"La Rivista di Engramma (open access)" ISSN 1826-901X

Afra e le Altre

Editoriale di Engramma 226

Claudia Cavallo, Fernanda De Maio, Maria Grazia Eccheli

English abstract

Didascalia immagine da concludere con un bel punto (se è una sola non mettere il numero, altrimenti usare la formula 1 | ).

“Afra e le Altre” è un omaggio ad Afra Bianchin e a tutte le donne dell’architettura che, in modo palese o talvolta in ombra, hanno contribuito alla costruzione di nuovi immaginari dell’abitare. Afra, finché esercita il mestiere di architetta e designer, lavora al fianco di Tobia Scarpa, ne diventa la compagna e la madre dei figli. Afra, però, non è né la prima né l’ultima donna a partecipare, fianco a fianco, a un sodalizio professionale. In questo caso, come negli altri, che in questo numero a lei dedicato abbiamo esplorato, si riconoscono alcune peculiarità della professione di architetto che rendono quasi ‘naturale’ metter su famiglia all’interno dello studio stesso. Esercitare l’architettura, infatti, fino in fondo — dalla fase progettuale a quella di cantiere e realizzazione — significa compiere un mestiere totalizzante e che può prevedere tempi lunghissimi nel corso del suo processo di sviluppo; tempi che implicano condivisione di spazi, di punti di vista, dialoghi anche oppositivi; veri e propri litigi, a volte, intorno alla questione di come realizzare il dettaglio di un giunto, o di come scegliere un certo materiale e decidere se quel materiale debba essere esibito per ciò che è, o invece nascosto. Se esercitare l’architettura significa costruire un pensiero intorno all’architettura e anche esercitare un controllo spasmodico sullo spazio e, spesso, involontariamente, sulle persone che quegli spazi abiteranno, non stupisce che proprio la natura ‘ossessiva’ della pratica architettonica, conduca, allora, ad una condivisione del tempo anche oltre il lavoro. Portare l’architettura all’interno della casa, può diventare, in altre parole, il modo migliore per esercitare l’architettura a tutto tondo. Forse, allora, è anche per questo che l’elenco delle coppie sentimentali e/o semplicemente professionali nel campo dell’architettura contemporanea è estremamente ampio. E forse è per questo motivo che, tra le coppie professionali, sono molto numerose quelle in cui uno dei due componenti è una donna, in modo particolare nel panorama dell’architettura contemporanea. In questo numero abbiamo ipotizzato che il passaggio dal praticare l’architettura al ‘metter su famiglia’, in altre parole, sia breve. Non è sempre così ma capita spesso. Non si può sottacere poi che questo numero è debitore di studi e ricerche condotti nel recente passato sul ruolo delle donne in architettura. Tra le tante iniziative esplorate, citiamo quella promossa da Gisella Bassanini con il gruppo Vanda a partire dalla sua tesi di laurea del 1995 al Politecnico di Milano, ma anche  Donnarchitettura, promossa da Maria Grazia Eccheli nel 2014 con una mostra e un libro dall’omonimo titolo, fino al grande atlante ragionato e alla mostra del MAXXI del 2021 Buone nuove. Donne in architettura / Good news. Women in architecture a cura di Pippo Ciorra, Elena Motisi, Elena Tinacci, oppure la recente call Donne Architettura a cura della DG Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura; infine sempre rimanendo in Italia, la ricerca realizzata grazie ad uno dei programmi di finanziamento europeo, MoMoWo: Women’s Creativity since the Modern Movement: An European Cultural Heritage, che, attraverso il reperimento e la sistematizzazione di un gran numero di dati, descrive una realtà che, con questo numero, intercettiamo in modo intuitivo e molto parziale, e fornisce una spiegazione analoga a quella che, tra le mura delle case, qui presentiamo, ossia che il lavorare in coppia o in team familiari sia un modo più semplice per le donne di praticare l’architettura conciliandola con gli altri ruoli familiari.

