it represents a distinctive exception.
keywords | Museo delle Navi romane at Nemi; Museum reconstruction; Archival sources; Postwar Italy; Representation of memory.
questo numero di Engramma è a invito: la revisione dei saggi è stata affidata al comitato editoriale e all'international advisory board della rivista
Per citare questo articolo / To cite this article: Ilaria Grippa, Christian Toson, Interiorizzare la rovina.
Il riallestimento del Museo delle Navi romane di Nemi alla luce di nuove fonti d’archivio (1945-1953), “La Rivista di Engramma” n. 228, ottobre 2025.