The research has proven that women, more than men, have run their agencies in partnership. Women belonging to the generations that preceded the Second World War habitually worked with male relatives and were often in their shadow. Although the paradigm of the Modern Movement architecture as a synthesis of creative design fields resulted in teamwork, in which the gender of each participant was supposed to be not relevant, the fact was that within these teams, men were represented as protagonists while women mostly disappeared into the margins. The mainstream historiography of architecture and design often reverberates this inequitable narrative. During the entire span of time from 1918 to the present, I noticed that the husband-wife design agencies are in the majority all over Europe. These cases of professional and life coupling are still numerous today, since it makes it easy for women to run both work and family life (Chiara Franchini, MoMoWo: Women’s Creativity since the Modern Movement: An European Cultural Heritage, Politecnico di Torino 2018, 41).

Dal punto di vista strettamente legato alla qualità dell’architettura il presupposto che ha mosso “Afra e le altre” è il valore museale che, prima o poi, molte di queste case assumono, come osserva anche il volume Unconstrained Passions. The Architect’s House as a Museum di Jaynie Anderson, in cui un ampio excursus, dalle prime case manifesto degli architetti del rinascimento italiano fino alle case dei maggiori architetti australiani del XX-XXI secolo, dimostra il valore rappresentativo della casa dell’architetto “who conceived of his home as a portrait of his practice, without the constraining hand of a patron” (Anderson 2016, 1). Se, a partire dal Rinascimento, la casa dell’architetto è, spesso, teatro sperimentale e/o luogo di esposizione della propria poetica progettuale, le case che popolano questo numero di Engramma traducono, nelle forme, un pensiero sull’abitare costruito in forma dialettica. La proposta di “Afra e le altre”, in altre parole, opera su più piani: cerca di superare o di analizzare in modo diverso un problema reale: l’accesso e il riconoscimento delle donne nella professione di architetto ben sapendo che molti passi avanti sono stati fatti, ma molto ancora resta da fare; osserva un metodo di lavoro tipico della pratica professionale, ossia il lavoro in gruppo e si basa sulla constatazione di fondo che esistono alcune coppie di architetti il cui lavoro insieme non è analiticamente divisibile, poiché la somma degli apporti individuali non raggiunge la condizione produttiva e creatrice che è sospinta dall’energia della relazione; infine indaga la trasformazione della residenza isolata, della domus, per captare come la casa intercetti i cambiamenti sociali attuali. Emergono cosi sia le trasformazioni dello spazio domestico in relazione all’affermarsi esclusivo di pratiche progettuali condivise, sia quelle in cui la pratica progettuale ha riguardato anche una complicità familiare. Il numero, in definitiva, raccoglie tanto nuove letture interpretative di case iconiche che riflessioni su esempi meno noti di ‘case per due’ in cui il progetto dell’abitare si mostra come ‘teatro di prova’ di un fare comune. ‘Case manifesto’ di una coppia di architetti o nate dal dialogo tra un architetto\a e un artista o intellettuale, che hanno tradotto il programma dell’abitare in forme poetiche e spazi inaspettati. La riflessione proposta da questo numero non ambisce a restituire panorami esaustivi, ma tenta, piuttosto, di selezionare alcuni casi esemplari per tratteggiare genealogie dei cambiamenti in atto nel mondo dell’abitare.  Le esperienze selezionate, indagate in profondità, nei rapporti tra vita e progetto e nelle forme dell’architettura, diventano momento di rigenerazione del tema ‘progettare e abitare in coppia’.

“Afra e le altre” si struttura in tre sezioni e prevede poi una serie di recensioni. 

Nella prima Sezione “Afra e il suo paesaggio”, la casa di Afra e Tobia Scarpa, raccontata attraverso l’articolo a/BA. La casa di Afra e Tobia Scarpa di Michela Maguolo e il racconto per immagini Abitare Casa Scarpa / Fotografare una casa di Carlotta Scarpa e Alessandra Chemollo, emerge da un paesaggio agricolo piatto e ordinato in cui l’abitazione è un laboratorio che riflette un approccio architettonico radicale per sperimentazione, per l’approccio alla questione dell’identità personale e per il desiderio di reinterpretare l’essenza dell’architettura rurale tradizionale del territorio veneto. Questa casa è anche un modo per dare inizio al racconto delle coppie di architetti che hanno fatto la breve storia dello Iuav progettando e insegnando tra le aule dello Iuav. Così Antonella Gallo propone, nel suo articolo Luciano Semerani e Gigetta Tamaro. Casa Semerani a Conconello,  la casa rifugio per i genitori di Semerani, sottolineando il modo in cui incarna un dialogo intimo tra architettura e paesaggio, rispondendo alla topografia carsica attraverso un’integrazione non mimetica ma armoniosa. Giuseppina Scavuzzo invece con La casa per i matti e la casa per lo psichiatra che li ha liberati. La collaborazione di Nani Valle e Giorgio Bellavitis con Franco Basaglia e Franca Ongaro, esamina due progetti abitativi non convenzionali: il progetto delle case per gli ‘ospiti’ – non più pazienti – degli spazi ristrutturati dell’Ospedale Psichiatrico di Trieste e un altro per la casa di vacanza della coppia di psichiatri. Attraverso progetti solo parzialmente giunti al termine, dà, così, conto di un sodalizio e una visione del mondo che intreccia professioni solo apparentemente distanti. Il paesaggio delle coppie Iuav che hanno offerto letture intriganti del Nordest italiano certo non si esaurisce a queste tre coppie di architetti/e e uno studio specifico, nell’ottica di questo numero, meriterebbero, per esempio, Valeriano Pastor e Michelina Michelotto ma anche Giuseppe Davanzo e Livia Musini. Più in generale varrebbe la pena esplorare come il laboratorio Iuav – luogo di studio, di formazione e di incontri per molte coppie di architetti – abbia segnato il paesaggio veneto, con architetture e studi professionali nati negli anni Sessanta, dove il lavoro delle donne si articolava spesso in dialoghi e tracce mai palesi, secondo equilibri complessi e controversi oscillanti fra presenza creativa e invisibilità pubblica.

La seconda sezione Casa per Noi” guarda alle case che nascono dal dialogo tra un architetto\a e un artista o un intellettuale, dove il progetto dell’abitare esprime una visione e un programma comune. Apre la sezione l’articolo di Annalisa de Curtis Bottero+Riva, la casa nella casa. L’opera e il suo continuo operare, in cui due appartamenti all’ultimo piano di via Paravia 37 a Milano sono stati abitati dagli illustri progettisti dell’edificio e dalle loro famiglie dal 1967. In uno hanno vissuto i due architetti Maria Bottero e Umberto Riva, nell’altro un’architetta e un poeta, Bianca Bottero e Giovanni Raboni. Partendo dalla forma, l’autrice traccia storie parallele, poiché entrambi i progetti hanno privilegiato ragioni pittoriche e plastiche appassionate rispetto alla fruizione, preferendo l’entusiasmo della condivisione totale. Si approda in California con l’articolo Genere e rivoluzione domestica. L’architettura di Rudolph Schindler e Pauline Gibling a Kings Road di Alberto Ghezzi y Alvarez per rileggere in una nuova chiave questa dimora divenuta icona. Qui infatti la Schindler-Chace House emerge come un esperimento architettonico plasmato da Schindler e dalla sua compagna come visione politica e culturale, in cui è la Gibling a proporre il programma ‘ideologico’ della casa. In Piccolo mondo moderno. Lådan, Lissma, Ralph e Ruth Erskine, Alberto Pireddu propone una riflessione sul ruolo di Ruth nella concezione di questo straordinario “rifugio”, al di là della sua ben documentata collaborazione pratica durante la fase di costruzione. Carlo Toson, Christian Toson chiudono questa sezione con l’articolo Lo Stökli di Flora Ruchat-Roncati e Leonardo Zanier, in cui esplorano l’interazione creativa tra Flora, architetto e professore al Politecnico federale di Zurigo, e Leo, attivista politico e poeta. L’attenzione è rivolta alla dimora progettata usando come modello la casa tradizionale svizzera dove gli anziani si trasferiscono dopo aver ceduto la fattoria ai loro eredi, per realizzare una versione contemporanea del rifugio del poeta.

La “Casa come Noi” è la sezione più ricca di contributi. Sulle tracce del noto “Casa come me” di Curzio Malaparte, questa sezione si riallaccia alla casa a Trevignano di Afra e Tobia Scarpa e esplora le case progettate da coppie di architetti per vivere e lavorare insieme. Si comincia con l’articolo di Maria Grazia Eccheli, Abitare la messa in scena. Eames, Entenza e la Eames House, in cui si evidenzia la casa sia come set cinematografico che come luogo di rappresentazione, dove ogni oggetto diventa parte di una regia silenziosa. Si prosegue poi con l’articolo di Fernanda De Maio, Tra Aino ed Elissa, le case manifesto degli Aalto, in cui le due coppie Aino|Alvar ed Elissa|Alvar, progettano le case di famiglia rivelando un’attenta selezione del sito e integrando il modello della tradizionale fattoria finlandese con un ripensamento critico del linguaggio architettonico moderno del loro tempo. Al centro dell’articolo “L’abitazione del nostro tempo non esiste ancora”. Lilly Reich e Ludwig Mies van der Rohe di Giulia Conti, vi è il contributo fondamentale ma spesso trascurato di Lilly Reich per la mostra Die Wohnung unserer Zeit (L’abitazione del nostro tempo), tenutasi a Berlino nel 1931 sotto la direzione artistica di Ludwig Mies van der Rohe, che segnò un momento cruciale nel dibattito sull’abitazione moderna. L’interno della forma aperta. Oltre la casa-capanna di Oskar e Zofia Hansen a Szumin di Guido Morpurgo, rivela parallelismi con coeve esperienze e elementi di novità dell’approccio al progetto di questa coppia di architetti polacchi, attivi fino agli anni Novanta, attraverso materiali in parte inediti, presentando le case di cui furono committenti. Francesca Belloni, invece, in Abitare la montagna incantata. La Trigonhaus di Heidi e Peter Wenger, documenta in modo preciso il distinto apporto che nel lavoro intorno al loro rifugio offrirono Heidi e Peter, mentre Claretta Mazzonetto in Tracce di un percorso architettonico in Suzana e Dimitris Antonakakis descrive le questioni compositive sollevate in due progetti realizzati dalla coppia meglio nota come Atelier 66: la loro casa atelier ad Atene e la loro casa di vacanza a Creta. Della coppia di architetti finlandesi si occupa l’articolo Nature Is at Home Here. The Studio House of Kaija and Heikki Sirén di Laine Nameda Lazda, presentando la loro casa studio posta in un’isola di Helsinki in cui si fondono forma archetipica, chiarezza strutturale e profondo legame con la natura. Mattia Cocozza presenta con La casa di Penelope e Harry Seidler, la casa che l’architetto di origine viennese ha progettato per la sua famiglia nel 1966 in collaborazione con sua moglie Penelope. In questa ‘casa manifesto’, lo spazio domestico interagisce attivamente con la natura ricca e talvolta selvaggia che permea con forza l’ambiente urbano in Australia. Nel cuore di Londra sorge la Hopkins House. Essenziale macchina per abitare: l’articolo di Eliana Saracino racconta in modo avvincente tutte le fasi di questa casa che nasceva dalla chiara determinazione di Patty, moglie e socia di Michael Hopkins, di affermarsi professionalmente mentre si occupava anche dell’educazione dei tre figli piccoli, e di farlo attraverso strategie spaziali e un uso attento e contestualizzato del design high-tech. Robert Venturi e Denise Scott Brown: A Domestic Manifesto di Rosa Sessa descrive l’abitazione di questa coppia celeberrima che si inserisce in una tradizione domestica americana in cui si ibridano influenze europee con stili locali. L’interno è un’esplosione di mobili, dettagli decorativi, capolavori della Pop Art e oggetti di uso quotidiano raccolti in tutto il mondo, che rappresentano un’ode alla personalità e ai molti interessi dei suoi abitanti. Con Abitare il tempo. La casa di Flores e Prats a Barcellona, Claudia Cavallo trasporta il tema nel cuore dell’architettura spagnola contemporanea. La casa di questa coppia è un manifesto della loro poetica progettuale. Lontana da ogni idealismo formale, la casa incarna un modo di abitare il tempo, accogliendo la presenza stratificata della memoria, dalla dimensione intima della vita domestica al rapporto più ampio con la città. Chiude questa sezione l’articolo di Francesca Mugnai che presenta Modernità arcaica. Le case studio di Pezo von Ellrichshausen. Gli studi-abitazione progettati come dimore personali dalla coppia cileno-argentina sono l’espressione compiuta della loro spiccata attitudine alla teoresi, alimentata dal loro interesse per la filosofia, come dimostrano chiaramente i loro scritti. L’auspicio è che l’excursus compiuto con Engramma 226 alimenti – attraverso le case pensate per vivere insieme e le case manifesto, in cui si sperimenta non solo l’abitare, ma un modo di pensare l’architettura – una certa idea di abitare il mondo, nella sua forma più libera e incondizionata. Chiude la sezione, l’intervista-dialogo a cura di Roberta Albiero a Julio Gaeta e Luby Springall La casa come spazio dell’anima, che chiarisce il complesso e fecondo rapporto instauratosi in questa coppia di architetti che hanno realizzato una nuova versione della “casa come noi” nella città-mondo di Città del Messico. 

Engramma 226 “Afra e le altre” si chiude con quattro recensioni. Per le prime due si tratta di ri-edizioni aggiornate di libri pubblicati tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso; la prima di Susanna Campeotto su Alison & Peter Smithson, Upper Lawn, Solar Pavilion presenta la riedizione di questo volume, pubblicato quasi 40 anni fa da Enric Miralles, per esplorare il mondo dell’architettura di questa coppia ante litteram; la seconda di Giuseppe Marsala, Gli indistinti confini, un libro di Teresa La Rocca, racconta il recupero di una teoria del progetto architettonico di cui fu interprete l’architetta siciliana; infine Marianna Ascolese con Ripetizioni, aggiustamenti. Forma del sapere di Pezo von Ellrischsausen introduce a questo nuovo libro di Pezo von Elrichssausen, mentre Alessia Scudella presenta Gli spazi delle donne. Casa, lavoro, società, che offre una panoramica delle trasformazioni sociali attraverso temi quali la vita domestica, il lavoro e lo spazio pubblico, fornendo spunti preziosi per studiosi, studenti e lettori interessati a comprendere come lo spazio e l’identità si influenzino continuamente a vicenda.

English abstract

Afra and the Others is a tribute to Afra Bianchin Scarpa and to all the women in architecture who, whether visibly or in the background, have contributed to shaping new imaginaries of domestic life. The volume explores the professional and personal dynamics of women architects who often worked alongside male partners—frequently within shared studios that were also spaces of family life. Through the example of Afra, who collaborated with Tobia Scarpa in both work and life, the issue examines the broader phenomenon of architectural couples, emphasizing how the intensity and totalizing nature of architectural practice often leads to close professional and personal partnerships. The publication builds on recent research into the role of women in architecture—referencing key projects such as DonnarchitetturaMoMoWo, and the MAXXI exhibition Buone nuove. Donne in architettura—to question the dominant historiography that has often marginalized female contributions. The essays suggest that working in pairs or within family teams has historically offered women a more accessible way to participate fully in architectural practice. The issue is structured into three main sections and concludes with a series of reviews. The first section, Afra and Her Landscape, focuses on the house Afra and Tobia Scarpa built in Trevignano and situates it within a broader network of Iuav-affiliated architect couples whose work has shaped the Veneto region. The second section, A House for Us, examines homes born from collaborations between architects and artists or intellectuals, where the design expresses a shared vision. The third and most extensive section, The House Like Us, explores domestic spaces conceived by couples of architects to live and work together—ranging from the Aaltos and the Eameses to lesser-known but equally revealing partnerships such as the Siréns, the Hansens, and Flores & Prats. Throughout, the volume positions the house as both a living space and a manifesto—an experimental site where architecture is performed, theorized, and inhabited. Rather than offering a comprehensive survey, Afra and the Others proposes a genealogical and interpretive journey through selected case studies, aiming to rethink the ways in which architecture, domesticity, and partnership intersect. The accompanying reviews highlight reissues and recent publications that enrich the discourse on gender, authorship, and spatial agency in architecture.

keywords | Afra Bianchin Scarpa; Contemporary and Modern Case Studies Houses; History of Contemporary Architecture, Architectural design.

Per citare questo articolo / To cite this article: Claudia Cavallo, Fernanda De Maio, Maria Grazia Eccheli, Afra e le Altre. Editoriale di Engramma 226, “La Rivista di Engramma” n. 226, luglio/agosto 2025.